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L'Italia dei consumi. Dalla Belle Époque al nuovo millennio- Emanuela Scarpellini, Dispense di Storia Contemporanea

Riassunto completo diviso in capitoli, paragrafi e sotto paragrafi.

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 29/08/2023

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Scarica L'Italia dei consumi. Dalla Belle Époque al nuovo millennio- Emanuela Scarpellini e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! L'Italia dei consumi. Dalla Belle Époque al nuovo millennio Emanuela Scarpellini Capitolo 1: L’Italia liberale 1.1: La società italiana Un paese dai mille volti: Il periodo tra 1870 e 1913 è considerato un periodo di grande trasformazione per l’Italia, anche se lenta. Il reddito pro capite era di 1499$ nel 1870 (1/4 sotto la media europea). Al di sotto di questa cifra le scelte dei consumi mutano. Ma la mutazione non è solo dovuta al reddito, in quanto importanti fattori sono anche la localizzazione del consumatore (in base alla geografia dell’Italia e alla frattura tra città e campagna). Altro fattore importante è il passaggio dal regime demografico dell’Ancien Régime (alti tassi di natalità e mortalità) a quello del XIX secolo (bassi tassi di mortalità e natalità). Questo regime demografico è ancora in uso oggi. Si assiste ad un innalzamento della vita media che passa da 35 anni nel 1880 a 43 nel 1900 e 47 nel 1910. Questo innalzamento determina un aumento della popolazione e un cambiamento nelle classi di età. L’aumento della popolazione rompe i legami abituali e spinge ad un esodo verso i nuovi centri industriali o all’emigrazione. Ciò favorisce l’adozione di nuove pratiche. Le scelte dell’individuo aumentano grazie anche ad una maggiore libertà e quindi uno spazio mai visto per le scelte di consumo. A livello di consumi nel periodo giolittiano il 60% era occupato dal consumo per l’alimentazione (su 60.650 milioni di lire 40.003 erano dedicati all’alimentazione; 8457 per abitazione ed energia; vestiario 5322; trasporti 667 e altre voci 6201). La spesa per il vitto non comprendeva una ricca e variegata alimentazione (scarsità di condimenti, grassi, generi voluttuari. Eccezione era il vino, sempre presente in tutte le tavole). Sul piano del micro la situazione si complica notevolmente a causa delle differenze sociali, territoriali e di contesto storico. Contadini: Gran parte della popolazione era impiegata in agricoltura. Le loro condizioni di vita erano molto dure. Le entrate erano scarse e venivano assorbite nella “triade” dei bisogni primari: casa, alimentazione e vestiario. La situazione era economicamente migliore per i contadini autonomi, fittavoli e coloni. Erano però in minoranza, rispetto ai braccianti e avventizi. L’alimentazione era diversa in base alla regione di appartenenza, alla disponibilità di prodotti locali, dai contratti di lavoro e dalle tradizioni culturali locali. L’unico aspetto comune era il basso apporto calorico e la scarsità di vitamine e proteine. Il fatto che i contadini avessero scarse disponibilità alimentari non voleva dire che fossero meno carichi di valore simbolico, anzi tutte le culture contadine assegnano grandissimo rilievo nell’organizzazione della vita sociale (es: il tempo di festa era scandito da una quantità e qualità di alimenti diversi da quelli del tempo del lavoro. Es2: il cibo si differenzia dal periodo di vita normale a quello di eccezionalità). Valore positivo nel cibo grasso (alimento privilegiato grassezza = felicità e ricchezza). Grande peso anche la religione, con le sue norme alimentari. L’alimento del grano, fondamentale nella dieta contadina, veniva talvolta personificato, diventando uno spirito che poteva assumere varie forme e significati. Il consumo del cibo era un atto collettivo, che confermava e differenti variazioni sociali e culturali. Mangiare e bere costituivano un’importante pratica culturale, che accompagnava molti momenti di socializzazione: le visite al mercato o alle fiere, le feste del villaggio, le soste in osteria o le riunioni serali attorno al fuoco. La seconda voce delle spese per il consumo è la casa. Nonostante le differenze vi sono due elementi comuni: il riferimento all’ambiente circostante l’uso esclusivo di materiali costruttivi locali; legame con il sistema di organizzazione produttiva. Nella pianura padana è diffusa la casa di corte (più famiglie insieme), in altri luoghi si preferisce quella unifamiliare povera, addossate le une con le altre in piccolo villaggio o sparse nei borghi dei latifondi. Ambiente importante è la stalla, luogo in cui si lavora e dove avvengono gli incontri sociali e di attività artigiane e sociali, soprattutto in inverno. Il cuore della casa è la cucina. Qui si trovano oggetti di uso quotidiano. In mancanza d spazi l’ambiente viene utilizzato per svolgere più mansioni. È uno spazio di produzione e di consumo insieme, uno spazio plurifunzionale, adattato alle molteplici esigenze della famiglia. Nella realtà rurale italiana coesistono famiglie estese o multiple e soprattutto famiglie nucleari. Si riscontra una forte gerarchia e una marcata divisione dei compiti. Per quanto riguarda il vestiario, la maggior parte della biancheria era realizzata a mano in casa, in parte ereditati e in parte riusati più volte. Era possibile che si comprasse qualche indumento a basso costo durante le fiere. Anche il vestiario svolge una funzione di distinzione sociale. Anche per i contadini era importante apparire bene sul palcoscenico sociale, soprattutto in occasione di feste e cerimonie. IN CONCLUSIONE: i consumi dei contadini sono molto scarsi, soprattutto per il cibo. Si soffriva molto la fame (raccontata molto nella letteratura italiana). Le uniche eccezioni erano date dal carnevale (festa per eccellenza dell’eccesso) il quale, però, era solo un breve momento, in quanto poi ci si pente durante la Quaresima. Operai: Le loro condizioni di vita non erano molto migliori. La principale fonte di reddito proveniva dal salario, quindi monetizzato. Basso era l’autoconsumo. Nel nord Italia il reddito era di circa 1241 lire (discreto). Sale però la spesa per l’alimentazione (74%) e per l’abitazione (23%). Ci sono spese marginali piccole e spunta un piccolo risparmio (circa 102 lire). L’apporto calorico giornaliero viene raggiunto solo da 13 famiglie su 51. C’è poco consumo di carne ma molto di derivati. Alimento principe era il mais. Nel sud Italia, invece, i derivati vengono evitati in quanto costosi. Vengono utilizzate le viscere degli animali per soffritti. C’è una discreta varietà di verdure e cereali. In campo demografico ci sono dei comportamenti molto diversi: natalità sotto il 30% della media nazionale, matrimoni sono meno frequenti e contratti in tarda età, natalità illegittima molto elevata. Vi è uno spazio maggiore per i I bambini iniziano a non essere più considerati dei “piccoli adulti” ma fanno parte di un mondo a sé. Una delle fautrici di questo pensiero è Maria Montessori. Si ripensano i consumi dei più piccoli: ora si richiedono giochi, educazione, svaghi, abiti e pettinature adeguate. Tutti iniziano a pensare che l’attaccamento dei bambini ai giochi si possa tradurre in qualcosa di positivo. Altro aspetto fondamentale della borghesia è la rispettabilità morale. Su questo aspetto ci sono però importanti differenze legate al contesto geografico, dipendenti dal reddito e dal ruolo socioprofessionale. Nei cafè si colloca la nascita di una sfera borghese, l’origine dell’opinione pubblica moderna. Alcune abitudini vengono adattate e trasformate (es il ballo o il mangiare fuori). Altra grande novità sono le associazioni sportive, che compaiono alla fine dell’800 e si sviluppano molto rapidamente. Non c’è dubbio che i fenomeni di massa (quali il ciclismo, l’automobilismo, il turismo) rispecchino i valori della nascente società di massa. Aristocratici: Il potere ha bisogno di mostrarsi. Ciò avviene tramite vestiti e gioielli lussuosi, palazzi, cerimonie. Il consumo gioca un ruolo importantissimo sulla legittimazione della loro posizione. C’è una rivalutazione del lusso (considerato una volta dalla chiesa come peccato, un eccesso, uno spreco). Adesso viene considerato come un mezzo di promozione del commercio e del benessere individuale e può entrare nella sfera economica pubblica come elemento positivo. Il lusso però viene legato all’idea dell’ozio e dello sperpero. La loro diffusione era molto