Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L'ITALIA DEI CONSUMI, Appunti di Storia Sociale

Riassunto del libro L'Italia dei consumi di Emanuela Scarpellini

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 22/07/2021

vanessapalmisano
vanessapalmisano 🇮🇹

4.5

(15)

6 documenti

1 / 22

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica L'ITALIA DEI CONSUMI e più Appunti in PDF di Storia Sociale solo su Docsity! L’ITALIA DEI CONSUMI LA SOCIETA' ITALIANA DALL’UNIFICAZIONE ALLA BELLE EPOQUE Il periodo fra il 1870 e il 1913 è stato definito quello della “grande trasformazione” in riferimento ai mutamenti indotti dalla rivoluzione industriale. II XIX secolo vede la fine del regime demografico d’Ancien Règime, caratterizzato da: * Rivoluzione industriale; *. Progressi nell’agricoltura, adozione di nuove pratiche; *_ Fattori socioculturali; * Avanzamento delle conoscenze tecniche scientifiche Fattori che generano un forte aumento della popolazione e cambiamenti nelle relative classi d’età. Il moderno regime demografico lascia maggiore autonomia e libertà all'individuo: egli può decidere per il proprio destino in una misura impensata anni addietro, grazie ad una vita più lunga e prospera, una maggiore mobilità e uno spazio mai visto prima per le scelte di consumo. Il consumo era cosi strutturato: * 60% alimentazione (frumento, riso, patate, legumi, pomodori, carne e pesce, formaggi, zucchero, caffè e vino); *. Abitazione e energia; *. Vestiario; * Trasporti; * Altri; Le differenze territoriali e di contesto storico rendono molto diversa la vita da regione a regione; le differenziazioni di classe sociale creano enormi disparità. I CONTADINI Gran parte della popolazione era impiegata in agricoltura (62% della popolazione attiva). Le condizioni di vita dei contadini erano molto dure. Le entrate erano scarse e quasi completamente assorbite dai bisogni primari: alimentazione, casa, vestiario. Negli ultimi anni dell'ottocento i contadini delle Langhe mangiavano polenta di granturco, legumi, patate e castagne. Niente carne se non in festa o in caso di malattia. In Sardegna si mangiava di giorno pane di frumento e di sera minestra di legumi. | contadini in Puglia all'alba, all'inizio del lavoro, ricevevano un pane nerastro e schiacciato di 1 kg che cominciavano a consumare verso le 10 del mattino. Alla sera, il Massaro faceva bollire in una grande pentola acqua con poco sale; i contadini in fila ognuno con il proprio pane affettato dentro una scodella di legno ricevevano la zuppa di acqua e sale con un po' d'olio. Le condizioni erano molto variabili da una zona all'altra e dipendevano dalla disponibilità dei prodotti locali, dai contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. In comune vi era il basso apporto calorico e la scarsità di vitamine e proteine. Le culture contadine assegnano grande rilievo al cibo nell'organizzazione della vita sociale: il tempo della festa è scandito da una quantità e qualità degli alimenti, diversi da quelli del tempo del lavoro. Le varie tipologie di cibo assumono molti significati: il valore positivo è collegato a tutto ciò che è grasso, grassezza come allegoria di una vita felice, oppure tutto ciò che cresce o vive in alto, come uccelli o frutti degli alberi. Lo stesso è vero per le forme del cibo, i sistemi di preparazione, di cottura, e anche i colori, per esempio il bianco è associato alla raffinatezza, così il pane bianco è visto come pregiato. Sebbene unificati da alcuni tratti, come il rispetto quasi sacrale per un cibo sempre scarso e un attento rapporto con la natura, le culture contadine del cibo erano molto diverse da zona a zona. | pomodori erano impiegati sottoforma di salsa, il mais non era mangiato in grani come in America ma diventava farina da polenta. Le modalità di consumo del cibo erano significative. Si trattava di un atto collettivo, introdotto dalla preghiera, che confermava le differenze sociali di genere, come era testimoniato dall'ordine eseguito nel distribuire le portate, dalla selezione delle porzioni migliori e dalla disposizione gerarchica dei posti a tavola. Mangiare bene costituiva un importante pratica culturale, che accompagnava molti momenti di socializzazione: le visite al mercato o alle fiere, le feste nel villaggio o le riunioni serali intorno al fuoco. L'altra spesa per i contadini era la casa. Vi era una grande varietà di abitazioni con due elementi comuni: il riferimento all'ambiente circostante e quindi l'uso pressoché esclusivo di materiali costruttivi locali. Le abitazioni erano unifamiliari poverissime, realizzate con materiali come pietra o legno e di dimensioni ridotte: la cucina rappresenta l’ambiente polifunzionale centrale della casa e l’unico riscaldato. Nella realtà rurale italiana esistono famiglie estese e soprattutto famiglie nucleari; queste famiglie avevano una forte gerarchia e una marcata divisione dei compiti: agli uomini spettavano i principali lavori agricoli, alle donne la cura della casa mentre i fanciulli collaboravano con mansioni più leggere. Nella stanza da letto c'era il baule o gli armadi che custodivano la biancheria è il vestiario, indumenti e lenzuola erano in parte realizzati in casa, o ereditati e più volte riciclati. Gli oggetti presenti nella casa contadina sono sia frutto dell'autoconsumo sia di acquisti. L'abbigliamento svolge un importante compito di distinzione sociale e anche per i contadini era importante apparire bene sul palcoscenico sociale, soprattutto in occasione di feste e cerimonie. Durante il carnevale la privazione si trasforma in abbondanza e anche il mondo contadino si abbandona alla sfrenatezza del bere e del mangiare. GLI OPERAI Le condizioni di vita degli operai non erano migliori. La principale differenza risiedeva nel fatto che il reddito derivava quasi esclusivamente dal salario, era quindi monetizzato, e l'autoconsumo era molto più basso. Il bilancio familiare di un operaio di Torino a fine ottocento ci mostra come l'introito complessivo sia discreto, ma la quota destinata all'alimentazione porti via ancora il 74% e salga decisamente il costo dell’abitazione. Le spese varie e l'abbigliamento sono marginali. Gli operai milanesi, alla vigilia della prima guerra mondiale, non superano l'apporto giornaliero di 3000 cal, si consumava poca carne, poco pesce, latte in abbondanza e derivati di bassa qualità e mais. A sud le cose non migliorano. A Napoli la carne scarseggia, così come il pesce mentre latte e uova sono evitati perché costosi. C'è una discreta varietà di verdura e cereali. Anche se gli standard di vita erano simili a quelli dei contadini, gli operai mettono in atto comportamenti molto diversi. In primo luogo in campo demografico. Nelle città più industrializzate la natalità è inferiore del 30% della media nazionale; i matrimoni sono meno frequenti e contratti in tarda età; la natalità illegittima è molto elevata. Il peso delle famiglie e dei figli è inferiore e quindi vi è uno spazio maggiore per i consumi individuali. La vita lavorativa in fabbrica era molto breve, andava dai 19 ai 40-45 anni dopodiché si era licenziati. A questo punto non restava che trovare altre occupazioni. La casa aveva costituito un grave problema per le classi popolari, a causa della scarsità di alloggi disponibili e degli alti prezzi. La popolazione operaia era ridotta e si raggruppava in alcuni luoghi: a Milano nel 1901 la sistemazione più comune era nei quartieri più poveri, nelle costruzioni a blocco delle periferie popolari. Tra le tipologie urbane più caratteristiche troviamo le case di ringhiera del milanese: case di affitto, periferiche, a più piani, dotate di ballato i comuni orientati verso un cortile interno. Queste abitazioni si sviluppavano all'esterno dei bastioni che delimitavano l'area centrale della città. L'Italia non conosce una massiccia edilizia operaia tipo quella che si diffonde nei centri industriali inglesi, e neppure un'architettura razionale specificatamente indirizzata ai lavoratori urbani. La principale eccezione è rappresentata dai villaggi operai come la “nuova Schio”, fatta costruire da Alessandro Rossi, il villaggio modello includeva giardino, scuole e servizi comuni, era progettato in base a una netta suddivisione gerarchica: villette per i dirigenti, abitazioni per 12 famiglie di impiegati, case a schiera degli operai. Molti imprenditori seguirono questo esempio, si trattava di esperienze particolari, esterne alle aree cittadine. Numerosi studi hanno indagato anche in Italia dicono grafia delle manifestazioni collettive, i significati attribuiti al cibo, i rituali delle feste come il 1 maggio, i canti popolari: tutto quello che contribuì alla creazione di un'identità culturale operaia. Gli operai indossavano abiti semplici e simili tra di loro, riconoscibili come gruppo. Le divise da lavoro hanno un significato