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L'Italia dei consumi - capitolo 3 riassunto, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Sintesi dettagliata del terzo capitolo del libro "l'Italia dei consumi"

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 07/10/2023

cristina1509
cristina1509 🇮🇹

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Scarica L'Italia dei consumi - capitolo 3 riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Capitolo 3 L’Italia dei consumi Il miracolo economico Gli anni 1945-73 sono l’età d’oro del capitalismo. Il reddito pro-capite cresce in tutto il mondo del 2,9% e ancora di più crescono i redditi nazionali e le esportazioni. Cause del miracolo economico: liberalizzazione dei mercati e l’integrazione dei sistemi produttivi in un unico spazio economico che innescano un flusso di merci e capitali senza precedenti. Altrettanto importante è la politica economica per lo sviluppo all’interno dei singoli paesi anche a livello internazionale. Lo sviluppo consiste essenzialmente in una crescita economica di tipo quantitativo, che porta a un più alto standard di consumi, migliora la qualità della vita, diminuisce la disoccupazione e la conflittualità sociale. Pertanto, gli obbiettivi prioritari sono gli investimenti in capitale fisso e quelli in capitale umano (formazione professionale, istruzione). Un’esplosione di prosperità che, come la Germania postbellica illustra, è alimentata non dall’abbondanza delle materie prime ma dallo stesso processo di produzione e di consumo. Nelle condizioni moderne, non la distruzione, ma la conservazione appare come una rovina perché la durata degli oggetti conservati è il maggior impedimento al processo di ricambio, la cui costante accelerazione è la sola costante che rimanga valida quando tale processo abbia luogo. Inoltre, la generazione del dopo guerra dà vita al baby boom, un piccolo sconvolgimento demografico, che porta a un rapido aumento della popolazione e soprattutto a una crescita delle classi d’età più giovani, bambini e ragazzi. L’altro importante fenomeno demografico è la ripresa dei flussi migratori. Non si tratta più delle imponenti migrazioni di inizio secolo: ora ci si sposta dal sud al nord, dall’Europa meridionale a quella settentrionale, dalle regioni più povere a quelle più industrializzate. L’emigrazione è indotta dal boom industriale che spinge 1,7 milioni di persone ad abbandonare le campagne per cercare un’occupazione nelle fabbriche o nel piccolo commercio. Questo porta a un mutamento nel profilo demografico dell’italiano medio: la presenza di giovani e di nuove coppie si sposano, hanno figli, creano una famiglia nucleare, vivono in luoghi geografici lontani dalla famiglia originaria e si spostano con facilità, dando vita a una forte domanda di beni di consumo. Oltre al cambiamento economico e sociale c’è un cambiamento culturale: dopo il periodo passato a risparmiare, la gente era convinta di poter avere una vita piena di cose. Nell’Italia del miracolo economico era venuta l’ora di comprare la felicità. Magari per via della diffusione di un modello di benessere individualistico, dove il consumo privato è il vero segno del successo e dell’integrazione sociale. O magari perché le premesse culturali di un consumo di massa erano state già poste durante il fascismo, senza che ci fossero i mezzi per il loro effettivo appagamento. Assistiamo ad un cambiamento di dieta: scendono gli alimenti “poveri” come il risone, i legumi secchi, lo strutto e il lardo, la carne ovina e salgono i consumi di alimenti “ricchi” prima troppo costosi e riservati alle élite. Rispetto agli anni Trenta, raddoppiano tutti i prodotti caseari (latte e formaggio) e le uova, cresce il consumo di vino e birra, la carne bovina, lo zucchero e il caffè. Quello che ci troviamo davanti è un consumatore che apprezza una dieta ricca e variata, con molti alimenti dolci e calorico e con un alto consumo di prodotti freschi. La principale novità tra gli acquisti è la presenza di beni durevoli nelle famiglie: frigorifero e televisioni, più avanti la lavatrice e l’automobile, quindi poi l’aspirapolvere, motocicletta e lavastoviglie. Ovviamente, per fare questo discorso di preferenze, si deve tenere conto della classe sociale di cui le persone fanno parte: le persone più povere privilegiano il televisore rispetto al frigorifero. Acquistando molto di più beni durevoli diminuiscono i consumi alimentari. Questo periodo viene visto come “miracolo economico e boom economico”, anche le testimonianze orali di oggi ci rimandano a un tempo di solidarietà umana ora perduta, di nuovi consumi carichi di significato, di realizzazioni personali. C’è bisogno di fare un po’ di chiarezza, perché ci fu un lungo