disomogenea. Ve en erano di più in Toscana, Napoletano, Veneto, Piemonte, Sicilia e Lombardia. Per il 40% erano costituite da patriziato e nobiltà urbane. Le loro ricchezze si riducevano con molta difficoltà. Nonostante la decadenza economica e il restringimento numerico, l’impatto di questa fascia sociale sull’immaginario collettivo è ancora molto forte a cavallo del secolo, grazie al suo ruolo storico e alla sua “visibilità”. Le dimore ospitavano famiglie allargate. Ogni qualvolta vi era la necessità di costruire una nuova dimora, si ricorreva ad architetti famosi. Vi erano divisioni tra ambienti destinati alla famiglia e quelli dei domestici. L’arredamento degli ambienti destinati alla socialità è molto ricco. Il salon nobiliare è il luogo destinato alla mondanità. Qui la padrona di casa riceve gli ospiti. La casa signorile non ha uno scopo funzionale e pratico. Le stanze erano allineate sullo stesso asse al primo livello. Tra una camera e l’altra vi erano delle salette di passaggio. Spesso ogni camera aveva un tema o un colore predominante. Gli oggetti sono disposti secondo uno stile unitario. In molti casi adattano lo stile alla funzione della stanza. Lo stile usato è quello Impero, Gotico. Nelle camere da letto c’è il letto a baldacchino e arredi antichi. Le stanze riservate alla servitù erano molto diverse. Nell’800 iniziò ad avere sempre più attenzione l’igiene. Vengono associati a ordine e pulizia e associate alle classi superiori, in contrapposizione alla sporcizia materiale e morale dei ceti subalterni. Altro elemento importante era la cucina. Era un luogo d’incontro per le donne, soprattutto per le domestiche. Cosa mangiavano e come mangiavano i nobili? Si erano diffuse le buone maniere (che comportavano, a livello sociale, un processo di autocontrollo verso tutte le emozioni e gli impulsi). Le regole che informano la vita quotidiana, l’etichetta e il galateo non sono quindi semplici consuetudini o curiosità del passato; modellano il processo di “civilizzazione” dell’Occidente e creano regole di condotta appropriate per la vita degli stati moderni. La forchetta diviene uno strumento moderno (e contrappone il moderno al primitivo). C’è un senso di uniformità (piatti, bicchieri, posate ecc..). Si inizia la giornata con la prima colazione, verso le undici una colazione, si pranza alle sei (con antipasto, prima portata, intermezzo, portata principale, dolci frutta e formaggi. Tutto accompagnato con vini). Appare l’importanza estetica del piatto. Molti dei piatti avevano dei nomi francesi, i quali poi vengono italianizzati. Ci sono i primi libri di cucina, per avere una cucina nazionale. Nei palazzi avevano luogo feste, balli, vestiti alla moda. La nobiltà a cui tutti facevano riferimento era quella romana. L’aristocrazia piemontese riveste un ruolo di primo piano nel Regno d’Italia. I nobili mantengono un distacco sociale. A Milano la nobiltà era impiegata nelle attività mercantili e imprenditoriali e il distacco sembrava minore. Nelle differenze i sono anche degli aspetti comuni relative alla sfera delle lesure. Divertimenti esclusivi sono le esplorazioni in paesi lontani, già popolari sull’onda del colonialismo. Vi sono poi gli sport. Anche l’abbigliamento è codificato. Molta importanza all’equitazione e alla pesca, su ispirazione inglese. Ritornano al passato: l’anacronismo diventa segno di distinzione. Lo spazio dei loro consumi è transnazionale. 1.2: Lo Stato e i consumi pubblici In questo quadro i singoli attori, i consumatori, non sono elementi passivi che agiscono coattivamente, ma agenti attivi, in vario modo consapevoli del significato delle loro azioni. Non è una varietà di pratiche del consumo ma miseria contro abbondanza. C’è da considerare il fatto che i consumi non sono soltanto privati ma vedono anche dei consumi pubblici, i quali divennero uno dei principi cardini delle politiche governative del Novecento. Ancor prima dell’unificazione si può vedere un intervento dello stato a favore della produzione industriale. Dopo l’unità l’intervento era legato alle questioni economico-sociali relative alle condizioni di povertà di diversi ceti sociali (quali contadini e operai), le quali potevano essere motivo di destabilizzazione sociale. Con l’unità sia la Destra che la Sinistra storica avevano fatto molto per la realizzazione di infrastrutture e dell’apparato amministrativo del neonato Stato italiano. Un esempio dell’intervento dello stato è l’assistenza; dapprima legata alla condizione economica del malato arriva, attraverso varie riforme come quella della sanità del 1888 di Crispi, all’assistenza sanitaria di ogni malato da parte degli organi rappresentativi dello stato. Durante il periodo giolittiano vediamo la lotta contro malattie come la tubercolosi, il colera o la malaria, le quali epidemie, erano dovute a condizioni igienico-sanitarie molto precarie un povero si ammala meno, è assistito grazie alla statalizzazione delle opere pie e inizia a impiegare parte del suo salario nell’acquisto di materiale per la sua igiene e salute. Negli ultimi decenni dell’800 nasce l’industria farmaceutica, la quale porterà alla creazione di un nuovo settore di consumi: i prodotti farmaceutici di larga commercializzazione. Per quanto riguarda a previdenza, essa era affidata a società private di mutuo soccorso e ispirate ad ideologie operaie o cattoliche. Solo nel 1898 con Turati (e successivamente con Giolitti) furono approvate delle norme per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, la Cassa per l’invalidità e la vecchiaia e tutela per donne e bambini lavoratori. Per quanto riguarda l’istruzione, la quale ha sempre visto avvantaggiato il ceto medio-alto, si hanno le prime leggi per l’istruzione obbligatoria con Casati (1859 con 2 anni di elementari) e Coppino (1877 con 4 anni d’istruzione obbligatoria). Nonostante questo, nel 1911 il tasso di analfabetismo era solo del 38%, tasso più elevato nel sud Italia e per le femmine, anche nei livelli più alti. Per quanto riguarda le politiche tributarie, fino alla GG, la metà delle entrate proveniva delle imposte dirette, l’altra metà da quelle indirette (le quali colpivano i prodotti sotto forma di imposte di fabbricazione. Tra queste troviamo il sale, il tabacco, il macinato, spiriti e zucchero). Alcuni prodotti (quali sali, tabacchi, chiamino, veri e il lotto) erano sotto il monopolio statale. La pressione fiscale di quest’epoca è stata tra le più elevate. Possiamo dire che alcuni consumi, hanno fatto insorgere uno spirito patriottico, dato il loro uso massiccio nelle politiche di rafforzamento dell’identità culturale italiana (prima fra tutti la scuola). 1.3: Il mondo della produzione. Contano di più i consumatori o i produttori? Quanto contano i produttori? Di sicuro moltissimo in quanto producono beni da immettere nel mercato, nel quale poi i consumatori andranno a scegliere il prodotto. Ci sono però due importanti correttivi: le importazioni dell’Italia, anche se limitate e l’autoconsumo (non recensito nei dati statistici dell’epoca). È importante segnalare alcune tendenze di lungo periodo riguardo ai prodotti consumati. Si passa dal consumo di beni primari a quello di beni industriali (esempio è quello degli alimenti). Tutto questo vuol dire che si assiste al trasferimento alle industrie di queste operazioni, prima legate all’ambito familiare. Ciò avviene per vari fattori, tra i quali sociali, economici e tecnologici. Vi è inoltre, un passaggio dai beni non durevoli a quelli durevoli. In entrambi i casi siamo solo agli inizi dei processi. In una tipica dispensa dell’epoca gli alimenti vengono conservati in vasetti di vetro, cassette di legno e ben avvolti in stracci o carta. Prevalgono i cibi secchi o sotto sale, dal soffitto pendono salami e ci sono forme di formaggi a stagionare. Vi sono poche etichette. Grande quantità di beni primari, erbe del giardino e conserve ci dice che oltre all’autoconsumo, la produzione di questi prodotti è locale. Dalla produzione locale dei beni di consumo, alcune aziende iniziano a meccanizzarsi, producendo grandi quantità di prodotti, che inizieranno ad essere esportati su scala maggiore. Questi prodotti diventano standardizzati e costano molto meno. Dato che i produttori devono fare i conti con la distribuzione a larga scala, nascono le prime politiche di marketing, che porterà poi alla nascita della marca. Inizialmente essa rappresentava il semplice marchio proprietario, poi divenne