simbolico, univano gli operai in un'unica collettività: le tute blu. L'igiene personale e la pulizia di case e vestiti erano approssimative in mancanza di acqua corrente. A partire dall'ottocento il cattivo odore e lo stesso concetto di sporcizia vengono attribuiti all'idea di povertà. Con l'invenzione del tempo libero avviene una bipartizione del tempo del lavoro e del tempo del non lavoro cioè il tempo libero. Il tempo libero non è però il tempo dell’ozio. Nell'ottocento si assiste alla nascita dell'industria deltempo libero che propone spettacoli teatrali e musicali, libri, giornali, feste organizzate e attività sportive. Questi nuovi consumi operai sono una progressiva estensione dei consumi tipici delle classi sociali alte, un effetto Trickle Down. Ma nella società non mancano meccanismi di trasmissione culturale che compiono il cammino inverso, Bubble Up. Le differenze culturali vanno in tese come un insieme di usi e schemi d'azione legati alle pratiche, in grado di strutturare i comportamenti secondo l'estrazione sociale. Per molti lavoratori tutto ciò era un miraggio poiché la loro principale preoccupazione era la soddisfazione dei bisogni basilari. La disoccupazione era sempre in agguato e una malattia o un grave problema familiare potevano far precipitare la situazione. C'era il problema anche della differenza di genere, le donne erano impiegate nel lavoro manifatturiero, concentrandosi nel settore tessile e dell’abbigliamento. Facevano parte della manodopera dequalificata: il loro lavoro era considerato qualitativamente inferiore ed era pagato di meno. Un'altra gerarchia riguardava le classi di età. Leggi limitative furono introdotte solo nel 1886 e soprattutto nel 1902 con un limite massimo di 12 anni per l'ingresso in fabbrica. Anche quest'altro tratto costituisce una continuazione dell'impiego 2/3 dolci. Molti dei piatti serviti avevano nomi francesi (omelette, mousse, pàtè, croquet), anche se a volte italianizzati. L'unica cosa italiana era il vino. Il cibo era ricco e abbondante 10/12 portate. Mangiavano in particolare la carne arrosto. Levi- Strauss sostenne che l’atto del mangiare sia il primo atto di civiltà. Il cotto rappresenta la prima manipolazione che l'essere umano fa sul cibo naturale. Il bollito è la forma più povera, l’arrosto quello più ricco. | consumi legati al divertimento si svolgevano principalmente al teatro, in spazi riservati agli aristocratici lontani dalle altre classi sociali, viaggi e sport come equitazione e caccia. Anche l'abbigliamento è strettamente codificato: per gli uomini blazer scuro e cappello di paglia, per le donne vestito accollato chiaro, ampio cappello di piume, ombrellino parasole di merletti; le gare sono una grande occasione mondana, scuderie e ippodromi fioriscono in tutta Italia E conoscono uno straordinario successo fino al primo conflitto mondiale e poi ancora fra le due guerre. Andare a cavallo e organizzare gare ippiche nel momento in cui si diffondono le automobili significa sottolineare la propria diversità rispetto agli altri ceti sociali, di affermare la continuità con il passato, ostentare un cerimoniale d'altri tempi tipicamente nobiliare. LO STATO E | CONSUMI PUBBLICI Con il procedere dell’industrializzazione la situazione dei lavoratori nelle città e nelle campagne sembrava drammaticamente peggiorare; il fenomeno si legava alle modalità di lavoro nelle fabbriche, alle condizioni di vita in città sempre più affollate, alla crisi economica nelle campagne. Subito dopo la costituzione del Regno d’Italia si moltiplicarono gli studi, le inchieste e gli appelli che denunciavano la grave situazione e richiedevano un intervento pubblico riguardo alla “questione sociale”. Un altro problema era individuare le modalità dell’intervento statale. L’idea più diffusa era che dovesse riguardare i consumi pubblici, cioè quelle forme di assistenza individuale che il mercato non era in grado di fornire; non si trattava tanto di aumentare le spese per l’intera collettività, come ad esempio quelle per la sicurezza o la difesa, ma di fornire specificamente beni e servizi agli individui: assistenza, previdenza, sanità e istruzione. Una possibile risposta per contenere l’esplosivo conflitto sociale proveniva dalla Germania bismarckiana, che aveva varato un’avanzata legislazione sociale per contenere l’influenza del movimento socialista e legare le masse operaie allo Stato. Un esempio diverso, ma non meno interessante, giungeva dall'Inghilterra, dove la protezione sociale non era decisa dall'alto, ma era frutto della cooperazione tra le forze liberali e quelle ispirate al Labour; una politica che mirava all’effettiva integrazione degli strati operai nella nazione. In Italia Destra e Sinistra storica aveva fatto un grande sforzo, concentrato però principalmente sulla creazione di infrastrutture e sull’edificazione della complessa struttura amministrativa del nuovo Stato. Ci fu ben poco spazio per le spese riguardanti l'istruzione o l'assistenza, che dipendeva dal reddito (i benestanti potevano chiamare un medico privato e sostenete cure costose a casa o negli ospedali civili; i poveri dovevano ricorrere alle associazioni caritatevoli). Bisognerà attendere fino a Crispi per ulteriori passi avanti. Nel 1888 interviene una nuova riforma sanitaria: è creata una direzione generale di sanità; a livello locale si stabilisce la presenza di un medico condotto e di una levatrice pagati dal comune per i poveri, e di una rete di medici provinciali operanti a livello locale con compiti di prevenzione di igiene. Inoltre le opere pie divengono istituzioni pubbliche e sono poste le basi per una modernizzazione delle ormai inadeguate strutture ospedaliere (nasce il Policlinico di Roma e molti ospedali minori). Nel periodo giolittiano l’attenzione fu concentrata sulla lotta contro malattie come la tubercolosi, il colera e soprattutto la malaria. L'impegno si sposta quindi sulla prevenzione e sull'igiene, complice la nascita della medicina sociale. L'impatto di queste riforme è importante: testimonia il crescente ruolo che la medicina assume nella società italiana da metà 800 e pone le premesse per una crescente domanda di consumi sanitari. Per quanto riguarda l’istruzione: le classi abbienti potevano permettersi maestri privati e la frequenza dopo le elementari di istituti educativi fino all’università. La legge Casati del 1859 aveva istituito due anni di istruzione elementare obbligatoria, portati a 4 dalla legge Coppino nel 1877. Nonostante ciò il Novecento fu caratterizzato dall’evoluzione dei consumi privati e dal progressivo allargamento dei consumi pubblici. E evidente come i provvedimenti adottati avessero uno scopo di controllo del territorio e del corpo sociale non meno che di potenziamento della nazione. Si potrebbe dire che in questo periodo inizia a crearsi uno “spazio nazionale” che orienta le scelte di consumo. Il rapporto che intercorre tra produzione e consumo è ovviamente di reciproca influenza. Gli economisti hanno però storicamente assegnato un peso maggiore ai produttori, il loro pensiero ha subito nel tempo un’evoluzione. 1. Gli economisti classici, come Adam Smith e Ricardo, si concentravano sulla produzione; Marx si pone sulla stessa linea, pur riconoscendo la distinzione fra il valore d’uso di una merce (legato al suo effettivo utilizzo nel tempo) e valore di scambio (legato al suo prezzo sul mercato), e soffermandosi sulla specificità dell'economia capitalista nel produrre una grande quantità di merci. 2. Gli economisti neoclassici (Marshall, Walras, Pareto) pongono al centro della scena il rapporto tra domanda dei consumatori e offerta dei produttori: entrambi volevano massimizzare la loro utilità (rispettivamente nella soddisfazione di un bisogno o nell’ottenimento di un profitto), e il loro ideale punto di incontro rappresenta l'equilibrio del mercato. In successive analisi si nota come il potere di controllo sui mercato da parte dei produttori aumenta in presenza di situazioni di monopolio e oligopolio. | consumatori prendono la loro rivincita a partire dalle teorie di Keynes, che attribuisce al consumo, oltre che allo Stato, un ruolo fondamentale nel garantire la crescita economica; e soprattutto nel secondo dopoguerra, con studiosi come Duesenberry e Katona. Il primo, noto per la teoria dell’effetto dimostrativo, spiega come il consumo diventi fondamentale in società moderne caratterizzate da un’elevata mobilità sociale per segnalare la propria condizione sociale; il secondo vede il consumo come la vera forza dietro la nuova società di massa, dove il consumatore è un soggetto guidato non solo da redditi e prezzi, ma da abitudini e aspettative per il futuro. Analisi più recenti: Friedman pensa al consumo come a una quota costante di reddito permanente. A partire dagli anni Sessanta-Settanta si sviluppa una forte corrente critica