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l'italia dei consumi, Sintesi del corso di Storia

riassunto per intero del libro capitolo per capitolo

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica l'italia dei consumi e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! L’ITALIA DEI CONSUMI DALLA BELLE ÉPOQUE AL NUOVO MILLENNIO CAPITOLO PRIMO L’Italia Liberale 1. La società italiana dall’unificazione alla Belle Époque. 1.1 un paese dei 1000 volti. Se le colossali imprese industriali siano un bene o un male, è inutile discutere; sono una condizione generale dell’industria del nostro tempo. Sono nate fuori di Italia come mostri immani e ci sono venuti addosso minacciando di ingoiare tutte le nostre industrie nazionali. A difenderci le nostre vecchie piccole industrie come quelle dei fratelli Bocconi. E se avanzano sempre single 1865, l’anno della fondazione della loro casa. La casa Bocconi, al terzo piano del già Hotel Confortable, Si insidia con porte, vetrate di uffici pieni di impiegati intenti ad un lavoro affrettato. Sezioni dipartimentali con i capi dipartimenti, Capi divisione, capi sezione, ragioneria generale, ecc.. In quanto al sontuoso emporio di Milano Aux Villes d’Italie Venuto a surrogare l’hotel Confortable, chi non lo conosce? Se il periodo tra il 1870 e il 1913 è stato definito quello della grande trasformazione, riferendosi ai mutamenti indotti dalla rivoluzione industriale, Un primo sguardo d’insieme sull’Italia ci restituisce l’immagine di un paese si in fase di trasformazione, ma lenta. E i valori rimangono molto al di sotto di quelli nordeuropei. Al di sotto di una certa soglia di reddito le scelte di consumo sono molto ridotte, Poiché è quasi l’intero ammontare e impiegato nelle spese basilari per la sopravvivenza. Ciò non toglie che in queste scelte mi possano essere grandi disparità dovute a fattori territoriali, come quella tra città e campagna. A proposito dei consumi, importante guardare l’aspetto demografico. Il XIX secolo vede la fine del regime demografico D’Ancien Régime, Caratterizzato da alti tassi di natalità e di mortalità, e l’inizio di un nuovo equilibrio, tipico dei paesi avanzati odierni, con bassi tassi di natalità è una lunga aspettativa di vita periodo che va dal 1870 al 1913; La vita media passa da 35 anni nel 1880 a 43 anni nel 1900 e a 47 nel 1910. Le ragioni di questo mutamento non si legano solo alla rivoluzione industriale o ai progressi in agricoltura, Ma anche a fattori socioculturali e all’avanzamento delle conoscenze tecniche scientifiche. La crescita demografica spinge verso i nuovi centri industriali o all’emigrazione. Scompagina i tradizionali modelli di consumo e favorisce l’adozione di nuove pratiche; individuo può decidere il proprio destino grazie una vita più lunga e prospera, in sintesi, un percorso più industrializzato e autonomo, una maggiore libertà e quindi anche uno spazio mai visto prima per le scelte di consumo. Ma cosa si consumava in quegli anni? Nei consumi privati l’alimentazione faceva la parte del leone, subiva circa il 60% della spesa. Nel 1900 seguivano le spese per l’abitazione di energia, per il vestiario, per i trasporti. La forte spesa per il vitto non comportava però una dieta ricca e variegata: ogni abitante del regno consumava 123 kg di prometto, 11 di risoni, 25 di patate, 16 di legumi, 21 di pomodori, ma solo 16 kg di carne e quattro di pesce fresco e conservato a scarsi erano i condimenti e grassi come anche i formaggi, lo zucchero il caffè, un’eccezione è costituita dal vino. Le differenze territoriali e il contesto storico rendono molto diversa la vita da regione a regione; le differenziazioni di classe sociale creando enormi disparità. 1.2. I contadini. Gran parte della popolazione era impiegata in agricoltura, nel 1911 era il 62% della popolazione attiva. Le condizioni di vita dei contadini erano molto dure. Le entrate erano scarse ed erano quasi completamente assorbite dalla triade dei bisogni primari: alimentazione, case vestiario. Le condizioni di vita dei contadini erano molto dure. Le entrate erano scarse ed erano quasi completamente assorbite dalla triade dei bisogni primari: alimentazione, case vestiario. Negli ultimi anni dell’ottocento i contadini nelle Langhe Mangiavano polenta di granturco, legumi patate e castagne; veramente pane ti prometto niente carne, se non in festa o in caso di malattia ; in Sardegna Il vitto e composto da due parti: di giorno pane di frumento ; di sera minestra di legumi. I contadini pugliesi all’alba all’inizio del lavoro ricevevano un pane nerastro e schiacciato di 1 kg che comincio a consumare e verso le 10 del mattino; Alla sera, il Massaro fa bollire una gran pentola d’acqua con poco sale; i contadini in fila ognuno con il proprio pane affettato dentro una scodella di legno, sulla quale il Massaro versa l’acqua salata, con qualche goccia di olio. Ecco la zuppa acqua e sale. Durante la miti Tura e dato ai contadini del vinello perché siano in grado di sopportare il duro lavoro. Le condizioni erano molto variabili da una zona all’altra e dipendevano dalla disponibilità di prodotti locali, dai contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. In comune mi era il basso apporto calorico, derivante soprattutto dai carboidrati, e la scarsità di vitamine e proteine. Parlare di cibo in termini quantitativi e qualitativi può però nonna esaurire il discorso . il cibarsi e carico di significato simbolico. I diversi alimenti sono stati associati al tabù, pregiudizi, privilegi, rituali, distinzioni sociali; la storia dell’alimentazione condensa molte costruzioni culturali delle società umane e. Le culture contadini assegnano grande rilievo al cibo nell’organizzazione della vita sociale: il tempo della festa è scandito da una quantità e qualità degli alimenti (come dolci) diversi da quelli del tempo del lavoro; i cibi diversi distinguono le fasi di normalità nel ciclo di vita da quelle di eccezionalità (tipo la malattia, cerimonie e ricorrenze religiose). Le varie tipologie di cibo assumono molti significati: valore positivo e collegato a tutto ciò che è grasso, un privilegio negato ai contadini, e di qui passano grassezza come allegoria di una vita felice; Oppure tutto ciò che cresce ho vive in alto, come Hugh Celli ho i frutti degli alberi, di contro tutto ciò che è basso come maiali che si rotolano nel fango. E lo stesso è vero per le forme del cibo, i sistemi di preparazione, di cottura e per i colori (il bianco è associato alla raffinatezza e al lusso, E così il pane bianco è visto come pregiato in opposizione al pane nero consumato dei contadini. In una cultura molto legata all’autoconsumo, un alimento fondamentale come il grano, prima ancora di divenire effettivamente cibo, era talvolta personificato, divenendo uno spirito che poteva assumere vari significati e forme, come quella di un animale, ad esempio di un lupo. Sebbene unificati dal Cunnie tratti, come il rispetto quasi sacrale per un cibo sempre scarso è un attento, quasi simbolico, rapporto con la natura e il territorio da cui dipendeva, le culture contadine del cibo erano molto diverse da zona zona.Certamente non esisteva in comune spazio del consumo che si riferisse a una qualsiasi entità politica statuale. In esse prevedevano di gran lunga gli alimenti locali, ma non mancavano apporti esterni. Si pensi all’introduzione delle piante americane, come patate, peperoni, pomodori, fagioli e soprattutto mai, che furono trattate cucinate secondo le tecniche tradizionali: i pomodori erano impiegati sottoforma di salsa, il mais non era mangiato in grani come in America marito più farina e cotto diventando farina da polenta. Questa grande varietà degli edifici neanche un confronto fra le condizioni di vita materiale dei contadini in Italia e quelle riscontrabili nei paesi vicini europei dove comunque i redditi medi risultano più elevati. Le modalità di consumo del cibo erano e significative. In genere si trattava di un atto collettivo, magari introdotto dalla preghiera, che confermava le differenze sociali di genere, com’era testimoniato dall’ordine eseguito nel distribuire le portate, dalla selezione delle porzioni migliori e dalla Disposizione gerarchica dei posti a tavola. Mangiare bere costituivano dunque un importante pratica culturale, che accompagnava molti momenti di socializzazione: le visite al mercato o alle fiere, le feste nel villaggio, che sosta in osteria o le riunioni serali intorno al fuoco. La seconda voce di spesa per i contadini era la casa. Vi era una grande varietà di abitazioni. Possiamo notare due elementi comuni: il riferimento all’ambiente circostante e quindi l’uso pressoché esclusivo di materiali costruttivi locali, il legame con il sistema di organizzazione produttiva. Così troviamo le corti padane, complessi di edifici quadrangolari mattone cotto e tegole, disposti intorno a una Jan centrale, dove compaiono una dimora padronale; numerose case per i contadini, formate da una grande cucina al piano terra e una/ due stanze al piano superiore per dormire; e poi stalle con annessi fienili e locali per attrezzi e depositi. Si tratta di una struttura specializzata, nella quale abitano 78 famiglie. Simili come impostazione, ma più piccole e diversificate, sono le masserie del mezzogiorno e casali nel Lazio; mentre decisamente più ampie sono le abitazioni dei mezzadri dell’Italia centrale, disposti anche su tre piani, e ampi spazi comuni. Qui le all’interno della comunità. Non mancano i problemi: gli abitanti del quartiere nel 1909 una petizione al Comune perché sistemi le strade adiacenti, quasi impercorribile, costituisca le fognature, metta illuminazione pubblica per evitare gravi problemi di sicurezza, provvedo a sistemare il fatto dell’Olona Che con la sua questa niente lessato e creava problemi genici. A ciò si aggiungevano le faccende legate alla convivenza: frequenti schiamazzi riesce a ristorante. Inoltre va detto che l’igiene personale e la pulizia di case vestiti erano approssimative in mancanza di acqua corrente. A partire dall’ottocento il cattivo odore lo stesso concetto di sporcizia vengono sempre più associati all’idea di povertà. La separazione tra differenti strati sociali passa anche per l’olfatto. Le condizioni di vita e consumi descritti sopra possono attendere grazie una fascia ben delimitata dei lavoratori, quella degli operai specializzati nei settori di punta come il metalmeccanico e il tipo grafico, che svolgevano mansioni professionali ancora legati a sapere artigianali. I consumi qui seguivano il modello sopra descritto, proseguendo l’ideale di una discreta abitazione, sufficiente questo mi alimentari e con il tempo anche altri tipi di consumo, Compresi gli svaghi e consumi culturali. Si parla dell’invenzione del tempo libero, culminata con la rivoluzione industriale è imposto una rigorosa disciplina di fabbrica, di culo orario fisso era una parte importante. Si viene a creare una decisa bipartizione del tempo del lavoro e del tempo del non lavoro tempo libero. Il tempo libero non è però il tempo dell’ozio, Il tempo veniva impiegato diversamente, ha dei sempre lo sport nella cultura, in divertimenti sempre più commercializzati. Nell’ottocento si assiste alla nascita di un avere propria industria del tempo libero che propone spettacoli teatrali e musicali, libri giornali, festa organizzate, attività sportive da praticare ed aprire come spettatori. Questi nuovi consumi operai sono una progressiva estensione dei consumi tipici delle classi sociali, un effetto TRICKLE DOWN, Che si verifica con innalzamento del tenore di vita, Dall’altra parte la spinta delle associazioni popolari e socialiste, Favorevole alla diffusione dell’istruzione e di comportamenti socialmente apprezzati che potessero migliorare non solo il singolo ma l’intera classe operaia.La tradizione della cultura all’studi S a mostrato come la ricezione dei contenuti colturali e di intrattenimento alti da parte delle classi operaie sia parziale: la bicicletta diviene per l’operaio più mezzo di spostamento che è un mezzo sportivo. Nella società non mancano meccanismi Di trasmissione culturale che compiono il cammino inverso, BUBBLE UP, Dal basso verso l’alto, Oltre a spinte che determinano convergenze, dovute a un ambiente esterno comune. Le differenze culturali non vanno intese amente ma in maniera Elastica, più come un insieme di usi e schemi d’azione legati alle pratiche, in grado di strutturare i comportamenti secondo l’estrazione sociale. Per molti altri lavoratori tutto ciò era solo un miraggio, essendo la principale preoccupazione ancora la soddisfazione dei bisogni basilari. La disoccupazione era sempre in agguato, è una malattia o un grave problema familiare potevano far precipitare la situazione. Tra gli occupati esistevano precise gerarchie legate alla professionalità, Alle dimensioni dell’impresa, il settore produttivo. E c’era il problema anche della differenza di genere. Una linea di continuità con la situazione prendo striare e contadina, le donne erano impiegate nel lavoro manifatturiero, concentrandosi nel settore tessile e dell’abbigliamento. Facevano parte della manodopera dequalificata: loro lavoro era considerato accessorio e qualitativamente inferiore, era pagato di meno; era osteggiato dai lavoratori uomini che temevano una concorrenza a basso costo. Tra il 1881 e il 1911 la quota delle operaie sul totale scende rapidamente per l’azione congiunta del maggiore sviluppo dei settori metalmeccanici per l’introduzione della legislazione sul lavoro a tutela della maternità, ma anche bella diffusione di esigenze di decoro e di costruzione di una sociabilità domestica. Le donne espulse dal mercato del lavoro raramente si dedicavano interamente alla cura della casa, in genere continuavano a lavorare a domicilio. La vita lavorativa delle donne della classe operaia è caratterizzata da maggiore discontinuità e bella, legate alle diverse fasi della vita. Questo a uno più ricaduta anche in termini di scelte di consumo, Con un’attenzione a specifici consumi individuali legati alle necessità di apparire socialmente maggiore nei periodi di vita lavorativa esterna. Erano problemi relativi alla sottoalimentazione in modo evidente nelle lavoratrici. Un’altra gerarchia riguardava le classi di età; finalizzato all’età matura e soprattutto discriminava il lavoro minorile, ampiamente utilizzato leggi limitative furono introdotte solo nel 1886 e soprattutto nel 1902 , Con un limite minimo di 12 anni per l’ingresso in fabbrica. Anche questo un altro tratto, che costituisce una continuazione dell’impiego di tutti membri della famiglia nell’attività lavorativa, a importanti conseguenze sulle modalità di consumo. I bambini si abituano rapidamente a consumi adulti; la vita infantile è breve. La famiglia ritiene che i più piccoli debbono fornire un apporto in proporzione alle loro possibilità. Pratiche di consumo risultano pertanto centrali per leggere i comportamenti e le auto rappresentazione degli operai. 1.4 I borghesi. Questa classe, in origine identificata con gli artigiani e mercanti della città, e poi passata identificare principalmente gli imprenditori grandi finanzieri, per poi dilatarsi a dismisura nel XX secolo, comprendendo fasce crescenti di impiegati professionisti dalle caratteristiche ben diverse. Si è tentato allora di rimediare con l’uso di aggettivi (alta, media, piccola); ma il termine resta impreciso e carico di significati ideologici. Il ricorso alla nozione di habitus può risultare utile per identificare mentalità e comportamenti collettivi, più che il riferimento esclusivo al ruolo nel processo produttivo, alle sei. O magari a specifiche ideologie. Di nuovo il riferimento alle pratiche di consumo che strutturarono questi comportamenti diventare centrale. Potremmo tentare di definire e quantificare le borghesie italiane, individuando una fascia alto borghese composta da proprietari, imprenditori, dirigenti e professionisti; una corposa fascia di artigiani, commercianti e addetti ai servizi, alla quale si possono aggiungere categorie come militari, religiosi e simili. Infine, abbiamo il gruppo degli impiegati pubblici privati degli insegnanti. Riguardo ai consumi di questa classe non ti amo che la voce principale costituita dalle alimentazione, con una percentuale oscillante tra il 50 e il 62%. Scelte di consumo privilegiano i cereali, ma subito dopo troviamo i cibi costosi come la carne il pesce, Sia pure con grandi differenze, e compaiono nuove voci come condimento; le bevande fermentate scendono sotto il 6% in media. L’abitazione incide per il 14 22%. I bilanci borghesi non evidenziano grande risparmio spese accessorie con l’eccezione della famiglia più agiata, che dedica Benin 32% alla voce bisogni morali, ricreazione, servizi di salute, Industrie, debiti, imposte, assicurazioni ecc. Sono dati limitati ma potremmo dire che la spesa per l’alimentazione appare complessivamente elevata, Anche se inferiore a quella di contadini operai; semmai siano più presenti elementi nobili come la carne e si nota una maggiore varietà. E l’abitazione incide in maniera significativa; la maggiore differenza appare la grande attenzione riservata ai vestiti, mostrando una preoccupazione per la parete sociale molto più accentuata anche in altri settori. Un’altra osservazione riguarda il comportamento d’acquisto della famiglia con reddito più elevato, che mostra orientamenti diversi: spende meno in alimentazione e riserba quote di reddito maggiore per spese di rappresentanza (illuminazione e riscaldamento), diversificando i tuoi consumi verso servizi, divertimento, vita sociale. Studiando l’impiego delle risorse a disposizione, il sociologo francese osservo come la quota riservata dagli operai alle spese alimentari fosse sempre elevata, anche in presenza di una crescita salariale, mentre la spesa per l’alloggio tendeva a decrescere con l’aumentare del reddito; E c’era l’opposto di quanto avveniva tra gli impiegati, che spendevano di meno per vitto e di più per l’alloggio, Con la tendenza inoltre destinare sempre maggiori risorse all’abitazione in caso di maggiori entrate. E se confrontiamo i dati che possediamo sull’Italia, notiamo differenze. Le spese delle famiglie operaie per i generi di prima necessità sono decisamente più elevati in percentuale, a riprova del basso livello salariale. Le spese per l’abitazione sono in media più alte per gli operai che per la classe media: possiamo spiegare questo fenomeno ricordando la difficile situazione abitativa nella città, la mancanza di edilizia popolare la forte pressione speculativa. Un’altra differenza la quota riservata all’alimentazione, in Italia decisamente alta anche per le famiglie borghesi. Seguendo la stessa logica di spiegazione. Reale, possiamo affermare che il valore del cibo, il piacere della tavola e la convivialità non costituiscono oggetto specifico della cultura operaia, ma sono condivise da tutte le classi sociali, Un valore comune dell’intera nazione. La storia culturale della cucina italiana inizia da quella romana è migliore per trovare il più abile nei banchetti rinascimentali, con una straordinaria continuità: grande abbondanza di spezie e zuccheri, lavori alla dolci e gustar ti Viciani, costruiti; anche dopo la rivoluzione nel seicento sento dei Goti francesi, alla ricerca di sapori più naturali e delicati, la limitazione delle spezie, trovano in un territorio che aveva sempre valorizzato le verdure, tradizioni culinarie locali ricche diverse. Ciò è documentabile dal punto di vista iconografico nelle numerose opere che rappresentano banchetti e ce ne a partire dalla Rinascimento. Spesso respirazione deriva da soggetti mitologici (si pensi al banchetto in onore di amore psiche nel palazzo Te a Mantova) O da scene bibliche e evangelisti che, con attenzione alla rappresentazione del cibo. Nel 500 si afferma in Italia il gusto per le nature morte che mettono al centro della scena frutta, verdura e vari tipi di elementi, legati con grande realismo (le famose opere di Caravaggio).Questi quali costituiscono un importante elemento di arredo nelle abitazioni agiate, Rappresentano un valore simbolico. Il secondo elemento merita la nostra attenzione: ruolo degli abitanti Pierre Bourdieu ha osservato che una parte importante delle risorse utilizzate strategie di distinzione: ogni classe un segmento sociale vuole differenziarsi dei gruppi contigui, soprattutto se inferiori. L’abito funziona molto bene in questo contesto. Non c’è dubbio che l’eredità delle leggi santuari avesse il suo peso, come pure la necessità di indossare abiti consoni alle professioni liberali, ritenute superiori agli arti meccaniche Secondo una lunga tradizione occidentale: Liquidi importanza di indossare abiti di pregio, consoni alle norme morali e alle etichette di gente, curati puliti. Classi medie nel riedificate come colletti bianchi. Borghesia italiana sembra attribuire un peso maggiore a questo aspetto, e quindi il tuo modo di apparire sulla scena sociale. Questo vale anche per gli strati più bassi della borghesia, Figure di idea si differenziano molto da quelli dell’aristocrazia operaia: e se si identificano nel decoro dell’abbigliamento, cosa dici se ti dice economici diversi apparenze. Ma notato per altro che il decoro una certa uniformità nel vestire in certi casi esplicitamente previsto dal regolamento all’interno degli edifici. E se vendiamo la casa. L’abitazione borghese e al centro di importanti mutamenti, Per descrivere quali dobbiamo fare ricorso al lavoro di due importanti autori. Il primo è Simon Schama , Che ha scritto “Il disagio dell’abbondanza”. Lo studioso rileva una dicotomia tra ricerca e godimento della ricchezza da un lato e vergogna per il suo possesso e consumo dell’altro; I ricchi mercanti e banchieri olandesi si lanciavano mi rischio di affari che consentivano lauti guadagni accumulavano grandi fortune ma n’erano al tempo stesso turbato: non avrebbero perduto così le loro anime? L’ossessione della pulizia , il decoro domestico così tipico di quella società si spiegherebbero con il tentativo di cercare un rifugio lontano dalla sporcizia del mondo: Se la casa ha sempre costituito un riparo, ora qui assume un valore simbolico di contrapposizione mondo esterno ,sicurezza contro libertà. Essere quindi pulita, sobria, incontaminata delle brame di ricchezza e dagli affari , sarebbe stato il regno della donna. Si sviluppava un nuovo concetto di domesticità, lo spazio privato, visto come valore centrale intorno a cui costituire identità Distinta sia dagli aristocratici, sia le classi inferiori. Pena questa nuova concezione sarebbe diffusa via via attraverso Europa, raggiungendo nell’ottocento anche in Italia. Il secondo autore e Pierre Birdieu, Che si è occupato di abitazioni in tutt’altro contesto(I cambi li in Algeria.) Egli legge gli spazi abitativi come una trama che lascia chiaramente trasparire la visione sociale sottostante una riproduzione nella struttura spaziale delle divisioni sociali, di genere e di età presente fra i cabili. Le dicotomie luce ombra, interno esterno, alto basso, maschile femminile rimandano ad altre tante visioni presenti nel nucleo sociale della famiglia. Le analisi di Schama e Bordieu si rivelano importanti per comprendere le caratteristiche della B abitazioni borghesi dell’Italia liberale, che si distaccano da quelle contadini operai. Appaiono luoghi molto più centrali nella vita quotidiana; sono più ampie like, con spazi specializzati e la loro divisione e gerarchizzazione, che incarnano La struttura sociale e culturale della famiglia. Queste abitazioni sono spesso funzionali, moderne nello stile, possono dirci molto su i loro abitanti. la prima opposizione che notiamo è tra interno ed esterno: Porte chiuse, finestre, tende e tendine proteggono e separa l’ambiente interno della casa da quello esterno; gli spazi di comunicazione tra due mondi diventano meno importanti Per evitare contaminazioni con il mondo esteriore. aristocratica. L’abitudine di usare le posate per mangiare e relativamente recente e segnala un importante cambiamento. Il cucchiaino in verità è uno strumento molto antico, già noto ai greci e romani, sia pure con usi più specifici; anche il coltello lo è, ed è molto più comune, Ma avuto un interessante evoluzione: si cerca di limitarne via via la pericolosità, suggerendo di usarlo con attenzione, porgendo l’ho solo dalla parte del manico, impiegando lame arrotondate. La porchetta e invece uno strumento molto più moderno. La sua prima apparizione pubblica pare sia stata nelle mani della principessa greca Argillo Per le sue nozze a Venezia nel 955: lo strumento dotato di due denti per portare il cibo alla bocca provocò stupore disgusto, tanto che la successiva malattia della principessa fu senz’altro attribuita al giusto castigo di Dio. La porchetta ricomparirà molto tempo dopo nelle corti rinascimentali italiane, per poi diffondersi in Francia e nel resto d’Europa nel settecento, ma lentamente. Parallelamente nelle classi abbienti si moltiplicarono piatti e bicchieri, poiché si generalizza l’uso di utilizzare sette individuali e non più comuni. Questi mutamenti di marca non la distanza e costituiscono un muro emozionale tra il nostro corpo e quello degli altri e anche nei confronti della nostra corporalità. Questo vale anche per altri aspetti riguardanti il corpo, sempre più circondato da costrizioni e tabù (si pensi ai rapporti sessuali o ai bisogni corporali, un tempo espletati in pubblico senza problemi, o alla nudità, che ora crea vergogna e imbarazzo). Non si tratta di contrapporre cibi lizzazione a un supposto primitivo stato naturale, ma di vedere come si è lentamente costruito un reticolo di regole e divieti per prevenire leggessi e creare una disciplina di comportamento. L’etichetta, tavola e fuori, era dunque un aspetto tutt’altro che secondario la vita nobiliare. Entrando nella sala da pranzo di una famiglia aristocratica italiana fine ottocento, avremmo notato le alte rastrelliere Piene di prezioso e stoviglie e bicchieri da parata, è lunga tavola di legno ricoperta da una tovaglia candida per sottolineare la polizia è un corredo per ogni individuo formato da tovagliolo, piatti, posate, bicchieri , saliere e altri preziosi ornamenti da centro tavola. Tra le novità ottocentesche mi sono il senso di uniformità, dovuto all’impiego di piatti bicchieri uguali per tutti, e l’apparecchiatura pronta prima dell’arrivo dei commensali, per via del diminuito numero di domestici disponibili per servire. Somiglianza con i giorni nostri è la dimostrazione del suo progressivo estendersi all’intera società. Gli aristocratici iniziavano la prima colazione a base di caffè nero o caffellatte con crostini imburrati, pure cioccolata, verso le 11 o mezzogiorno. Iniziano a pranzare intorno alle sei con una minestra in brodo o asciutta: pasta, gnocchi, risotto. Seguono, più che recedere, gli antipasti, a base di salumi, ostriche, crostini, acciughe o sardine con burro. C’è poi una prima importante portata, che può essere un fritto, un lesso o umido e quindi un intermezzo, come pasticci ripieni di carne, sformati, soufflé eh, destate, pasticci preti ovviati in gelatina. La portata principale e quasi sempre un ricco arrosto di carne con contorno di verdure, più raramente un piatto di pesce. Usano i dolci e talvolta anche frutta e formaggio. Il tutto innaffiato da vini bianchi e rossi, secchi e anche dolci, italiani o francesi per i pranzi importanti. E l’attenzione all’estetica dei cibi non inferiore. Molti dei piatti serviti avevano nomi francesi (mousse, omelette, Croquet), Anche se avvolte italianizzata, segno del indiscussa dominio della cucina francese. E del resto, gli aristocratici italiani , Come quelli di tutta Europa, parlavano correttamente il francese, leggevano romanzi provenienti d’Oltralpe,ecc . Anche nel galateo la Francia costituiva un modello per un comportamento appropriato. Abbiamo già ricordato come la cucina francese avesse codificato una nuova struttura di gusto, reagendo i pranzi molto ricchi a base di carne spezie di derivazione rinascimentale con un ritorno a una relativa semplicità e naturalità degli alimenti. In Italia questo influsso si combinò alle tradizioni regionali diversissime fra loro, senza che si potesse parlare di un avere propria cucina italiana. Un entusiasta l’astronomo, con una vasta esperienza di viaggi per lavoro nella penisola, a scrivere nel 1891 la prima guida italiana, la scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Pellegrino Artusi combino le tradizioni culinarie di regioni differenti, creando un asse tra Firenze e la Romagna, al quale si aggiungono la Lombardia, Napoli e altre zone dell’Italia centrale.Il suo lavoro incontra subito un grandissimo successo di vendite, ponendosi come modello per successivi ricettari più completi dal punto di vista di regionale. L’opera pone le premesse per una cucina nazionale. Questa ambizione sottolineata dal rigetto di ricette francesi e vocaboli esotici ed alla valorizzazione degli alimenti e delle tradizioni nazionali. I gruppi nobiliari appaiono sulla scena sociale e si percepiscono come molto differenziati a seconda delle regioni di appartenenza . Prendiamo il caso dell’aristocrazia romana. Animato da stirpi principesche che avevano fra i loro antenati papi e cardinali e vantavano parentele in mezza Europa, essa si presentava come un gruppo dotato di grande prestigio e influenza nella vita cittadina, godeva di una salda base economica nelle proprietà fondiarie immobiliari, ostentavano stile di vita splendido, che non aveva uguali in Italia. Anche la novità napoletana mostra tendenza dare grande spazio ai consumi di pregio, pur in presenza di basi economiche meno soldi, tanto da giungere a intaccare i patrimoni familiari. E l’aristocrazia piemontese, invece, mantiene saldo i propri patrimoni grazie patenti investimenti e a miglioramenti nella conduzione delle terre. Essa riveste un ruolo di primo piano nel regno d’Italia, E non si mischia facilmente neppure con la ricca borghesia. Sulla scena pubblica e apprezzato un atteggiamento di understatement, Che accoglie di buon grado il possesso ma non la sua esibizione ostentata, Che accoglie di buon grado di possesso ma non la sua esibizione ostentata. Alla vigilia della prima guerra mondiale, il vertice della piramide sociale torinese e dunque formato da Elite parallele ma separate. A Milano la nobiltà si era impegnata più che altro ove in attività mercantili, bancarie e imprenditoriali e la distanza sociale sembrava minore. Un simile stile di vita in pubblico accomunava inizio secolo no bitta e alta borghesia ambrosiana: un vestiario non appariscente, anche se attento alla qualità, tradizionalista, che disegnava le mode parigine, i colori forti, i gioielli vistosi. In questa varietà di stili interpretazioni della cultura aristocratica, troviamo alcuni tratti comuni nella sfera del leisure, Che assomma svago e distinzione. L’andare a teatro è un importante rito sociale, Che comporta l’adozione di vestiti appropriati. E non solo era un distinto circuito di teatri di prosa e dopo era, al quale accedevano nobili e alto borghesi, ben differente dei teatrini popolari che cominciano a sorgere nelle periferie urbane; ma la differenziazione sociale si concentra in una separazione fisica all’interno delle stesse sale: Ancora oggi i teatri più antichi mantengono due entrate diverse, la principale per la platea e i palchi, la secondaria per i più economici posti in galleria. E divertimenti esclusivi sono poi le esplorazioni paesi lontani; già molto popolare sull’onda del colonialismo; i viaggi in Europa e la villeggiatura. Ci sono poi gli sport: escursionismo, alpinismo, caccia ed equitazione. Gli sport equestri sono quelli più caratteristici della nobiltà. L’ottocento aveva visto una grande passione per i cavalli, ma il solo a partire dalla metà del secolo che si costituiscono le prime <<società per le corse dei cavalli>>, Cominciando da Firenze, Torino e Pisa. Negli anni 80 si assiste a una vera e propria frenesia: ogni città e località di villeggiatura vuole dotarsi di un suo ippodromo, edificato con grande dispendio di mezzi. Il riferimento qui è all’Inghilterra più che a Parigi, Con lo Jockey club britannico.Anche l’abbigliamento è strettamente codificato: per gli uomini Blazer scuro E cappello di paglia di Firenze, per le donne vestito accollato chiaro, ampio cappello di piume, ombrellino parasole di merletti; le gare sono una grande occasione mondana, scuderie e ippodromi fioriscono così in tutta Italia e conoscono uno straordinario successo fino al primo conflitto mondiale e poi ancora fra le due guerre. Non solo galoppo trotto, anche gare come il salto ostacoli divengono molto popolari. Come si spiega lo scopo di questa passione proprio nel momento in cui compaiono le automobili? Gli aristocratici adotterà me realtà subito le novità tecnologiche. La spiegazione può essere identificata in una forma di spettacolarizzazione basata sull’esibizione di arcaismi; andare a cavallo e organizzare gare ippiche nel momento in cui si diffondono le automobili significa sottolineare la propria diversità rispetto agli altri ceti sociali, di affermare la continuità con il passato, ostentare un cerimoniale d’altri tempi tipicamente nobiliare: l’anacronismo diventa segno di distinzione. 2. Lo Stato e consumi pubblici. La società del tempo appariva più simile a una piramide, in cui elementi significativi erano la base e il vertice.La descrizione migliore che si potrebbe dare era legata a questo dualismo: non varietà di pratiche di consumo quindi, ma miseria contro abbondanza. Un eventuale azione Riformista per il miglioramento della società non poteva che prendere la forma di una lotta alla miseria. Va ricordato che non tutti consumi esistenti sono privati, vale a dire acquistati autoprodotti dai singoli, ma vi sono consumi che vengono fruiti collettivamente. E quello che è prodotto dai vari settori economici del paese (agricoltura, industria, servizi, pubblica amministrazione) viene impiegato dei consumi interni, che possono essere privati o pubblici, e negli investimenti. La storia del 900 in fondo è tutta qui: nell’evoluzione dei consumi privati e nel progressivo allargamento dei consumi pubblici (e degli investimenti). Quindi consumi hanno sempre avuto un ruolo di primo piano nelle politiche governative. Siamo abituati a pensare all’economia e alla politica guardando il lato dell’offerta, e cioè riteniamo che i governi si attivino per lo sviluppo dei diversi settori produttivi; quello che conta è la produzione. Ma i consumi? Le politiche governative sono state altrettanto centrali e attente al lato della domanda: se tramite gli investimenti hanno migliorato il capitale fisso per sostenere la crescita, tramite i consumi pubblici hanno inciso sul capitale umano, Hanno influenzato i consumi privati e in ultima analisi intera economia.Perché lo Stato sarebbe dovuto intervenire nel campo dei consumi? Le differenze nei consumi non erano motivo sufficiente; le disparità sociali esistevano da sempre. Il suo vero motivo risiedeva nelle deficienze del singolo individuo, che poteva essere colpito da una disgrazia (malattia, incidente) e in questo caso andava assistito dalle organizzazioni di carità, oppure era vizioso: pigro, mendicante, ubriacone, nullafacente, ed era causa Del suo male. In realtà, con il procedere dell’industrializzazione i contorni del problema mutarono: La situazione dei lavoratori nelle città e nelle campagne sembrava drammaticamente peggiorare. E, il fenomeno si legava alle modalità di lavoro in fabbrica, alle condizioni di vita in città sempre più appellate, alla crisi economica nelle campagne. Si fece allora strada l’idea che queste forme di povertà avessero una spiegazione sociale e fossero connesse ai problemi strutturali dell’economia e della società, non solo alle sorti o alla volontà dei singoli. Già subito dopo la costituzione del regno d’Italia si moltiplicarono studi, inchieste e appelli che denunciano la grave situazione dei contadini e operai e richiedono un intervento pubblico riguardo a quella che ormai presentata come la “questione sociale“. L’indagine forse più famosa è l’inchiesta agraria del 1884. Un altro problema era individuare le modalità dell’intervento statale. L’idea più diffusa era che dovesse riguardare i consumi “pubblici“, cioè quelle forme di assistenza individuale che il mercato non era in grado di fornire; non si trattava tanto di aumentare le spese per l’intera collettività, come ad esempio quelle per la sicurezza o la difesa, ma di fornire specificatamente beni servizi agli individui: assistenza, previdenza, sanità e istruzione. Come Stefano Cavazza a posto in rilievo, dall’ottocento si afferma l’idea di “massa” come dimensione in grado di spiegare e definire la società moderna. Non c’è più la morta e disordinata plebe; ora c’è una sorta di corpo organico che diventa protagonista nel mondo del lavoro, vuole affermare suoi diritti nella società, si organizza e pretende di contare sulla scena politica. La questione sociale si nutre della paura che queste nuove masse presentino un elemento di destabilizzazione della società, concentrandosi nelle città, facendo crescere la criminalità. Il passaggio dal piano sociale quello politico è breve. La massa dei lavoratori mi viene massa dei proletari, infiammati dalla propaganda socialista. Lo stato italiano, destra sinistra storica, avevano fatto un grande sforzo, che però fu concentrato principalmente sulla creazione di infrastrutture e sull’edificazione della complessa struttura amministrativa del nuovo Stato. Ci fu ben poco spazio per le spese riguardanti l’istruzione, addossato il tre tutto in gran parte agli enti locali, e quasi niente per quelle redistributive. Solo nel periodo Giolitti ano si assiste ad un relativo mutamento di indirizzo. Prendiamo l’assistenza. Sei un malato era benestante, poteva chiamare un medico privato e sostenere cure costose a casa o sei molto grave, negli ospedali cittadini; se era povero, doveva ricorrere alle associazioni caritatevoli. Queste, prevalentemente cattoliche, avevano avuto un grande sviluppo nei secoli precedenti e gestivano ospedali, centri di assistenza e carità. Nel 1862 e approvato una legge su questi istituti di carità e beneficenza, evitando di impegnare finanziariamente il nuovo Stato. Tre anni dopo si stabilisce che siano gli enti locali occuparsi di alcune categorie di sventurati, che non erano solo i malati ma anche i poveri e gli accattoni. Le province dovevano occuparsi di alcuni malati (infermi psichici, portatori di Handicap); I comuni dovevano farsi carico delle spese ospedaliere e di assistenza per poveri e orfani, anche con l’aiuto delle congregazioni di carità. Il referente per la sanità pubblica era il ministro dell’interno e responsabili locali erano i prefetti e i sindaci. È un progetto di medicina pubblica, che controlla e potenzia l’organismo sociale a favore dello Stato, paragonabile alla costituzione di una “polizia prodotti, proposte d’esempio dell’industria chimica (saponi, detergenti), da quella meccanica e dei trasporti (biciclette, motociclette, automobili) infatti anche da quella poligrafica, con vari prodotti legati alla crescente scolarizzazione. Immaginiamo di infilarci in una dispensa ben fornita di inizio novecento notiamo che il contenuto di questa dispensa ci dice molte cose sull’industria alimentare. Oltre a ricordarci l’importanza dell’autoconsumo, conferma che la produzione a carattere locale: quasi tutte le merci sono prodotte nel raggio di poche decine di chilometri, o al massimo all’interno della stessa regione.In effetti il settore alimentare, pur essendo più importante come produzione totale, e risulta in genere arretrato da un punto di vista tecnico, ponendosi spesso a metà strada tra industria e artigianato. Piccoli produttori servono non ragiona e non sono interessati ne hanno una capacità produttiva per espandersi; poche sono le eccezioni riguardano soprattutto prodotti di lusso o destinati all’esportazione. Questi anni rappresentano un periodo cruciale di trasformazione. La rivoluzione nuziale, partita dalle industrie tessili e meccaniche, comincia a farsi sentire anche nella trasformazione alimentare, anche con tecniche di lavorazione, come macchine, nuovi prodotti industriali da impiegare nella produzione. Le imprese cominciano a produrre meccanicamente quantità superiori di prodotti alimentari, che risultano molto più standardizzati e costano meno grazie alle economie di scala. Vendere piccole quantità di prodotti artigianali alla clientela locale implica meccanismi del tutto diversi rispetto a vendere i grandi quantità di merci industriali a una clientela sconosciuta e distante. Grandi produttori devono fare i conti con i problemi legati alla distribuzione e soprattutto, al marketing. Prende così forma un aspetto che si rivelerà decisiva nella storia dei consumi del 900: la marca. È una marca alle origini significava semplicemente un marchio proprietario: il nome o simbolo del prodotto commercializzato da un’impresa. La denominazione non era certo una pratica nuova; ma nel mercato allargato che si crea grazie ai trasporti moderni e alla rivoluzione industriale, essa assume un significato del tutto differente, perché diventa il mezzo per caratterizzare la merce e venderla. La marca a due funzioni. La prima informativa, ci dice quali sono le caratteristiche del prodotto, le sue funzioni, i suoi componenti, prima ancora che lo compriamo; la seconda e valoriale: costituisce una specie di valore aggiunto rispetto al bene fisico, quale valore di status può fornirci. La costruzione di una marca si basa essenzialmente sulla pubblicità, che non a caso muove allora i primi passi anche in Italia . si tratta però di una pubblicità che punta soprattutto sul primo aspetto, cioè quello dell’informazione: Nelle pagine delle riviste che ospitano numero crescente di inserti pubblicitari appaiono riquadri con una piccola illustrazione del prodotto è una lunga scritta di spiegazione. Ciò spiega anche la prevalenza della scrittura sull’immagine. Importante era anche il packaging: la confezione esterna del prodotto era un elemento importante per la sua caratterizzazione e doveva perciò rimanere uguale nel tempo. Se tutto il meccanismo funzionava, e si riusciva a distribuire la merce abbastanza capillarmente, si poteva sperare che fossero i consumatori stessi a richiedere quello specifico prodotto e che si affezionassero alla marca. Tornando alla dispensa osserviamo varie confezioni industriali.Un intero piano è occupato da paste dolci, pasta Buitoni, biscotti, Tipica specialità inglese, gli amaretti Lazzaroni, c’è poi molto cioccolato, quasi tutto di provenienza torinese, Non mancano prodotti Perugina. Un settore di grande importanza in questo periodo e quello delle conserve, legato alla necessità di preservare alimenti deperibili come frutta o verdura; la marca più nota è la Ciro. Inoltre troviamo i formaggi, molti rivelano un’origine locale, ma ci sono alcuni tipi che conosciamo bene, come il grana parmigiano e pecorino romano, prodotti da imprese di medie dimensioni che lo commercializzano a livello nazionale e creano una tipologia riconoscibile e. Non notiamo invece ogno di marca perché è ancora un prodotto artigianale, Tutta via compaiono i primi grandi produttori di olio abbassa gita e maggiore pregio. Lo stesso vale per il riso: coltivato nella pianura padana da secoli, solo da poco e prodotto industrialmente e sottoposto alla brillatura che permette una maggiore durata. A guardare bene, le uniche merci della nostra dispensa veramente industriali, sono la farina e lo zucchero. Ci sono numerose marche straniere: alcune riguardano coloniali e caffè, altre denotano una specie di prodotti alimentari nuovi: estratto di carne, brodo concentrato, latte condensato o in polvere. Infine abbiamo i vini, contenuti in una cassetta vicino alla damigiana. I nostri padroni di casa ne hanno molte bottiglie di vino provenienti da varie parti d’Italia, ci colpiscono però gli spumanti e vini aromatizzati come vermut (Cinzano, Martini e Rossi, Campari) e per finire Marsala. Quella cantina era ricca di odori forti, provenienti da merluzzi salati, formaggi stagionati, formaggi un po’ ammuffiti, vini semisturati, conserve fermentate, pasta essiccata e altro ancora. Attraversando le altre stanze della casa e osservando l’arredamento, notiamo in prevalenza produzione artigiana di buona fattura. Questo non ci sorprende data la diffusa tradizione di lavorazione artigianale. Pochi si potevano permettere i mobili creati da artisti alla moda come il palermitano Vittorio Ducrot specializzato in arredamenti di lusso per grandi alberghi, case aristocratiche di rappresentanza, o come Mariano Coppedé, Specializzato in mobilità gli atti richiesti anche dalle famiglie regnanti. Ma tutti potevano chiamare il vicino falegname per realizzare l’arredamento di casa. In realtà, erano già disponibili i primi mobili di serie, ma questi erano iniziati solo dalle classi meno abbienti.Il primo caso di attenzione all’estetica immobile industriale e forse quello della sedia “viennese” disegnata dall’austriaco Michael Thonet nel 1859: egli utilizzò la tecnica di curvatura del legno a vapore, ispirata dai costruttori di barche, per creare una sedia di faggio dalle linee semplici e raffinati, molto leggera, che poteva essere facilmente smontata e spedita. E importante rimarcare come all’epoca tutti consideravano le produzioni industriali merci inferiori perché da sempre ci si avvaleva di bravi artigiani e la tradizione è sempre un elemento importante nel determinare gli schemi di consumo, in parte perché effettivamente erano di scarsa qualità. Le cose erano diverse per le produzioni britanniche, invece erano sinonimo di eleganza e modernità. La ricchezza inglese si basò in buona parte sulla produzione di beni di consumo richiesti dalla effervescente mercato interno ed esportati in tutto il mondo. Non è che in Italia mancassero competenza in questi settori; basti pensare per la porcellana alle manifatture Richard Ginori.L’Effetto dimostrativo delle più avanzate industrie Estere e gli orientamenti dei consumatori insieme crearono un forte impulso verso una trasformazione in senso industriale che unì le nuove competenze in un antico saper fare artigianale che avrebbe posto le basi per il futuro made in Italy. 4. Gli spazi del commercio. Baudelaire contempla fascina otto e inquieto la nascita della metropoli moderna. La vecchia Parigi scompare, lamenta il poeta; e non è chiaro se il nuovo che subentra sia meglio o peggio. Di certo è segnato da due elementi: la velocità e la mercificazione, informa ogni cosa e spinge gli uomini a sfinirsi di lavoro o a rubare e vendersi. La Parigi ottocentesca doveva essere davvero un grandioso spettacolo; solo Londra poteva rivaleggiare per ricchezza e potenza, o in parte la Vienna multinazionale. Molti anni dopo, nel 1935, Walter Benjamin fu altrettanto colpito dal fascino della città francese. Secondo il filosofo Berlinese, gli shock esperiti di continuo nella vita urbana(Luci, rumori, incontri, situazioni nuove) avrebbero forgiato una nuova sensibilità, più nervosa instabile, una nuova figura che si guarda intorno con “Lo sguardo dell’estraniato”E, attraverso la parola, vede la città come spettacolo, come fantasmagoria. Essa trova la sua più compiuta realizzazione del grande magazzino, dove lo spettacolo è finalizzato alla vendita. Vari anni prima Georg Simmel, Aveva colto acutamente tratti della vita della metropoli. Aveva sottolineato l’atteggiamento intellettuale e distaccato dell’abitante metropolitano, che in tal modo si difende dalla sovreccitazione sensoriale che lo aggredisce di continuo; la sua solitudine, che è l’altra faccia della cresciuta libertà del controllo sociale; e soprattutto la centralità del denaro: una città che si basa su un’economia monetaria, che misura ogni cosa, trasforma la qualità in quantità, monetizza il tempo. Tutto sembrava materializzarsi fisicamente le grandi bazar e nei magazzini di novità, specializzati in accessorie biancheria femminile, e soprattutto nei passages , Le prime gallerie commerciali aperti a Parigi a fine settecento. I nuovi come la galleria del Palace Royal 1789, il passage Delorme 1808, la Galleria Colbert 1826, tutto appariva diretto a un consumo spettacolarizzato. Erano luoghi di passaggio tra nostra dell’altra, lo so solamente pavimentati e ben arredati; l’ingresso non implicava la volontà di fare un acquisto; semmai invogliava a passeggiare e a soffermarsi accanto alle spa millanta vetrine, inframmezzati da caffè, Ristoranti e teatri. Si ponevano come luoghi di ritrovo e di incontro, dove però la funzione commerciale era iscritta nella stessa architettura. Qui si veniva in contatto con una folla mutevole e sconosciuta; si era immersi in un’atmosfera scenografica; qui tutto poteva essere comprato o venduto. Costruiti nell’ottocento con moderne coperture di vetro e ferro, lasciavano filtrare il giorno la luce bianca e di sera si illuminavano con l’abbagliante calore della luce a gas. Le gallerie commerciali si diffusero rapidamente nelle principali città europee, diventando un polo di attrazione è un vanto; nell’ottocento la sola Parigi ne conta 150, ed esse si moltiplicano a Londra, E anche in Italia dove negli ultimi decenni dell’ottocento si costituiscono varie gallerie di grandi dimensioni, come quella di Rizzato a Torino, Genova (galleria Mazzini) e a Napoli (galleria Umberto I). A differenza degli originali passages , Queste costruzioni sono molto più grandi e monumentali, tanto che l’iniziale finalità commerciale, si abbina quella di rappresentanza. La neoclassica galleria Vittorio Emanuele II a Milano, progettata da Giuseppe Mengoni e costruita tra il 1865 e il 1877. È la più grande galleria di, Queste costruzioni sono molto più grandi e monumentali, tanto che l’iniziale finalità commerciali, si abbina quella di rappresentanza. La neoclassica galleria Vittorio Emanuele II a Milano, progettata da Giuseppe Mengoni e costruita tra il 1865 e il 1877. È la più grande galleria di questo tipo al mondo, non è enorme cupola centrale e quattro braccia laterali; alle strade principali si trovano due archi di trionfo intitolati al re. Di questo tipo al mondo, un enorme cupola centrale e quattro braccia laterali; alle strade principali si trovano due archi di trionfo intitolati al re. In un ideale cammino evolutivo, il gradino seguente sono i grandi magazzini. Diversamente dalla galleria commerciale, formata da un insieme eterogeneo di imprese, il magazzino costituisce una singola unità. Il Bon Marché 1852 a Parigi è il prototipo riconosciuto di questa tipologia, il più conosciuto e imitato, quello che divenne in pochi decenni la maggiore società di vendita diretta ai clienti. Allestito in un grandioso edificio all’insegna della modernità, esso spalancava al suo interno davanti agli occhi dei clienti un profluvio di merci lussuose punto e virgola un’infilata di scaloni Don ore, scale e passaggi punto e virgola un coreografico arredamento di stoffe multicolori, tendaggi e tappeti; uno spariglio di vetrine, luce specchi; e poi suoni, musiche, eleganti con me si, omaggi clienti, promozioni speciali, fiori per le signore, articoli scontar, palloncini per i bambini, bar, ristoranti, posarsi e molto altro ancora. La formula è subito ripresa Parigi (Magazine du Louvre, la Samaritaine), E in tutta Europa, con luoghi famosi come Harrods a Londra, Macy’s negli stati uniti. I contemporanei non hanno dubbi: grande magazzino è una svolta nella storia dei consumi e del commercio. Stessa reazione si registra in Italia, dove i fratelli Bocconi guardano l’esempio francese per arrivi a Milano nel 1877 il primo grande magazzino, Aux Ville d’Italie. 4.1. Mercato, negozi, botteghe. il commercio è il mediatore tra produzione e consumatori. In realtà, e sofà molto di più: con le sue originali formule esercita uno specifico influsso sul mondo dei consumi, È molto sensibile alle esigenze e alle reazioni dei consumatori, e può instaurare con loro un rapporto di negoziazione. D’altra parte, può agire da stimolo, o da freno, nei riguardi delle industrie produttrici, e a volte entrare in concorrenza con esse. La pubblicità è considerata come principale tramite tra produttori e consumatori, e come stimolo fondamentale all’acquisto; in realtà, sia sottovalutato il ruolo degli spazi commerciali, che non sono affatto contenitori neutri ma influiscono sul comportamento di consumo e misure altrettanto grande, perché determinano le modalità pratiche dell’atto di acquisto e creano una cornice di significato e di valore per la merce. La scarsa attenzione che hanno ricevuto dalla storia e ingiustificata. Fiere e botteghe sono forme antichissime di commercio. Le fiere sono stato un elemento caratterizzante nella vita economica e sociale per secoli interi, anche se la loro frequenza e la forza è un indice dell’insufficiente strutturazione del commercio interno. Esse furono grandi occasioni di commercio, di incontro e spesso di festa quasi fino all’ottocento; poi lo sviluppo dei trasporti marittimi e ferroviari fece diminuire l’importanza di tali manifestazioni a favore di strutture più stabili, come i mercati locali. Anche qui si svolgevano da sempre hanno la funzione nelle principali piazze o vivi città e paesi; ma ora conoscono processo di specializzazione e gerarchizzazione, suddividendosi e generi, arie per tipo di clientela. Anche le botteghe hanno una storia lunghissima e per molti secoli sono mutate ben poco, ovviamente la crescita del reddito pro capite a disposizione di ogni famiglia. Tuttavia un’aumentata ricchezza non si traduce necessariamente in un aumento dei consumi. In passato i consumi eccessivi Sono stati spesso legati a connotazioni negative come lo spreco e la dissipazione e; storicamente, molti gruppi umani hanno concepito la ricchezza più come accumulazione che come consumo. Invece in queste economie la gran parte delle ricchezze disponibili e spesa, non risparmiata; c’è un’alta propensione al consumo. È possibile suddividere i fattori che influenzano i consumi nel lungo periodo in tre categorie. La prima riguarda il cambiamento delle condizioni di vita. L’urbanizzazione, per iniziare, a causa della crescente specializzazione e suddivisione del lavoro, induce una crescita dei consumi commercializzati di merci che un tempo erano prodotte all’interno della famiglia (cibo, vestiario). Inoltre beni servizi sono molto più costosi in città, per via delle spese di trasporto e distribuzione, e questo fa aumentare il loro impatto sulle famiglie. Infine la vicinanza con i gruppi sociali differenti, il distacco culturale degli immigrati dalle tradizioni originarie, ratifica apertura della cultura urbana inducono a nuovi e maggiori consumi. Un secondo importante fattore è legato a una differente composizione sociale e a mutamenti nella redistribuzione del reddito. La formazione di una classe piuttosto estesa di lavoratori dipendenti, scaduto di artigiani, commercianti e agricoltori, ho fatto aumentare la propensione al consumo. In precedenza,Gli imprenditori tendevano ad avere un’alta propensione al risparmio, e poiché in tal modo incrementavano il loro capitale aumentavano le loro possibilità di successo di mercato. Impiegati invece sono maggiormente spinte di investire su se stessi e sui loro figli, Spendendo nell’educazione e nella cultura; I professionisti e managers ancora più elevata, non solo per le maggiori esigenze legate alla formazione, ma per l’adozione di un superiore standard di vita. Quando poi se aumentato di credito a disposizione in alcune fasce meno abbienti, questo ha favorito un incremento dei consumi di base. Il terzo fattore è il progresso tecnologico. A esso in grado di introdurre profondi mutamenti dei consumi tradizionali e introdurre nuove categorie di prodotti. Il fascino delle nuove merci a spinto verso consumi maggiori e verso una crescente diversificazione delle merci acquistate. È possibile riconoscere queste caratteristiche nell’Italia degli anni 20.30-consolidamento dell’urbanizzazione, dilatazione delle classi medie, impatto delle nuove tecnologie. Ma il carattere peculiare del periodo viene dalla politica, da quel fascismo che pone fine hai governi liberali, inaugura Un regime di propaganda e mobilitazione che l’italiani non avevano mai visto, proclama l’avvento dell’economia corporativa e scende esplicitamente anche nell’arena dei consumi. 1.1. Autarchia, genere, razza. Nel 1938 i consumi sono aumentati meno del reddito. Il primo dato indica quindi una relativa compressione dei consumi privati. Tuttavia la cifra impiegata nei consumi si distribuisce in maniera diversa:Il dato più evidente e la netta caduta della spesa percentuale per i consumi alimentari; perdono qualcosa il vestiario e le calzature, mentre aumentano le quote di spesa per la casa, per l’igiene e la bellezza e per beni durevoli e trasporti. Siamo in presenza di una maggiore diversificazione, anche se opportuno notare la forte compressione degli alimentari. Si conferma il primato del frumento accanto a granoturco, patate e legumi secchi. E, ortaggi e frutta diminuiscono calza la carne, lo zucchero il caffè, il consumo di vino vede grandi oscillazioni. Le calorie del pasto medio giornaliero risultano inferiori a quelle dei decenni precedenti. Simili conclusioni sono confermate dall’analisi dei bilanci familiari del periodo, che sottolineano anche la persistenza di differenze dovute a preture sociale di classe, geografiche e anche di genere. Ad ascoltare le campagne del regime, si direbbe che in campo economico si attuata una vera e propria rivoluzione, che aveva le sue basi dell’organizzazione corporativa e suoi vertici nelle innumerevoli battaglie combattute della nazione (battaglia del grano, per la difesa della lira, per la bonifica integrale: ogni misura economica si prestava di venire uno slogan propagandistico). Non periodo storico caratterizzato da instabilità e crisi ricorrenti quella del 1929, tra le più gravi sperimentato dall’economia accidentali, il fascismo compì 1:00 scelta a favore delle industrie, ti aiuto con salvataggi, nuovi istituti, come L’iri, una politica di concentrazione industriale e un accentuato protezionismo che incoraggiava la sostituzione delle importazioni con prodotti nazionali. Così quando nel 1936 fu annunciata una nuova battaglia, questa volta per l’autarchia, in risposta alle sanzioni proclamate dalla società delle nazioni per l’invasione dell’Etiopia, non si fece che dare una veste politica a una linea protezionistica in atto da anni per via di dazi e tariffe doganali. Il giudizio degli storici sulla autarchia e concordemente negativo. Si è osservato che essa ha danneggiato un’economia di trasformazione come quella italiana, ha favorito alcuni settori astabile gli altri, hai imposto ai consumatori prodotti italiani più costosi oppure surrogati di scarsa qualità. Dal punto di vista dei consumi, il fascismo non vedeva di buon occhio lo sviluppo dei consumi; altre erano le priorità. Tuttavia, per sostenere l’industria italiana e controbattere le sanzioni, viene attivata una campagna di sostegno ai prodotti italiani che assegnava le merci un valore aggiunto: l’italianità. Comprare italiano non era sprecare, era adempiere al compito patriottico. Si moltiplicano i richiami patriottici: in una pubblicitaria Italia offre al mondo, rappresentato da un mare di bandiere, il suo miglior prodotto: Fernet branca. Eccetera. E uso della leva patriottica per promuovere le produzioni non è certo nuovo, non è limitato all’Italia. Nel contesto del fascismo, questa politica l’effetto di elevare il consumo al rango di attività che concorra pienamente allo sviluppo della nazione E di creare uno spazio di consumo nazionale. Compie uno sforzo per creare un’identità è un profilo tipico del consumatore italiano. E questo ci porta a due ulteriori considerazioni. La prima riguarda il ruolo che il genere riveste in questa politica. La da Kia investe il lato dei consumi ed entra direttamente nella sfera della famiglia, in particolar modo si rivolge alle donne, che sono usualmente incaricate di fare gli acquisti e gestire la famiglia come una piccola unità economica. Allora viene chiesto di risparmiare sulla spesa, evitare di sprechi, comprare italiano, ingegnarsi a trovare surrogati per tutto. Rubriche nelle riviste e manuali per la casa ingegnano praticamente una completa autosufficienza: ricette con tutti gli ingredienti possibili, conservazione dei cibi, precetti di igiene, cura dei giardini, riparazione dici Robbie e liquori, restauro mobili, pronto soccorso, trattamento degli animali domestici, rimozione di macchie, eliminazione di cattivi odori, eccetera. Lo Stato fascista si preoccupava di assegnare le donne un ruolo preciso, all’interno della famiglia, per il miglioramento lo sviluppo della razza italiana; a tal fine crea sia incentivi positivi (assistenza sociale, sostegno alla maternità) sia strumenti repressivi (allontanamento da fare i mestieri, scoraggiamento dell’istruzione superiore, esclusione dalla politica). Questa politica dei consumi e concepita soprattutto per le donne delle classi medie, essendo le famiglie operaie contadine ancora in parte escluse dal mercato dei consumi non di base. È la seconda considerazione riguarda i confini di questo nuovo spazio dei consumi, che abbiamo definito nazionale, ma potremmo anche chiamare Mediterraneo o imperiale.Ci puoi tentativo di creare uno spazio nazionale dei consumi allargato anche alle colonie. In effetti, per quanti non ebbero la possibilità di recarsi in tali territori, la rappresentazione delle colonie si formava attraverso le immagini lanciate dal Cinegiornali luce,Le fotografie su quotidiani riviste, i discorsi pubblici e attraverso le merci esotiche come cappe e banane, che giungevano dalle terre d’Africa. Subentra un’altra variabile. Gli italiani erano abituati a declinare i consumi in termini di classe e genere: ora compare la razza. Molti prodotti sono pubblicizzati ricorrendo all’osteria ottico positivo dell’indigeno: queste pubblicità e numerosi prodotti con nomi immagini che richiamano l’Africa, non sono parte rilevante della costruzione di un’identità egemonica nazionale, perché sottolineano visivamente le differenziazioni di razza. Non è da sottovalutare la presenza nelle città italiane di negozi di prodotti coloniali, caffetterie e torrefazioni con nomi esotici, spesso arredato con immagini e oggetti coloniale, che creano una forte familiarità con l’Africa per tutti consumatori.La costruzione di un immaginario coloniale passo anche attraverso i consumi. 1.2 l’emigrazione. Vale la pena ricordare che il consumo di prodotti nazionali non si limitava l’Italia e alle colonie. Da fine ottocento, esso aveva di fatto seguito le ondate di immigrati italiani in Europa e nelle Americhe, dove si era creata un importante domanda di prodotti tipici. I governi italiani avevano favorito questo interscambio per motivi economici ma anche politici: era un modo per tenere legate le comunità italiane all’estero, rinforzarne l’identità, mobilitar né a favore del paese in caso di bisogno. Prendiamo uno dei casi più studiati, quello degli italoamericani. Durante il fascismo, quando crebbe l’orgoglio per l’appartenenza e chimica, uno dei modi per testimoniare questo rinato nazionalismo fu quello di aumentare il consumo di prodotti italiani. Durante la guerra dei ti odia dico una vera mobilitazione delle comunità nelle grandi città di New York e Chicago per acquistare merci provenienti dall’Italia. Aldilà dei discreti risultati quantitativi di queste campagne, il risultato di lungo periodo fu un rafforzamento dell’idea che la propria identità etnica era costituita anche uno specifico modello di consumo. Quando parliamo di modello di consumi non intendiamo i prodotti in te, il loro significato risiede nelle pratiche con cui vengono consumati. Nel caso degli italoamericani non si trattava solo di mangiare pasta, pomodori, olio di oliva, vino e pane, ma piuttosto di come mangiarli: In famiglia riuniti intorno a una tavola, con i parenti nelle festività. Ugualmente importante era la preparazione casalinga di prodotti genuini, e tramandati le ricette tipiche. Mangiare italiano significava dare concretezza valori come la famiglia, il gruppo, la convivialità, la domesticità. E l’America era il paese dell’abbondanza, dove anche i poveri italiani potevano mangiare come le Elite, superando le barriere di classe.La tradizione italiana fu contaminata da altre influenze regionali e persino etniche e soprattutto da prodotti usi americani, con il risultato finale di un notevole sincretismo alimentare culturale. 1.3. Politica fascista dei consumi. E nel ventennio fascista il mercato dei beni di consumo era governato da meccanismi complicati, e lo Stato mi faceva sentire la tua voce in maniera crescente. Esso cercava di orientare i consumi privati, con la grazia e la promozione di prodotti nazionali e appariva sempre più protagonista nell’offerta di consumi pubblici. A uno sguardo di lungo periodo appare evidente la tendenza verso una crescita della spesa pubblica di cui consumi pubblici sono una quota significativa; molti attribuiscono fatto alla maggiore complessità delle società moderne, che comporta un crescente intervento regolatore dello Stato, uno sforzo nella dotazione di infrastrutture e così viaPunto uno delle analisi al riguardo, quella di Adolf Wagner, correla la crescita della spesa con la crescita del reddito. Lo Stato spende sempre di più perché è chiamato a correggere gli squilibri dello sviluppo industriale, ad esempio riguardo all’organizzazione e all’ambiente, e a rispondere alla crescente domanda di servizi sociali.Adesso empio in occasione di una grave crisi come una guerra, la spesa sale rapidamente e poi passata la bufera, scende ma non torna ai livelli precedenti, forse perché i cittadini preferiscono mantenere alcuni dei servizi e delle protezioni sociali ormai indotti. È questo l’effetto di spiazzamento. La politica del fascismo si inserisce in una condotta molto più generale, legata allo sviluppo industriale del paese. Si può osservare come in Italia effetto di spiazzamento quasi non si verifichi: ciò è dovuto a una certa arretratezza del paese ma anche il fatto di fascismo si orienta rapidamente la spesa pubblica seguendo finalità politiche, lasciando nuovamente cadere le spese assistenziali e previdenziali erano molto cresciute dopo la guerra e privilegiando altre spese, soprattutto quelle militari, almeno sino alla fine degli anni 20. Un esempio molto chiaro di questa politica rappresentato dall’istruzione. E si spende quasi meno in percentuale nel fascismo che sotto i precedenti governi liberali; ma ci sono importanti differenze. La prima e la gestione, ora in mano di uno Stato che esautorato gli enti locali; la seconda è la crescente politicizzazione dell’educazione. La riforma gentile viene svuotata a poco a poco, e Bottai, ministro dell’educazione del 1936 al 1943, si impegnano complesso progetto di riordino che valorizza l’insegnamenti tecnici per creare uno strato intermedio di maestranze specializzate. Per il nostro piccolo scolare l’educazione elementare e ormai in buona parte assicurata. Il proseguimento dei tuoi studi e ancora influenzato dal livello sociale della famiglia: solo che appartiene all’Elite può sperare di frequentare il liceo classico e poi università; altrimenti dovrò scegliere una scuola di livello inferiore, come dicevo scientifico o Istituto magistrale. Nella maggior parte dei casi egli si limita a pochi anni di studio e sia via rapidamente al lavoro, partecipando però alle numerose organizzazioni parascolastiche fascista a seconda dell’età. Se invece è una scolaretta, le prospettive di procedere a lungo negli studi e decisamente minore, anche per le pressioni sociali familiari. O ambire a frequentare il liceo femminile, più raramente l’università. Tuttavia la scolarizzazione femminile cresce rapidamente, così come richiesto dall’industria ed è crescente terziario, Ma l’allargamento dei consumi passava necessariamente attraverso queste forme collettive e organizzate dall’alto, o esistevano altre modalità? All’interno dello stesso sistema dei media, creato sì sotto regime fascista, si osservano modelli concorrenti. Si sfogliano le riviste illustrate così guardano i cinegiornali luce, si resta colpiti dalla presenza della nobiltà come modello di riferimento riguardo ai consumi. È un modello di aristocrazia inimitabile, si propone come guida: questi dispositivi, gioielli, pellicce, strascichi, eventi mondani, macchine di lusso. Ma è molto presente nell’Italia fascista. È un modello di aristocrazia inimitabile, che si propone come guida: vestiti esclusivi, gioielli, felice, strascichi, eventi mondani, ma che è di lusso. Ma è molto presente in Italia fascista. C’è poi un altro modello, di provenienza americana, che passa attraverso la popolare cinematografia hollywoodiana. La donna cui è protagonista della scena: è una bellezza appariscente, è alta, magra, con i capelli biondi, vive in appartamenti lussuosi, dal cinema e a teatro, in mezzo ai simboli della modernità urbana. Accanto al lei, l’uomo non è da meno: elegante nei suoi morbidi blazer, dinamico e sicura di sé, sorridente mentre si porta la sigaretta le labbra guida la sua automobile.Il riferimento qui è una classe media affluente, Che gode di farmi di consumi individuali e dove consumi passano attraverso una cultura commercializzata. Ma anche questo è un modello irraggiungibile per l’Italia fra le due guerre, che deve fare i conti con una difficile realtà quotidiana. L’America è lontana. Vicina, geograficamente politicamente, invece la Germania nazista. Una di Busa interpretazione ritiene che il nazismo abbia implementato una politica di rigida limitazione dei consumi privati, creando problemi alla popolazione, per concentrare risorse economiche in preparazione della guerra . alcuni consumi sarebbero stati effettivamente limitati; ma in altri casi il regime favorisce la crescita dei consumi simbolici, come la radio, il cinema, le vacanze di massa automobile e favorisce l’adozione di elettrodomestici nelle case. In realtà, il nazismo sembra temere che è un brusco abbassamento del tenore di vita materiale, anche per motivi patriottici, Può seminare consenso e magari riproporre uno scenario drammatico come quello del 1918., Può seminare il consenso e magari riproporre uno scenario drammatico come quello del 1918. L’Italia in una condizione diversa, di maggiore povertà. Per questo errore del regime e promuovere i consumi pubblici e collettivi è più importante. Per entrambi i regimi la politica dei consumi è un aspetto decisivo e adesso ai consumatori reagiscono in maniera selettiva. Anzi, talvolta essi danno vita a campagne propagandistiche e creano attese verso nuovi prodotti di uso privato: tecnologie per la casa, automobili, consumi culturali, turismo. In questo momento dunque che si creano le premesse culturali di un consumo di massa, orientato verso la tecnologia è una fruizione domestica, che troverà la sua realizzazione Nel dopoguerra. 2. La vita quotidiana nel fascismo. Anche gli oggetti più semplici della nostra quotidianità possono essere capiti usati solo all’interno di un contesto che dia loro significato. Dobbiamo imparare a usar li e conosce il valore culturale di questo uso, non hanno senso diverse. E quando questi oggetti diventano complessi e incorporano nuove tecnologie, tanto più tempo e fatica richiedono per essere inglobati nel sistema degli oggetti che ci circonda. Parlando di tecnologia, Kuznets ci ha ricordato che essa sia un potente incentivo a consumare di più, perché ci spinge a voler oggetti nuovi diversi. Ma anche un oggetto tecnologico è un apparecchio un processo che si attiva in determinati contesti culturali, che presuppongono una certa istruzione, la diffusione di altre tecnologie. L’apparecchio non impone una sua modalità d’uso fissa, perché gli utenti negozio non modi significati di utilizzo, li cambiano, le interpretano diversamente secondo la loro cultura e anche il genere. Quindi non parliamo più di determinismo tecnologico ma di un vero processo socio culturale. Non c’è dubbio che il processo tecnologico sia un elemento fondamentale nei processi di consumo soprattutto in età contemporanea. 2.1. Casa. Pagina non stellari abbiamo scelto una casa della borghesia medio-alta in una grande città. Questo perché il costo delle nuove tecnologie è elevato, E non le avremmo trovate in caso operaie o piccole borghesi, e perché si diffondono soprattutto in ambienti metropolitani. È mattino E dal portone delegante condominio esce il marito. Il suo completo giacca e pantalone è stato fatto da un sarto. E, ma vogliamo scommettere e altri capi sono di produzione industriale. La camicia che spunta sotto la cravatta, innanzitutto: la camiceria infatti il primo comparto a industrializzar si, grazie alla misurazione del collo, mentre età di avere prove si sviluppano in seguito, Per le necessità delle uniformi militari. È importante camiceria sorgono a Milano e a Torino. Notiamo il collo floscio, che porti attaccato con dei bottoni: le camice vengono vendute insieme ricambi di colli e polsini. I capi devono durare.Industriale e anche l’impermeabile, o trench a ricordo della sua origine nelle trincee e della prima guerra mondiale. E poi c’è il cappello, tipico simbolo dell’appartenenza al ceto medio (gli operai infatti portano il berretto). Non vediamo le scarpe, nascoste sotto ghette e galosce. Subito dopo vediamo uscire la cameriera, si riconosce subito dall’aspetto dimesso e campagnola, e ha una specie di camice azzurro E tacchi bassi, accompagna scuola due bambini: entrambi hanno un grembiule nero, la bambina un fiocco rosa, il bambino grande colletto bianco il fiocco azzurro, e da sotto il grembiule spuntano i calzoni corti. Dobbiamo aspettare un po’ che esca la moglie. Elegante: indossa un vestito a piccoli fiori abbastanza aderente su Google tuo cappottino scuro lungo con un piccolo collo di pelliccia. Insieme e storia se non fosse per due particolari: il cappellino, in tinta unita ma piccolo indossato quasi di sbieco, e le calze velate con la cucitura centrale dietro. Calze vestito ci ricordano importante evoluzione dei tessuti che bene negli anni 30 con introduzione delle fibre artificiali. Eccezionale sviluppo di imprese come la SNIA-Viscosa, Portano il settore al secondo posto a livello mondiale, producendo Lion, fiocco, l’ami tanto e altri prodotti che danno un forte impulso al tessile alle confezioni. Questo consentì di produrre capi di buona qualità a un prezzo contenuto, anche il regime d‘autarchia. Si vede che la signora segue la moda, cosa che il regime non disdegna fatto che probabilmente leggere qualche rivista per essere aggiornata (la donna, lei, Liddell; i suoi abiti sono certo opera di una delle numerose sette locali o il prodotto su misura di una casa di moda. Entrando nella casa ci colpisce subito la pulizia e l’ordine dell’ambiente, che ha un suo carattere improntato al decoro. Fra le due guerre l’industria chimica fa passi da gigante e offre nuovi prodotti di consumo Per la pulizia della casa e della biancheria. Non mancano altri prodotti: vanno di moda le bibite rinfrescanti e le acque frizzanti. Per la pulizia della casa e della biancheria. Non mancano altri prodotti: vanno di moda le bibite rinfrescanti le acque frizzanti. Eccoci in cucina. Vediamo subito un nuovo oggetto, maestoso, bianco brillante, al centro della stanza: è la cugina economica. L’ampio di piano ci sono i fornelli, uno dei quali c’è perennemente un recipiente per l’acqua calda; sotto un ampio forno e lo sportello dove introdurre il carbone o la legna. La forma e squadrata, moderna, non sei semplice e serve a scaldare la cugina. Inconveniente e l’altro posto, sulle L. 1000. Un altro ti amo una vecchia pesante stufa del riscaldamento, ma vicino a questa c’è una nuova stufetta elettrica. Non mancano i mezzi elettrici: vediamo un bollitore che forse c’è qualcos’altro nell’armadio bianco. Alzando gli occhi notiamo la tenue luce che lampadario diffonde Sull’anche a tavola. In questa casa ci sono altri importanti servizi moderni: ci sono acqua corrente, elettricità e probabilmente, visto che è un appartamento abbastanza recente di pregio, il gas. Questo è un punto importante per la nostra storia dei consumi. E alcuni beni servizi appartengono alla categoria dei “monopoli naturali“. Sono settori in cui un solo operatore lavora in maniera più efficiente E che riguarda le forniture basilari per la comunità, e quindi sottoposte a uno speciale regime di prezzi e regole. Gli stati uniti si è preferito affidarle privati, imponendo una regolamentazione molto rigida. In Europa invece si è consegnato la gestione imprese pubbliche e parastatali. In Italia,In epoca Giolittiana, Dopo un importante legge del 1903 si assiste alla diffusione di aziende municipalizzate, che si occupano di energia elettrica, gas, acqua e trasporti urbani, Dopo importante legge del 1000 novecento e tre si assiste alla diffusione di aziende municipalizzate, che si occupano di energia elettrica, gas, acqua e trasporti urbani.Il fascismo manterrà queste situazioni, senza però incrementarle, un po’ per la diffidenza politica nutrita verso imprese spesso nate su ispirazione socialista, un po’ per la politica accentratrice dello Stato. Torniamo alla cucina. È uno spazio femminile, dedicato ai lavori associati al ruolo sociale della donna, anzi della casalinga. E infatti dopo la massiccia mobilitazione di manodopera femminile avvenuta con la prima guerra mondiale, si assiste a un ritorno a casa che interessa I ceti borghesi non meno delle aristocrazie operaie. Il fascismo era forse il 30 verso l’abbandono del lavoro dopo il matrimonio il primo figlio. Nella cucina troviamo le tradizionali attività legate alla tuo consumo, la cura del cibo e del vestiario. In un angolo vediamo una macchina da cucire Singer: nera, posta su di un tavolinetto, azionato da una pedaliera di ghisa. Nonostante il suo costo è di 1000 lire, una treccia importante per l’economia di casa, perché consente di realizzare semplici capi, di cucire, rammendare, Cosa importante in un periodo che valorizza al massimo risparmio. Vicino non ti amo ferro da stiro elettrico; è uno dei primi e sicuramente costa molto. Attraversiamo l’ingresso per cercare il salotto; notiamo le camere dei figli che sono solo due: in media con l’andamento demografico nazionale decrescente, nonostante tutte le campagne del regime, per cui la famiglia passa da 4,5 componenti nel 1891 a 4,2 nel 1936. Il salotto alla medesima struttura solenne che avevamo riscontrato in passato: divani poltrone, tappeti decorati sul parquet di legno, soprammobili in gran numero, tavolini, mobili massicci. Il mobilio e ancora più artigianale che industriale Replay tuo gusto tradizionalista. E pensare che e il periodo della bauhouse , Le core busi Hair, per fare qualche nome, e ma anche dell’architettura razionalista degli esperimenti della triennale di Milano.Tuttavia ci sono ben tre oggetti che ci ricordano che siamo entrati in un’epoca nuova, quella della comunicazione di massa: la radio, il grammofono e il telefono. Ti posso donare e riservato alla radio. È una Radiomarelli a onde corte e medie: Piuttosto grosso e pesante, di legno scuro nella parte inferiore, chiaro in quella superiore; al centro un pannello di stoffa chiara è protetto da una grata e ai lati due manopole spostano indicatore di frequenza. Ti ricordi impatto sulla vita familiare perché introduce nuove forme di consumo musicale, tempestiva informazione con i radiogiornali, programmi di intrattenimento, di cultura e anche di propaganda. La radio diffonde il gusto per le canzoni, Per le dirette sportive, crea nuovi personaggi, rende familiare la voce dei potenti, scandisce il ritmo della giornata. Questa famiglia e fortunata possederla, dato il suo prezzo elevato, e poiché l’abbonamento a favore dell’Eiar. Ascolto perciò e spesso collettivo, nelle sedi dell’Ond , nelle scuole rurali, negli edifici pubblici. La radio rapporto il consumo di musica e quindi traino in parte la diffusione del grammofono. Abbiamo sotto gli occhi il modo in cui la musica meccanica ha rivoluzionato la fruizione musicale, sostituendosi all’esecuzione dal vivo e aumentando enormemente la domanda: se creato un nuovo mercato, spinto da grandi industrie internazionali e sostenuto da una continua pubblicità. Tuttavia il basso livello di reddito delle famiglie limitare la diffusione di nuovi dispositivi: A questo pensiamo osservando l’apparecchio telefonico a rotella, nero, un duplex, anch’esso Un oggetto che non molti potevano permettersi. Il possesso delle nuove tecnologie appare quasi un segno distintivo di classe. Notiamo il bagno. Un enorme scaldabagno, un vero lusso, accanto alla grande vasca in ghisa; ci sono vari prodotti allineati sulla mensola: sapone di Marsiglia, saponette Palmolive e Lanza, Brillantina games, dentifricio Colgate, un pacchetto di 10 lamette da barba Gillette. Su una parete, in alto, ha fatto la comparsa un armadietto ben chiuso, pieno di prodotti medicinali, che ormai costituiscono un consumo importante in crescita per la famiglia. 2.2. Trasporti. Marinetti e i futuristi furono i primi in Italia a esaltare il fascino della velocità e quello dell’automobile, elevata a simbolo Del progresso tecnico ed estetico della modernità. Esse rappresentano la conquista dello spazio e del tempo, permettendo viaggi lontani riducendo i tempi di percorrenza; la libertà dell’individuo di scegliere tempi e modi degli spostamenti, liberandolo Dalla schiavitù di orari e convivenze forzate; la passione per le novità tecnologiche e l’ostentazione di uno status symbol. Negli anni 20 ci sono ben 36 case automobilistiche in Italia è: c’è l’Isotta fraschini, Legatissima e all’avanguardia, divenuta sinonimo di auto di lusso; ci sono le auto sportive di Alfieri Maserati, vincitrice di gare prestigiose come la targa Florio nel 1926; ci sono Alfa Romeo, Mi auto create da Vincenzo Lancia, Infine, c’è l’impresa principale , La Fiat di Giovanni Agnelli e Vittorio valletta, la prima impresa italiana a creare una vettura di serie (la tipa zero nel 1912) che si è sviluppata grazie alle commesse di guerra e ora domina il mercato con i suoi modelli: 501,500 è 8,509. Ed è proprio una Fiat 508, la famosa “balilla“, che già tirato in strada una Fiat 508, la famosa “balilla“, che ti ha tirato in strada. È nera, Le cause di questa fortunata azione sono molteplici. In primo luogo operano la Liberalizzazione dei mercati E l’integrazione dei sistemi produttivi in un unico spazio economico. Ruolo degli Stati Uniti in questo processo non può essere sottovalutato, per la loro lungimirante leadership, gli aiuti concessi all’Europa in crisi dopo la guerra, relativa diffusione di nuovi modelli di produzione e consumo, per la spinta all’integrazione politico- economica occidentale. Altrettanto importante è la politica economica seguita per promuovere lo sviluppo all’interno dei singoli paesi e anche a livello internazionale. L’assunto di queste politiche e chiaro: consiste essenzialmente in una crescita economica di tipo quantitativo, che porta a un più alto standard di consumi, migliora la qualità della vita, diminuisce la disoccupazione e la conflittualità sociale; pertanto gli obiettivi prioritari sono gli investimenti in capitale fisso e quindi in capitale umano (istruzione, formazione professionale). Pertanto gli obiettivi prioritari sono gli investimenti in capitale fisso e quelle in capitale umano (istruzione, formazione professionale). Un terzo elemento è dato dagli insospettati spazi di crescita economica e di mutamento che si aprono con la Ricostruzione. Non è un caso che paesi che registrano le migliori performance economiche siano quelli usciti sconfitti maggiormente danneggiati dal conflitto: Giappone, Germania e Italia. Non è un caso che paesi che registrano le migliori performance economiche siano quelli usciti sconfitti maggiormente danneggiati dal conflitto: Giappone, Germania e Italia. Ecco allora che Italia e Germania condividono un eccezionale crescita media del 5% dal 1950 al 1973, ben al di sopra della media europea. L’Italia, che ancora nel 1950 e l’ultima delle nazioni europee con i suoi 3500 $ a testa, nel 1973 e triplicato il suo reddito pro capite: 10.600 $. Ora è molto più vicino alla media europea E alle Nazioni principali. Come era avvenuto a fine ottocento, anche a metà del XX secolo un elemento fondamentale e l’aspetto demografico. La generazione del dopoguerra dà vita al baby boom, che porta a un rapido aumento della popolazione e soprattutto a una crescita delle classi detta più giovani, bambini e ragazzi. Con la seconda guerra mondiale si chiude un primo periodo caratterizzato dall’alta mortalità seguita al primo conflitto, dalla fine delle grandi migrazioni transoceaniche e dall’isolamento demografica. Questa fase vede un incremento demografico, complice la crescita economica dei paesi occidentali, la ripresa delle migrazioni interne e internazionali, soprattutto intereuropee; si chiuderà all’inizi degli anni 70, con una nuova stagnazione demografica. Si allunga la vita. E la altro importante fenomeno demografico e la ripresa dei flussi migratori. Ora ci si sposta dal sud al nord, dall’Europa meridionale a quella settentrionale e anche, in paesi con una frattura economica interna come Italia e Spagna, nelle regioni più povere quelle più industrializzate. L’immigrazione infatti è indotta dal boom industriale che spinge 1,7 milioni di persone ad abbandonare le campagne per cercare occupazione delle fabbriche nel piccolo commercio con una frattura economica interna con Italia e Spagna, dalle regioni più povere a quelle più industrializzate. L’immigrazione infatti è indotta dal boom industriale che spinge 1,7 milioni di persone ad abbandonare le campagne per cercare occupazione delle fabbriche nel piccolo commercio. Presenza di giovani e di nuove coppie che si sposano, hanno figli, creando una famiglia nucleare, vivono in luoghi geografici lontani dalla famiglia originaria e si spostano con facilità, dà vita ad una forte domanda di beni di consumo. Presenza di giovani e di nuove coppie che si sposano, hanno figli, creano una famiglia nucleare, ti volevo dare dalla famiglia originaria e si spostano con facilità, dà vita ad una forte domanda di beni di consumo. Si verifica un cambiamento culturale. All’interno della famiglia, iniziano a ridefinirsi ruoli, in base al genere e all’età; l’improvvisa affluenza rimescolava gli antichi confini di classe e di Status; le tradizionali istituzioni erano sempre meno fonte di legittimazione riferimento a confronto i nuovi Mas media; strani oggetti di consumo apparivano ogni giorno il significato del loro uso era mutevole. Si era diffusa come una malattia, una febbre, per cui ora tutti erano convinti che la loro condizione potesse migliorare, che potevano avere un’esistenza più prospera, una vita piena di cose. Era un sogno che veniva da lontano, dall’America. Nell’Italia del miracolo economico era venuta l’ora di comprare la felicità. Magari per la via della diffusione di un modello di benessere individualistico, Dove il consumo privato è il vero segno del successo e dell’integrazione sociale; o magari perché le premesse culturali di un consumo di massa erano state già posti durante il fascismo, senza che ci fossero i mezzi per il loro effettivo pagamento. L’interno di questa crescita dei consumi, assistiamo a uno sconvolgimento degli schemi dominanti. Per la prima volta, le spese alimentari non assorbono più la gran parte delle risorse disponibili e scendono ben al di sotto della metà. Ma soprattutto la dieta cambia profondamente. Salgono un po’ tutti cibi, con significative eccezioni: scendono gli alimenti poveri, come il risoni, i legumi secchi, il lardo lo strutto, la carne ovina E cabina; salgono i consumi di alimenti ricchi, prima troppo costosi e riservati alle Elite. Rispetto agli anni 30, raddoppiano tutti prodotti caseari e le uova; cresce il consumo di vino e ancor più quello di birra, ma soprattutto salgono tre prodotti simbolo: la carne bovina, lo zucchero il caffè. Il consumatore medio nel 1970 ha davanti a sé un alimentazione ricca e variegata, Con molti alimenti dolci e calorici, e con un alto consumo di prodotti freschi. Un’alimentazione dell’abbondanza e dello sfrenato ottimismo degli anni del miracolo economico. Ma cosa fa il nostro consumatore i soldi restanti? La percentuale di spesa per il vestiario le calzature resto intorno 9% così come le spese per la casa, intorno al 12%, del totale. In crescita troviamo invece gli altri consumi:I trasporti e le comunicazioni, i beni durevoli, le spese per igiene salute, e altri beni e servizi. La triade dei consumi di base appare ridimensionato in percentuale ;in forte calo gli alimenti, sostanzialmente stabili le spese per la casa, i vestiti. Invece gli altri consumi coprono il 35% del reddito a disposizione: si assiste quindi a una spostamento delle scelte e alla progressiva sostituzione di quote tradizionalmente spese nell’alimentazione della motorizzazione privata, per i beni durevoli, per la cura e la bellezza del corpo e per l’acquisto di servizi. La principale novità in questo quadro è la presenza dei beni durevoli nelle famiglie: al primo posto troviamo frigorifero e televisione; distanziati seguono la lavatrice e l’automobile, quindi l’aspirapolvere, la motocicletta e c’è persino una piccola quota di lavastoviglie. Tutta via alle scelte non sono omogenee se si confrontano diverse classi di reddito. Le famiglie più povere privilegiano il televisore rispetto al frigorifero, anche se di poco; Aspirapolvere fra loro e meno diffuso, mentre sale la percentuale di possesso di una moto; la lavastoviglie è invece presente solo da poche famiglie molto ricche, come uno status symbol. Ci vorranno altri 10 anni perché la diffusione del televisore del frigorifero diventi generalizzata. Se confrontiamo poi la situazione italiana con quella dei paesi europei aderenti alla comunità europea riguardo a spese per alimentazione, case, beni durevoli e servizi, Italia appare sempre all’ultimo posto. Le ricostruzioni di studiosi giornalisti presentano questo periodo come una specie di età dell’oro e utilizzano termini come miracolo e boom economico; anche le testimonianze orali di oggi ti rimando non tempo felice di solidarietà umana ora perduta, i nuovi consumi carichi di significato. Ma le fonti del periodo hanno toni molto diversi. Denunciano le condizioni di vita degli immigrati, parlano dei disastri della speculazione edilizia, dell’arroganza e ignoranza dei nuovi ceti ricchi, il duro lavoro degli operai, dei sacrifici da fare tutti giorni, di speranza più chiedi a pagamenti. E allora? Forse difficile cogliere gli sviluppi di lungo periodo nella vita di tutti giorni, E i contemporanei notarono più i problemi che le realizzazioni. Ho forse discorso pubblico successivamente dializzato questa età come antitesi positiva al seguente periodo di crisi e stagnazione, o come antitesi politica la realtà odierna. Il nostro focus dei consumi ci consente forse di dare una risposta. Guardando ai consumi delle famiglie italiane, Possiamo dire che ci fu un lungo dopoguerra, segnato da un tenore di vita e da scarse speranze di cambiamento; il miglioramento a venire ritardo rispetto agli altri paesi europei; e che quando effettivamente avvenne, più selettivo. Questo è il punto centrale. Non riguarda tutti.Sì si comparano dettagliatamente famiglia di impiegati europei simili per reddito e il numero di figli, ci sono molte somiglianze, ad esempio nel possesso dell’automobile; invece ci sono marcate differenze nelle famiglie operaie europee, e ancora peggio va per Gli agricoltori. In sostanza, nel periodo del miracolo, è la classe media a migliorare rapidamente i suoi consumi, Mentre operai agricoltori restano in gran parte esclusi. E questo a differenza del Nord Europa, dove l’allargamento dei consumi interessa invece larghe quote di classe operaia. Negli anni del miracolo l’Italia è ancora il paese dei 1000 volti. Tuttavia i grandi mutamenti del periodo di mescolano molti equilibri, si definiscono le differenziazioni, sopra scrivono le classi sociali con nuove identità. La cultura materiale costituisce una parte importante della costruzione di nuove identità, materializza valori comportamenti, Diventa il tramite per rapportarsi e definitiva cercare un’integrazione nella società. 1.2 Immigrati Centinaia di persone arrivano ogni giorno sulle panchine però viale della stazione di Milano, Torino e Genova con i treni della speranza. Sono gli anni 50 e 60. Davanti al loro la promessa di un futuro migliore. In questo passaggio da un luogo geografico a un altro, da una cultura contadina a un’altra urbana, è più facile vedere il significato della cultura materiale. Dimmi grati cambiano molti oggetti, che sono artefatti materiali ed elementi simbolici, e grazie ai quali si dà un senso alla realtà, si intessono rapporti sociali, si comunica, ci si distingue. Un bene non assenso di per sé stesso ma solo all’interno della cultura che lo produce. Gli ho getti strutturano la nostra vita e dei fica no i nostri gusti personali, i comportamenti sociali, i significati culturali. Immigrati non lasciano indietro solo una grande casa contadina, ma una struttura organizzata subente definite gerarchie sociali; non abbandonano solidi mobili artigianali, ereditario fabbricati da loro stessi, ma un’economia segnata dall’autoconsumo; se lontano da cibi e pasti che seguono precisi schemi culturali di successione di accostamento. Acquisteranno nuovi oggetti, che materializzano valori comportamenti diversi. La provenienza di questi immigrati e varia. Arrivano da diverse regioni geografiche; molti sono ex salariati agricoli, piccoli proprietari rurali, Non manca una quota di migrazione cittadina. Le prime ondate sono soprattutto giovani uomini; ma presto seguono donne e bambini. Il termine meridionali con cui sono etichettati nasconde enormi differenze materiali culturali. Quale che sia la loro provenienza e cultura, gli immigrati sperimentano importanti cambiamenti. Il primo è la mobilità non si tratta di un salto nel buio, per via della rete sociale di amici e parenti, già migrati prima, che si attiva per trovare una prima sistemazione un primo lavoro saltuario. L’impatto con le città non è così traumatico grazie a questa rete parentale che offre sostegno e di creare luoghi e spazi di sociabilità legati alla memoria di origine. Poi c’è il simbolo del sogno italiano: la tua mobile. O meglio, l’utilitaria, a cominciare dalla Fiat seicento che appare nel 1955. Questa macchina è la risposta un sogno, perché la prima vera auto pensata per tutti. Non che il prezzo sia davvero abbordabile: 590.000 lire (un buono stipendio operaio e al massimo di 70 80.000 lire mensili), Anche se si può pagare in 24 comode cambiali. Anche se l’auto a un difetto nessuno lo ascolta. L’auto è un icona visto tante volte nei film americani. La seicento il sogno di un mondo nuovo e anche quello di una libertà di movimento senza limiti e di una libertà personale inusitata. Il linguaggio che parla questo getto e quello di uno status symbol, di un concreto miglioramento della propria vita, di un senso di appagamento che viene per la prima volta più del consumo che dal lavoro, dalla soddisfazione che possono provare gli immigrati che tornano al paese destate con la prova del loro successo e della loro vita più ricca di cose. Il successo della seicento porta proporre nuovi modelli con la stessa ispirazione, come la 600 multipla e, la 500. Ma quanti dei nostri vicini compreranno davvero l’auto? Quanti immigrati coroneranno il sogno? I dati statistici ci dicono che la diffusione dell’auto inizia lentamente. A partire dagli anni 60 inizia una crescita più marcata, che accelera incredibilmente da metà decennio, quando ogni anno la circolazione cresce di 1 milione di veicoli. Ma l’ automobile suscita un atteggiamento ambivalente. L’ automobile è l’icona del nuovo passaggio urbano e industriale della contemporaneità; Esprime mobilità spaziale sociale, afferma il valore dell’individualità; inaugura nuove modalità di lavoro e consumo. Tutto ciò la rende bene più desiderato Dagli italiani. Ma nel momento stesso in cui inizia a divenire un consumo diffuso, ecco che si sollevano critiche e obiezioni. La automobile e circondata da una specie di dubbio morale. Sotto ufficiali e graduati dell’esercito ancora nel 1958 non hanno il permesso di acquistarne una. E, preti e monaci possono farlo solo con un’esplicita autorizzazione dei loro superiori, e restrizioni più rigorose valgono per i frati gli ordini femminili; non parliamo poi delle Donne, che sui giornali e nelle conversazioni sono oggetto di critiche, sulla loro inettitudine alla guida per via della loro emotività, disattenzione, avversione tutto ciò che tecnico. E lo stesso vale per i giovani, del tutto immaturi di fronte alla responsabilità della guida. E chiaro è che l’automobile è vista come un mezzo per sfuggirvi, per trasportare questi soggetti deboli in luoghi sconosciuti, e commercializzazione da parte delle imprese, i livelli di reddito delle famiglie. Tra quelli culturali, mi sono gli aspetti simbolici legati al consumo di questi apparecchi cominciando dai messaggi pubblicitari e dalla comunicazione giornalistica, eccetera. Ma la valorizzazione politica e culturale della famiglia intima, rinchiusa al suo interno, dove la privacy rappresenta un valore centrale e tutti significati più profondi sono rapportati all’esperienza familiare, porta queste funzioni all’interno della famiglia che diviene un piccolo universo soprattutto per la donna. Lo stile è meglio di consumo americano ha costituito un importante riferimento per questa costruzione. La nuova famiglia a meno figli, gode dell’assistenza pubblica e può pagarsi beni e servizi in misura prima impensabile. È quindi più autonoma, Indipendente e può costruirsi uno spazio domestico tutto suo. Si assiste a un forte aumento di famiglia ristretta e alla contrazione delle famiglie numerose allargate. Elemento del reddito è un’altra componente fondamentale; non a caso, le maggiori trasformazioni avvengono all’interno del ceto medio, quello che davvero beneficia del miracolo economico: ora costituisce un terzo della popolazione, tanto che l’intera società non è più rappresentabile come triangolo, come mezzo secolo prima, ma come un pentagono con un’ampia base, un largo corpo centrale, un vertice sempre ristretto. E rispetto al ruolo delle donne? Cos’hanno rappresentato gli elettrodomestici per l’identità femminile? Le pubblicità li presentano come strumenti di liberazione dalla fatica, di conquista di nuovi spazi perse e per la famiglia. Gli spazi di tempo sono utilizzati per la cura di se stesse, per il divertimento, per attività lavorative, per migliorare le performance casalinghe. Essi non hanno inciso sulla Divisione dei ruoli all’interno della famiglia e sulla figura sociale della casalinga; spesso a comportato una moltiplicazione dei ruoli e mansioni intorno alla figura femminile, che finisce per assommare faccende domestiche e lavoro esterno. È interessante notare la presenza della stessa ambivalenza che avevamo visto nei confronti delle automobili. L’accettazione degli elettrodomestici non è sempre facile all’inizi: molte donne temono che siano in qualche modo pericolosi, in grado di mettere in dubbio le Loro qualità come donne di casa. La lavatrice è pratica, ma si sa, rovina e strappa i tessuti; Se si vuole un bucato davvero pulito, bisogna lavare a mano; i nuovi detersivi lavano bene, Ma sono nocivi. Il frigorifero è comodo ma bisogna curare molto l’igiene e pulirlo con soluzioni a base di aceto. E, con il tempo, però, e anche intorno agli elettrodomestici che si definisce l’identità della casalinga moderna, più efficiente, competente, attenta al risparmio e alle differenziate esigenze di tutti membri della famiglia rispetto alla vecchia massaia. Il significato degli oggetti e condizionato da una rete di significati culturali e sociali; tuttavia gli agenti hanno anche un loro linguaggio, che proviene dalla loro forma, dei loro usi, delle loro traiettorie, cioè dei loro spostamenti nello spazio e nel tempo. Per esempio, il loro insito pericoloso uso del colore bianco vuole rimandare all’idea di pulizia e ordine, rinviare idealmente alle ceramiche del lavabo o a quelle del bagno, che devono provare visivamente la loro igiene. Poi la loro forma: si presentano come avvolgenti scatole a forma di cubo o parallelepipedo, con pochi semplici dispositivi di comando. Ecco un punto interessante: la tecnica è esposta visibilmente nell’automobile e domanda un coinvolgimento dell’utente; essa è invece nascosta negli elettrodomestici e non richiede forme di attenzione. Vediamo come i prodotti tecnologici usino un linguaggio diverso e costituiscono un differente rapporto con la sfera maschile e quella femminile. Con la negazione della loro essenza tecnica, i nuovi apparecchi sono accettati più facilmente e assunti nell’ambito di attività delle donne; perciò si presentano come una sorta di oggetti di arredo. Eccoci in camera da letto. Qui poco è cambiato: il letto matrimoniale occupa gran parte dello spazio, a fianco a un grande armadio quadrato con variante, di fronte un mobile basso con la specchiera incorniciata; la stanza un aspetto intimo, chiuso, e ci rimanda ad atmosfere antiche, nonostante i mobili moderni; è una stanza importante che riflette il peso della gerarchia familiare. Apriamo l’armadio: cioè la parte del marito, con un abito da sera, giacché e completi interi grigi e blu da lavoro, secondo la bipartizione giorno-sera; vestiti più belli sono fatti a mano da un Sarto, come le giacche, i pantaloni sono invece confezionati. Ci sono due cappotti, un impermeabile; capelli camice perfettamente stirate, tutte confezionate; le cravatte dei colori sobri a righe o fantasie geometriche. Dall’altra parte ci sono maggiori novità: vestiti e vestitini di varie fogge, da ieri, gonna e camicetta, E la novità dei pantaloni; un cappotto, un soprabito, impermeabile; guardaroba più ricco del passato che comprende abiti di pregio fatti a mano ho comprato in boutique, che ricordano l’alta moda francese. In un cassetto troviamo la biancheria intima, bigiotteria, e cosmetici. Novità. Dell’ottocento il trucco è associato a donne presenti negli spazi pubblici, e quindi di dubbia moralità. Negli anni 50 la spinta alla domesticità privata, non è favorevole alla diffusione sociale dei cosmetici, anche se essi sono usati apprezzati da dire dello spettacolo e donne delle classi elevate, che sfoggiano rossetti infuocati, alte sopracciglia ben definite, ombretti colorati. Come dire che la cura cosmetica ha un significato di classe. Tuttavia in quegli anni prende piede il processo di democratizzazione del lusso, in questo caso la diffusione dei cosmetici fra la classe media, compiacere nuove forme di distribuzione e strategie commerciali che offrono prodotti a prezzi molto più bassi. Questo processo è associato a una valorizzazione del corpo femminile che trova espressione anche in campo pubblicitario ed è legata ai nuovi ruoli sociali che la donna è chiamata a svolgere. Urbanizzazione accelera le occasioni di contatto sociale, Italia conosce un breve boom di lavoro femminile tra il 1958 e il 1963, concentrato nelle fasce d’età giovanile. Frey vari cosmetici, quello che assume una valenza simbolica e il rossetto. I cosmetici, insieme ai gioielli industriali ai vestiti, sono quindi un veicolo di costruzione di una figura femminile più sensuale e più aperta agli spazi pubblici, che valorizza se stessa invece di annullarsi nel sacrificio a favore della famiglia. Sul comò troviamo varie bottigliette di profumo, uno è chanel N.5 , Il profumo dell’attrice icona del tempo, Marylin Monroe. In questo periodo si verifica un piccolo album delle spese relative all’igiene e alla bellezza personale, sintomo del valore attribuito alla socialità e urbanità. Le agenzie pubblicitarie afferrano perfettamente l’accresciuto ruolo dell’igiene della valorizzazione del corpo. Ma il profumo rimanda significati dei più profondi e tradizioni ancestrali. Fin dall’antichità simboleggia l’anima e la purezza contrapposta alla corruzione del corpo fisico; Nel XX secolo i bagni frequenti, e più tardi le docce, assicurano la pulizia e la purezza del corpo; la successiva profumazione aspira ad una specie di trasfigurazione, risponde al desiderio di raggiungere una bellezza perfetta. La nostra padrona di casa schiera un bel po di eau de toilette, ed essenze fruttate. Il suo compagno proprietario di una solida bottiglia di profumo, una fragranza secca e aggrumata. Uno solo, per non correre il rischio di passare per effeminato. Il gioco di rimandi di genere sui consumi ci induce osservare un bellissimo orologio da polso, poggiato sul comò, vicino ha una schedina della Sisal e un pacchetto di sigarette nazionali. È uno Zenith in acciaio, Con cassa rotonda. Cinquant’anni prima nessun gentiluomo si sarebbe sognato di portare una stravaganza simile, un orologio da polso. Esistevano da tempo, ma erano piccoli e di materiale prezioso: si trattava di gioielli per le donne; gli uomini portavano orologi da tasca, molto più robusti, precisi e ricchi di funzioni. È la grande guerra, con le sue esigenze di praticità e precessione, a diffondere gli orologi da polso fra ufficiali e soldati. Così questo strumento comincia ad acquisire caratteristiche di mascolinità. Il messaggio passa dalla preziosità estetica alla funzionalità tecnica. E solo negli anni 60 che si assiste a un vero boom, che diffonde l’orologio da polso fra le classi medie. In primo luogo fra gli uomini, e dei quali diventa un oggetto fondamentale sia dal punto di vista simbolico, perché rappresenta il tempo del lavoro, sia da un punto di vista pratico. Il bagno è bianco, con qualche accessorio di colore pastello; funzionale, con un’attenta disposizione di Pasca, lavandino, Water e bidet in uno spazio ristretto. Notiamo il moderno mobiletto a specchi sopra al lavandino, il nuovo scaldabagno a gas, il cestello porta biancheria seminascosto tra bidet e moro, in fondo, saponi Shampoo, bagnoschiuma;Non diamo una seconda rivoluzione: la plastica. Il catino e di polipropilene isotattico, ma moplen. Gli articoli così prodotti sono infrangibili, leggeri, resistenti, poliformi. Entrano nelle case come getti poveri, due quotidiano, colorati; sono cartine, piatti, bicchieri, palette, barattoli, eccetera. La diffusione di questi oggetti a una motivazione pratica, legata alla funzionalità e la legge abilità, e una economica, legata al bassissimo costo. Ma ne ha anche una simbolica: in carne fascino della modernità in un’epoca tratta dal futuro dal progresso tecnologico. Dunque , Alle antiche strutture azioni simboliche della casa (privato-pubblico, maschile- femminile) se ne aggiungono di nuove, la prima ruota intorno alla categoria della funzionalità (funzionalità-in efficienza), la seconda corrisponde alla contrapposizione naturalitá- artificialità. tutto quello che si Riferisce alla natura, e all’antico, a più valore di quello che è artefatto, Moderno. E gli arredi di pregio sono realizzati con materiali nobili, come il legno, il marmo, il vetro e metallo; non con la plastica. Comunque, questa è una concezione tutta ideologica e culturale di massa, perché il legno dei mobili è Ben diverso da quello esistente in natura, e cioè trattato, piegato, dipinto, lucidato, eccetera. La presenza della plastica fa emergere un valore profondo della cultura contemporanea che orienta e struttura il paesaggio degli oggetti nella domesticità. Come introdurre allora tra le famiglie italiane un materiale così ambivalente? Si fa uso di un comico molto popolare e che si realizzano Mato carosello spot comici che rimandano a una assicurante atmosfera casalinga. La notorietà che ne segue apre la porta ai nuovi prodotti, che entrano nelle case con i loro colori vivaci, rosso verde blu e portano le loro forme funzionali, i rumori attutiti. La notorietà che ne segue apri la porta ai nuovi prodotti, che entrano nelle case con i loro colori vivaci, rosso verde blu portano le loro forme funzionali, i rumori attutiti. Anche i rumori sono cambiati.Sono scomparsi lo scricchiolio del parquet e dei vecchi mobili, il ticchettio dell’orologio a pendolo, eccetera. Tutto è divenuto più soft, più urbano. Più silenzioso. Ai rumori del passato si sostituiscono quelli blandi e continui di sottofondo: il ronzio dei motori elettrici che si ricaricano, un brusio meccanico dall’esterno, E musica. Il suono cioè guidato nel salotto. Meglio nel salottino, Perché è ben diverso dall’ambiente maestoso e ampio di una volta. Nella stanza vediamo divanetto due poltrone di velluto rosa chiaro, con sottili gambe a cono rovesciato e la punta metallic, Perché è ben diverso dall’ambiente maestoso e ampio di una volta. Nella stanza vediamo divanetto due poltrone di velluto rosa chiaro, con sottili gambe a cono rovesciato e la punta metallica, Disposte intorno a un tavolo lucido di materiale indefinibile. Sul fondo, tende bianche fino a terra si arricciano in ampi drappeggi, lasciando trasparire la luce del giorno; da un lato, un basso mobiletto-barra dello stesso stile nasconde una piccola sorpresa: se si apre lo sportello, la luce nascosta illumina il rivestimento interno specchi. Troviamo aperitivi, amari. Quello che è cambiato è l’assenza di quel carattere scenografico che aveva il salottino antico, costruito per la socialità e l’ostentazione di status attraverso innumerevoli preziosi soprammobili.Questo salottino e disposto come una platea: divanetto e poltrone in effetti sono rivolti verso una parete occupata da un moderno mobile componibile, con ripiani adibita libreria, altri che ospitano piccoli ninnoli o sono chiusi da ribaltine di legno e vetrinette. Su di uno c’è un giradischi abbinato alla radio, e accanto una pila di dischi in vinile a 33 giri; nel centro troneggia la televisione. Ecco dunque perché la disposizione dei mobili e degli arredi e così mutata: non siamo più nel luogo consacrato alla socialità, ma non ho spazio specializzato del consumo culturale. Un consumo molto limitato. E l’ultimo gruppo di consumi, dopo le spese igienico sanitarie; tutta via sto assumendo un ruolo particolare per le sue continue trasformazioni e per il formidabile impatto culturale che porta con se. Sappiamo che le spese per il divertimento la cultura ci sono sempre state: nell’Italia liberale la forma predominante era il teatro che rispecchiava la cultura dell’epoca; poi si è passati al cinema, che già negli anni 30 era diventata la prima vera forma di spettacolo di massa, veicolando aspirazioni e nuovi modelli di vita. Ora assistiamo a due importanti fenomeni. Il primo e lo sviluppo dei consumi culturali domestici, la tendenza a consumare sempre meno all’esterno e sempre più nella propria casa. La radio e il primo tra gli importanti mass media spingere in questo senso: prima della guerra non aveva mai raggiunto i 2 milioni di abbonamenti, dopo sale vertiginosamente e nel trentennio 1957-59 raggiunge il picco di 6 milioni di abbonamenti. Segui la televisione, Che è una crescita fulminante: dal suo esordio nel 1954 al 1970 registra quasi 10 milioni di abbonamenti. È evidente il trasferimento del pubblico da un mezzo all’altro e la privatizzazione del consumo, testimoniato dall’alto numero di apparecchi venduti. Il secondo fenomeno e la creazione di mix di consumi, dovuto alla moltiplicazione dei media disponibili. Quindi non si va più a teatro oppure al cinema, ma si va al cinema ogni tanto, A teatro quasi mai, si ascolta spesso la radio e si guarda sempre la tv A teatro quasi mai, si ascolta spesso la radio e si guarda sempre la tv. Al primo posto per la diffusione all’inizio degli anni 70 troviamo I quotidiani, subito dopo la televisione, abbiamo quindi riviste settimanali, e poi la radio. Nella parte bassa della classifica troviamo le riviste Dall’America e dalla Gran Bretagna Arrivano i nuovi divi, Beatles, Rolling Stones, Doors, Rockers, E anche una canzone italiana cerca di adeguarsi. Fra gli oggetti, sono segnali distintivi abbigliamento, accessori, taglio di capelli. Ragazzi portano capelli lunghi, blue-jeans (teddy-boy), già anche il latte, maglioni, maglietta righe o camice bianche e colorate. Mi ragazzi capelli lunghi o corti a caschetto, mi abiti, jeans, cinture vistose, scarpe con tacco stivali, ma non molte le fantasie geometriche, i richiami cosmo nautici, gli accostamenti a tinte forti. Si fa abbondante uso di trucco, da ragazza del Piper. Si diffonde il movimento hippy con il suo gusto esotico Leo orientale. L’abbigliamento mostra chiaramente la ricerca di nuovi modelli estetici, oltreché politici, insegui diverso, antitradizionale come forma espressiva autonoma, rifiuta le rigidità nel vestiario come quelle sociali. E anche la riscoperta e valorizzazione del corpo, se femminile sia maschile, che non è più occultato mai risposto nell’abbigliamento a un ruolo crescente la plastica: collane, bracciali, figlie, paziente, accessori vari; fibre simpatiche sono presenti molti casi degli amento e soprattutto in un nuovo indispensabile prodotto: i collant.Dopo le calze di naylon, E con lui comparire i mercati realizzati dalla Du Pont In una fibra poliuretanica elastica, morbida e leggera: nella stampa. La casa commercializzare articolo come calza curativa ma il successo della minigonna lanciata da Mary Quant trasforma presto in un importante complemento dell’abbigliamento. Possiamo interpretare tutto ciò con una forma di contestazione politico-sociale? Eppure giovani, non usano linguaggio rivoluzionario, parlano di voglia di libertà, del gusto di stare insieme. Giovani usano processi di ibridazione e assemblaggio Di materiali diversi, che possono venire dai media, dalla moda, dalla pubblicità consumistica, nell’esempio di coetanei, dall’estro personale, Che creano o nuovo insieme finale. In questo modo gli ho getti cambiano significato, perché vengono decontestualizzati, trasformati: i simboli consumistici, fuori dal loro contesto originale, paiono come segno di riconoscimento. E così che nasce uno stile, il cui fine è quello di costruire un’identità specifica, diversa da quella di provenienza, e di comunicare all’esterno questa alterità. Nella loro rielaborazione attiva dei messaggi consumistici, i giovani partecipano così a modalità tipiche dei decenni futuri. Non tutti i consumi sono ugualmente provati dalla società e non tutti consumi sono leciti. La linea che traccia il confine però non è sempre univoca e cambia con il tempo . vediamo susseguirsi cicli di tolleranza e di repressione. Certi consumi sono regolari socialmente e non possono essere usufruiti le singoli al loro piacimento, per cui si può parlare di un edonismo addomesticato. Prendiamo l’alcol.. A inizio novecento il vino era un vero e proprio di mente della ditta dei contadini, tutta via il suo muso era contrapposto a quello di bevanda borghese come il caffè, che mantenevano lucido e stimolavano al lavoro. Le invettive contro l’alcolismo sono una costante delle campagne di moralizzazione della classe operaia, ma non si verifica mai una vera e propria proibizione. Altrettanto ambigua e la Storia del tabacco.Sottoforma di sigarette, e distribuito ai soldati e diviene un simbolo di vita attiva, dinamicità, socialità, forse per questo inizia essere apprezzato anche dalle donne a partire dagli anni 50. L’ultima fase vede la via di campagna salutistiche e proibizioniste nel secondo novecento. Esistono poi i consumi legali, a cominciare da quello di droga. Anche qui però la storia in mente piuttosto complicata. In Gran Bretagna l’occhio era importato da secoli dalla Turchia è venduto liberamente come base per preparati medicinali; nell’ottocento la produzione esplode grazie alla sua coltivazione in India. Inglesi cominciano a guardare la sostanza diversamente, come una droga esotica, piacevole, corruttrice; letterati ne diffondono un’immagine ambigua. Il consumo aumenta finché nel 1920 l’oppio viene dichiarato il legale. E nella vita quotidiana che si definiscono pratiche, relazioni, significati e che la grande trasformazione degli anni 1950-70 è passata, oltre che nelle fabbriche, campagne e città, nelle case. 2. Politica, cultura e welfare state. E negli anni 50 che compare la parola consumi. Il ruolo dei consumi nei processi di crescita e trasformazione in atto e talmente evidente che non può essere ignorato; il problema semmai è come giudicarlo. E negli anni 50 che compare la parola consumi. Il ruolo dei consumi nei processi di crescita e trasformazione in atto e talmente evidente che non può essere ignorato. E, il problema semmai è come giudicarlo. Molti si disinteressano al problema perché non attiene alle cose alte della politica e dell’economia; Non si identifica con un partito o movimento, al massimo si spirale modi americane. Altri però temono che i mutamenti sul piano della quotidianità abbiano un’influenza nel lungo periodo e portino a forme di omologazione. I pareri sono però discordi. Gli economisti in quegli anni sono protagonisti di progetti per indirizzare la crescita economica, come piano Vanoni le politiche di programmazione. Ebbene, la loro analisi parla di “distorsione dei consumi“ gli italiani privilegiano consumi “opulenti“ tipiche dei paesi più sviluppati, invece di acquistare prima i beni necessari: si buttano su auto, elettrodomestici e televisioni mentre magari vivono ancora in baracche o case senza servizi igienici e mangiano pasta in adeguati. Inoltre posta porta in fasi sui consumi privati anziché sui consumi collettivi di base, per i quali dovrebbe intervenire lo Stato. il suggerimento è quello di comprimere o rimandare i consumi di lusso e sviluppare in questa fase i consumi pubblici primari. Va anche ricordato che diffuso a livello internazionale il concetto di “sviluppo come crescita“ cioè la convinzione che il benessere del paese sia automaticamente dipendente dal suo tasso di crescita economica, misurata dal Pil, e quindi gli investimenti abbiano un’assoluta priorità;I consumi così limitando il risparmio bruciano preziose risorse. E poi il risparmio vanta un’aura etica. No maggiore comprensione viene dai partiti politici. La democrazia cristiana e diffidente verso forme di consumo troppo incentrati sulla modernità che possono mettere in ombra il ruolo della Chiesa, minando le istituzioni e le basi stesse dei valori cattolici; il partito comunista e dubbioso sugli effettivi miglioramenti della classe operaia e sulle capacità Del capitalismo di promuovere un vero sviluppo: consumi sono inganno, una fatale illusione dei media. Dibattito intellettuale che si accende proprio negli anni 50 60 e su questi temi. Il punto di riferimento obbligato sono le opere di Adorno e Horkheimer e della scuola di Francoforte, in particolare la famosa “dialettica dell’Illuminismo, dove si parla di consumismo, cioè di consumo sfrenato e qua attivo indotto dall’industria culturale. Esso diventa un nuovo oppio dei poveri, abbagli e lavoratori induce a spendere guadagni per acquistare sempre nuovi beni di consumo, in un circolo senza fine: È il modo in cui il moderno capitalismo ingloba anche la classe operaia i suoi meccanismi di funzionamento. MARCUSE Sottolinea i processi che portano alla manipolazione dei bisogni e creano un conformismo di massa, con il fine di assicurare un controllo ad unitaria dall’alto. DEBORD Ritiene che tutto sia tramutato in un gigantesco spettacolo, e che il consumo-spettacolo sia il meccanismo basilare per l’esercizio del potere nella società contemporanea. BAUDRILLARD porterà a compimento questo di pressioni: le esperienze che ci derivano dal consumo sono ormai più efficaci di quelli reali E soppiantano la realtà: la simulazione delle merci ci fa smarrire la distinzione fra ciò che è vero e ciò che è falso. In Italia una voce controcorrente e quella di Pierpaolo Pasolini. E usando la metafora della scomparsa delle lucciole per dimostrare che mentre infuriano le battaglie ideologiche e palazzo vuole esercitare il suo potere repressivo, qualcosa di drammatico succede nella società italiana: come le lucciole, sparite per inquinamento, così l’intero vecchio universo agricolo e palio capitalistico di deposta una civiltà nuova, totalmente altra, la civiltà dei consumi. Le città italiane parlano dello stesso cambiamento: le vecchie periferie operaie sono scomparse, soppiantate da quartieri senza anima; i centri urbani non richiamano più la continuità della tradizione umanistica, ma sono il problema della loro preservazione fisica; le campagne non rimandano alle origini della civiltà, ma weekend e seconde case. I cambiamenti nella quotidianità sono cambiamenti indotti da un potere ancora più forte da quello espresso dalla politica, cambiamenti che lo portano a un totale rifiuto umano, politico, culturale, estetico. Nella sua visione non c’è speranza per il futuro, che si presenta apocalittico, e non resta che rifugiarsi nel sogno di un passato contadino a temporale e mitico, ben diverso da quello che fu in realtà. Nell’Indagine condotta da Lidia De Rita, la televisione non è vista dei contadini come un consumo superfluo ma come un bene che consente una migliore conoscenza del mondo. Un secondo aspetto che emerge dall’inchiesta è che sulle trasmissioni più diffuse c’è un continuo dialogo: si parla, si discute, si ricorda, si ripetono insieme frasi motivi musicali; i nuovi consumi culturali stimolano la comunicazione e nuove forme di socialità fra gli spettatori. Risalta infine la centralità del divertimento, Una necessità dell’individuo, rispetto alla tradizionale etica fondata solo sul dovere del lavoro il valore del sacrificio. Quello che vediamo qui e la presenza di una nuova cultura del consumo. E una cultura che nasce dei nuovi oggetti, si sviluppa nella quotidianità, investe famiglie e individui, forma identità trasversali, crea differenti priorità di valori, da voce a nuovi oggetti, inventa linguaggi simbolismi. E questa cultura che spiega perché l’italiani acquistano nuovi beni di consumo seguendo modelli comportamentali simili a quelli dei paesi più ricchi. Tuttavia il tono prevalente è quello di critica e opposizione verso il consumismo. Almeno sulla carta. La DC non tarda a comprendere il significato politico che una forte crescita economica può avere per la stabilizzazione del paese, qualunque forma essa prenda, compresa quella del consumismo. Per molti è la risposta per risolvere un po’ di problemi: un miglioramento degli standard di vita può infatti stemperare le tensioni sociali, creare un consenso trasversale e combattere la società in senso interclassista. La ricetta americana di integrazione sociale tramite consumi a scuola. E i beni di consumo diventano un indicatore fondamentale del benessere raggiunto, la misura della mobilità sociale. Giulio Andreotti esprime questa posizione, in polemica postuma con un Pasolini che aveva criticato una politica troppo improntata ai valori materialistici. Cavalcare lo sviluppo e la ricetta migliore per il paese e per il governo. Si dispone anche di un enorme apparato di industrie statali E, soprattutto della potente leva dei consumi pubblici. Il fascismo aveva portato tutti gli effetti la sfera dei consumi all’interno del discorso politico e non sarebbe stato possibile tornare indietro. Le esigenze di redistribuzione del reddito E di giustizia sociale, espresse sia dalla DC sia dai partiti della sinistra, potevano trovare piena espressione attraverso questo canale. Ecco dunque che la costruzione di un Welfare State diviene centrale negli equilibri della Repubblica. Parlando di Welfar Vanno sottolineati i tre aspetti. Il primo è la continuità con i periodi precedenti. L’Italia repubblicana eredita un complesso di norme e istituzioni che mantiene apparentemente senza variazioni (viene eliminata la F che sta per fascista e diventano Inps e Inail). Ma nell’ispirazione che guiderà i governi repubblicani c’è una fondamentale differenza: i benefici non sono più mirate e specifiche categorie ( Lavoratori dell’industria, dipendenti pubblici, donne in maternità, eccetera)ma tendenzialmente a tutti. Le motivazioni alla base di questo mutamento ci portano al secondo. Il Welfare è considerato un elemento costitutivo della democrazia del dopo guerra. Esso nasce ufficialmente con il famoso rapporto che William Beveridge Pubblica nel 1942, in pieno conflitto contrapponendo il contemporaneo stato di guerra a un futuro assetto di pace e benessere che garantisca libertà dalle cinque grandi schiavitù: bisogno, malattia, ignoranza, miseria, ozio. La costituzione della cittadinanza conosce tre fasi: la prima è quella del riconoscimento dei diritti civili (diritti individuali legate alle libertà personali, di espressione di fede, pensiero e parola, diritti collettivi di associazione politica e sindacale) e vede la sua attuazione intorno al settecento; la seconda è l’ottenimento dei diritti politici (diritto di eleggere e farsi eleggere), che avviene gradatamente nell’ottocento con l’estensione del suffragio universale; infine, La terza è quella dei diritti sociali di cittadini (istruzione e servizi di base per tutti), che si verifica nel 900. Solo il godimento di tutti e tre i tipi di diritti garantisce l’effettiva appartenenza alla comunità. Se c’è un elemento che caratterizza i paesi europei all’esterno, oltre che al retaggio culturale, questo è probabilmente il Comune riferimento allo stato sociale, alcuni parlano di un bere proprio modello europeo che ruota intorno allo Stato. Quindi la costruzione del Welfare non avviene solo in base esigenze di politica interna, ma entro chiari riferimenti internazionali. Il miracolo economico consegna ai governi ampia disponibilità finanziarie da investire nei settori in cui si avverte un ritardo rispetto al resto d’Europa (istruzione, assicurazioni sociali). Con queste premesse, la spesa pubblica si sviluppa impetuosamente. Si può dire che nel periodo 1950-73 venga letteralmente edificato il moderno Welfare italiano . Alcune spese diminuiscono in percentuale (quelle istituzionali, come amministrazione e difesa); altri crescono (istruzione e soprattutto trasferimenti dovuti a sanità, assistenza e previdenza). La presenza dello Stato in questi settori alleggerisce la corrispondente spesa privata, favorendo l’espansione dei consumi e liberando risorse per altri scopi. I governi del dopoguerra investono molto nell’istruzione per cui già nell’immediato dopo guerra il livello di spesa sia cresciuto rispetto al periodo fascista, è un nuovo balzo si verifica negli anni 70 quando la spesa per l’istruzione, a valori costanti, supera per la prima Volta quella per le opere pubbliche. I motivi di questa politica sono vari. I tassi di analfabetismo e quelli di abbandono scolastico sono ancora alti in Italia, e questo è proprio nel momento in cui il boom economico richiede manodopera maggiormente qualificata. contemporanea. La pubblicità e una narrativa. In questo periodo cambiano molte cose. Manifesti spettacolari come quelli di Leonetto Cappiello e fortunato del pero o che Dudovich Realizzava per la Rinascente appaiono obsoleti sotto l’aspetto tecnico: ora non si punta più tanto al lato artistico, all’estro creativo del disegnatore-artista, ma 1.00 visione del lavoro in agenzia tra Art diretto, che si occupa dell’immagine, e copywriter, che scrive slogan e testi anche musicali. Alle prime agenzie italiane degli anni 30 si aggiungono nei primi anni 50 e succursale delle grandi imprese anglosassoni a Milano che si portano dietro Ricky contratti con le aziende americane è un complesso di tecniche di lavoro che fanno scuola in Italia come del resto del mondo. La teoria pubblicitaria di inizio secolo faceva riferimento soprattutto alla psicologia. Si riteneva che il manifesto dovesse colpire il consumatore grazie un messaggio forte e continuamente ripetuto, in modo da esercitare un grande potere persuasivo. L’effetto dipendeva quasi tutto dell’efficacia dello stimolo, il ricevente era facilmente condizionabile. E si comincia a sospettare che il consumatore filtrasse messaggi non solo attraverso le sue preferenze individuali di gusto ma anche attraverso la sua posizione nella società, il reddito, in genere, l’Italia, l’istruzione: non esiste un consumatore-tipo, ma tanti gruppi diversi con modi di vita differenti.La Galup e la niente se non in augura una felice stagione di ricerche sul campo sociologico già fra le due guerre. In Italia il primo istituto di ricerca e la Doxa, fondata nel 1946, finanziata dal mondo dell’industria. Essendo la pubblicità una scienza oltre che una tecnica, prima di realizzare qualsiasi messaggio è necessario svolgere accurate indagini di mercato. Essendo la pubblicità una scienza oltre che una tecnica, prima di realizzare qualsiasi messaggio è necessario svolgere accurate indagini di mercato. I vecchi poster sono obsoleti per il linguaggio: slogan immagini evolvono e si semplificano per adattarsi e stili di comunicazione correnti, un pubblico di massa, a mezzi di comunicazione diversi, per cui una stessa campagna deve saper parlare attraverso la carta stampata, la televisione, la radio, i manifesti stradali e gli spazi del cinema. In settori dinamici come la chimica e la meccanica si sente la presenza della grande impresa, anche pubblica. Prendiamo la chimica. Il ruolo della Montecatini nella produzione di plastica, di fibre e prodotti sintetici, entrano poi molti beni finali di consumo. La crescita più spettacolare e quella dei detersivi, legata anche la diffusione delle lavatrici. C’è una ragione tecnologica è una commerciale: si diffondono i detersivi sintetici e si scatena una guerra internazionale tra i principali gruppi mondiali per accaparrarsi quote di mercato, per la quale sono investite cifre enormi e mobilità delle principali agenzie pubblicitarie. Cosa significa questa esplosione di visibilità per un prodotto di basso costo e umile, destinato alle massaie? Il risultato finale sarà la conquista stabile di un posto in prima fila tra i consumi per prodotti come detersivi e detergenti per la casa E il formarsi di oligopoli internazionali. Le cose stanno diversamente nella meccanica. La Fiat soddisfare il mercato interno . Nel 1975 sono italiane l’80% delle auto circolanti nel paese. E le cose vanno anche meglio per le motociclette: la vespa Piaggio. Ma le esperienze più originali si hanno nel campo degli elettrodomestici. Le imprese che si sviluppano nella loro produzione soddisfano i tre quarti del mercato interno. Due cose gli accomunano tutte: la prima è la estensivo ricorso alla pubblicità, necessaria per lanciare nuovi prodotti, spiegare loro funzionamento e ancor più la loro necessità in una casa moderna; la seconda è l’incapacità di consolidarsi sul mercato dopo una fulminea espansione, e la caduta di molte di loro nel momento in cui il mercato Diventa saturo e la concorrenza più forte. Ma siamo al settore alimentare. Un esempio. Per conquistare la leadership, Pietro Barilla punta molto sulla pubblicità: un luogo ben identificabile, un confezionamento in scatole blu altrettanto riconoscibili, una presenza costante sui giornali e televisione, cercando di sollecitare le donne moderne e affidandosi a testimonial d’eccezione, come la cantante Mina. Interessante notare come le strategie commerciali prestino molta attenzione al genere all’età. I prodotti per cucinare, finiti o più spesso semilavorati sono decisamente indirizzati alla casalinga. Sono identificati da un packaging tecnico, comunicativo e funzionale, USA e getta. I prodotti dolciari sono invece dedicati bambini: mostrano le promozioni pubblicitarie, spesso con pupazzi cartoni animati, le confezioni vivaci e colorati in cartone o derivati plastici. Sono solo negli anni 70-80 che il comparto dolciario cercherà di rivolgersi anche i consumatori adulti. Rispetto alla vecchia dispensa, troviamo cibi industrializzati di marca. Questo passaggio porta prodotti più standardizzati per forma, colore e sapore; i biscotti sono invariabilmente tutti uguali e lo stesso vale per i prodotti freschi. La nuova attenzione per l’igiene e la pulizia è confermata. Imballaggi assumono un ruolo di primo piano, sia per la comunicazione sia per la produzione e l’igiene dei prodotti, e utilizzano nuovi materiali. Un evitabile conseguenza è una certa delocalizzazione dei cibi, conseguente all’accentramento dei gli impianti produttivi.. la moderna dispensa degli anni 70 e la somma dei prodotti sfusi, prodotti locali provenienti da industrie se mi artigianali, prodotti confezionati da grandi industrie. Le manca la consueta ambivalenza verso le novità, soprattutto dopo l’esplosione dei vari scandali legati alle le sofisticazioni alimentari, in particolare per i dati, che danno origine a forme di boicottaggio da parte dei consumatori e richieste di maggiori controlli.I nuovi prodotti non soppiantano del tutto le tradizioni culinarie; l’industria valorizza prodotti alimentari tipici, in particolare quelli meridionali, e li lancia sul mercato nazionale. E qui si innesca la mitizzazione della dieta mediterranea: meglio mangiare meno proteine animali e più pasta, verdura e frutta fresca, olio di oliva. E qui si innesca la mitizzazione della dieta mediterranea: meglio mangiare meno proteine animali e più pasta, verdura e frutta fresca, olio di oliva. La compresenza di grande piccolo, di de localizzato e iperbole, di lavorazioni industriali artigianali, spesso con una lunghissima tradizione alle spalle in grado di produrre beni di qualità a prezzo contenuto, sembra una caratteristica dello sviluppo industriale italiano, il suo limite e la sua fortuna. Ritroviamo anche in un altro settore importante quello dell’abbigliamento. L’abbigliamento è migliorato e si è diversificato. Adesso tutto ciò che è pronto non è sinonimo di cavo povero malfatto. Restano sette sartine, naturalmente, come pure pudica artigianali di peggio; il loro ruolo si ridimensiona. E va detto che a monte dell’abito pronto c’è un’industria tessile di grande tradizione, localizzata in Lombardia e Piemonte, in grado di sfornare tessuti di lana, cotone, seta e anche sintetici di alta qualità. Manca però mercato dell’alta moda italiana, paragonabile a Parigi. I primi tentativi di creare una moda italiana risalivano al fascismo; nel dopoguerra si moltiplicano le iniziative per creare passerelle alternative a quelle francesi. Fra i numerosi tentativi di attirare i compratori esteri, americani soprattutto, spicca quello di Giovanni Battista Giorgini, Buyer in Italia per quanto di grandi magazzini come Marcus, che organizza Firenze dal 1951 il fashion show: Sulle passerelle di palazzo Pitti sfilano grandi nomi della sartoria italiana a cominciare dal fiorentino Emilio Pucci. Presto rivalità interne creano una spaccatura tra Firenze , Che si specializza in maglieria e moda pronta di alta qualità, e Roma, dove si accentra l’alta moda esclusiva, mentre a Milano rimane la fiera del tessile, Mátame, e Torino quella della confezione industriali, samia. Il mondo della moda nasce policentrico. Ma subito un certo successo, per la qualità delle stoffe, per le strade modelli, per lo stile elegante portabile, per i prezzi concorrenziali rispetto a quelli parigini. I problemi però non mancano. L’alta moda, settore e li taglio per definizione, resta un mondo separato rispetto a quello dell’industria, che pure cresce, si concentra, mantiene tuoi standard sartoriali. Ma il mercato sta cambiando. E consumatori sono più richiede esigenti e quando acquistano capi pronti, li vogliono alla moda; non bastano la qualità e il prezzo, l’abito deve esprimere molto di più dal punto di vista sociale individuale, deve essere strumento di distinzione. Si parla sempre più di democratizzazione del lusso la moda si presenta con un valore aggiunto per tutti capi. Un sondaggio della Doxa della 71 mostra come le donne siano molto attive nell’interpretare il concetto di moda, che costituiscono attraverso varie fonti: in primo luogo ascoltano le riviste femminili, guarda nelle vetrine dei negozi e boutique anche per vedere come i vestiti stanno addosso; a distanza seguono le proposte del mondo dell’alta moda, i suggerimenti della sarta e dei grandi magazzini, quello che si vede portato da donne ben vestite. E, infine ci sono i consigli del negoziante di fiducia e delle amiche. I giovani poi inventano una loro moda, fonti moda, cambiano continuamente riferimenti e cominciano a comprare i negozi specializzati in abbigliamento giovane, magari boutique che facevano realizzare a tempi record capi accessori all’ultimo grido in piccole serie da laboratori specializzati, dove trovano blue-jeans, minigonne, bluse, maglioni, Montgomery. Per consolidare lo sviluppo intercettare il nuovo pubblico, manca un ultimo passo: lo sviluppo di un livello intermedio della moda, che sempre abbinare la creatività e qualità tipica dell’alta moda con i vantaggi della produzione di serie grazie a un collegamento diretto Alta moda-industria. Questo passaggio avviene all’inizi degli anni 70 grazie una nuova figura, lo stilista: ne capitano di industria nei sarto tradizionale, egli progetta una collezione improntata al suo stile specifico, collabora con le imprese tessili, segue la realizzazione di modelli passo per passo, presenta le sue opere in una sfilata-evento, rapporti con la stampa specializzata, si occupa dei buyer e della distribuzione.In una Milano che può offrire infrastrutture moderne, spazi fieristici adeguati, attenzione dei media, collegamenti internazionali, vicinanza con le industrie e un variegato retro terra di sartoria semi artigianale di qualità, nasce il sistema moda e si affermano le prime griffe: Gianni Versace, Giorgio Armani, Valentino Garavani e molti altri. Lo stesso processo che avviene nell’arredamento con la comparsa del designer. Si afferma la linea italiana, poi conosciuta come Italian design, già i suoi punti di forza nel tessuto produttivo flessibile E di alta qualità, in grandi personalità (albini, di Castiglioni, Gardella, dannoso, e altri), in iniziative istituzionali (triennale di Milano, fiere campionarie, il premio compasso d’oro della Rinascente) e nell’editoria specializzata (domus, abitare, Casabella). I designer progettano getti per la vita quotidiana che modificano l‘ estetica del paesaggio domestico, valorizzando unificanti oggetti d’uso comune e trasformandone il significato all’interno dell’ambiente. Il messaggio che lanciano e che tutto lo spazio umano importante, tutto può assumere una dimensione estetica; in questo modo rompono il tabù per cui il valore estetico era una prerogativa esclusiva delle Elite sociali che potevano permettersi prezzi costosissimo. Lo stesso processo nuovo fuori dalle case, dove vediamo circolare bellissime auto e moto; persino nel bar, dove le macchine per caffè espresso diventare un simbolo di italianità. Il successo del designer si basa su un equilibrato rapporto qualità prezzo e ai suoi punti di forza nella capacità di lavorare materiali nuovi e tecnologici, come la plastica, insieme a materiali ritenuti nobili; e nella capacità di interpretare in chiave moderna tipici moduli artigianali e di provenienza estera. Un esempio è la super leggera di Joe ponti delle 1957: una sedia ispirata alle tradizionali sedie di Chiavari in legno e giunco intrecciato, ma più piccola, leggerissima e a buon prezzo. Il made in Italy è pronto per spiccare il volo. 4. La grande distribuzione e i supermercati americani. La discussione di Mosca e il supermercato Romano sono solo due esempi della strategia americana che negli anni 50 e 60 punta alla diffusione internazionale dell’american Way of life. Pratici esempi di come gli Stati Uniti siano in grado di assicurare beni di consumo in quantità e qualità superiori a chiunque altro, e con un implicito messaggio ideologico: i bisogni e i desideri della gente comune nella sfera della vita quotidiana sono altrettanto importanti per l’amministrazione usa dei progetti per l’esplorazione spaziale ho delle conquiste scientifiche; Inoltre la libertà di scelta tra prodotti diversi garantita dall’economia di mercato non è che il riflesso della libertà di scelta garantita dalla democrazia. Libertà economica libertà politica sono due facce di una stessa medaglia. La tua spettacolare esposizione di ogni ben di Dio, tutto a portata di mano, tutto potenzialmente comprabile, è un po’ l’incarnazione dell’idea di un benessere è un’abbondanza senza limiti; inoltre costituisce un nuovo importante spazio di consumo che trasforma abitudini e routine quotidiane. Si indica nel King Kullen di Long Island, aperto nel 1930, il primo supermercato modello; la diffusione di queste e forme commerciali negli stati uniti conosci una prima forti andata nel periodo della grande depressione, grazie ai loro prezzi molto concorrenziali, e una seconda partire dagli anni 50, per via dell’innalzamento del tenore di vita e del baby boom. In Europa si diffondono nel secondo dopo guerra, quando importanti catene di negozi alimentari adottano il sistema americano. In Italia le cose sono un po’ più complicate. Abbiamo visto i ritardi e le difficoltà nello sviluppo dei grandi magazzini ed empori a prezzo unico. Il mondo del commercio e quindi ancora decisamente caratterizzato dalla rete di piccoli negozi che, anzi, ha conosciuto una nuova espansione con le migrazioni interne e con l’accresciuto potere di acquisto della popolazione. Negozi non alimentari, infatti, crescono più rapidamente di quelli alimentari. Vanno forte l’abbigliamento, oreficeria, mercerie, profumeria, valigeria, fiori, articoli sanitari, scientifici e sportivi, ecc. , In difficoltà sono invece gli empori non qualificati, i Questi luoghi del consumo mutano il paesaggio urbano. Costituiscono luoghi di aggregazione ritrovo, disegnano nuove geografie. I supermercati si insidiano all’interno di quartieri popolosi, spesso in periferia o semiperiferia, che vengono così valorizzati; e questo però almeno si è somma alla ristrutturazione degli spazi commerciali che si verifica negli anni 50-70 nelle principali città: il numero di negozi rimane stabile o tende a diminuire nei centri storici, mentre tale la concentrazione di esercizi commerciali nelle fasce periferiche e dell’hinterland più esterno. Capitolo quarto La società affluente. 1. L’impatto della società dei consumi. 1.1. Dagli anni 70 al nuovo millennio: luci e ombre. Le polemiche non erano mancate all’inaugurazione di quella mostra al museo Guggenheim Di New York nell’Autunno del 2000. Per la prima volta una delle maggiori istituzioni d’arte al mondo dedicava una retrospettiva a un artista molto particolare Giorgio Armani. Le sale disegnate da Wright Sulla Fifth Avenue Si erano riempite di abiti scintillanti sullo sfondo di originali scenografie e musiche evocative: e con una sala di abiti preziosi bianchi, una di vestiti beige, una di abiti da sera, e poi ancora Jack e destrutturate, tagliare, vestiti portati dei divi del cinema. Abiti indossati da manichini su reali. Abiti che agli occhi dei visitatori mostrano un’ispirazione artistica, una grande maestria nella realizzazione, ma forse sollevano qualche dubbio: i vestiti non sono beni di consumo per tutti i giorni che non rientrano fra gli oggetti d’arte canonici che si vedono nei musei? Ho forse il messaggio della mostra e proprio questo, che anche certi consumi ordinari possono aspirare ad altri significati sociali, Possono diventare opere d’arte? Dopo uno straordinario periodo di crescita nei decenni precedenti, gli anni 70 rappresentano un brusco risveglio per tutta Europa, inizia un periodo segnato dalla depressione economica, decrescente disoccupazione, inflazione galoppante e, soprattutto in Italia, si è alla ricerca di nuovi equilibri politici. I consumi sono la prima vittima del nuovo clima. Da una parte suonano con rinnovato vigore le critiche degli epigoni della corrente radicale che da sempre li condannano come espressione degenerata del capitalismo. D’altra parte, la crisi economica e lo spettro della mancanza di energia proiettano oggettivamente un’ombra oscura sullo sviluppo futuro. Nell’epoca d’oro dello sviluppo si era pensato che il modello industrializzazione occidentale potesse svilupparsi all’infinito, salvo catastrofe. Ora si può non drammatico interrogativo: esistono dei limiti naturali a questo tipo di espansione? Può il nostro paese essere sfruttato consumato senza fine? La crisi del petrolio infondo è la spia di un problema più vasto. Risparmiare diventa allora la parola d’ordine. In Italia inizia l’era dell’austerity, così come è battezzato del governo Roma: bisogna limitare consumi di petrolio e intanto salgono i prezzi di benzina e gasolio; negozi cinema riducono gli orari di apertura; riscaldamento e illuminazione sono regolamentati. L’austerity diventa il simbolo di un possibile futuro, Molto diverso da quello immaginato fino ad allora. Nel frattempo le politiche governative si muovono decisamente per contenere il disavanzo della spesa pubblica, mentre la compressione dei salari reali dovuta altissima inflazione contribuisce a diffondere sfiducia nei consumatori. I provvedimenti colpiscono con forza uno dei consumi simbolo del miracolo economico, l’automobile. E, non si potranno più comprare automobile all’infinito, non si potrà avere abbastanza benzina per tutti. Prospettive apocalittiche dedicate dal Cunnie sembrano materializzarsi. Forse domani ci saranno meno bene di consumo di oggi. In un mondo diventato difficile e ostile le utopie collettive degli anni 70 lascio nel campo preoccupazioni personal. L’economia italiana e quella internazionale negli anni 80 conoscono una nuova fioritura. I consumi riprendono la loro corsa. Per l’Italia si parla dirittura sul piano economico il secondo miracolo, soprattutto grazie al made in Italy e, sul piano sociale, di trionfo del consumismo. È il momento del look, della moda, delle televisioni private, di una seconda un’data di consumi: non più quelli di sussistenza legati alla triade cibo-casa-vestiti, ma vacanze, viaggi, cosmetici, palestre, seconde case, seconde auto, beni voluttuari. La pubblicità fornisce linguaggio le immagini con cui questi anni si rappresentano. Italiani non sono mai stati meglio: vivono nella quinta potenza industriale del mondo I loro consumi si sono finalmente agganciati a quelli medi europei. Già agli inizi degli anni 90 le incertezze che gravano sul mercato del lavoro e sui giovani, il procedere della the industrializzazione, il rallentamento della crescita economica in tutta l’aria europea, la comparsa di nuovi protagonisti a Oriente, il terrorismo internazionale, Le preoccupazioni per l’ambiente, l’erosione del Welfare State E infine la globalizzazione si riflettono in un’attitudine più ponderata nel campo dei consumi, che vede l’emergere dei prodotti tecnologici che conosce una forte diversificazione.Messo in ombra il concetto di classe, studiosi e pubblicitari preferiscono parlare di stili di vita diversi per spiegare la crescente segmentazione del mercato. I’ingresso del nuovo secolo E più all’insegna di domande e di risposte. E più all’insegna di domande di risposte. Gli anni 70, sono gli anni della crisi per eccellenza, gli anni di piombo, uno dei periodi più difficili della storia italiana, secondo molti. Ebbene consumi privati mostrano un andamento inaspettato: crescono per tutto il decennio, sia pure in regolarmente. Il decennio, sia pure irregolarmente. I numeri ci dicono che e da questo momento che beni di consumo si diffondono anche tre ceti popolari: la rivoluzione di massa dei consumi avviene in Italia negli anni 70-80, con un ritardo di vent’anni rispetto al Nord Europa. Il loro possesso non è più indicativo di status sociale, la differenziazione si sposta sui nuovi beni più costosi (condizionatori, lavastoviglie), sui servizi e gli svaghi. Gli incrementi salariali ottenuti sono dunque stati impiegati dell’espansione dei consumi, e questo allargamento del mercato interno consente all’Italia una discreta performance anche in momenti difficili. Dal punto di vista della storia dei consumi, dunque, gli anni 70 sono fondamentali e assolutamente da rivalutare; la retorica imperante dell’austerità e del risparmio, è più un’autorappresentazione che un fedele ritratto della realtà. La lettura da un’ottica essenzialmente politica ha gettato comunque una luce troppo sfavorevole sul periodo, rendendo difficile capire come si sia passati pochi anni dopo un periodo di crisi e morigeratezza al secondo miracolo economico e al consumismo. Veniamo ora agli anni 80 e inizio 90. E vero che il linguaggio della pubblicità acquisisce un ruolo mai visto prima, rimbalzando da un mezzo di comunicazione all’altro, e che ambisce a rappresentare la società del tempo. Non è un caso che questo periodo sia talvolta etichettato, con uno slogan pubblicitario, come quello della “Milano da bere“. In questo spot della Ramazzotti, vediamo un interessante galleria di personaggi che vuole rappresentare l’incessante attività cittadina. Benessere lavoro per tutti. Naturalmente il nuovo ruolo della pubblicità e potenziato dalla comparsa delle televisioni private che, con una strategia abile, promuovono un forte sviluppo degli investimenti pubblicitari. Il gruppo Fininvest di Berlusconi già nel 1984 si configura come un’impresa di rilievo con tre canali nazionali. L’impatto enorme: non solo per la pubblicità diretta, ma per il tipo di programmazione, ricco di film e fiction di successo. In breve il consumo televisivo raggiunge in Italia picchi elevatissimi. Il mondo della pubblicità e dei consumi mediatizzato acquista un nuovo ruolo sociale. In questo periodo i consumi tendono a trasformarsi da familiari o individuali. Non va valutata la portato dei cambiamenti demografici. Il tasso di natalità cala e la dimensione della famiglia va sempre più riducendosi. La famiglia cambia culturalmente e tipologicamente. E contemporaneamente cresce l’attesa di vita media, determinando l’invecchiamento della popolazione. Molti studiosi hanno ipotizzato che le categorie analitiche necessarie per comprendere la società contemporanea siano diverse da quelle del passato. Le nostre società sono complesse, differenziate, composte da sottosistemi autonomi; la caratterizzazione degli individui non discende solo dalla posizione sociale della famiglia di origine, ma da infiniti altri fattori. La frammentazione sociale elevatissima. Perciò le grandi differenze strutturali della società hanno oggi poco significato, e siamo più libere di crearci il nostro destino, di forgiare la nostra vita come un’opera d’arte. All’inizio del novecento era possibile distinguere a colpo d’occhio un borghese da un contadino, a fine secolo è molto difficile classificare la gente. Le persone scelgono il loro modo di essere, i consumi esprimono le loro scelte. Queste teorie sono state adottate in molte indagini di mercato, con il risultato di creare complessi mappe sociali che raggruppano gli individui in specifici segmenti, gli stili di vita, risultanti da molteplici fattori culturali, economici, individuali. Il sociologo Antonio schizzerotto, A condotto un’indagine sui percorsi di vita di un ampio campione statistico, studiando i fattori di disuguaglianza e di mobilità sociale e confrontandoli con i dati disponibili per le generazioni precedenti. Risultati finali sono che classe sociale di origine, genere, generazione e area geografica sono elementi determinanti per tutta la durata del 900, anche negli ultimi decenni . Ma con interessanti variazioni. Il fattore che incide maggiormente sul percorso individuale nell’Italia di fine secolo e l’appartenenza di classe. Più ampia pare le voluzione del fattore di genere. Le donne delle ultime generazioni hanno colmato il gap scolastico, anche ai livelli più alti. Hanno migliorato le disponibilità di reddito e il loro accesso al lavoro; hanno sommato però al lavoro il medesimo carico di cure familiari, fatto che li spinge a posporre il matrimonio e a limitare i figli. Quindi in parte la disuguaglianza si è attenuata, in parte no. Altrettanto ambiguo e fattore generazionale. Le persone nate negli ultimi decenni del novecento presentano un più alto livello di scolarizzazione, ma si distinguono per il ritardato ingresso al lavoro è un potenziale lungo periodo di semi occupazione o precariato, al contrario della generazione del miracolo economico che trovato lavoro subito. È vero che una lunga permanenza in famiglia non è priva di vantaggi, ma comporta anche un allungamento dello stato di dipendenza e a ripercussioni negative sia sulla carriera successiva, iniziate tardi, sia sulla possibilità di mettere su famiglia. Questi giovani vivono una condizione più difficile rispetto a quelli del miracolo economico. Infine, l’indagine conferma Che fattore geografico resta un elemento determinante, confermando le diversità tra Nord e sud. Indici economici come quello di Gigi, indicanti un amento della disuguaglianza in Italia partire dalla recessione del 1991-92 che determina un’evasione storica dopo decenni di avvicinamento sociale. Quindi se è vero che due persone per strada, due giovani, oggi non sono immediatamente riconoscibili da un punto di vista sociale, come avveniva a inizio novecento, non per questo le differenze sono sparite. Vediamo da una parte abbigliamento firmato, auto o moto nuove e moderne, vacanze alle Maldive, gene e e P Our in locali alla moda e così via. Apparire simili non vuol dire essere simili, il look non è tutto. Le differenziazioni permangono: solo sono meno visibili. Ecco perché non ci conviene spiegare tutto ricorrendo solo a stili di vita scelte personali, che pure non vanno affatto sottovalutati. Analizziamo le principali tendenze generali in atto. Consideriamo il trentennio 1973-2003, durante il quale i consumi delle famiglie continuano a crescere, sia pure con ritmi diversi. Il primo dato eclatante e la diminuzione delle spese alimentari, che passano dal 38 al 20%, con una discesa continua, accentuata negli anni 80. La nuova dieta della famiglie italiane sempre meno a base di carne, che nel 2003 copri 22% della spesa alimentare; adesso seguono frutta-verdura e pane-cereali, più distanziati latte e formaggi, pesce, bevande, zucchero e caffè, oli e grassi. Si tratta di un forte riequilibrio quantitativo e qualitativo: qualitativo per lo spostamento verso una dieta più vegetariana e più variegata; quantitativo perché l’Italia degli anni 90 si avvicina modelli di tipo nord europeo con bassa incidenza percentuale del cibo sui consumi totali. Un significativo cambiamento culturale. Anche la voce relativa all’abbigliamento si contrae: dall’11 al 7%, una quota comunque elevato rispetto alla media europea, compiace il richiamo della moda italiana. La terza voce delle tradizionali spese di base, case combustibile, invece mostra un’impennata: dal 16 al 30%, una crescita concentrato soprattutto nell’ultimo periodo. I trasporti e le comunicazioni continuano la loro decisa crescita, mentre le altre spese salgono in maniera molto contenuta, dal 24 27%, suddividendosi nel 2003 fra beni durevoli, istruzione e tempo libero, sanità, altri beni servizi. Qui spicca il nuovo consumo di beni tecnologici e per la comunicazione, soprattutto negli anni 80; Ma nel complesso c’è stato quello spostamento massiccio verso beni servizi di pregio. Le spese relative ai trasporti, soprattutto l’automobile, hanno cambiato significato culturale: non sono più simbolo di status, ma il rinunciabile strumento di lavoro spostamento, e quindi andrebbero aggiunte a quelle di base. Sebbene vi sia stato un certo avvicinamento per i gruppi sociali, i consumi continuano a risentire fortemente delle variabili socio economiche: Dipendono dalla condizione professionale del titolo di studio; dall’età anagrafica; del genere. L’ultima variabile quella geografica: differenze di consumo fra nord centro sud e isole, che conferma la tradizionale gerarchia. Ultima notazione riguarda il fenomeno dell’immigrazione. Il massiccio arrivo di stranieri in Italia hai influenzato la percezione del paesaggio urbano e anche l’immaginario legato ai consumi. Nelle città sono i fiori di negozi specializzati, rivendite alimentari, boutique, i ristoranti di varie etnie. Sono responsabili della scoperta della cucina internazionale del eccetera). Il rimanente e suddiviso tra diversi tipi di nuovi prodotti. Un primo gruppo merita in pieno questa definizione: sono cibi che per motivi dietetici, salutisti Chi o di comodità vengono modificati o tre trattati industrialmente, come alimenti light, yogurt a zero grassi, bevande energetiche, barrette nutritive, integratori, piatti pronti per il consumo. Il secondo gruppo è quello dei prodotti tipici: sono i prodotti della tradizione gastronomica italiana. Ma perché metterli qui? La discussione sul concetto di “autenticità“ è una delle prime vie all’interno della storia culturale, chi ha dimostrato che molte tradizioni sono inventate, non necessariamente nel senso che non esistevano prima, ma non esistevano con quel significato. Un certo prodotto locale era solo un olio, grazie a un’attenta opera di codifica delle caratteristiche e di marketing diventa ora un prodotto simbolico di un’intera tradizione regionale, diventa un olio Pretuzio anno. Il terzo gruppo, costituito dei prodotti biologici, e decisamente di nicchia, anche perché comporta dei costi aggiuntivi alti. Interventi in campo alimentare non si fermano qui. Vediamo ora uno degli esempi più drammatici e spettacolari della manipolazione della natura. È lo sforzo di adattare gli alimenti naturali alle esigenze della nostra organizzazione sociale a una lunga storia. Già nell’ottocento impianti parzialmente meccanizzati di lavorazione confezione della carne furono attivati negli stati uniti, mentre scienziati si applicavano per migliorare la salute, la stazza e la qualità del bestiame il punto è la storia dell’agricoltura moderna, poi, e in gran parte la storia delle applicazioni scientifiche e tecnologiche alle coltivazioni. Tutta via e nel 900 che questi processi si accelerano, in grado di influenzare le caratteristiche genetiche i tempi naturali della crescita, e della chimica, e entra nell’alimentazione con medicinali e svariati composti. Anche gli animali devono adattarsi al ciclo produttivo e alle esigenze degli essere umani: non devono essere solo sani, ma anche standardizzati per far diminuire i costi di packaging, trasporto. Il loro prodotto deve essere esteticamente corretto. Così troviamo ogni giorno in negozio tutti tagli di carne, i tipi di pesce, le uova che desideriamo, sempre freschi, sempre della stessa misura, colore, consistenza, che vorremmo. Riproviamo la frutta e verdura in qualsiasi momento dell’anno. Questa manipolazione del cibo apportato alla fine del novecento un’ondata di ansietà riguardo al cibo, timori per sofisticazioni, Prodi, avvelenamenti, anche solo per cibi non sani, non naturali. Malattie e scandali fanno il resto, contribuendo a un sempre più diffuso desiderio di ritorno alla natura. I produttori cercano di reagire con campagne pubblicitarie che evocano mulini bianchi, contadini che trasportano formaggi su carretti trainati da cavalli, oppure con sistemi di traccia abilità della filiera e nuovi standard qualitativi. Una soluzione semplice non c’è. Non si tratta solo di assicurare qualità e genuinità a tutti costi: eccellenti produttori di nicchia ci sono sempre stati. La scommessa ora e di portare buoni di menti alla gran parte dei consumatori, superando lo scoglio della distribuzione che è da sempre il problema centrale dei piccoli produttori, è un prezzo competitivo. E saranno i consumatori alla fine operare un loro personale mix di scelte, rispondente alle loro esigenze, fra prezzi e tipologie di prodotti diversi. Dagli anni 90 l’attenzione alla naturalità degli alimenti e all’ambiente si è diffusa presso molti piccoli produttori è anche grandi imprese, che investono in questa direzione per migliorare la qualità della merce, l’efficienza dei sistemi produttivi, per risparmiare energia e anche come politica di immagine presso i consumatori.Potrà esserci una svolta nel momento in cui le imprese vedranno il rispetto della natura non come un costo ma come un beneficio. 1.4. Limiti e i costi del consumo. I processi di consumo sono sempre più collegati al problema ambientale. Vengono infatti collegati alla biosfera. La produzione utilizza quote di capitale naturale non sempre rimpiazzavi; il consumo non si esaurisce con l’atto di comprare utilizzare il prodotto, ma prosegue nello scarto residuo, Con conseguenze gravi sull’ambiente circostante. Le montagne di rifiuti di Leonia sono una realtà, inquinamento urbano e l’assottigliarsi di alcune risorse naturali anche. Con il passare del tempo, la crescita potrebbe rivelarsi addirittura antieconomica, con svantaggi superiori ai benefici, se considerato nella sua complessità.Esistono limiti fisici al consumo? Intero pianeta può sopportare le conseguenze di una produzione e un consumo indefiniti?? La questione ambientale è una delle maggiori sfide del XXI secolo e che non ci sono facili soluzioni. E si va dalle proposte più radicali di decreto amento dei consumi a quelle più moderate di consumo sostenibile, fino a miglioramenti tecnici nella produzione e a politiche mirate per un miglior impatto ambientale. Secondo lo studioso Inglehart , Negli anni 60-70 si è verificata una rivoluzione silenziosa: alcune fasce di popolazione sono passate da valori materialistici legati al consumo fisico e alla ricerca di sicurezza a valori post materialisti (affetto, appartenenza, stima, piaceri estetici ambientalismo). Appartenenti a generazioni che non hanno mai sofferto miseria e privazioni,I post materialistici sono spesso i più critici e insoddisfatti della politica contemporanea, che avvertono come molto distante dalle loro esigenze. Si manifesta qui una tensione che già Weber avevano dato tra “razionalità sostanziale“, orientata ai valori ultimi, e “razionalità funzionale“ più sensibile ai mezzi per raggiungerli: due forme di razionalità ugualmente valide ma che portano a esprimere giudizi diversi sulla società. I post materialisti ci sono portatori della prima forma, i materialistici della seconda. Questo spiega perché nelle società occidentali contemporanei, che hanno assistito a una crescita del benessere e dei beni materiali, con un miglioramento delle condizioni di vita, sia presente un forte tasso di insoddisfazione. Per molti le priorità sono mutate. In Italia si è verificato questo fenomeno, se consideriamo l’ambientalismo, tipica espressione del post materialismo, esso si struttura a partire dagli anni 70 all’interno di movimenti collettivi del tempo, sebbene La sensibilità naturalistica risalga a fine ottocento, inizio novecento con la creazione di club e associazioni per la tutela del paesaggio. Dagli anni 80 si sviluppa sul piano dell’associazionismo protezionista sia su quello propriamente politico , Una serie di movimenti, i movimenti no global , E libri come no logo, di Naomi Klein, che richiamano l’attenzione dell’intera opinione pubblica sulle implicazioni etiche e trans nazionali di produzioni e consumi globalizzarti. Le adozioni spontanee di comportamenti per limitare l’impatto ambientale nelle nostre attività quotidiane cominciano hanno tassi nel paesaggio urbano. Adesso vanno aggiunte quelle organizzate da associazioni o autorità amministrative, che però assumono solo un valore simbolico in mancanza di una modifica dell’attuale organizzazione di vita e lavoro, che necessariamente comporta un intenso uso di trasporti, gli apparecchi elettrici casalinghi. Tra i vari esperimenti per adattarsi ad uno stile di consumo sostenibile, come quello proposto nel 2005 dal Comune di Venezia a 1000 famiglie per limitarsi ad acquisti rispettosi dell’etica e della ambiente per 10 mesi, non sono mancati esperimenti estremi. Una giornalista americana non ho comprato nulla per un anno, ad eccezione di cose indispensabili alla sopravvivenza, Spiegando come questo abbia aumentato la sua sensibilità verso un consumo responsabile, ma lo stesso tempo l’abbia isolata in una specie di universo parallelo, escludendo la da una vita sociale che si esprime sempre più attraverso il consumo. Sono stati elaborati recentemente misuratori della sostenibilità. Fra questi vi è l’indice di benessere economico sostenibile (ISEW). Esso si basa su grandezze economiche, fra cui redditi, consumi e possesso di beni durevoli, integrate da fattori ambientali. Ebbene, risulta che in Italia gli serve cresce a lungo in parallelo al Pil e a un livello più basso, ma dagli anni 70 inizia a declinare, perché fattori negativi salgono più velocemente di quelli positivi, diversamente dal Pil. Questo vuol dire che il costo dell’impatto ambientale di un certo modello di produzione consumo fa avvertire i suoi effetti negativi. È confermata quindi una peggiorata qualità della vita.. Questo vuol dire che il costo dell’impatto ambientale di un certo modello di produzione consumo avvertire i suoi effetti negativi. È confermata quindi una peggiorata qualità della vita. Spazzatura di vario tipo entra nel repertorio della trash Art punto la de contestualizzazione ne fa la differenza, fa cambiare il nostro atteggiamento mentale. Ma c’è chi è andato oltre. Daniel Spoerri , Noto per il suo giardino di sculture in Toscana, sull’Amiata, ha organizzato dei banchetti-mostra; durante la performance, ai partecipanti erano servite opere d’arte sue, di Arman, Cesar, Fatte con materiali commestibili (Eat art). Dopo, non non restava più nulla: arte consumo si erano letteralmente fusi in un unico momento. 2. La vita quotidiana contemporanea. 2.1. Il corpo e la moda. L’importanza e la distintività del corpo sono un elemento caratteristico di fine novecento. L’evoluzione della scienza è una nuova sensibilità culturale tendono a ridefinire i suoi confini. Se il corpo è sacro, non può essere ridotto a merce, venduto ho comprato; ma la scienza ci spinge a definire i limiti dell’inviolabilità corporea. L’uso e la manipolazione del corpo non sono limitati al campo scientifico. Tatuaggi, piercing, sacrifica azioni, branding (baci di fuoco), implantation (Innesti sottocutanei di pelle o gioielli), mutilazioni anche gravi : Le trasformazioni fisiche per comunicare identità non un fatto culturale di lunghissima tradizione, ma nel contesto contemporaneo assumono la forma di vere proprie pratiche di consumo del corpo. Come definiva Marshall Sahlins quando parla di consumo come performance: facciamo del corpo la nostra opera d’arte. Si potrebbe scrivere molto anche sulla manipolazione mediatica e digitale del corpo, la sua esposizione, la spettacolarizzazione anatomica. A e poi si apre un intero orizzonte i nuovi rapporti con reale: il corpo accoglie sempre più al suo interno macchine che migliorano le sue funzionalità e lo modificano, dai Pace maker agli apparecchi acustici dalle protesi alle redini ufficiali. Ma perché, in un’epoca caratterizzata dall’abbondanza, dal consumo spesso senza freni, quando possiamo permetterci di accumulare tutti gli oggetti che vogliamo, di mangiare tutto quanto possiamo, si apprezza la magrezza del corpo? Questa contraddizione a colpito molti; c’è chi vi ha visto una rimozione del corpo, il rifiuto della materialità, o più semplicemente, lo strapotere dei media nel diffondere i loro messaggi. E la presenza di modelli, soprattutto femminile, legati alla magrezza a una tradizione in Occidente. Pensiamo alle sante anoressiche, che digiunano per far trionfare la volontà del corpo, raggiungere un superiore stadio spirituale e Anche per manifestare una critica verso l’autorità: il corpo magro e santo.Pensiamo ai canoni estetici spesso diffusi nelle classi superiori, testimoniati da molte rappresentazioni artistiche, ben diversi da quelli dei contadini: il corpo magro e bello. Ricordiamo anche l’importanza della funzionalità del corpo, che deve essere agile ben allenato, per scopi militari, per poter lavorare durare al meglio: il corpo magro è efficiente. Poi c’è il peso della medicalizzazione, che lega la grassezza, anzi l’obesità, a malattie e rischi di salute, predica il normo peso e di fondi diete equilibrate: il corpo magro e sano. Allora se l’abbondanza e davvero la cifra pervasiva della modernità, allora la distinzione può essere reperita solo nella scarsità; e lo stesso meccanismo per cui l’arte sceglie la via dell’astratto, del minimalismo. La nostra ricerca della magrezza non è una privazione, ma un investimento che facciamo sul corpo. Se le forme del corpo comunicano, gli abiti che lo ricoprono lo fanno ancora di più. E da sempre l’abbigliamento ehi suoi accessori travalicano le funzioni di protezione per comunicare una cultura è un’identità: il gruppo di appartenenza, la classe sociale, il sesso, l’età, il mestiere, ecc. Corpo e abito sono entrambi prodotti culturali. E parlando di corpo rivestito non possiamo non rifaccio alla moda, ricordando la capacità dell’abbigliamento di divenire icona di movimenti sociali e politici: L’abbigliamento unisex a base di jeans, il Power Dressing (Il completo giacca e pantalone-gonna di taglio maschile, sobrio e di colore scuro-magari unito a qualche misurato simbolo di femminilità come tacchi alti, gioielli non vistosi e capelli lunghi) Dall’entrata delle donne nel mondo del lavoro manageriale. Ma qual è il significato della moda oggi? Molti studiosi se ne sono occupati. Georg Simmel , Che identifica il dualismo imitazione-differenziazione la chiave di un fenomeno che ha I caratteri tipici di ogni fatto sociale: tendiamo ad aggregarci al gruppo per conformismo, protezione, sicurezza. E, nello stesso tempo desideriamo distinguerci, a fermarci individualmente, liberarci, in una tensione continua. La moda nella società di massa tra il suo senso dalle stratificazioni di classe e tende a diffondersi dall’alto verso il basso- un’anticipazione questa del “ TRICKLE DOWN EFFECT “ di Veblen. E poi c’è Walter Benjamin, che vede la spinta Al cambiamento veloce e continuo della moda come componente essenziale della vita urbana, e parla di fascinazione per lo spettacolo delle merci, con un sogno che allude ai valori profondi della società moderna, definendo la moda come sex appeal dell’inorganico. Roland Barthes dice che la moda è un linguaggio: in ogni merce che acquistiamo si nascondono universi di senso che ci rimandano a miti più vasti (una divisa allude a patria, onore, fedeltà; una minigonna alla liberazione sessuale della donna, eccetera); Le merci sono i segni di un linguaggio attraverso cui comunichiamo la nostra identità, entriamo in relazione con gli altri, ci confrontiamo con i significati culturali profondi, i miti appunto, racchiusi in un oggetto. A seguire la moda vuol dire comunicare, ma per comprendere il messaggio bisogna guardare non ai singoli capi ma alla loro combinazione, Che RS esplicita ad esempio nelle descrizioni che ne fanno le riviste specializzate. La dimensione comunicativa della moda e messe rilievo anche dalla
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