il mezzo per caratterizzare la merce e qui assume una duplice funzione: • Informativa sul palco hanno dubbia moralità, lo stesso avviene per le commesse. L’irruzione delle donne sulla scena pubblica ha però qualche contraccolpo: affascina e spaventa, dando origine a stereotipi negativi (consumatrice=cleptomane, commessa=prostituta). Ciononostante, le donne conquistano uno spazio pubblico che diviene importante per definire la loro identità. Lo spettacolo si confonde con la vita e la vita con lo spettacolo. Capitolo 2: Il fascismo 2.1: Il regime L’Italia era, secondo l’economista S. Kuznets un esempio di “crescita economica moderna” tra le due guerre. Qui il paese diventa industrializzato, entrando in una nuova fase economica e culturale. Il prerequisito è stata la crescita del reddito pro capite, la quale però non costituisce un necessario aumento dei consumi. La ricchezza ora è l’accumulo di risorse. Questa nuova necessità è influenzata da tre fattori: • Cambiamento delle condizioni di vita legata all’urbanizzazione • Differente composizione sociale e mutamenti nelle redistribuzioni del reddito • Progresso tecnologico Queste caratteristiche sono evidenti nell’Italia degli anni 20/30 legato al carattere politico che vede l’ascesa e l’affermazione del fascismo a discapito dei liberali. 1. Autarchia, genere, razza Nel 1938 il pil pro-capite è 3819 lire e i consumi ammontano a 2586 lire pro capite. La cifra dei consumi si ridistribuisce in maniera diversa: vi è una netta caduta dei consumi dell’alimentazione nonostante il paniere dei cibi non cambia molto, anzi, la dieta diviene meno ricca (ovviamente con le dovute eccezioni legate alla classe sociale d’appartenenza). La propaganda politica economica puntava sulle “battaglie” e nell’organizzazione cooperativa ma nella realtà il regime fu molto cauto, anche a causa delle varie crisi (la più grave quella del 29). Tutto ciò portò ad una precisa scelta a favore delle industrie grazie ad aiuti e ad una politica protezionista da qui la battaglia per L’AUTARCHIA. Essa è giudicata dagli storici in modo negativo ma non dal punto di vista dei consumi, i quali sono principalmente di prodotti italiani. Da qui i prodotti assumono un valore aggiunto: l’italianità. Essa, insieme alla romanità, diventa il simbolo delle campagne pubblicitarie. Tutto ciò non è né nuovo né italiano ma il fascismo riesce a creare un’identità e un profilo tipico del consumatore italiano. Di solito queste politiche sono rivolte alle donne, incaricate di gestire la famiglia e li acquisti. A loro si richiede di essere in grado di avere una completa autosufficienza. La battaglia per l’autarchia è combattuta in trincea nella casa e vede le donne in prima linea. Se da un lato abbiamo le donne, dall’altro abbiamo il Sud Italia, simbolo dell’immagine dei consumi sia all’interno che all’esterno. C’è il tentativo di creare uno spazio nazionale dei consumi allargato anche alle colonie. I consumi sono ora divisi anche per razza. Non è difficile trovare dei negozi che vendono prodotti arrivati dalle colonie, creando così una familiarità con l’Africa. 2. Emigrazione Il consumo di prodotti italiani aveva seguito gli italiani nelle ondate migratorie in America e Europa. In questi luoghi si crea un’importante richiesta di questi beni, favorita da parte del governo italiano per motivi economici e politici. C’è da dire che il consumo dei prodotti all’estero non era solo il consumo di per sé ma anche un modo per riunirsi insieme. Importante era anche la preparazione casalinga di pasti genuini che davano un senso di concretezza dei tipici valori italiani (famiglia, domesticità ecc..) importanti nell’America dell’abbondanza dove tutti potevano mangiare tutto. Man mano che si susseguivano le generazioni, la cultura italiana si contaminava sempre di più grazie all’influenza di altre culture. 3. Politica fascista dei consumi. Lo stato orientava sempre più i consumi privati e appariva sempre più protagonista in quelli pubblici. Vi è un aumento della spesa pubblica in quanto lo Stato è chiamato a correggere gli squilibri dello sviluppo industriale. La politica del fascismo si inserisce in una condotta molto più generale, legata allo sviluppo industriale del paese. All’interno di questo quadro esso attua scelte specifiche. Si osserva come in Italia l’effetto di spiazzamento (ovvero, il mantenimento di alcuni servizi instaurati prima di una crisi, anche dopo il suo superamento) non si verifica, in quanto vi è un forte controllo politico fascista e all’arretratezza del paese. Un esempio può essere l’istruzione (vi è un’assicurazione negli studi elementari ma non nei gradi successivi, i quali sono ancora fortemente legati alla classe sociale. In ogni grado vi sono delle associazioni parascolastiche obbligatorie, tutte di stampo fascista). Nuove politiche assistenziali e previdenziali con la fondazione di istituti parastatali tipo (Infps), i quali sopravvivranno al fascismo e saranno la base per lo stato italiano. La donna è al centro di alcune leggi e campagne propagandistiche: non solo favorire la maternità ma anche leggi a sostegno delle donne lavoratrici. Vengono create nuove norme per la loro tutela e quella dei bambini. Nelle spese dello stato vanno inserite quelle civili, a favore della redistribuzione delle ricchezze. 4. Consumi collettivi Sono quei consumi collegati al tempo libero, quindi accessori. Essi diventano importanti per il regime in quanto ne permettono un’organizzazione del consenso. Il fascismo per la loro creazione prende spunto da due modelli (uno socialista, il quale prevedeva delle associazioni per tenere uniti gli iscritti ed una americana, su base europea, che porta alla creazione di apparati per l’aiuto e l’elevazione degli operai). L’interessamento di questa fascia di consumi è legato al cambiamento epocale in atto: il tempo libero è per tutti e non solo per l’élite. La presa di coscienza del tempo libero e delle attività da svolgere in esso è legata alla borghesia e al pensiero del non sprecare tempo; perciò, ogni momento diventa utile per qualcosa ora i consumi culturali ricreativi prendono posto accanto ai servizi di base tradizionali. Insieme alle associazioni del dopolavoro, importante diventano le attività culturali promosse dal fascismo, tra esse il teatro, lo sport (anche femminile), la radio e il cinema. Tutto questo ha portato ad una presa di coscienza e alla sensazione che tutti questi servizi fossero un diritto di ogni cittadino. Grazie a tutto questo sorgeva una domanda: c’è solo il modello dettato dallo stato o ve ne sono altri? Il modello che il regime invitava a seguire era quello dell’aristocrazia, la quale però è inimitabile. Essa compare su riviste ed è al centro delle informazioni. Vi è però un altro modello: quello hollywoodiano con la donna protagonista della scena. Qui i consumi passano attraverso una cultura commercializzata. Ma il modello è irraggiungibile. Più vicino è il nazismo tedesco il quale, nonostante fosse accusato di limitazione dei consumi privati, ha invece incrementato i consumi simbolici. Da qui nascono le premesse per il consumo di massa, orientato verso la tecnologia e una fruizione domestica, che troverà la sua realizzazione del dopoguerra. 