verso il “consumismo” che influenza gli economisti. E interessante notare come il ruolo dei consumatori sia cresciuto e divenuto più visibile con il passare del tempo: da soggetti passivi e manipolati, i consumatori acquisiscono via via un ruolo attivo e dinamico sulla scena economica, quasi alla pari dei produttori. Inoltre viene progressivamente in luce il ruolo dei mediatori, cioè dei commercianti. L’Italia, tipica economia di trasformazione con scarse materie prime, attraversa in questo periodo il primo effettivo slancio industriale. Nel quadro europeo appare come un paese a metà tra economia tradizionale ed economia industrializzata: esporta soprattutto prodotti agricoli, tessili e alimentari; importa frumento, materi prime, semilavorati e prodotti industriali finiti. A fine Ottocento un terzo dei prodotti consumati proveniva dall’agricoltura, un altro 30% dalle industrie alimentari; nel giro di sessant'anni la situazione di rovescia, con le industrie alimentari al primo posto e i prodotti agricoli primari ridotti al 16%. Questo significa che molte operazioni condotte in ambito familiare sono state trasferite all'industria alimentare, per motivi sociali (Mutamenti verificatisi all’interno della famiglia e crescente lavoro extra domestico delle donne), economici (maggiore disponibilità di reddito) e tecnologici (nuove tecniche di conservazione e lavorazione del cibo). Infine vi è la tendenza a passare da beni non durevoli a quelli durevoli (prevalenza di alimenti secchi, compresa frutta e verdura, rispetto a quelli freddi, conserve). Prende così forma un aspetto che si rivelerà decisivo nella storia dei consumi del Novecento: la marca Il suo significato conosce nel tempo una complessa evoluzione. Alle origini indicava semplicemente un “marchio proprietario”, ovvero ilnome o il simbolo del prodotto commercializzato da un’impresa spesso protetto tramite un deposito legale. Con la formazione del mercato allargato che si crea grazie ai trasporti moderni e alla rivoluzione industriale, essa assume un significato del tutto differente, perché diventa un mezzo per caratterizzare una merce e, possibilmente, venderla. La marca ha due funzioni: * Informativa: indica le caratteristiche del prodotto, le sue funzioni, i suoi componenti, prima che venga comprato; * Valoriale: costituisce una specie di valore aggiuntivo rispetto al bene fisico, indica come quello specifico articolo si inserisce nel mercato, quale valore di status potrebbe fornire. La costruzione di una marca si basa essenzialmente sulla pubblicità, che non a caso muove allora i primi passi in Italia. Si tratta però di una pubblicità che punta soprattutto sul primo aspetto, cioè quello dell’informazione: nelle pagine delle riviste che ospitano un numero crescente di inserti pubblicitari appaiono riquadri con una piccola illustrazione del prodotto e una lunga scritta di spiegazione. In questa prima fase la cosa più importante era far conoscere il prodotto ai consumatori, chiarendo a cosa serviva, come e perché utilizzarlo. Importante era anche il packaging: altra parola sconosciuta, per quanto molti avessero già capito che la confezione esterna del prodotto (la forma, il colore, il logo impresso) era un elemento importante per la caratterizzazione e doveva perciò rimanere uguale nel tempo. La marca più presente nelle case era la Cirio Francesco Cirio, imprenditore di Nizza, fu un vero pioniere dell’industria alimentare italiana. Iniziò con l’esportazione di frutta, verdura, ma anche uova, pollame e formaggi da trasportare nel Nord Europa su speciali vagoni frigoriferi di sua ideazione. L'impero Cirio si espanse a dismisura e attraversò molte difficoltà e, a inizio secolo, passò ai fratelli Signorini. Per quanto riguarda l'arredamento, era possibile notare una prevalenza di produzioni artigiane di buona fattura e la disposizione dei primo mobili di serie per le classi sociali meno abbienti. Le produzioni britanniche erano all’epoca sinonimo di eleganza e modernità, basate per l'appunto sulla produzione di beni di consumo esportati in tutto il mondo(biscotti, liquori, salse, porcellane, biancheria, posate, abiti). La trasformazione della società è orientata verso la spettacolarizzazione. In passato i consumi si svolgevano in luoghi precisi (mercati, botteghe, fiere) immagine di bottega tipica nel periodo fascista: lusso ed eleganza, arredi raffinati che suggeriscono un’atmosfera da salotto, il bancone segnava il limite fisico al cliente che non aveva dunque libero accesso alla merce. Lo spazio limitato con precise gerarchie. Il commesso, in primo piano, mostra la merce al cliente come esperto consigliere non in mostra e senza il prezzo imposto. * Luogo funzionale; * Zero spettacolarizzazione. Il primo esempio di spettacolarizzazione sorse a Parigi, città simbolo della cultura e dell’eleganza. La città francese fu segnata da due elementi: la velocità, che esprime un ritmo frenetico e diventa la cifra di lettura della vita urbana, e la mercificazione, che informa ogni cosa e spinge gli uomini a sfinirsi di lavoro o a rubare e vendersi. Baudelaire contempla la nascita della metropoli moderna. La vecchia Parigi scompare, lamenta il poeta; e non è chiaro se il nuovo che subentra sia meglio o peggio. Di certo è segnato da due elementi: la velocità e la mercificazione. La Parigi ottocentesca doveva essere un grandioso spettacolo: solo Londra poteva rivaleggiare per ricchezza e potenza. Molti anni dopo, nel 1935, Walter Benjamin fu altrettanto colpito dal fascino della città francese. Secondo il filosofo berlinese, gli shock esperiti di continuo nella vita urbana (luci, rumori, incontri) avrebbero forgiato una nuova sensibilità, più nervosa e instabile. Essa trova la sua più compiuta realizzazione nel grande magazzino, dove lo spettacolo è finalizzato alla vendita. Nel 1789 una strada commerciale venne ricoperta con degli archi e un tetto in vetro che creava l'illusione di essere all'aperto, e l'asfalto fu sostituito con una pavimentazione particolare che giocava forti effetti di luce. Parigi era una città molto buia e questa scelta di decoro segnò un’importante passaggio culturale, un cambiamento netto: la realizzazione di questo luogo, definito dai francesi il passage, riuscì a creare un forte effetto di meraviglia ai suoi visitatori, infatti lo scopo era infatti quello di attirare il pubblico attraverso la tecnologia. | passage erano dunque luoghi di passaggio coperti tra una strada e l’altra, lussuosamente pavimentati e ben arredati; l'ingresso non implicava la volontà di fare acquisti, semmai essi invogliavano a passeggiare e soffermarsi accanto a sfavillanti vetrine che si allineavano una dopo l’altra al loro interno insieme a caffè, ristoranti e teatri. Si proponevano come luoghi di incontro e di ritrovo. Qui si veniva in contatto con una folla mutevole e sconosciuta; si era attratti dai rumori, suoni e luci di tutti i tipi; si era immersi in un’atmosfera scenografica; tutto poteva essere comprato e venduto. Il richiamo di questi luoghi era affidato alla tecnologia: costruiti con moderne coperture di vetri e ferro, lasciavano filtrare di giorno una luce bianca e di sera si iluminavano con l’abbagliante chiarore della luce a gas, che contrastava nella penombra del resto della città. Molti individuarono nel passage un tentativo di ricreare il format teatrale: spettatore — attore. Sembravo dei palcoscenici, dove si recitava senza soste un copione per il pubblico dei passanti, mentre l’intera strada si era trasformata in un teatro senza confini. Inoltre, in passato i rapporti interpersonali erano minori ma più approfonditi, il silenzio era una cosa normale. Nella città moderna, invece, non vi è mai silenzio, gli stimoli sono continui. L'uomo moderno si integra perfettamente a questo ambiente frenetico attraverso l’indifferenza, forma di difesa che si manifesta come attenzione ridotta e superficialità. | rapporti con le altre persone sono estremamente casuali.Le gallerie commerciali si diffusero rapidamente nelle principali città europee, divenendo un polo di attrazione e un vanto; nell’800 la sola Parigi ne conta 150, ed esse si moltiplicano a Londra e anche in Italia, dove negli ultimo decenni si costruirono varie gallerie di grandi dimensioni, come quelle realizzate a Torino, Genova (Galleria Mazzini) e a Napoli (Galleria Umberto I). La più grande, la neoclassica galleria Vittorio Emanuele Il a Milano, progettata da Giuseppe Mengoni e costruita tra il 1865 e il 1877, con un’enorme cupola centrale e quattro braccia laterali e due archi di trionfo intitolati al re, si tratta di un monumento lanciate dai cinegiornali Luce e le fotografie sui quotidiani e sulle riviste. Gli italiani erano abituati a declinare i consumi in termini di classe e genere: ora compare la razza. Molti prodotti sono pubblicizzati ricorrendo allo stereotipo