dopoguerra segnato da un tenore di vita modesto e da scarse speranze di cambiamento, ma il miglioramento avvenne in ritardo rispetto ad altri paesi europei (il miglioramento, infatti in Italia avviene a fine anni Cinquanta) e quando avvenne fu selettivo. Questo è il punto centrale, non riguardò tutti. Le famiglie dei ceti medi spendono tre volte di più rispetto a quelle operaie per l’auto, la tv e il telefono. Quindi, nel pieno del miracolo, è la classe media a migliorare rapidamente i suoi consumi, mentre operai e agricoltori restano in gran parte esclusi (soprattutto nella zona meridionale). Milano, Torino e Genova sono le mete più comuni per i treni della speranza di un futuro migliore. Il passaggio da una cultura contadina a una cultura urbana: gli immigrati non lasciano indietro solo una grande casa contadina, ma una struttura organizzata su gerarchie ben definite, lasciano un’economia legata all’autoconsumo, oltremodo non si allontanano da cibi familiari serviti in ampie cucine, abiti semplici, ben differenziati tra quelli per il lavoro e quelli per la festa. La provenienza di questi immigrati è varia: moltissimi sono ex salariati agricoli, piccoli proprietari rurali. Le prime ondate sono soprattutto giovani uomini, ma presto seguono donne e bambini. Questi immigrati al nord non vivono un balzo traumatico, perché in fondo trovano ospitalità da amici o parenti prima di loro. C’è sostegno che ricrea luoghi e spazi di sociabilità legati alla memoria di origine. C’è una cosa che attira subito l’attenzione, racchiude tutti i significati attribuiti alla mobilità e diviene simbolo del “sogno italiano”: l’automobile (o meglio, l’utilitaria Fiat 600 che appare nel 1955). Gli immigrati, comprandola, aderiscono ad uno status symbol, tornano a casa per le vacanze con il segno della vittoria, del successo di una vita piena di cose. Con l’auto non si tratta di passare da un prodotto all’altro, ma di modificare valori e atteggiamenti di cui quel particolare prodotto è espressione. L’automobile è l’icona del nuovo paesaggio urbano e industriale della contemporaneità. Esprime mobilità spaziale e sociale, afferma il valore dell’individualità, inaugura nuove modalità di consumo diffuso, ecco che si sollevano critiche e obiezioni. L’auto rappresenta la velocità e quindi è pericolosa, velocità che si oppone alla lentezza contadina, velocità che provoca morti dando la colpa ad automobilisti smodati, quindi si cercherà di esorcizzare i pericoli con la benedizione di Santa Rita. Secondo alcuni storici gli anni Cinquanta/Sessanta sono stati centrali nella costruzione di nuove identità maschili, perché la sua cultura di massa mette in crisi i ruoli tradizionali. Ci sono artisti anticonformisti, cowboy dei film western, eroi dello sport, uomini d’azione, playboy e giovani ribelli. È l’inizio di un processo che porterà a leggere nell’habitus fisico l’incorporazione della mascolinità e quindi a studiare specifiche posture, abbigliamento, discorsi e, ovviamente, l’automobile. Però lo spazio giovanile è soprattutto non domestico, ma al di fuori: vanno al cinema, fanno un giro con la Lambretta, ascoltano musica da un jukebox, giocano a flipper in un bar. La musica è il vero linguaggio dei giovani, è il momento del boogie woogie, dei Beatles, del Twist and Shout. Presto arriva anche in Italia il movimento hippy con il suo gusto per l’esotico e l’orientale, e si diffondono camicie, casacche, pantaloni, gonne, bandane, tutto a fiori. L’abbigliamento mostra chiaramente a ricerca di nuovi modelli estetici, oltre che politici, insegue il diverso, l’antitradizionale come forma espressiva autonoma, rifiuta rigidità nel vestiario come quelle sociali. Ci sono alcuni consumi che non sono approvati dalla società ed alcuni consumi che non sono leciti, ad esempio le case chiuse (abolite con la legge Merlin nel 1958) o l’uso di droga. È negli anni Cinquanta che avviene un fatto nuovo nel dibattito pubblico e in quello politico: compare la parola “consumi”. Non che prima non fosse esistente questo concetto, ma ora assume una centralità rilevante. Tornando al consumo della tv, capiamo che questa non è vista dai contadini come un consumo superfluo e opulento, ma come un bene che consente una migliore conoscenza del mondo, un modo per ascoltare l’italiano e per poterle imparare. Un secondo aspetto che emerge è che sulle trasmissioni più diffuse c’è un continuo dialogo: si parla, discute, si ricorda, si ripetono insieme motivi musicali e frasi. Nuovi consumi culturali stimolano la comunicazione e nuove forme di socialità fra gli spettatori . Risalta infine la centralità del divertimento: una centralità che riflette forse una nuova valorizzazione dell’individuo e delle sue necessità, rispetto alla