2.2: La vita quotidiana nel fascismo Il testo prende l’esempio dell’incontro tra Pizarro e Atahulpa per parlare di come gli oggetti più semplici della nostra quotidianità possono essere capiti ed usati solo all’interno di un contesto che dia loro significato. Dobbiamo imparare ad usarli e conoscere il valore culturale di questo uso, non hanno senso di per sé stessi. Non c’è dubbio che il progresso tecnologico sia un elemento fondamentale nei processi di consumo, soprattutto in età contemporanea. Casa Nell’esempio si è scelta una casa dell’alta borghesia medio-alta in una grande città. Sono in un elegante condominio. L’abbigliamento del signore è un completo giacca e pantalone (realizzato da un sarto) con una camicia con cravatta e un impermeabile trench (tutto di matrice industriale). Indossa un cappello, simbolo dell’appartenenza al ceto medio. La cameriera indossa un camice azzurro e tacchi bassi. essa accompagna i bambini a scuola. La signora, invece, indossa un vestito elegante a fiori aderente con un cappottino scuro e al collo una pelliccia. È sobrio come abbigliamento se non fosse per le calze velate con cintura centrale indietro e il cappellino. Calze e vestito sono prodotto dell’introduzione delle nuove fibre artificiali. La signora segue la moda, cosa che il regime non disprezza. Nella casa regna l’ordine, grazie anche all’utilizzo dei nuovi prodotti per la pulizia della casa e della biancheria. Non mancano le bibite rinfrescanti e frizzanti. Nella cucina troviamo un nuovo oggetto: la cucina economica. Vi sono i fornelli al piano superiore, mentre sotto c’è un ampio forno e lo sportello dove introdurre il carburante. La forma è squadrata e moderna, l’uso è molto semplice. Seppur il nome economica, la cucina costa molto. Notiamo due stufe: una vecchia e una nuova ed elettrica. Non mancano un bollitore e la luce dal lampadario segno che c’è elettricità, acqua corrente e forse il gas, forniti da istituti di gestione nazionale. La cucina è uno spazio femminile associato alla casalinga, ruolo incoraggiato dal fascismo a seguito del matrimonio della donna. In cucina troviamo anche elementi dediti alla cura del cibo e al vestiario (macchina da cucire Singer e un ferro da stiro elettrico). Il salotto ha sempre la composizione solenne del passato ma abbiamo degli capite triplicò e raggiunse la media europea ed internazionale, facendo ora risultare possibili dei confronti. d. Baby boom della generazione del dopoguerra ha provocato un aumento demografico e ad una crescita delle classi d’età più giovani. Ciò è dovuto alla crescita economica e alla ripresa delle migrazioni interne e internazionali, soprattutto quelle intereuropee. La fase di aumento si chiuderà negli anni 70. Dalla guerra c’è stato anche un aumento dela speranza di vita. e. Ripresa dei flussi migratori. Non da intendersi come quelle pre-guerre. Ora ci si sposta dal sud al nord (in Italia e in Europa). In Italia queste migrazioni comportano ad un cambiamento del profilo demografico con una ricaduta sui consumi ne aumenta la domanda. Ci sono le premesse sociali per un mutamento nella struttura dei consumi f. Cambiamento culturale. Le persone abbandonano il moro modo rurale per venire a contatto con inusuali spazi geografici e una cultura urbana. Si ridefiniscono i ruoli della famiglia. ciò che cambia radicalmente è che se durante gli anni della ricostruzione si andava a risparmio, successivamente ci fu una malattia proveniente dall’America per cui tutti erano convinti che la propria condizione potesse migliorare tramite l’acquisto di “cose”. Nell’Italia del boom era venuta l’ora di comprare la felicità. cosa comprano gli italiani? In termini complessivi la spesa per i consumi privati passa dai 10.000 miliardi del 1950 ai 30 del 1970. Ciò permette ai consumi di crescere a ritmi record. All’interno troviamo dei cambiamenti radicali: per la prima volta il primo posto per la spesa non è per i generi alimentari bensì scendono addirittura al 44%. Cambia la dieta: scendono i consumi di alimenti poveri (risone, legumi ecc.) e salgono quelli ricchi raddoppiano i prodotti caseari e le uova, crescono i consumi di birra e vino e salgono 3 prodotti simbolo: carne bovina, zucchero e caffè. Non vengono però abbandonati gli alimenti della tradizione culinaria italiana. Crescono i condimenti e libero sfogo ai caffè e ai dolci. Abbiamo ora un consumatore che apprezza una dieta ricca e variegata, con molti alimenti calorici, e con un alto consumo di prodotti freschi. Del restante 56% del denaro, che cosa ne fa? 9% in calzature e vestiti, 12% per i beni della casa, 10% comunicazioni, 6% beni durevoli, 8%igiene e salute e 11% per altri beni e servizi. Novità all’interno delle famiglie è la presenta die beni durevoli. Troviamo frigoriferi e televisore, lavatrice, automobile aspirapolvere, motocicletta e pochi hanno già la lavastoviglie. Le famiglie più povere prediligono il televisore al frigorifero, non hanno forse l’aspirapolvere ma cresce il possesso di motocicletta. La lavastoviglie era uno status symbol per le famiglie più agiate. Se paragonata però con gli altri membri dell’CE, l’Italia è ancora ultima. Questo quadro ci fa lanciare dei dubbi: questo periodo è a dette di molti, ricco di luci, del boom economica ma le cronache di allora parlano di problemi dell’immigrazione, di speculazione edilizia, degli operai, dell’arroganza dei nuovi ricchi, dei sacrifici giornalieri. Sono le cronache di allora a non vedere i risultati sul lungo periodo o quegli anni sono stati strumentalizzati come antitesi positiva al seguente periodo di crisi? Ci fu sì un lungo dopoguerra con un modesto tenore di vita e scarse speranze di cambiamento, un miglioramento ritardatario rispetto agli altri paesi europei e che quando questo avvenne, fu selettivo non riguardò tutti e lo si vede dal ritardo e dal consumo di beni durevoli che segue una precisa stratificazione sociale. Nel boom economico, è solo la classe media a migliorare rapidamente i suoi consumi, mentre operai e agricoltori restano in gran parte esclusi. Negli anni del boom l’Italia è ancora un paese dai mille volti. Questo si va a sommare alle profonde spaccature tra i ceti e alle aree geografiche. Lo stesso fenomeno venne vissuto in modo diverso dei suoi protagonisti. La cultura materiale fornisce una parte importante della costruzione delle nuove identità., materializza valori e comportamenti, diventa il tramite per rapportarsi e cercare un’integrazione sociale. 3.2: Immigrati Ogni giorno centinaia di persone arrivavano nelle stazioni del triangolo MiToGe con i “treni della speranza”. Non si staccano mai dalle valigie che contengono la loro memoria. Loro non si lasciano indietro solo dei ben, bensì una struttura organizzata su ben definite gerarchie sociali (un mobile non è solo quello, bensì la rappresentazione dell’autoconsumo; i pasti non sono solo quello, ma seguono precisi schemi culturali). Essi acquisteranno nuovi oggetti che materializzano valori e comportamenti diversi. La provenienza è molto varia: degli ex contadini, da grandi o piccoli borghi, immigrati cittadini sia di classe media che proletaria. Prime ondate erano i giovani uomini, poi seguiti da donne e bambini. Vengono tutti accomunati nel termine “meridionale”. Quale che sia la loro provenienza sperimentano importanti cambiamenti, tra i primi la mobilità, e per prima quella geografica: non è un totale salto nel buio perché ci si appoggia a familiari o amici che sono emigrati già prima. essi si attivano per trovare una prima sistemazione e un promo impiego. L’impatto con la città del nuovo immigrato è forte ma lo si attutisce con la rete citata prima. Altro simbolo della mobilità è l’automobile, in questo caso la Fiat 600, un’utilitaria, simbolo del sogno italiano. È bianca, ha 4 posti, aspetto curvilineo morbido di metallo, grandi finestrini, motore posteriore, bagagliaio piccolo con la ruota di scorta e una velocità di 95km/h. ha delle dimensioni molto ridotte ma è la macchina pensata per tutti. Costa 590.000 lire, pagabili con 24 comode cambiali. Unico difetto è il riscaldamento del motore in salita. È il sogno per il nuovo mondo, che permette la libertà senza limiti. È uno status symbol, un concreto miglioramento nella propria vita. è anche il bene principale connesso al nuovo paesaggio urbano industriale. il successo della macchina è così grande che vengono create la 600 multipla e la 500 (anch’essa macchina simbolo, più piccola e meno costosa). Il sogno di avere un’automobile è però ancora molto lontano e lo dimostrano i dati statistici (passano da 340.000 nel 50, nel 56 appena sopra il milione, nel 65 sono 5,5 milioni e nel 70 10 milioni). Solo negli anni 70 ci si avvicina alla media europea e la spesa all’interno delle famiglie per quest’ultima cresce. C’è però un dubbio morale sul suo acquisto legato al fatto che è visto come un mezzo per sfuggire dal controllo e per questo vi sono numerose restrizioni (militari, donne, giovani). L’auto è pericolosa: la velocità fa crescere il numero d’incidenti (e qui inizia l’utilizzo di santa Rita sul cruscotto, in quanto è la protettrice). L’auto provoca anche stress. Auto non sovverte solo ai meccanismi di controllo sociale: c’è anche una caratterizzazione di genere. Costruzione della mascolinità è un tema nuovo perché è sempre stata data per scontata. La costruzione della mascolinità, al tempo stesso, mette in crisi i ruoli tradizionali. Auto svolge un ruolo in questa definizione di mascolinità tant’è che la pubblicità se ne accorge e l’accostano a figure femminili. Altro ruolo dell’automobile è quello di essere considerata un bene di lusso. La diffusione dell’auto fa vedere