positivo dell'indigeno: queste pubblicità e numerosi prodotti con nomi e immagini che richiamano l'Africa sottolineano visivamente le differenze di razza. Non è da sottovalutare la presenza nelle città italiane di negozi di prodotti coloniali, caffetterie e torrefazioni con nomi esotici. La costruzione di un immaginario coloniale passò anche attraverso i consumi. L'EMIGRAZIONE Vale la pena ricordare che il consumo di prodotti nazionali non si limitava all’Italia e alle colonie. Da fine ottocento, esso aveva di fatto seguito le ondate di immigrati italiani in Europa e nelle Americhe, dove si era creata un importante domanda di prodotti tipici. | governi italiani avevano favorito questo interscambio per motivi economici ma anche politici: era un modo per tenere legate le comunità italiane all'estero e rinforzarne l'identità. Durante il fascismo uno dei modi per testimoniare questo rinato nazionalismo fu quello di aumentare il consumo di prodotti italiani. POLITICA FASCISTA DEI CONSUMI Nel ventennio fascista il mercato dei beni di consumo era governato da meccanismi complicati e lo Stato faceva sentire la sua voce in maniera crescente. Cercava di orientare i consumi privati con la promozione di prodotti nazionali e appariva sempre più protagonista nell'offerta di consumi pubblici. Appare evidente la tendenza verso una crescita della spesa pubblica di cui i consumi pubblici sono una quota significativa. Lo Stato spende sempre di più perché è chiamato a correggere gli squilibri dello sviluppo industriale e a rispondere alla crescente domanda di servizi sociali. In occasione di una grave crisi come una guerra, la spesa sale rapidamente e poi passata la bufera scende, ma non torna ai livelli precedenti. E questo l'effetto di spiazzamento. Il fascismo orienta rapidamente la spesa pubblica seguendo finalità politiche, lasciando nuovamente cadere le spese assistenziali e previdenziali che erano molto cresciute dopo la guerra e privilegiando altre spese, soprattutto quelle militare. Un esempio fu quello dell’istruzione usata come leva per trasformare la società, e in particolare i giovani, e creare un uomo nuovo plasmato. In campo assistenziale e previdenziale l’interesse era quello di salvaguardare la stirpe assicurando categorie di lavoratori e ampliando la provvidenza contro malattie con istituti centralizzati. Parallelamente cresce la previdenza con riforme per mitigare la grave crisi sociale: assicurazione obbligatoria contro gli infortuni a lavoro e tutele contro la disoccupazione, creazione di enti locali e pubblici, maternità e assegni familiari. | consumi pubblici diventano così uno strumento di consenso politico mirato. I CONSUMI COLLETTIVI Nella vita quotidiana delle famiglie durante il fascismo non ci sono solo i consumi privati ma entrano altri consumi collettivi.si tratta di consumi collegati al tempo libero: educazione, sport, cultura, divertimento. Sono consumi accessori, di tempo libero. In Italia erano molto diffuse le associazioni ricreative operaie, di ispirazione socialista. Una delle prime preoccupazioni del fascismo è perciò quella di fare piazza pulita nel retroterra avversario, colpendo bande musicali, cori, associazioni sportive con anche solo lontanamente sospette simpatie socialiste. Negli Stati Uniti fioriscono le attività dopo-lavoro aziendali. | consumi relativi al tempo libero sono diventati così importanti da meritare l'attenzione delle autorità. Studiosi come Kern e Corbin ci hanno mostrato come ogni epoca e ogni cultura abbiamo una specifica concezione del tempo. Dall’800 iltempo diventa più strutturato (separiamo rigidamente i tempi dedicati alle diverse attività, ad esempio di lavoro e riposo: ognuna ha il suo arco definito e non le sovrapponiamo l’una sull’altra); è più misurabile (utilizziamo strumenti più raffinati per la misurazione, come orologi meccanici); è accelerato (con trasporti moderni che hanno cambiato il rapporto tempo/ spazio); è interiorizzato (organizzato con segnali temporali: sveglie, sirene in fabbrica, agende).Se iltempo è prezioso e misurabile, non sorprende che una delle battaglie operaie sindacali più lunghe sia stata quella per la riduzione dell'orario legale di lavoro, passato da 15 ore al giorno alle attuali otto, e per la conquista delle ferie. Il tempo dedicato ad attività di svago e cultura, diventa un'attività socialmente apprezzabile. Il fascismo aggiunge di suo la connotazione politica. Facciamo un esempio: prendiamo le lezioni del regime nel settore teatrale. Il teatro rappresenta un tipico consumo culturale riservato alle classi alte. Il regime comincia negli anni 20 sciogliendo tutte le associazioni musicali e di prosa ritenute d'ispirazione politica. Molti ritengono che sia una delle iniziative più fortunata del regime in campo culturale, e il fatto di non presentare opere propagandistiche non eliminava il valore politico, la propaganda più efficace è quella che non si vede. Nel 1936 il ministero per la stampa e per la propaganda istituisce a sua volta spettacoli teatrali nell'ambito del sabato fascista, riservate a operai, dipendenti, venditori ambulanti e impiegati con stipendi mensili inferiori a 800 lire. E un successo. Il regime porta dunque il teatro a fasce più ampie di popolazione nell'ambito di una programmazione di integrazione nazionale. L'opera del regime contribuì a dare una forte pagina di legittimazione sociale ai consumi. Gli studiosi dei sistemi organizzati ci dicono che l’adesione a un’organizzazione volontaria dipende da due fattori: gli incentivi selettivi (incentivi materiali, ad esempio nel nostro caso la possibilità di usufruire di beni e servizi altrimenti fuori dalla portata economica delle classi medio-basse, e per qualcuno anche il raggiungimento di posizioni di potere e di status) e gli incentivi collettivi (che possono consistere nella solidarietà, nel sentirsi parte di un gruppo, nel riconoscersi in una specifica identità). La moglie di Mussolini, Edda Ciano, rappresentava il modello dell’aristocrazia inimitabile che si proponeva come guida: vestiti esclusivi, gioielli, pellicce, eventi mondani, macchine di lusso. Un ulteriore modello dell’epoca sono i personaggi della cinematografia americana hollywoodiana: la donna alta e magra, capelli biondi, vive in appartamenti lussuosi, va al cinema e al teatro; l’uomo elegante, dinamico e sicuro di sé, sorridente, fuma sigarette e guida auto scintillanti. LA VITA QUOTIDIANA NEL FASCISMO - CASA, TRASPORTI, MAGAZZINI POPOLARI Le abitazioni in epoca fascista erano provviste delle nuove tecnologie e servizi moderni, soprattutto in ambienti metropolitani, considerati i costi elevati. In particolare della radio, che rafforzò il consumo di musica e quindi trainò in parte la diffusione del grammofono. Per quanto riguarda i trasporti: Marinetti e i futuristi furono i primi in Italia a esaltare il fascino della velocità e quello dell'automobile. Esse condensano miracolosamente la conquista dello spazio e del tempo, permettendo viaggi lontani e riducendo i tempo di percorrenza; la libertà dell’individuo di scegliere tempi e modi degli spostamenti, liberandolo dalla schiavitù di orari e convivenze forzate. Negli anni ’20 ci sono ben 36 case automobilistiche (Fraschini, Maserati, Alfa Romeo e Fiat). In Italia nel 1938 girano complessivamente 289.000 autovetture, contro 1.818.000 in Francia e 1.272.000 in Germania. Il treno risulta però il mezzo più utilizzato per lavoro e per spostamenti, comprese le prime vacanze delle classi medie. La bicicletta è il vero mezzo di trasporto per tutti. Sono ancora presenti una vasta rete di piccoli negozi e l’alimentare è di gran lunga preponderante. | negozi non alimentari sono in media i più ricchi: al vertice troviamo negozi di tessuti, valigerie, pelliccerie, ferramenta, mercerie ecc.. | grandi magazzini, che tanto aveva incuriosito la collettività, non avevano subito eccessive espansioni: nel 1938 essi rappresentavano solo lo 0,8 % delle vendite. La principale causa di questo ristagno risiede nel basso potere nel basso potere di acquisto dei consumatori, accentuato dalle crisi economiche ricorrenti e dalla politica di contenimento salariale attuata dal regime. Il primo magazzino, Upim, inaugurato nel 1928 a Verona, offriva ai suoi clienti 4000 articoli a prezzo fisso, ricalcando una formula inventata dall’americano Frank W. Woolworth nel 1879 e ampiamente diffusasi e ampiamente diffusasi in Europa tra le due guerre, complice la crisi economica. L'iniziativa è di Senatore Borletti, proprietario della Rinascente, che crea appunto una catena parallela (Unico Prezzo Italiano di Milano) per distinguere i due marchi: l’Upim si rivolge a una clientela popolare piccolo borghese, ha arredi interni funzionali, punta su articoli di ampio consumo, si sviluppa secondo una diversa geografia. Alla vigilia della guerra la società Borletti