tradizionale etica fondata solo sul dovere del lavoro e il valore del sacrificio. Quindi, per tornare a quello che si diceva prima, abbiamo una nuova cultura del consumo. È una cultura che nasce dai nuovi oggetti, si sviluppa sul piano della quotidianità, investe famiglie e individui, forma identità trasversali, crea differenti priorità di valori, dà voce a nuovi soggetti, inventa linguaggi e simbolismi. È questa cultura che spiega perché gli italiani acquistano nuovi beni di consumo seguendo modelli di comportamento simili a quelli di paesi più ricchi. Rivoluzione studentesca del 1969: gli studenti scendono in strada per manifestare, parlano di diritto allo studio, chiedono di cambiare i corsi di studio obsoleti, di educare in maniera non nozionistica, di sostituire insegnanti autoritari, di sganciare lo studio dal “sistema di potere” vigente. Alla fine del 60 c’è un movimento di ribellione culturale, politica, sociale che investe tutto il mondo occidentaleci sono ragazzi che vogliono cambiare la società in senso antiborghese e anticapitalistico. Quindi una protesta antiborghese e anticapitalistica di tipo sociale, culturale e politico, questa ribellione deriva probabilmente anche da un malessere che segue il consumismo. Il consumismo determina un benessere materiale diffuso ma si comincia a riflettere sulle conseguenze negative di questo benessere. Infatti, il benessere riguarda l’occidente, solo alcuni paesi e non comprende i paesi del terzo mondo. Altri temi su cui si riflette sono la necessità di pace, di cessare discriminazioni verso le minoranze etniche, il razzismo. Il 68 è l’anno in cui scoppia quest’ondata di contestazioni (la seconda ondata sarà nel 1977). La matrice ideologica di questo movimento è il marxismo utopistico, che si sviluppa nei paesi capitalisti e la linea politica di questi ragazzi non si ispira ai partiti comunisti ufficiali ma di un marxismo libertario: rispetto alla Russia, questi giovani guardano alla Cina, perché Mao Tse-Tung è il simbolo di una lotta rivoluzionaria permanente. Mao aveva messo in atto quella che definisce una rivoluzione culturale, cioè l’idea di una continua riforma della società e aveva sintetizzato la sua visione politica in un testo chiamato Libretto rosso che diventa un testo di riferimento anche per i contestatori occidentali. Un altro mito di questi giovani è Ho-Chi-min, ovvero l’eroe vietnamita che combatte la guerra del Vietnam contro l’imperialismo americano, così come Che Guevara. Questo movimento comincia nelle università americane, in particolare nell’università californiana di Berkeley, dove insegna Marcuse, uno dei principali esponenti della scuola di Francoforte (che era un istituto che comprendeva studiosi come Adorno, Horkheimer, Marcuse che sono sociologi di orientamento marxista che fanno una riflessione sulle contraddizioni della società dei consumi). E quindi non è un caso che ad iniziare il movimento sia Marcuse, autore del libro “L’uomo a una dimensione”, in cui propone la liberazione dell’uomo dalle inibizioni della società capitalistica e quindi questi giovani contestano una liberazione dalle istituzioni troppo rigide, una scuola e un’università diversa, maggiore attenzione alle richieste dei ragazzi. Gli stessi problemi che c’erano nelle istituzioni scolastiche si trovavano nella famiglia, che era ancora di tipo patriarcale, dove il padre o i genitori comandavano e i figli non avevano possibilità di discutere, così come si chiede una maggiore libertà di vivere i propri sentimenti e la sessualità. La crescita dei consumi privati e il lancio di nuovi prodotti sul mercato spingono molte più imprese a utilizzare forme pubblicitarie, in realtà, è qualcosa di più: è lo spostamento da una strategia industriale principalmente incentrata sul prodotto a una più attenta al lato della vendita, al mercato. È insomma il trionfo di quel complesso di politiche relative alla vendita che comprendono ma non si limitano alla pubblicità, coinvolgendo prezzi, modalità di vendita, marca, studi sui consumatori e via dicendo, che vanno sotto il nome di marketing e che dall’America si diffondono in tutta Europa. Il risultato è che aumentano gli studi e analisi che la definiscono come specchio o stimolo dei cambiamenti, meccanismo di suggestione, incanto, manipolazione. Ci sono più pubblicità di automobili costose che di beni di consumo poco costosi . Inoltre, iniziano a formarsi seriamente e con compiti ben precisi agenzie pubblicitarie (Armando Testa a Torino, la Thompson a Milano). Numerosi sono stati gli studi psicologici riguardo la pubblicità. Si riteneva che il manifesto dovesse colpire il consumatore grazie a un messaggio forte e continuamente ripetuto, di modo da esercitare un grande potere persuasivo. Dopo di che questi studi si sono evoluti dando al consumatore un ruolo non più passivo ma attivo (filtrava messaggi, prende consapevolezza di ciò che vede). La cucina degli anni Sessanta è molto diversa da quella di inizio secolo: tutti gli alimenti hanno una marca e sono ben riposti negli armadietti. È interessante come le strategie commerciali prestino molta attenzione al genere e all’età. I prodotti per cucinare, finiti o più spesso semilavorati (conserve, condimenti, paste secche, lieviti, preparati per budini e torte), sono decisamente indirizzati alla casalinga. Sono identificati da un packaging “tecnico”, comunicativo e funzionale, usa e getta. I prodotti dolciari sono invece dedicati ai bambini: lo mostrano le promozioni pubblicitarie, spesso con pupazzi e cartono animati, le confezioni vivaci colorate in cartone o derivati plastici. Sarà solo dagli anni Settanta-Ottanta che il comparto dolciario, il secondo per importanza nell’alimentare, cercherà una maggiore crescita fra i consumatori adulti. I bambini non devono essere privati di qualcosa, devono mangiare ed essere felici. Vi sono poi prodotti alimentari che si indirizzano ai giovani: i gelati Algida, gomme da masticare Brooklyn. Nel frigo regna il fresco a discapito di alimenti secchi e quindi troviamo pesce (poco) e carne già tagliata. C’è persino Coca Cola e il latte conservato in tetrapak. Rispetto alla vecchia dispensa, troviamo qui vari cibi industrializzati e di marca. Questo passaggio porta a prodotti più standardizzati per forma, colore e sapore. Tutti gli odori forti sono scomparsi, i nuovi prodotti, spesso mirati selettivamente a una certa clientela, non soppiantano del tutto le tradizioni culinarie. L’accresciuto consumo di zuccheri e carne non scalza la pasta dalla dieta quotidiana. Anzi, l’industria valorizza prodotti alimentari tipici, in particolare quelli meridionali, e li lancia sul mercato nazionale. Qui inizia la sua storia la “dieta mediterranea”, proposta nel 1962 dal nutrizionista americano Angel Keys (meno proteine, più carboidrati e frutta e verdura). Designnel momento in cui le lampade di Artemide, le sedie di Cassina, la Bialetti, gli attrezzi da cucina di Kartell entrano in casa, questa casa acquista significato attraverso le forme del design industriale. Le origini del design sono da ricercare negli anni 50-60, quando gli architetti contemporanei a Gio Ponti collaborano sempre più con piccoli produttori semi artigianali e grandi imprese o creano essi stessi nuove società. La parola d’ordine è coniugare creatività e produzione di serie. Si afferma una tendenza estetica basata sull’essenzialità delle forme e il rigore del disegno, che abbatte i costi ed esalta il contenuto tecnologico e i materiali dell’oggetto. È l’italian design di Castiglioni e molti altri. I designer progettano oggetti per la vita quotidiana che modificano l’estetica del paesaggio domestico, valorizzando insignificanti oggetti d’uso comune e trasformandone il significato all’interno dell’ambiente. Supermercatinella seconda metà degli anni 50 gli americani impongono la loro strategia che punta una diffusione internazionale dell’American way of life. Nel 1956 a Roma il dipartimento dell’agricoltura USA fa costruire un supermercato di mille metri quadri. Perché? Perché favorendo la costruzione di questi spazi gli USA sono in grado di assicurare beni di consumo in quantità e qualità superiori a chiunque altro: i bisogni e i desideri della gente comune nella sfera della vita quotidiana sono altrettanto importanti per l’amministrazione USA. La sua spettacolare esposizione di ogni prodotto, a portata di mano, è un po’ l’incarnazione dell’idea di benessere e un’abbondanza senza limiti. Inoltre, costituisce un nuovo importante spazio di consumo che trasforma abitudini e routine quotidiane. Tradizionalmente si indica nel King Kullen di Long Island (1930) il primo supermercato moderno. In Europa si diffondono nel secondo dopoguerra, quando importanti catene di negozi alimentari (Tesco e Sainsbury, aziende inglesi) adottarono il sistema americano, più efficiente e gradito al pubblico. In Italia le cose sono più complicate, abbiamo già visto le difficoltà e i ritardi dello sviluppo di grandi magazzini ed empori a prezzo unico. All’inizio degli anni 70 il mondo del commercio è ancora decisamente caratterizzato dalla rete di piccoli negozi che ha conosciuto una nuova espansione con le migrazioni interne (molti trovano occupazione qui e nelle grandi fabbriche). La prima importante società di supermercati che si afferma in Italia è di uno degli uomini più ricchi d’America: Rockfeller, magnate del petrolio e candidato alla Casa Bianca. Nel 1957 a Milano la
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