una democratizzazione del lusso. I beni di lusso e quelli giornalieri non possono essere intersecabili in quanto legati a pratiche diverse. Gli economisti hanno visto che nel momento in cui nel budget di una famiglia normale arrivi un bene di lusso, queste ridistribuiranno le risorse a disposizione per permettere l’ingresso dei beni di lusso, limitando magari il consumo di altri beni di base. Gli immigrati non si compreranno un’auto perché troppo cara. Si compreranno una motocicletta. Le motociclette sono il doppio delle automobili e girano in ogni dove. Se ne possono trovare di più tipi: quelle dell’anteguerra, il Cucciolo, il Mosquito e le novità: la Vespa (esordì nel 46 con enormi polemiche. Conquistò subito i giovani della classe media grazie al suo prezzo abbordabile) e la Lambretta (più snella e meno costosa, costruita in Lombardia ma con slogan americani). Le due motociclette divennero delle vere e proprie icone, tanto da essere un simbolo anche che i mod di Londra. Agni inizi degli anni 60 la moto si contrapponeva all’auto, prerogativa delle classi medie urbane. Priorità per gli immigrati però non è l’auto ma la CASA. la casa di proprietà diventa il simbolo del nuovo radicamento sociale. Essa garantisce futuro e stabilità, il corrispettivo del posto fisso in fabbrica. Farsi una casa non è facile. Nelle periferie urbane molte case abusive fatte di lamiera che con gli anni vennero inglobate nelle città e trasformate. All’inizio nessuna città italiana era in grado di gestire l’emergenza, complice anche la speculazione edilizia (vedi Milano, Torino e Roma). Lo sforzo per acquistare il bene è fortissimo nelle fasce popolari urbane. Operai vogliono una casa, quale che sia. Non è un’imitazione dei consumi delle classi superiori, vogliono solo integrarsi nella società moderna tramite questi consumi. 3.3: Donne (e uomini) Che cosa hanno portato questi mutamenti nella casa? Esempio di un appartamento nella periferia di una grande città. L’ingresso è piccolo e quadrato con uno specchio, un attaccapanni, un tavolino per il telefono e stampe orientali alle pareti. Non c’è più il lungo corridoio. Sulla destra stanza con al centro un tavolo e dei mobili in legno chiaro. La cucina è diventata un cucinino lungo e stretto con una finestra sul fondo e contiene moltissimi elettrodomestici: lavatrice (Candy automatic) e il frigorifero (Ignis). Vi è una distinzione negli elettrodomestici legati al tempo: quelli che ce lo fanno risparmiare (lavatrice, aspirapolvere, frigo) e quelli che ce lo fanno consumare, per il tempo libero (radio, tv, giradischi). In Europa il primo elettrodomestico è stato il frigorifero che ci fa risparmiare tempo e ci permette una migliore conservazione degli alimenti. Il secondo posto è condiviso da voluttuari (bibite, dolciumi, sigarette con 50 miliardi), per l’acquisto di Vespe o Lambrette (50), per abbigliamento, cosmetici e acconciature (25), per la musica (23.5), per i trasporti (22), per gli spettacoli cinematografici e sportivi (21), per libri, quotidiani, riviste e fumetti (20.5) e per altre spese (38). Ovviamente vale ancora quello che abbiamo detto per le altre categorie: sono identità polisemiche, variabili, complesse, che si basano su fratture di reddito, geografiche, urbane e di genere. Qui la cultura materiale ha giocato un ruolo molto rilevante sia come codifica interna del gruppo, sia come codifica interna al gruppo sia come forma di autorappresentazione sociale, cioè di visibilità della subcultura giovanile. Nel 56, a seguito di un sequestro in una scuola elementare da parte di due ventenni, l’opinione pubblica inizia a vedere l’emergere della delinquenza giovanile, a cui vengono dedicati ampi spazi all’interno dei media. Per la popolazione i giovani non sarebbero vittime della società ma viziati dai genitori pessimi, hanno poca voglia di lavorare e sono plagiati da film e fumetti, i quali andrebbero censurati. I dati sulla criminalità però ci mostrano uno scenario diverso: l’aumento della criminalità giovanile è collegata all’aumento della criminalità in generale. I reati non sono più legati a lesioni su persone o all’omicidio (anche se al diminuire dell’omicidio volontario aumenta quello colposo) ma vedono l’aumento di furti e rapine. Il fenomeno succede in tutta Europa: all’aumento del patrimonio aumentano i reati contro il patrimonio e calano quelli contro le persone. La maggiore ricchezza materiale e l’ostentazione ai beni di consumo sono certamente forti incentivi ai reati. Stessa cosa per l’aumento delle leggi, che ne fa aumentare l’infrazione. Scende la violenza collettiva. Perché c’è l’allarmismo sui reati giovanili? Il legame dell’opinione pubblica è questo: i film del dopoguerra raccontano storie di giovani ribelli, la letteratura si ispira ai giovani dannati, i fumetti hanno personaggi ambigui (Batman e l’Uomo Ragno). Si forma un cliché ricorrente: il giovane sbandato. Anche in altri paesi si manifesta la cosa e hanno una sola spiegazione: il panico morale. Le paure suscitate dai giovani sono in realtà metafore di una profonda inquietudine che attanaglia la società e che deriva dalle trasformazioni in corso. Le trasformazioni creano di un maggior benessere e fiducia nel futuro ma mirano profondamente i valori e i comportamenti tradizionali. In Italia la situazione non è così estrema, almeno fino al 68. Da parte loro, i giovani, vedono le cose molto diversamente: il loro comportamento è un modo per esprimersi come soggetti, per divertirsi e stare insieme. La loro identità trova una prima costruzione intorno ad alcuni oggetti e ad alcuni luoghi. Il primo è la cameretta, soprattutto per le ragazze. Quello principale è però l’ambiente extra-domestico. Il ragazzo che vive nella casa, essendo pomeriggio potrebbe essere al cinematografo, in un bar (a giocare a flipper o al juke-box) a ballare (nelle balere e discoteche al pubblico o anche in qualche casa privata). Possibilmente ci si sposta con la moto. La musica è il vero linguaggio dei giovani. Si inizia con il boogie- woogie, poi il jazz, ma la vera voce giovanile è quella del rock’n’roll proveniente dalla gran Bretagna con i nuovi miti: i Beatles (storico il loro arrivo a Milano il 24 giugno 65), Rolling Stone, the Doors, Rockes. Anche la musica melodica italiana inizia ad adattarsi alla novità. A Roma, in piazza di spagna, a sconvolgere i turisti arrivano i capelloni, che ascoltano solamente della musica e stanno in compagnia. Fra gli oggetti elencati prima troviamo i segnali distintivi: abbigliamento, taglio di capelli. I ragazzi hanno i capelli lunghi, jeans, magliette ì, giacche attillate, maglioni a righe o camicie bianche e colorate. Le ragazze hanno i capelli o lunghi o a caschetto, miniabiti, jeans, cinture vistose, scarpe e stivali con il tacco. Vanno di moda le fantasie geometriche cosmonautiche con accostamenti con tinte forti. Usano molto il trucco su modello delle ragazze del Pier. Arriverà poi l’ondata hippy. L’abbigliamento mostra chiaramente l ricerca di nuovi modelli estetici, oltre che “politici”. Riscoperta e valorizzazione del corpo, sia maschile che femminile: non è più occulto ma esposto, all’insegna della praticità e della sessualità. Presenti nell’abbigliamento i nuovi materiali: plastica e fibre sintetiche (i collant e le fibbie). Come lo dobbiamo interpretare? Secondo alcuni sociologi i giovani assemblano: prendono materiali diversi, che possono venire dai media, dalla moda, dalla pubblicità consumistica, dall’esempio dei coetanei, dall’estro personale, e creano un nuovo insieme finale, dei rituali. Gli oggetti così cambiano significato perché vengono decontestualizzati. È così che nasce uno stile, il cui fine è quello di costruire un’identità specifica. Un’affermazione che compare molte volte che l’Italia sembra percorsa da un’ondata di giovanilismo. Dato che l’Italia ha una bassa mobilità sociale e dato che i meccanismi di ricambio sono stati intaccati dal fascismo e della Seconda guerra mondiale, si è così creata un’occasione per il rinnovo della classe dirigente, contribuendo all’illusione di una società giovane e protesa verso il futuro. Non tutti i consumi sono ugualmente approvati dalla società e non tutti i consumi sono leciti. La linea che traccia il confine non è sempre univoca e cambia con il tempo. Il quadro normativo vede spesso il susseguirsi di cicli di tolleranza e di repressione. I beni che abbiamo visto ci hanno detto che è nella vita quotidiana che si definiscono pratiche, relazioni, significati e che la grande trasformazione degli anni 1950-70 è passata anche nelle case, oltre che nelle fabbriche, città e campagne. Qui ha dato voce ai giovani, ha messo in atto i micro-affrancamenti femminili, ha mutato orizzonti e aspirazioni degli immigrati. Ha prodotto nuove identità e, al tempo stesso, nuovi importanti soggetti economici. Premesse per far sì che il cambiamento possa scendere anche nella politica. Politica, cultura e “welfare state” Il termine consumi fece il suo ingresso nel dibattito pubblico e politico negli anni ’50 in quanto il loro ruolo nei processi di crescita e trasformazione è talmente evidente da non poter essere ignorato. Il problema è come giudicarlo. Molti si disinteressano del problema perché non attiene alla politica alta e all’economia. Non tocca direttamente le ideologie. Altri temono che i mutamenti sul piano della quotidianità possano portare ad un’influenza nel lungo periodo e portino a forme di omologazione. Pareri tra di loro discordi. Alcuni ritengono che gli italiani debbano acquistare i beni di prima necessità, e poi passare agli altri beni. È post molta enfasi sui consumi privati, fruiti individualmente, anziché sui consumi collettivi di base, per i quali dovrebbe intervenire efficacemente lo stato. Il suggerimento è quello di reprimere i beni di lusso per concentrarci sui consumi collettivi. Inoltre, a svantaggio dei consumi, c’è la diffusione del concetto “sviluppo come crescita”, ovvero la convinzione che il benessere sia automaticamente dipendente dal suo tasso di crescita economica e che quindi gli investimenti abbiano una priorità assoluta. I consumi limitano il risparmio e bruciano queste preziose risorse. Anche a livello politico avversità nei consumi (tra questi DC e PCI). Pier Paolo Pasolini: come le lucciole sparite per l’inquinamento, così l’intero “vecchio universo agricolo e paleocapitalistico” cede il posto a una nuova civiltà, totalmente altra, la civiltà dei consumi. Si verifica perciò una mutazione antropologica degli italiani cominciata dai ceti medi (es: le campagne viste come luogo del weekend e di seconde case). Vi sono numerose inchieste e analisi sui beni e consumi. Vi sono studi sul campo (esempio inchiesta sulla televisione fa vedere come, per i contadini, sia un bene per migliorare la loro conoscenza del mondo. Emerge quindi una concezione incentrata sul divertimento, che si va a contrapporre alla tradizionale etica del lavoro). L’esempio va ad individuare la presenza di una nuova cultura del consumo. È una cultura che nasce dai nuovi oggetti, si sviluppa sul piano della quotidianità, investe le famiglie e individui, forma identità trasversali, crea differenti priorità di valori, dà voce a nuovi soggetti, inventa linguaggio e simbolismi. È una cultura che spiega perché gli italiani acquistano nuovi beni di consumo, seguendo modelli di comportamento simili a quelli dei paesi più sviluppati. Il tono prevalente all’inizio è una critica al consumismo ma più avanti iniziano a ricredersi in quanto i beni di consumo diventano un indicatore fondamentale del benessere raggiunto. Accanto ad una crescita sfrenata e quasi anarchica, si dispone di un enorme apparato di industrie statali e della potente leva dei consumi pubblici. DC e PSI volevano la redistribuzione del reddito e l’uguaglianza sociale porta alla creazione del welfare state. I punti fondamentali del welfare state: a. continuità con i periodi precedenti discorso sui consumi pubblici nasce nell’800 e arriva fino al fascismo. L’Italia repubblicana mantiene buona parte degli apparati createsi precedentemente (ad esempio l’INPS rimane, togliendo solo la f del fascismo). L’unico cambiamento è che nella repubblica i benefici non sono solo per singole categorie, ma per tutti. b. Welfare è l’elemento costitutivo della democrazia nel dopoguerra. Nacque ufficialmente nel rapporto Beveridge del 42 c. Struttura delle spese assistenziali in Italia simile a quella europea. Con queste premesse tra 50 e 73 la spesa pubblica crebbe notevolmente e si edificò il welfare italiano. Alcune spese diminuiscono in percentuale (amministrazione e difesa) ma altre crescono (istruzione, sanità, assistenza e previdenza). La presenza dello stato in queste aree alleggerisce la concorrenza privata, facendo aumentare altri consumi. Negli anni del dopoguerra l’istruzione per un ragazzo è abbastanza buona. Nel dopoguerra le spese per l’istruzione superano addirittura quelle per le opere pubbliche. I motivi sono vari. C’è un aspetto di equità sociale e uno pratico. I livelli di analfabetismo e abbandono dell’istruzione sono ancora alti, nonostante il boom economico richieda sempre più manodopera qualificata. L’istruzione basilare e tecnica vengono viste come prerequisito Troviamo confezioni di pasta Barilla, Agnesi, Amato e Buitoni, le passate della Cirio, i dadi star. Pasta e conserve rappresentano 1/10 del pil grazie all’espansione delle loro industrie a discapito di quelle agricole. Per avere la leadership, Barilla punta molto sulla pubblicità: logo indimenticabile con scatola blu e con testimonial d’eccellenza. La Star è prima in Europa per le conserve. Ci sono anche le scatolette degli Arrigoni e della Simmenthal. Con la Simmenthal si punta a mangiare più carne. Stessa cosa per il tonno Rio Mare, Manzotin e Montana. Non mancavano caffè, riso, farina, zucchero, olio di semi (Olio Cuore). La Margarina (surrogato economico del burro) diventa il primo simbolo per una dieta un po’ più salutista. Troviamo anche le stoviglie bianche, una caffettiera Bialetti, le bilance di precisione San Giorgio (la risposta italiana alla Kitchen Aid), e un frullatore. Scompaiono le pentole in rame, a favore di quelle in acciaio della Lagostina di Omegna. La cucina diventa un’arte. Troviamo poi numerosi biscotti (Saiwa, Doria, Plasmon), dolci e merende con la Motta (con il panettone di Milano) e la Pavesi. La pavesi lancia due novità: gli autogrill sulle autostrade e i cracker. I Pavesini vengono sponsorizzati da Topo Gigio, uno dei personaggi più importanti insieme a Calimero, Pippo, Lancillotto e il Gringo. L’unica impresa fuori dalla pubblicità è la Ferrero che costruisce la sua fortuna sulla Nutella. Troviamo anche le caramella (Dufour, Ambrosoli ecc..), l’Ovomaltina, Orzoro e le Amarene Fabbri. Importante è anche la pubblicità nelle varie fasce d’età (ad esempio, l’Algida e le gomme da masticare (es Brooklyn) sono più per i giovani). Nel frigorifero si possono trovare numerosissimi prodotti freschi con frutta, agrumi, ortaggi e pomodori. Il frigo fa si che i cibi non si deteriorino velocemente. Si trovano anche pesce, carni già tagliate, formaggi, salumi, uova, burro e margarina. Troviamo all’aperto il vino e la birra (Dreher e Pedroni) l’acqua minerale Recoaro, San Pellegrino e Sangemini (per i bambini), le bottiglie della Coca-Cola e il latte nel tetrapak (a volte a lunga conservazione). Il pranzo a mezzogiorno cambia e consiste in: primo di pasta, secondo (di solito fettina di carne con contorno), formaggio facoltativo, frutta e caffè (poi i dolci nelle festività). La cena è più leggera. In dispensa troviamo moltissimi cibi industrializzati e di marca, sempre più standardizzati. I nuovi prodotti non soppiantano del tutto le tradizioni culinarie tant’è che l’industria valorizza prodotti tipici, in particolare quelli del meridione, e li porta sul mercato nazionale. Si mitizza la dieta mediterranea (1962 da parte di Keys, colpito dalla longevità dei contadini del Cilento) lanciando il messaggio di mangiare meno proteine animali e più pasta, verdura e frutta fresca e olio d’oliva. La dieta era data dalla necessità della popolazione. Nel complesso l’alimentazione tra nord e sud era molto diversa con quella del nord più ricca di zuccheri. Lo stesso paragone si può portare tra Italia e paesi europei. La compresenza di grandi e piccole imprese ha permesso di produrre beni di qualità a prezzo contenuto. Ne è un esempio l’abbigliamento. Esso si è migliorato e diversificato. Le famiglie spendono di più e le aziende fanno progressi. Il capo già pronto non è più sinonimo di capo mal fatto. Restano i sarti e le sarte e le boutique artigianali di pregio, ridimensionandosi. Tra i primi a lanciare i capi in serie troviamo Aspem (Rinascente), Rousier, Vogue Italiana, Max Mara, Spagnoli, GFT dei Rivetti. Monte della produzione dell’abito già pronto c’è la grande tradizione tessile lombarda e piemontese, in grado di dare tessuti di qualità. Manca però l’alta moda italiana (a Parigi Dior e Pierre Cardin). G.B. Giorgini è il primo a fare il tentativo in Italia. Organizzò a Firenze (Palazzo Pitti) il Fashion Show del 51. Di spicco Pucci e le romane Fontana. L’alta moda rimarrà un settore separato rispetto a quello dell’industria, che crescendo, mantiene lo stesso standard elevati. I consumatori però ora sono un po’ più ricchi e vogliono capi già pronti alla moda: non bastano più i prodotti di qualità a basso prezzo. Le donne sono quelle più influenzate dalla moda e la costruiscono attraverso le riviste di moda e i consigli delle amiche. Per i giovani nascono negozi appositi. Nel 73 nuove tipologie d’acquisto dell’abbigliamento: cresce il consumo casual per uomo e donna, boom della maglieria ma arretramento abiti tradizionali. Le confezioni industriali coprono il 90% delle vendite per l’uomo e l’80% per la donna. Si sviluppa poi la moda di livello intermedio che abbina i gusti dell’alta moda con l’abbigliamento industriale. Questo avviene a metà anni 70 con lo stilista. Egli progetta secondo un suo stile specifico, collabora con imprese tessili e segue la realizzazione dei capi passo per passo, presentando le sue collezioni durante le sfilate. Si viene così incontro alle esigenze del pubblico che non segue più l’alta moda ma uno stile, un possibile modo di essere. Milano può offrire gli spazi adeguati e i collegamenti mediatici e internazionali per realizzarla. Nasce il sistema oda con Versace, Armani, Garavanti e molti altri. Si rifletta anche sull’industria e crea il designer. Le origini del designer vanno rintracciate nel dopoguerra con gli architetti. Nasce l’italian design che ha i suoi punti di forza nel tessile di alta qualità, nei suoi personaggi e in iniziative istituzionali. Essi disegnano oggetti che cambiano l’aspetto della vita quotidiana. Lanciano il messaggio che tutto può avere una dimensione estetica. La grande distribuzione e i supermercati “americani” Nel giugno 56 a Roma, il dipartimento dell’agricoltura USA allestisce all’EUR un supermercato di 1000 mq con tutte le più moderne attrezzature con 2500 articoli esposti. La “Supermarket – U.S.A.” è visitata da 450.000 persone e attira l’interesse del grande pubblico attraverso i mass media. È simbolo dell’american way of life e rappresenta la libertà di scelta. Raffigura l’idea del benessere e dell’abbondanza illimitata, segnando la fine del periodo di penuria. Al tempo stesso c’è la paura all’omologazione. In Italia difficile la sua instaurazione a causa della rete dei piccoli negozi, che ha conosciuto un’espansione con i flussi migratori e con l’accrescimento del potere della popolazione. Nell’alimentare crescono i negozi che vendono prodotti freschi e di pregio. In difficoltà però ci sono gli empori non qualificati. Nel 1971 ci sono 607 supermercati (2/3 al nord). Dopo l’esperienza di Roma il self-service si applicò ma senza grossi risultati. Sono ancora di origine americana. Nel 73 Rockefeller con i Bernando, Caprotti, Brunelli e i Crespi (del corriere della sera) fondano al “Supermarkets Italia spa”, aperta con molte difficoltà burocratiche e continue polemiche. (lunga descrizione dei primi supermercati che sono uguali a quelli di oggi. L’unica cosa che cambia è un po’ di scetticismo della clientela e moltissime novità, tipo la carne già confezionata e i surgelati e il carrello, dove gli addetti, nei primi giorni, dovevano correre dietro ai clienti, convinti che bisognava portarselo a casa e riportare la prossima volta). La reazione dei primi consumatori alla novità è molto differenziata. Ci sono giovani e anziani (che diventano, stranamente, i clienti più affezionati), preferibilmente del ceto medio (alla ricerca dei prezzi migliori). Molti sono gli immigrati (in quanto per loro è più facile comprare qui). Le donne sono le protagoniste dei supermercati, risparmiando tempo trovando prodotti già pronti. Sono presenti non solo come clienti ma anche come commesse (non si sa molto della loro vita ma dato l’andamento generale dovevano essere sempre presenti, non sposate e con un aspetto ordinato e pulito. I salari erano però alti e questo ne faceva aumentare le richieste). Come vera sorpresa troviamo gli uomini. Nel 61 l’azienda venne acquistata interamente da Caprotti e divenne Esselunga. Andare a fare la spesa non era ancora routine ma solleticava la curiosità, facendo scoprire prodotti nuovi (provenienti anche da lontano ad un costo conveniente). La scelta del cibo non riguarda più solo il genere femminile, bensì si trasforma in un bricolage culturale, indica uno stile di vita). Diventa un rito di famiglia, dato che serve il marito per fare la spesa, la quale viene concentrata una volta a settimana. In pochi anni compaiono altri supermercati sulle realtà regionali (Romana supermarket, Gs, Garosci, Bennet, Pam, Gioel) e si espandono i grandi magazzini della Rinascente e Standa. La rinascente punta su Sma (supermercati) e gli affianca all’Upim. La Standa punta sul fatto che all’interno ha tutto. Si aggiungono anche il commercio associato (unione volontaria tra commercianti e grossisti) e le cooperative (nel 71 CoopItalia e nel 62 la Conad di Bologna). Nel 71 su 607 supermercati il 56% era della grande distribuzione, il 32 per i commercianti indipendenti e il 12 alle cooperative. Si sviluppano anche nuovi grandi magazzini (Coin). Abbiamo i supermercati grazie all’azione tra sindacati, organismi pubblici e partiti di governo-opposizione. Il supermercato ripropone una rivoluzione simile a quella dei grandi magazzini dell’800. Contribuisce a mutare abitudini, rende diretto e immediato il rapporto con la merce, rafforza il ruolo delle marche sul mercato, fa conoscere nuovi prodotti, esalta il packaging, accelera i processi di trattamento industriale degli alimenti, è la testa di ponte di varie multinazionali in Italia. Non è succube delle industrie italiane e mette in atto sue specifiche politiche di vendita e di produzione, rivoluzionando anche i prezzi. Gli intellettuali se la prendono un po’ con i supermercati: Warhol con la merce, in Italia Bianciardi e Calvino. Molti teorici hanno ipotizzato che una delle caratteristiche della società moderna sia il kitsch, inteso come espressione storica di un’abbondanza di merci in grado di appagare i desideri di tutti. Una cosa è certa: supermercati, grandi magazzini negozi ecc. mutano il paesaggio urbano. Sono luoghi di ritrovo, disegnano nuove geografie in quanto si insediano nelle periferie, contrariamente ai negozi ricci del centro storico, facendone, a volte, diminuire il numero. I commerci vanno un po’ a seguire il percorso delle industrie nella trasformazione del paesaggio urbano. L’impatto del modello americano in questi anni è enorme e si estende sull’economia, sulla cultura, sulla società. l’Italia ha costruito una sua forma di americanizzazione. Il risultato è un ibrido. Capitolo 4: La società affluente 4.1: L’impatto della società sui consumi Quali sono le cadute a livello politico a fine del Novecento? Continua il supporto alle politiche per il consumo. Si va incontro alla liberalizzazione e a molte riforme per ridurre i costi dello stato sociale, con il coinvolgimento di enti no profit. Continua ad avere valenza d’integrazione sociale, di cittadinanza nel senso indicato da Marshall. Agli inizi del III millennio la politica basata sui consumi sembra essere in difficoltà per via delle crescenti problematiche economiche e sociali e di occupazione giovanile. Negli anni 90 la politica è messa a dura prova anche dagli scandali alimentari. Crescono in tutta Europa le manifestazioni e azioni individuali e collettive, con un sottofondo politico: scioperi della spesa per protesta, si boicottano dei marchi per ragioni etiche (danni ambientali o sfruttamento) o si acquistano prodotti che garantiscono il rispetto dei diritti del lavoro. Da queste manifestazioni si possono osservare due aspetti: a. i principali protagonisti di queste campagne sono soggetti sottorappresentati all’interno della politica alta b. i luoghi dell’azione sono molto diversi: luoghi, centri commerciali, internet. Il consumo politico è l’unica modalità, per alcuni gruppi, di esprimere la loro posizione etica e politica. Ciò che viene messo in crisi sono le forme e i luoghi tradizionali della partecipazione politica. Nuovi prodotti Emergono i distretti industriali: conglomerati locali dello stesso settore. Esso si innesta su un tessuto sociale e comunitario vivo da tempo, e famiglie e imprese divengono un continuo. Simili realtà diventano la “via italiana” allo sviluppo, in contrapposizione al declino delle imprese fordiste. Questi distretti sono i veri protagonisti del made in Italy, capaci di coniugare la qualità alla produzione in serie, unitamente a prezzi contenuti. I settori nel quale sono presenti sono spesso i settori dei beni di consumo finali. Questi beni sono sia per l’export che destinati ai mercati nazionali. I prodotti vengono notevolmente valorizzati grazie alla pubblicità. Due settori hanno avuto un forte impatto: a. beni tecnologici è una nuova rivoluzione ma non si capisce ancora bene l’impatto sul futuro. Ogni categoria d consumatore ha un approccio diverso alla tecnologia. I colossi dell’informatica (Intel, Hp, Apple e Microsoft) creano prodotti con particolari caratteristiche ma non sono scritte nelle specifiche, facendo si che i consumatori li piegano alle loro esigenze. Il computer è utilissimo. Aiuta per il lavoro e per lo svago. In Italia, nel 2005 il 40% delle famiglie aveva un computer. L’Italia inizia a vedere una diffusione delle tecnologie graduale, inizialmente ostacolata dall’alto prezzo. Il computer è il simbolo della nuova era, un po’ come lo era stata l’automobile. Il vero strappo è il cellulare, usato da tutti gli strati sociali, con record europei. Costano poco e sono facili da usare. Essi hanno provocato una vera e propria rivoluzione nelle telecomunicazioni. Successo ricorda al binomio lavatrice/frigorifero e tv. Ha accelerato il mondo della comunicazione globale. Molti studi hanno confermato il suo ruolo come oggetto affettivo. b. Nuovi beni: nuovi derivati delle plastiche, l’edilizia, trasporti, fibre tessili ecc. Va ricordata anche la lunga catena che ci permette di avere gli alimenti sulle nostre tavole. Ci sono 3 tipi di gruppi alimentari: i cibi che vengono modificati per ragioni dietetiche, di comodità o salutistici; i prodotti tipici (DOP o IGP. Esistono da secoli ma non avevano mai assunto questo significato. Sono simbolo dell’italian eating); prodotti biologici (molto di nicchia). Negli alimenti si assiste alla modifica dell’agricoltura con interventi scientifici e tecnologici (es: Ogm). Questi processi si accelerano grazie anche alla biologia, in grado di influenzare la genetica. Lo fanno anche per motivi di packaging. Il prodotto, anche agricolo, deve essere sempre uguale. Tutte queste manipolazioni però producono anche ansietà: creata controtendenza e ritorno alle origini (con Slow Food). I produttori reagiscono, cercando di stare più attenti e lo dimostrano anche nelle pubblicità. I buoni prodotti però non sono mai mancati, ma sono difficili da distribuire in tutto il territorio ad un prezzo competitivo. Toccherà ai consumatori poi scegliere. Le aziende, dagli anni 90 cercano di migliorare la qualità dei loro prodotti. I limiti del consumo Il degrado va collegato a complessi ampi, collegati all’industrializzazione, all’urbanesimo, all’incremento demografico, alle coltivazioni agricole ecc. i processi di consumo sono sempre più collegati al problema dell’ambiente nel discorso pubblico. La produzione utilizza quote di “capitale naturale”, difficilmente rimpiazzabile. Il consumo non si esaurisce nell’atto di comprare e utilizzare il prodotto, ma prosegue nello scarto residuo, con problemi all’ambiente. Il problema ambientale è una delle maggiori sfide del XXI secolo. Gli studiosi hanno avanzato analisi diverse e sono nate intere nuove discipline, come ‘economia ecologica. Alcuni consumatori legati al problema già in anni precedenti e si sono poi estesi nella popolazione, passando da valori materialisti legati al consumo fisico e alla ricerca di sicurezza, a valori postmaterialisti. Sono spesso persone che non hanno sofferto misera e privazioni e sono spesso sempre più insoddisfatti della politica moderna, lontana dalle loro esigenze. Le adozioni spontanee di comportamento per limitare l’impatto ambientale cominciano a notarsi nel paesaggio urbano. Ad esse vengono aggiunte quelle organizzate da associazioni o autorità amministrative, che però assumono spesso un valore simbolico. La razionalità dei singoli si scontra con l’utilità e l’efficienza collettiva. L’unica strategia vincente è quella collaborativa. Non sono mancati gli esperimenti estremi per adattarsi ad uno stile di vita di consumo sostenibile. Recentemente sono stati elaborati dei misuratori della sostenibilità. 4.2: La vita quotidiana contemporanea Il corpo e la moda Il tabù di questo mondo del consumo è il corpo. È sacro, e non viene messa in discussione a fine Novecento. La sua importanza e distintività sono un elemento caratteristico di questa fase storica. Se il corpo è sacro, non possiamo mercificarlo (tutto o in parte). La scienza, però ci spinge a definire i limiti dell’inviolabilità corporea. Possiamo usare il corpo o sue parti a scopi scientifici? L’uso e la manipolazione del corpo non sono limitati al campo scientifico. Sono tradizioni culturali da moltissimo tempo. Oggi però assumono la forma di vere e proprie pratiche di consumo del corpo. La moderna medicina permette interventi estetici sia interni che esterni anche estremi, all’insegna del morphing totale. Facciamo del corpo la nostra opera d’arte. In occidente si afferma il modello di magrezza, soprattutto femminile. Il corpo magro è bello ed efficiente e sano. C’è anche il fatto che l’obesità viene legata a problemi medici. Si predica il normopeso e si diffondono le diete. La ricerca della magrezza non è una depravazione ma un investimento che facciamo sul corpo. Se le forme del corpo comunicano, gli abiti lo fanno in modo maggiore. Sono entrambi dei prodotti culturali. La moda ricopre un ruolo nel nostro tempo: l’abbigliamento è capace di divenire icona di movimenti sociali e politici. Qual è il significato della moda oggi? La moda nella società di massa trae il suo senso dalle stratificazioni di classe e tende a diffondersi dall’alto verso il basso. C’è chi vede il continuo e veloce cambio della moda come componente essenziale della vita urbana e parla di fascinazione per lo spettacolo delle merci, quasi di sogno, che allude ai valori profondi della società moderna. oggi è importante parlare di mode al plurale. Si studia la crescente sovrapposizione tra sistema della moda e mondo dei media. Si guarda al ruolo delle subculture nell’istituire stili estetici che servono a creare identità condivise. Si osserva la frequenza con cui le mode vanno dal basso verso l’alto, dalla strada alle collezioni. La moda non è solo più abiti e accessori ma riguarda anche l’arredamento, i luoghi delle vacanze e tutto ciò che ci rappresenta. In Italia il settore della moda è significativo sia dal punto di vista culturale che economico. Agli stilisti storici si aggiungono anche quelli nuovi (Gucci, Dolce Gabbana, Moschino ecc. da un lato si concentrano le risorse per la valorizzazione del marchio, dall’altro si procede alla costruzione di grandi concentrazioni industriali per competere sui mercati globali, assorbendo altre marche. La moda fa molto. È l’immagine dell’Italia all’estero. Si lancia L’Italian way of life. Spazi privati e spazi pubblici C’è un nuovo paesaggio domestico: la cucina moderna. siamo in una cascina ristrutturata da qualche parte nella campagna italiana. Abbiamo n ambiente con soffitto in travi. Spicca il blocco della cucina in muratura: lavello d’argento, piano di lavoro, grande cucina economica. Di fronte c’è il camino con due sedie a dondolo. Al centro un grande tavolo d’epoca con le sedie e un prezioso fratino, armadi di legno e tende alle finestre. Pentole di rame appese al muro. L’atmosfera è calda e accogliente. Chi l’ha progettata voleva vivere in un ambiente più naturale e legato alle autentiche tradizioni contadine. La cascina è arredata con un mix di mobili nuovi e vecchi. È pulita, ben riscaldata e illuminata. La cucina si è fusa con il salotto, dando vita al soggiorno, ed è diventata l’ambiente centrale della casa. ci spostiamo in un’altra cucina. Ci troviamo in una cucina Bulthaup b3, una parete funzionale in mezzo alla stanza, alla quale sono appese mensole, box multiuso, elettrodomestici. È una cucina fluttuante colorata con il bianco, il grigio e la texture del legno. I materiali sono naturali o ipertecnologici. In questo living
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