gestisce 5 filiali Rinascente e 57 magazzini Upim. La rispondenza del pubblico spinge i Fratelli Monzino, ex dirigenti della Rinascente imparentati con Borletti, a fondare nel 1931 un’impresa concorrente, la Standa. Si apre presto una guerra: da una parte la Rinascente, forte del suo sviluppo e della sua influenza politica di Borletti; dall’altra la Standa, abile e spregiudicata, che raggiunge in un decennio la metà della consistenza dell’Upim. Inoltre con la legge del 1938, che stabilisce l'apertura di un numero massimo di 177 filiali sul territorio, divise fra Upim, Standa e Ptb, si crea un vero e proprio oligopolio. La Ptb (Per tutte le borse) con sede a Milano, creata nel 1937, propone un’offerta differenziata a buon mercato ma di maggiore qualità rispetto alle altre. Sarà la guerra che di lì a poco peggiorerà drammaticamente le condizioni di vita materiali della popolazione: mancanza di generi di prima necessità, distruzioni e borsa nera. IL MIRACOLO ECONOMICO Se i decenni tra la fine dell'ottocento e la prima guerra mondiale sono quelli della "grande trasformazione", gli anni 1947-1978 sono l’”età dell'oro” del capitalismo. Il reddito pro capite cresce in tutto il mondo è ancora di più crescono i redditi nazionali e le esportazioni. Le cause di questa fortunata azione sono molteplici. In primo luogo operano la liberizzazione dei mercati e l’integrazione dei sistemi produttivi in un unico spazio economico. Il ruolo degli stati Uniti in questo processo non può essere sottovalutato, per gli aiuti concessi all'Europa in crisi dopo la guerra. Altrettanto importante è la politica economica seguita per promuovere lo sviluppo all'interno dei singoli paesi: consiste essenzialmente in una crescita economica di tipo quantitativo, che porta a un più alto standard di consumi, migliora la qualità della vita, diminuisce la disoccupazione e la conflittualità sociale. Pertanto gli obiettivi prioritari sono gli investimenti in capitale fisso e quelle in capitale umano (istruzione o formazione professionale). | paesi che registrano le migliori performance economiche sono quelli usciti sconfitti e maggiormente danneggiati dalla guerra: Giappone, Germania, Italia. Ecco allora che Italia e Germania condividono un eccezionale crescita media, ben al di sopra della media europea. Anche a metà del XX secolo un elemento fondamentale è l'aspetto demografico. La generazione del dopo guerra dà vita al Baby Boom, che porta a un rapido aumento della popolazione. Con la seconda guerra mondiale si chiude un primo periodo caratterizzato dall'alta mortalità, dalla fine delle grandi migrazioni transoceaniche e dall'isolamento demografico. Questa fase vede un incremento demografico, complice la ripresa delle migrazioni interne. Si allunga la vita. L'immigrazione è indotta dal boom industriale che spinge le persone ad abbandonare le campagne per cercare occupazione nelle fabbriche. Si verifica un cambiamento culturale. All'interno della famiglia iniziano a ridefinirsi i ruoli in base al genere e all’età. Per la prima volta le spese alimentari non assorbono più la gran parte delle risorse disponibili e scendono ben al di sotto della metà. Ma soprattutto la dieta cambia profondamente: scendono gli alimenti poveri, come i legumi secchi, salgono i consumi di alimenti ricchi, raddoppiano tutti i prodotti caseari e le uova; cresce il consumo di vino e ancora di più quello di birra, ma soprattutto salgono la carne bovina, lo zucchero e il caffè. In crescita troviamo gli altri consumi: i trasporti e le comunicazioni, i beni durevoli, le spese per l'igiene e la salute, sostanzialmente stabili rimangono le spese per la casa e per i vestiti. La principale novità in questo quadro è la presenza dei beni durevoli nelle famiglie: al primo posto troviamo frigorifero e televisione, distanziati seguono la lavatrice è l'automobile, l'aspirapolvere, la motocicletta e c'è persino una piccola quota di lavastoviglie. Le ricostruzioni di studiosi presentano questo periodo come una specie di età dell'oro e utilizzano termini come miracolo e boom economico. Ma le fonti del periodo hanno toni molto diversi. Denunciano le condizioni di vita degli immigrati, parlano dei disastri della speculazione edilizia e dell'arroganza dei nuovi ceti ricchi. Guardando ai consumi delle famiglie italiane, possiamo dire che ci fu un lungo dopoguerra, segnato da un tenore di vita e da scarse speranze di cambiamento. Nel periodo del miracolo, è la classe media a migliorare rapidamente i suoi consumi, mentre operai e agricoltori destano in gran parte esclusi e questo a differenza del Nord Europa, dove l'allargamento dei consumi interessa larghe quote di classe operaia. IMMIGRATI Centinaia di persone arrivavano ogni giorno alla stazione di Milano, Torino e Genova con i treni della speranza. Sono gli anni 50 e 60. Davanti a loro la promessa di un futuro migliore. La provenienza di questi immigrati è varia. Arrivano da diverse regioni geografiche. Le prime ondate sono soprattutto i giovani uomini, ma ben presto seguono donne e bambini. Gli immigrati sperimentano importanti cambiamenti, il primo è la mobilità. Non si tratta di un salto nel buio, per via della rete sociale di amici e parenti già migrati prima. L'impatto con le città non è così traumatico grazie a questa rete parentale che offre sostegno. Poi c'è il simbolo del sogno italiano: l'automobile, a cominciare dalla Fiat 600 che compare nel 1955. Il linguaggio che parla questo oggetto è quello di uno status symbol, di un concreto miglioramento della propria vita. | dati statistici ci dicono che la diffusione dell'auto inizia lentamente, a partire dagli anni 60. Ma l'automobile suscita un atteggiamento ambivalente. L'automobile è l'icona del nuovo paesaggio urbano e della contemporaneità. Nel momento stesso in cui inizia diventare un consumo diffuso si sollevano critiche e obiezioni. La macchina diventa un luogo di peccato. L'auto è pericolosa, crescono a dismisura gli incidenti, spesso mortali, che coinvolgono automobilisti e pedoni innocenti. Gli economisti hanno riscontrato differenze nel consumo dei beni, anche nelle società moderne. Non tutti i beni sono uguali: per alcuni la domanda è abbastanza stabile (per i beni di prima necessità), per altri può essere molto variabile (| beni voluttuari). Questa variabilità è dovuta a molti fattori: la quantità di beni che consumiamo, la presenza di sostituti, il valore sociale e individuale, il fatto che siano abbinati a beni che già abbiamo. Poi c'è anche il fattore temporale, che ci dice che nel breve periodo facciamo fatica a cambiare le nostre abitudini, ma nel lungo periodo riusciamo a farlo. Le spese di base, come gli alimenti, salgono molto rapidamente fino a un certo livello di reddito, se il reddito sale ancora, si stabiliscono e iniziano una lieve discesa. Per COME CRESCITA" CIOÈ LA CONVINZIONE CHE IL BENESSERE DEL PAESE SIA AUTOMATICAMENTE DIPENDENTE DAL SUO TASSO DI CRESCITA ECONOMICA, MISURATA DAL PIL, e quindi gli investimenti abbiano un'assoluta priorità. | partiti politici in Italia (Democrazia Cristiana e il partito Comunista) iniziano a mostrarsi dubbiosi sugli effetti dell’americanizzazione. | consumi sono un inganno, una fatale illusione propagandata dai nuovi media. Punti di rifermento in merito a questo dibattito furono le opere di Adorno e Horkheimer della Scuola di Francoforte, in particolare la Dialettica dell’illuminismo, dove si parla di consumismo, cioè di consumo sfrenato e coattivo indotto dall’industria culturale. Esso è diventato il nuovo oppio dei poveri, abbaglia i lavoratori e li induce a spendere i loro guadagni per acquistare sempre nuovi beni di consumo in un circolo senza fine. Ulteriore studioso, Marcuse, sottolinea i processi che portano alla manipolazione dei bisogni e creano un indistinto conformismo di massa, con il fine di assicurare un controllo autoritario dall’alto; mentre Debord ritiene che tutto sia tramutato in un gigantesco spettacolo e che il consumo spettacolo dia il meccanismo basilare per l’esercizio del potere nelle società contemporanee; Baudrillard sostiene che le esperienze che ci derivano dal consumo sono ormai più efficaci di quelle reali, per cui questi simulacri soppiantano la realtà: la simulazioni delle merci ci fa smarrire la distinzione fra ciò che è vero e ciò che è falso. In Italia una voce controcorrente è quella di Pier Paolo Pasolini che in un famoso articolo sul Corriere della Sera, usa la metafora della scomparsa delle lucciole per dimostrare che qualcosa di drammatico sta succedendo nella società italiana: come le lucciole, sparite per l'inquinamento, così l’intero vecchio universo agricolo e paleocapitalistico cede il posto a una civiltà nuova totalmente “altra”: la civiltà dei consumi. Le vecchie periferie operaie sono scomparse, soppiantate da quartieri senza anima; i centri urbani non richiamano più la continuità della tradizione umanistica, ma solo il problema della loro preservazione fisica; le campagne non rimandano alle origini della civiltà, ma a weekend e secondo case. La televisione, secondo un’indagine condotta da Lidia De Rita nel 1959, non è vista come un consumo superfluo ma come un bene che consente una migliore conoscenza del mondo. | nuovi consumi culturali stimolano la comunicazione e nuove forme di socialità fra gli spettatori. Ad emergere è inoltre la centralità del divertimento. La costruzione di un welfare state divenne centrale negli equilibri della Repubblica. Il welfare è considerato un elemento costitutivo della Democrazia del dopoguerra. Non per nulla esso nasce ufficialmente con il famoso rapporto che William Beveridge pubblica nel 1942, in pieno conflitto, contrapponendo il contemporaneo stato di guerra (warfare state) a un futuro assetto di pace e benessere (welfare state)che garantisca libertà dalle cinque grandi schiavitù: bisogno, malattia, ignoranza, miseria e ozio. Pochi anni dopo il sociologo di Cambridge, Thomas Marshall sostiene inoltre che la costruzione della cittadinanza conosce tre fasi: la prima è quella del riconoscimento dei diritti civili (diritti individuali legati alle libertà personali, di espressione di fede, pensiero e parola, di associazione politica e sindacale) e vede la sua attuazione nel ‘700; la seconda è l'ottenimento dei diritti politici (diritto di eleggere e farsi eleggere), che avviene nell’800 con l'estensione del suffragio universale; infine, la terza è quella dei diritti sociali di cittadinanza (istruzione e servizi di base per tutti) che si verifica nel ‘900. Solo il godimento di tutti e tre i tipi di diritti garantisce l’effettiva appartenenza alla comunità. Il miracolo economico consegna ai governi ampie disponibilità finanziarie da investire nei settori in cui si avverte un ritardo rispetto al resto d’Europa (istruzione, assicurazioni sociali). Nel periodo 1950-73 viene edificato il welfare state italiano. | governi del dopoguerra investirono molto nell’istruzione, vista finalmente come un efficace strumento di mobilità sociale (l'obbligo scolastico viene allungato fino alle medie; 8 anni); sulla sanità (gli ospedali si trasformano in enti di diritto pubblico; nasce un servizio sanitario nazionale sul modello inglese: Usl); sulla previdenza (migliorano le pensioni dei dipendenti, viene introdotta la pensione di anzianità e quella sociale. PUBBLICITÀ E PRODUZIONE La crescita dei consumi privati e il lancio di nuovi prodotti sul mercato spingono molte più imprese autilizzare forme pubblicitarie. Si avvia lo spostamento da una strategia industriale principalmente focalizzata sul prodotto (product oriented) a una più attenta al lato della vendita e al mercato (market oriented). Es. La mucca Carolina: gadget che premiava lunghe raccolte di punti che si trovavano nei formaggini Invernizzi. L'animale rappresenta, con le sue forme abbondanti e la sua sostanza gommosa, il passaggio da un passato rurale a un presente industriale. La concorrenza fra le imprese è spietata e i media e la pubblicità giocano un ruolo di enorme rilievo: non basta saper produrre, bisogna sempre più saper vendere. La contemporanea moltiplicazione dei media a disposizione contribuisce a dare alla pubblicità una visibilità sociale che prima non aveva. In precedenza la teoria pubblicitaria faceva riferimento soprattutto alla psicologia: si riteneva che il manifesto dovesse colpire il consumatore grazie a un forte messaggio ripetuto continuamente, in modo da essere di grande impatto persuasivo. Negli Stati Uniti le ricerche di psicologia applicata portarono presto a un maggiore interesse sulla sperimentazione, poiché i pubblicitari si resero contro che i consumatori opponeva resistenza alle loro offerte. Si cominciò così a sospettare che il consumatore filtrasse il messaggio non solo attraverso le sue preferenze individuali di gusto, ma attraverso la sua posizione nella società, il reddito, il genere, l’età, l'istruzione: non esiste un consumatore tipo, ma tanti gruppo diversi con modi di vita differenti. Slogan e immagini evolvono per adattarsi a stili di comunicazione correnti, a un pubblico di massa, a mezzi di comunicazione diversi, per cui una stessa campagna deve saper parlare attraverso la carta stampata, la televisione, la radio e in misura minore, ai manifesti stradali e gli spazi del cinema. Il settore di maggior crescita spettacolare fu quello dei detersivi, si scatenò una guerra internazionale tra i principali gruppi mondiali per accaparrarsi le quote di mercato (Dixan, Henkel, Ava, Sole). Ulteriori marchi: Star, Barilla, Cirio, Ferrero ecc.. In merito al desing e all'arredamento, in questo periodo spicca il volo il made in Italy: le cucine monoblocco con gli elettrodomestici incassati della Merloni. E interessante notare come le strategie commerciali prestino molta attenzione al genere e all’età. | prodotti per cucinare sono decisamente indirizzati alla casalinga. | prodotti dolciari sono invece dedicati ai bambini, lo mostrano le promozioni pubblicitarie spesso con pupazzi e cartoni animati, le confezioni vivaci e colorate. Vi sono poi i prodotti alimentari dedicati ai giovani, come i gelati Algida e le gomme da masticare. Solo negli anni 70 e 80 il comparto dolciario cercherà di rivolgersi anche ai consumatori adulti. Gli imballaggi assumono un ruolo di primo piano, sia per la comunicazione sia per la produzione e l'igiene dei prodotti. | nuovi prodotti non soppiantano del tutto le tradizioni culinarie; l'industria valorizza prodotti alimentari tipici, in particolare quelli meridionali e li lancia sul mercato nazionale. E qui si innesca la mitizzazione della dieta mediterranea: meglio mangiare meno proteine animali e più pasta, verdura, frutta fresca e olio d’oliva. L'abbigliamento è migliorato e si è diversificato. Adesso tutto ciò che è pronto non è sinonimo di malfatto. Va detto che a monte dell'abito pronto c'è un'industria tessile di grande tradizione, localizzata in Lombardia e Piemonte, in grado di sfornare tessuti di lana, cotone, seta e anche sintetici di alta qualità. Manca però un mercato dell'alta moda italiana. | primi tentativi di creare una moda italiana risalivano al fascismo; nel dopoguerra si moltiplicano le iniziative per creare passerelle alternative a quelle francesi. Fra i numerosi tentativi di attirare i compratori esteri spicca quello di Giorgini, che organizza a Firenze nel 1951 il primo fashion show. L'alta moda resta un mondo separato rispetto a quello dell’industria. Il mercato sta cambiando e i consumatori sono più esigenti e quando acquistano capi pronti, li vogliono alla moda. Le donne sono molto attive nell'interpretare il concetto di moda: in primo luogo ascoltano le riviste femminili, guardano nelle vetrine dei negozi per vedere come vestiti ti stanno addosso, seguono le proposte del mondo dell'alta moda, i suggerimenti della sarta e infine ci sono i consigli del negoziante di fiducia e delle amiche. Per intercettare il nuovo pubblico, manca un ultimo passo: lo sviluppo di un livello intermedio della moda. Questo passaggio avviene all'inizi degli anni 70 grazie ad una nuova figura: lo stilista. Egli progetta una collezione improntata sul suo stile, collabora con le imprese tessili e presenta le sue opere in una sfilata. Nasce il sistema moda e si affermano le prime griffe: Gianni Versace, Giorgio Armani, Valentino e altri. Il successo dei designer si basa su un equilibrato rapporto qualità prezzo e nella capacità di interpretare in chiave moderna i tipici moduli artigianali. Il made in Italy è pronto a spiccare il volo. LA GRANDE DISTRIBUZIONE: | SUPERMERCATI AMERICANI * Nel 1959 a Mosca gli americani allestirono un’esposizione nella capitale che comprende una casa perfetta funzionante (la casa americana standard). Nixon e Chruscev la visitarono ed entrarono in cucina. Qui il vicepresidente statunitense indica con orgoglio una lavastoviglie e vari elettrodomestici e spiega che tutto lì è pensato per rendere la vita quotidiana più piacevole con le tecnologie più avanzata e che tutto questo in America era a portata di mano di un operaio. * Nel 1956 a Roma Il Dipartimento dell’agricoltura Usa e la National Association of Food Chains allestiscono un’esposizione all’Eur di un intero supermercato di mille metri quadrati, con tutte le più moderne attrezzature, scaffali, banconi, casse automatiche e venti commessi e 2500 articoli esposti per mostrare il funzionamento del metodo self service. In tredici giorni la Supermarket Usa è visitata da 450.000 persone e vari gruppi di operatori commerciali, suscitando grande interesse anche nei media. La discussione di Mosca (passata alla storia come Kitchen debate) e il supermercato romano sono solo due esempi della strategia americana che negli anni ’50 e '60 punta alla discussione internazionale dell'American way of life. Il supermercato consisteva nell'esposizione spettacolare di un’innumerevole quantità di merce, l'incarnazione dell'idea di un benessere e un’abbondanza senza limiti. Costituisce un nuovo importante spazio e di consumo che trasforma abitudini e routine quotidiane. Il primo supermercato moderno si indica nel King kullen di Long Island, aperto nel 1930; la diffusione di queste forme commerciali negli Stati Uniti conosce una prima forte ondata nel periodo della Grande Depressine, grazie ai loro prezzi molto concorrenziali, e una seconda a partire dagli anni ’50, per via dell’innalzamento del tenore di vita e del baby boom. In Italia il mondo del commercio è ancora decisamente caratterizzato dalla rete di piccoli negozi che, anzi, hanno conosciuto una nuova espansione con le migrazioni interne e con l’accresciuto potere di acquisto della popolazione. Dopo l'esposizione a Roma e dopo isolati tentativi di applicare il nuovo sistema del self service, senza grandi risultati, la prima importante società di supermercati che si afferma in Italia è ancora opera degli americani: Nelson A. Rockefeller, uomo ricco magnate del petrolio della Standard Oil e potenziale candidato alla Casa Bianca. È una delle società di New York, la Ibec (International Basic Economy Corporation), già ramificata nel Sud America, ad aprire a Milano nel 1957: la Supermarkets Italiani Spa. L’impresa apre tra mille difficoltà: lunghe trafile burocratiche per ottenere le licenze di esercizio, fortissime resistenze dei piccoli commercianti, preoccupazioni di carattere politico. Ma le competenze gestionali del management statunitense e la buona accoglienza del pubblico ne determinano un rapido successo, anzi le continue polemiche non fanno che aumentare l’impatto sociale. Uno dei reparti che suscita più meraviglia è quello della carne: già tagliata e confezionata su vassoi avvolti da una pellicola trasparente, si può guardare e toccare senza comprometterne l'igiene. Come per i surgelati, altra assoluta novità per i tempi. Vantaggi: * Prodotti confezionati (sicurezza); * L’uso di frigoriferi aperti, mai visti prima; * Prodotti nuovi ed esotici * Trovare la merce tutta nello stesso luogo, grande assortimento; * Prezzi bassi ma prodotti di qualità; * Aria condizionata e ambiente piacevole; * Presenza di molti uomini (la scelta del cibo non è più un’attività esclusivamente femminile); * Le donne sono grandi protagoniste come clienti, ma anche come lavoratrici però non sposate (ambiente piacevole e salario alto); Il mercato giocherà sempre maggiormente sulla pubblicità poiché la figura del commesso consigliere tenderà a ridursi. Nel giro di pochi anni compaiono molte altre im prese di supermercati. Alcuni importanti gruppi sono concentrati in realtà regionali, come la Romana Supermarkets che si espande nella capitale e dal 1966 prende il nome di GS, o i supermercati piemontesi e liguri della famiglia Garosci, il gruppo Bennet degli imprenditori comaschi, la Pam dei Bastianello e Gioel di Venezia. Ma si assiste anche a un’espansione a livello nazionale, grazie alle due principali catene di grandi magazzini, la Rinascente e la Standa. La prima dà vita a una società autonoma di supermercati, la Sma, che si diffonde in tutto il paese grazie a una politica di acquisizioni di ditte minori e di apertura di nuovi punti vendita (23 sedi). La Standa invece punta sull’integrazione alimentare presso i propri magazzini. Si assiste all'apertura un po’ ovunque di supermercati e super mercatini di piccole dimensioni (superette) e alla nascita del commercio associato e alle operative. Il supermercato riesce a mutare le abitudini, rende diretto e immediato il rapporto con la merce, rafforza il ruolo delle marche sul supermercato, fa conoscere nuovi prodotti, esalta il ruolo del packaging, accelera alcuni processi di trattamento industriale degli alimenti. Esso esemplifica alcuni elementi della modernità in positivo e negativo: * Abbondanza delle merci per tutti, la libertà di consumo, la fine della penuria; * | suoi lunghi corridoi pieni di merci simboleggiano al tempo stesso paura dell’omologazione, dell’anonimato, di una ripetizione infinita e inquietante. Lo scrittore Luciano Bianciardi ne fa un ritratto impietoso nella Vita agra come in una catena di montaggio, il supermercato aliena e disumanizza i clienti e i commessi. Studiosi come Moles e Dorfles sostengono che una delle caratteristiche della società odierna alla fine ad operare una loro personale mix di scelte rispondente alle loro esigenze e fra i piccoli produttori si è diffusa l’attenzione alla naturalità degli alimenti e dell'ambiente (miglioramento della qualità della merce, efficienza dei sistemi produttivi, risparmio di energia). LIMITI E COSTI DEL CONSUMO | processi di consumo sono sempre più collegati al problema ambientale. Il consumo non si esaurisce con l'atto di comprare e utilizzare il prodotto, ma prosegue nello scarto del residuo, con conseguenze gravi sull'ambiente circostante. La questione ambientale è una delle maggiori sfide del XXI secolo. L'adozione di comportamenti per limitare l'impatto ambientale delle nostre attività quotidiane cominciano a notarsi nel paesaggio urbano (limitazione degli sprechi di energia, biciclette e riciclo differenziato); ad esse vanno aggiunte quelle organizzate da associazioni amministrative, come blocchi della circolazione. L'arte contemporanea si ispira sempre più al rimosso e allo scarto per presentare uno specchio della nostra vita o come protesta (trash art). Ma c'è chi è andato oltre. Daniel Spoerri ha organizzato dei banchetti-mostra: durante la performance, ai partecipanti erano servite opere d'arte fatte con materiali commestibili (Eat Art). Dopo, non restava più nulla: arte e consumo si erano letteralmente fusi in un unico momento. LA VITA QUOTIDIANA CONTEMPORANEA L'importanza del corpo è un elemento caratteristico di fine novecento. Se il corpo è sacro, non può essere ridotto a merce, venduto o comprato. La scienza ci spinge a definire i limiti dell'inviolabilità corporea. L'uso e la manipolazione del corpo non sono limitati al campo scientifico. Tatuaggi, piercing, implatation, motivazioni anche gravi: le trasformazioni fisiche per comunicare l'identità assumono la forma di vere e proprie pratiche di consumo del corpo. Marshall parlava di consumo come performance: facciamo del nostro corpo la nostra opera d’arte. Il corpo accoglie sempre più al suo interno macchine che migliorano le sue funzionalità e lo modificano, dai pacemakers agli apparecchi acustici alle protesi. Ma perché, in un'epoca caratterizzata dall'abbondanza, si apprezza la magrezza del corpo? Questa contraddizione ha colpito molti: c'è chi vi avvisto il rifiuto della materialità, o più semplicemente, lo strapotere dei media nel diffondere i loro messaggi e la presenza di modelli, soprattutto femminili, legati alla magrezza in Occidente. Pensiamo alle Sante anoressiche, che digiunano per far trionfare la volontà del corpo, raggiungendo un superiore stadio spirituale: il corpo magro e Santo. Pensiamo ai canoni estetici diffusi nelle classi superiori, testimoniati da molte rappresentazioni artistiche, ben diversi da quelli dei contadini: il corpo magro e bello. Ricordiamo anche l'importanza della funzionalità del corpo, che deve essere agile è ben allenato, per poter lavorare meglio: il corpo magro è efficiente. Se l'abbondanza è davvero la cifra pervasiva della modernità, allora la distinzione può essere reperita solo nella scarsità: è lo stesso meccanismo per cui l'arte sceglie la via dell’astratto. La nostra ricerca della magrezza non è una privazione, ma un investimento che facciamo sul corpo. Se le forme del corpo comunicano, gli abiti che indossiamo lo fanno ancora di più. Da sempre l'abbigliamento ha una funzione di protezione, ma comunica anche una cultura e un’identità: il gruppo di appartenenza, la classe sociale, il sesso, l'età, il mestiere eccetera. Corpo e abito sono entrambi prodotti culturali. George Simmel identifica il dualismo imitazione- differenziazione che è la chiave di un fenomeno che ha i caratteri tipici di ogni fatto sociale: tendiamo ad aggregarci al gruppo per conformismo, protezione, sicurezza. Nello stesso tempo desideriamo distinguerci, affermarci individualmente, liberarci, in una tensione continua. La moda nella società di massa tende a diffondersi dall'alto verso il basso (Trickle down effect). Walter Benjamin, vede la spinta al cambiamento veloce e continuo della moda come componente essenziale della vita urbana, parla di fascinazione per lo spettacolo delle merci, con un sogno che allude ai valori profondi della società moderna, definendo la moda come sex appeal dell’inorganico. Roland Barthes dice che la moda è un linguaggio: in ogni merce che acquistiamo si nascondono si nascondono universi di senso che ci rimandano a miti più vasti; le merci sono segni di un linguaggio attraverso cui comunichiamo la nostra identità, entriamo in relazione con gli altri, ci confrontiamo con i significati culturali profondi, i miti appunto racchiusi in un oggetto. Seguire la moda vuol dire comunicare, ma per comprendere il messaggio bisogna guardare non ai singoli capi (lessico) ma alla loro combinazione (sintassi). Si studia inoltre la crescente sovrapposizione tra sistema della moda e il mondo dei media: sì guarda al ruolo delle culture nell'istituire stili estetici che servono a creare identità condivise, si osserva la frequenza con cui le mode vanno dal basso verso l'alto, dalla strada alle collezioni. In Italia il peso del settore moda è particolarmente significativo, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello culturale. Tuttavia la crescente competizione internazionale porta a studiare nuove strategie. Da un lato si concentrano le risorse nella valorizzazione della marca, ancor più dei prodotti, che in pratica significa seguire passo per passo ogni fase della produzione, distribuzione, promozione, riservando una particolare attenzione ai punti vendita finali. Dall'altro, procedono alla costituzione di grandi concentrazioni industriali per competere sui mercati globali. La moda costruisce una nuova identità per l'Italia, lancia l’Italia way of Life. SPAZI PRIVATI E SPAZI PUBBLICI Siamo all'interno di una cucina dei nostri tempi, un ambiente tornato il fulcro della casa. Ci troviamo in una cascina ristrutturata, da qualche parte nella campagna italiana. Nell'ampio ambiente bianco, con il soffitto a travi, spicca il blocco cucina in muratura. AI centro dell'ambiente c'è un grande tavolo, sedie, contornati da due alti armadi in legno, tendine a fiori alla finestra, pentole di rame e attrezzi vari appesi al muro. Ci sono scale in legno che portano al piano di sopra, l'atmosfera è calda e accogliente. Il comfort e la funzionalità sono collegati ad uno raffinato valore estetico, che è la vera cifra di questo spazio. Siamo nell’appartamento cittadino di uno stilista di moda. Vediamo l'idea di ambiente unico, di open space. Niente più divisioni interne, niente più maschile o femminile, privato o pubblico. AI tempo stesso lo spazio diventa multifunzionale. Nella cucina l'ambiente non è molto grande ma è completo e funzionale: è una cucina Ikea. La cucina è diventata soggiorno, ci si accede direttamente dalla porta d'ingresso, è diventata il luogo dove si trascorre più tempo. Il consumo plasma gli spazi esterni. Ci si riferisce sia ai circuiti del divertimento, come lo spettacolo tradizionale entra in casa con TV, satelliti e DVD, declinando l’affluenza teatri e cinema: si stanno affermando con forza i luoghi della socialità legati al consumo di cibo e bevande. Tre quarti dell'italiani consumano pasti fuori casa. Parlando di spazi esterni, uno dei processi di consumo più caratterizzanti è forse quello del turismo. Il turismo trasforma tutto in consumo. Spinge l'economia locale a modificarsi, a costruire alberghi, strade, ristoranti e negozietti. Negli anni 70 e 80 si è sviluppato il turismo ecologico, cioè insostenibile, rispettoso dell'ambiente e della cultura. Oggi sono in molti a sottolineare l'ambivalenza del turismo: non è solo un fenomeno originato dal turista, visto quasi come un nuovo colonialista, ma è un fenomeno di incontro fra due culture ugualmente attive, è un processo che può essere apprezzato oppure no, può far crescere le infrastrutture così come può rovinare l'economia tradizionale. È un contratto culturale che può valorizzare le tradizioni così come può distruggerle. I NUOVI LUOGHI DEL COMMERCIO Disneyland e Las Vegas sono inclinazioni diverse dei binomi di consumo/divertimento e consumo/spettacolo, ben presenti fin dai primi grandi magazzini ottocenteschi e giunti qui a effetti estremi. Secondo Ritzer, questa è una direzione inevitabile se si vuole reincantare un consumatore ormai assuefatto a consumi iperrazionalizzati, cioè omogenei, calcolabili, prevedibili, efficienti, il cui simbolo perfetto sono gli hamburger di McDonald”s: uguali in ogni negozio, preparati con lo stesso identico ed efficiente metodo, gli stessi ingredienti, serviti nello stesso modo in locali simili. Ecco perché si devono inventare sempre nuove modalità per affascinare i clienti. Ad esempio i centri commerciali: è il Southdale Center di Edina nel 1956 il primo mall che diventerà un esempio per tutti gli altri: una struttura unica coperta in grado di contenere tutti i negozi con aria condizionata e molto verde una vera e propria atmosfera da città: sembrano riprodurre un centro urbano con vie pedonali, piazze, ristoranti, bar, fontane, aiole fiorite. Una città perfetta, mai sporca, sorvegliata, non piove e non fa freddo o caldo. La presenza dei centri commerciali incide profondamente sul paesaggio urbano, ne cambia la geografia e i riferimenti gerarchici, poiché, come ci ricorda Zukin, il paesaggio è uno spazio fisico, un insieme di pratiche materiali e sociali e allo stesso tempo la loro rappresentazione simbolica. Molti dei nuovi spazi commerciali si caratterizzano per due aspetti: * In primo piano è il richiamo alla natura: fiori e piante, fontane e laghetti, luce naturale che filtra da ricoperture trasparenti, uso di elementi naturali come il legno; * Il secondo aspetto è l’esasperazione del momento spettacolare ludico, connesso ora in maniera strutturale allo shopping. Jon Jerde, costruttore del Mall of America, il più grande centro commerciale degli Stati Uniti che contiene al suo interno un parco giochi; L’Universal Citywalk, una specie di corridoio pieno di attrazioni e negozi che collega gli studios di Los Angeles; Canal City Hakata, uno spettacolare centro commerciale centrato sul tema dell0acqua in Giappone.In Italia la grande distribuzione organizzata assume dimensioni di rilievo solo a partire da metà anni ’80, in concomitanza con la ripresa economica e la diffusione dei consumi fra tutte le classi sociali. | nuovi luoghi del consumo sono insieme causa e effetto delle trasformazioni: causa perché stimolano gli acquisti suscitando curiosità e interesse, effetto perché dipendono dai mutamenti economici e culturali che provengono dalla società. L’ultimo passo di questo sviluppo sono i factory outlet, altra formula statunitense, negozi controllati direttamente dai produttori che offrono al pubblico le rimanenze delle merci di marca, quelle che una volta finivano sulle bancarelle o nei canali di vendita secondari. Il primo outlet italiano ha aperto nel 2000 a Serravalle Scrivia presso Alessandria, ed è il più grande d’Europa. Il consumo è anche teatro. Tutti questi luoghi hanno una logica inclusiva, sono pensati per accogliere sempre più clienti e allargare a tutte le classi sociali i consumi anche più elitari; ma è presente anche una logica esclusiva, che punta sulla differenziazione e la valorizzazione di certi stili di vita. Ogni negozio è ben distinguibile dall’altro, in certi casi si arriva al concept store, il negozio tematico: per comunicare la marca e la filosofia aziendale creano spazi che concretizzano una certa atmosfera, uno stile di vita; il trionfo del visual merchandising, della comunicazione figurativa (Niketown, Disney Store, Diesel, Feltrinelli, Mondadori). In tutti questi spazi sono presenti elementi non strettamente commerciali, ma che servono a rafforzare la sensazione di vivere secondo un certo tipo; inoltre l’attenzione è centrata più sulla marca che non sui singoli prodotti. La stessa tendenza alla differenziazione è presente negli show room degli stilisti di moda: 1.separazione fisica, la tendenza cioè a collocarsi in spazi ben precisi all’interno della città (come nel “quadrilatero della moda” a Milano; 2. Interno è lussuoso e le merci sono esposte con parsimonia, scarse ma preziose, tanto da sconfinare con l’arte (gli spazi hanno alcuni tratti in comune con i musei). Forse vedremo presto in Italia anche i Guerrilla Store, negozi che offrono merci di moda in ambienti d'avanguardia ma semplicissimi, dato che chiudono entro dei mesi o un anno, per garantire un’esperienza di acquisto unica, come una performance artistica. Il cliente di questi luoghi non è il consumatore kitsch dei grandi centri di vendita, ma il consumatore Camp, attento allo stile e all’estetica, postmoderno e ironico, sofisticato e capace di utilizzare anche oggetti banali. Lo spazio del consumo cresce sempre di più: nelle periferie urbane, negli spazi degradati delle grandi città, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, nelle metropolitane, nei musei, scuole e ospedali. Inoltre la rete ha aperto spazi non solo per l'acquisto, ma anche per nuove forme di comunicazione e marketing.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved