Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L'italia dei consumi - E. Scarpellini, Sintesi del corso di Storia Sociale

Riassunto per esame di Storia Sociale dello Spettacolo.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 24/12/2018

cristinafod
cristinafod 🇮🇹

4.6

(18)

7 documenti

1 / 33

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica L'italia dei consumi - E. Scarpellini e più Sintesi del corso in PDF di Storia Sociale solo su Docsity! L’Italia dei consumi Capitolo primo: l’Italia liberale. 1. La società italiana dall’unificazione alla Belle époque 1. Un paese dai mille volti Periodo della grande trasformazione (1870 – 1913), ma lenta: in Italia rispetto ad inizio secolo ci fu una discreta progressione, ma sempre al di sotto dei livelli nordeuropei. Aspetto demografico: XIX secolo, fine dell’Ancien Regime (alti tassi di natalità e mortalità) e inizio di un nuovo equilibrio, con meno nascite e aspettativa di vita più lunga (vita media da 35 anni nel 1880 a 47 anni nel 1910). Forte aumento della popolazione e cambiamento nelle classi d’età. Perché? • Crescente pressione demografica spinge all’esodo verso i nuovi centri industriali tradizionali modelli di consumo vengono rivoluzionati; • L’individuo ha maggior possibilità di scelta per il proprio destino / stile di vita; Cosa si consumava in quegli anni? La maggior parte delle spese era riservata all’alimentazione. È difficile fare un quadro generico se si parla delle spese per famiglia/per individuo, a causa delle differenze territoriali e di contesto storico e delle differenziazioni per classe sociale. 1.2. I contadini Nel 1911 il 62% della popolazione era impiegato nell’agricoltura. La vita dei contadini era generalmente dura: i loro guadagni erano assorbiti totalmente da alimentazione, casa e vestiario. La situazione era leggermente migliore per contadini autonomi, fittavoli e coloni, e drammatica per i braccianti, che costituivano la stragrande maggioranza (più di 5 milioni e mezzo a fine Ottocento). Esempi di pasti contadini: • Nelle Langhe: polenta di granturco, legumi, patate, castagne; • Sardegna: pane di frumento, minestra di legumi; • Puglia: pane “nerastro e schiacciato” per il giorno, zuppa “acqua-sale” la sera. Vino durante la mietitura per dare più energia; Complessivo basso apporto calorico: solo carboidrati, pochissime vitamine e proteine malattie. Significato simbolico del cibo: cibi associati a privilegi, rituali, distinzioni sociali, specie nelle culture contadine. Nel tempo della festa il cibo era più abbondante, si mangiavano anche i dolci; nel tempo della malattia o per ricorrenze religiose si mangiava in modo diverso rispetto alla quotidianità (calendario liturgico che impone l’astensione da cibi “grassi” – paradosso per i contadini che non ne avevano mai accesso). Tutto ciò che è “grasso” assume valore positivo (privilegio), così come tutto ciò che cresce “in alto” (uccelli o frutta); pane bianco (lusso) contrapposto al pane nero (dei contadini). Il grano era un alimento fondamentale per l’autoconsumo, veniva addirittura personificato (Frazer racconta della leggenda del “lupo del grano”: se passando in un campo teneva la coda bassa era di buon auspicio poiché concimava, gli si offriva addirittura del cibo; se invece la coda era alta veniva maledetto e preferibilmente ucciso). Sebbene accomunate da alcuni tratti, le culture contadine del cibo variavano da zona a zona: non esisteva un comune “spazio del consumo”, al massimo macroaree regionali. Prevalenza di prodotti locali con alcuni apporti esterni (piante “americane” – patate, pomodori, peperoni ecc.). Importanti anche le modalità di consumo dei cibi: mangiare era un atto collettivo, introdotto da preghiere; seguiva le differenziazioni di status e di genere (il capofamiglia veniva servito per primo e più abbondantemente, le donne spesso nemmeno sedevano a tavola); era un momento di socializzazione. Spese per la casa. Com’erano le abitazioni? Due elementi costanti: • Riferimento all’ambiente circostante (uso di materiali locali); • Legame con il sistema di organizzazione produttiva (case padronali con aree riservate ai contadini – dimore plurifamiliari, in Padania; “masserie” al Sud e “casali” nel Lazio). In altri casi abbiamo abitazioni poverissime unifamiliari, realizzate con pietra e legno, simbolo di agricoltura poco redditizia. La stalla era considerato uno spazio sociale, luogo di molteplici attività, specie d’inverno. La cucina era l’ambiente centrale della casa (unico riscaldato), spesso unico spazio in cui oltre a cucinare si accudivano i bambini, si creavano oggetti artigianali: spazio plurifunzionale (produzione + consumo). Al tempo in Italia esistevano principalmente famiglie nucleari, con 4-5 membri in media, organizzate secondo una rigida gerarchia: uomini si occupavano di lavori agricoli, donne di crescere i figli e di badare alla casa, bambini di contribuire al sostentamento della famiglia, anche nel loro piccolo. Nella stanza da letto spesso dormivano più persone, e anche l’armadio era uno per tutti. Tuttavia, l’abbigliamento svolgeva una funzione di distinzione sociale: anche i contadini badavano al loro aspetto nelle ricorrenze. I consumi materiali per i contadini erano ridottissimi, specie per il cibo: essi erano attanagliati da una fame atavica (da qui i numerosi detti contadini a sfondo “fame”. Es. “pane e coltello non empie mai budello”, “in corpo c’è buio” ecc.). Solo a Carnevale (festa della trasgressione per antonomasia) la privazione si trasformava in abbondanza, per poi ripiombare nel digiuno quaresimale. 1.3. Gli operai La differenza tra contadini e operai era nella fonte di reddito (salario) e nel fatto che l’autoconsumo fosse molto più basso. Il cibo costituisce ancora la prima fonte di spesa, la spesa per l’abitazione sale considerevolmente, gli extra sono minimi, MA in qualche caso spunta anche un piccolo risparmio (Nord Italia). Alimentazione. Gli operai del nord Italia consumavano poca carne, molto latte, ma soprattutto mais (polenta). Anche al Sud carne e pesce scarseggiavano, latte e uova erano troppo costosi, perciò si ricorreva a verdure e cereali. Dieta insufficiente e monotona. Esiste però una specifica cultura operaia del consumo. Differenze coi contadini: • In campo demografico: natalità più bassa e mortalità più alta; matrimoni meno frequenti ed elevata natalità illegittima. Segnale di precarie condizioni igienico-sanitaria e di maggiore spazio per consumi individuali. • Mobilità spaziale: costretti a continui spostamenti per lavoro e a frequenti traslochi. Conseguenza: rapporto più flessibile con gli spazi domestici e meno attaccato alla cultura materiale. • Maggior contatto con altre classi sociali e mobilità sociale: un abitante della città svolgeva diversi lavori nel corso della sua vita. Conseguenza: fluidità nella formazione e gran numero di operai non specializzati. Problema della casa operaia. La popolazione operaia costituiva una percentuale ridotta rispetto a quella complessiva, e si raggruppava in determinati luoghi: quartieri degradati di periferia, in cui le famiglie nucleari si adattavano a spazi angusti. A Milano c’erano le “case di ringhiera”: dimore periferiche a più piani con un lungo ballatoio continuo orientato su un cortile interno, senza illuminazione o fognature, con una latrina comune. In Italia non c’era edilizia operaia (come in UK e Francia), e nemmeno un’architettura dedicata ai lavoratori urbani, tranne qualche eccezione (villaggio operaio “Nuova Schio” del vicentino Alessandro Rossi, che sperava di superare le contrapposizioni classiste attraverso un villaggio ideale con scuole e giardini), sempre nelle grandi città. La caratteristica principale della classe operaia era la sociabilità, cioè la tendenza a sviluppare strategie relazionali e solidaristiche. Cultura operaia, emersa dopo studi sull’iconografia delle manifestazioni collettive, i significati attribuiti al cibo, i canti popolari. La cultura materiale fu rilevante, basti pensare alla funzione social dei vestiti da lavoro, che identificavano immediatamente gli operai come un gruppo (“tute blu”). camere da letto dei figli erano rigorosamente divise per maschi e femmine, così come le spese per i figli stessi: più soldi spesi per i maschi e, fra i maschi, più per il primogenito. Figli. Periodo di transizione dell’idea di infanzia: borghesia di fine ‘800 iniziò a capire che i bambini avessero proprie esigenze e necessità. Conseguenza anche del pensiero di Maria Montessori. Nuova valorizzazione dell’infanzia: bambini portatori di valori propri, necessitano spazi propri (anche in casa), nonché consumi propri (educazione, giochi). Sono le basi del consumismo per l’infanzia: corsa agli acquisti, proporzionali all’investimento affettivo. Abbiamo quindi differenze importanti per contesto geografico, reddito e ruolo socio-professionale. Alcune categorie professionali tendono verso i consumi della classe aristocratica (ostentazione), mentre ad esempio i commercianti sono inclini alla parsimonia e a consumi frugali. Consumi legati alla sociabilità extra-domestica, ricreativi e (soprattutto) culturali (è nei cafè che Habermas colloca la nascita di una “sfera pubblica borghese” – una proto-opinione pubblica). Associazioni sportive nascita dello sport-spettacolo. 1.5. Gli aristocratici. Consumo per le classi aristocratiche è fondamentale “capitale simbolico”. Tuttavia il consumo di beni lussuosi è stato stigmatizzato per tutta l’antichità (eccesso/spreco = male). Solo nell’età moderna alcuni studiosi come Hume e Smith lo rivalutarono (indice di benessere individuale). Resta però una certa ambivalenza: il lusso è comunque legato all’idea di ozio (stereotipo negativo del nobile di fine ‘800: dissipatore indolente). Italia. A inizio secolo vi erano ~8400 famiglie nobili, in continua diminuzione. La loro distribuzione sul territorio era difforme, mentre il loro stile di vita era accomunato da sociabilità domestica, tendenza all’endogamia geografica, esclusivismo sociale. Case. Enormi, ospitavano le famiglie allargate di nobili e la servitù. La mole dell’edificio, ornato da stemmi araldici e torrette simboleggiava la ricchezza ed il potere della famiglia. Le molte stanze erano divise secondo i principi giorno/notte, pubblico/privato, ma buona parte della casa era utilizzata per ricevere e divertirsi con gli ospiti: salotti, boudoirs, sale da ballo, ma soprattutto il salon nobiliare erano arredati in modo ricchissimo. La casa nobiliare non si basava sulla funzionalità, ma più che altro sulla spettacolarità. Spesso ogni stanza era arredata secondo un particolare stile (Impero, rococò, rinascimentale ecc.), e i numerosi bagni avevano finalmente acquisito un senso, dopo i secoli passati a lavarsi a secco (paura che l’acqua trasmettesse malattie). Ora igiene e pulizia = ordine e disciplina, ≠ sporcizia (morale) dei ceti subalterni. In cucina, enorme, si trovano soprattutto donne (cuoche e inservienti) ≠ età moderna, in cui i cuochi erano soprattutto uomini. Cibo. Studi di Norbert Elias. In età moderna si assiste ad un processo di autocontrollo di ogni emozione ed impulso; ciò scaturì nell’affermarsi dell’”etichetta”. La stessa abitudine di mangiare con le posate è relativamente recente e segnale di cambiamento: decadde l’uso di mangiare con le mani, da un piatto unico, e di passarsi i bicchieri per rimarcare la distanza tra il nostro corpo e quello altrui – il corpo viene sempre più circondato da tabù, anche per il sesso. Si creò un reticolo di regole per prevenire gli eccessi e creare disciplina. La tavola nobiliare quindi era ricca di utensili tutti uguali (senso di uniformità) con tovaglie bianche candide, simbolo di ordine e pulizia. I pasti erano: prima colazione (presto), colazione (11-12), pranzo (18). I pasti erano abbondantissimi e molte portate avevano nomi francesi (mousse, omelette, potage ecc.) – dominio della cucina francese, e non solo: il plurilinguismo era un tratto distintivo dei nobili cosmopoliti. In Italia l’influsso francese si fuse con le tradizioni regionali; la prima guida gastronomica italiana, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, ne raccolse la maggior parte (1891). L’Italia si era appena unita, e la riscoperta delle tradizioni culinarie fu fondamentale per il processo di nation-building. Era apprezzato un atteggiamento di understatement: sì al possesso, no alla sua ostentazione. Leisure. Nobili accomunati da alcuni tratti: svagarsi, ma soprattutto distinguersi. Andare a teatro: differenziazione sociale, dall’abbigliamento alla separazione fisica all’interno della sala (palchetti). Sport: escursionismo, alpinismo, ma soprattutto sport equestri (“Società per le corse dei cavalli”); anche in questo contesto l’abbigliamento conta. Perché la passione per i cavalli proprio durante il boom delle automobili? Spettacolarizzazione attraverso l’esibizione di arcaismi: l’anacronismo diventa segno di distinzione. 2. Lo Stato e i consumi pubblici. La sfera del consumo è oggi molto complessa, con interrelazioni verticali ed orizzontali; consumatori = agenti attivi consapevoli delle proprie azioni. Un secolo fa non era così. Società piramidale, base vs vertice, portava a ragionare per dualismi: non vi era quindi “consumo” ma “miseria” vs “abbondanza”. Esistono consumi collettivi: quanto prodotto dai vari settori economici del Paese viene impiegato nei consumi interni (privati/pubblici) e negli investimenti. La storia del Novecento sta nell’evoluzione dei consumi privati e nel progressivo allargamento dei consumi pubblici. Per i governi ciò che conta (e ciò per cui si mobilitano) è la produzione (agricoltura, industria). Ma quanto sono importanti i consumi? I consumi pubblici hanno inciso sul capitale umano, sui consumi privati e quindi sull’intera economia; ci servono per capire quale fosse la politica economica nell’Italia liberale, fascista e repubblicana. Perché la condizione di povertà di larghe fette della popolazione non mutava? Si pensava per le deficienze del singolo individuo (malato, pigro); in realtà con l’industrializzazione la situa dei lavoratori, sia in città che in campagna, peggiorava drammaticamente: si pensò allora che la povertà avesse una spiegazione sociale. Non bastava più l’intervento delle associazioni caritatevoli religiose, urgeva l’intervento dello Stato “questione sociale”. Ma come doveva intervenire lo Stato? Si pensava ad interventi sui consumi pubblici, fornendo specifici beni e servizi agli individui: sanità, assistenza, istruzione. Nell’800 si affermò anche l’idea di “massa” con valenza qualitativa in quanto protagonista del mondo del lavoro (≠ plebe). La questione sociale si nutriva della paura che la massa potesse destabilizzare la società, concentrandosi nelle città ed incentivando la criminalità (secondo le élite). Piano sociale piano politico, perciò massa dei lavoratori massa dei proletari. Si evince anche dalle iconografie del tempo: manifesti, vignette satiriche e dipinti (es. Il Quarto Stato di P. da Volpedo). La Germania bismarckiana aveva emanato una legge per contenere i movimenti socialisti e legare le masse operaie allo Stato; l’Inghilterra invece mirava ad integrare effettivamente gli strati operai nella nazione (cooperazione tra liberali e laboristi). In Italia Destra e Sinistra si erano prodigate per le infrastrutture, ma poco era stato investito per l’istruzione (solo con Giolitti questo cambiò). Assistenza. Le cure somministrate ad un malato nell’Italia Ottocentesca dipendevano dal suo reddito. Benestante medico privato; povero associazioni caritatevoli. Provvedimento di fine ‘800 su istituti di carità, nel quale vengono incluse malattie psicofisiche, abbandoni minorili e mendicità (accorpamento delle categorie marginali). Solo con Crispi si avrà una nuova riforma sanitaria (1888): maggiore attenzione alle campagne, differente ruolo dei medici (ora ufficiali dello Stato) e Opere Pie diventano istituzioni pubbliche; modernizzazione strutture ospedaliere. Periodo giolittiano: lotta a TBC, colera e malaria; focus su prevenzione e igiene: l’opinione pubblica segue i progressi medico-scientifici (es. Pasteur); i quartieri degradati vengono sventrati e risanati. Sviluppo industria farmaceutica: nuovo settore dei consumi; in Italia Emilio Schiapparelli (Torino, il primo a produrre acido acetilsalicilico in Italia), Cesare Serono (Roma) e Carlo Erba (Milano). Previdenza. Dal 1898 approvate norme per assicurazione obbligatoria per operai industriali e Cassa per invalidità/vecchiaia (questa di scarso successo). Con Giolitti: Istituto Nazionale delle Assicurazioni, che tutelava il lavoro minorile e limitava quello delle donne. Istruzione. Benestanti maestri privati; l’istruzione era sempre stato punto di forza dei ceti medio- alti. Legge Casati (1859): 2 anni di istruzione elementare obbligatoria, diventano poi 4 con la legge Coppino (1877). Vera svolta con la legge Daneo-Credaro (1911), con la quale lo Stato si addossava la responsabilità finanziaria dell’istruzione (prima era dei comuni, non potevano/volevano spendere tanto). Italia ancora al di sotto della media europea, ma piccolo miglioramento. Questione tributaria. Stato dà e Stato prende, non a tutti in misura uguale: fino alla WWI il grosso delle entrate proveniva metà dalle imposte dirette e metà dalle indirette (=imposte sui consumi): dazi-consumo a livello locale e dazi doganali, + il monopolio fiscale statale per certi prodotti (tabacchi, sali, chinino e il Lotto). Imposte gravavano su generi di largo consumo – non a caso brigantaggio e moti violenti avevano un nesso con la politica tributaria. La pressione fiscale complessiva dell’Italia liberale fu maggiore dei periodi successivi. Dal punto di vista dei consumi: lo Stato inizia a capire l’importanza di una politica pubblica dei consumi; si pongono le “basi culturali” dei consumi per sanità ed istruzione. Chiaramente i provvedimenti avevano il secondo fine di controllare territorio e “corpo sociale”: crescita e patriottismo si intrecciano e si rafforzano a vicenda. Infatti i primi investimenti furono fatti per l’istruzione, in modo da formare efficienti operai per le industrie. Il peso di questa spinta allo sviluppo fu scaricato sulle classi popolari: i consumi più diffusi erano pesantemente tassati. Iniziò a crearsi uno spazio nazionale che orientasse le scelte di consumo. Conseguenza: risentimento antistatalista dei più poveri verso lo Stato a causa del monopolio sui beni di prima necessità (mentre i beni di lusso ne erano esentati). 3. Il mondo della produzione. Contano più consumatori o produttori? Le pratiche di consumo sono inevitabilmente condizionate da fattori materiali, quali condizioni storico-geografiche. Rapporto produzione-consumo è di reciproca influenza, ma gli economisti hanno sempre dato + importanza ai produttori. Economisti classici (Smith, Ricardo) si concentrarono sulla produzione; anche Marx, che distinse però valore d’uso (legato all’uso effettivo nel tempo) e di scambio (legato al valore sul mercato). Economisti neoclassici (Marshall, Walras, Pareto): focus su rapporto tra domanda dei consumatori ed offerta dei produttori – entrambi vogliono massimizzare la loro utilità. Il controllo dei mercati da parte dei produttori aumenta se abbiamo monopolio/oligopolio. Weber vedeva il capitalismo come pura accumulazione, mentre Veblen osservò come la ricchezza conferisse status. Con Keynes i consumatori assumono un ruolo fondamentale per la crescita economica; post WWII: Duesenberry, teoria dell’effetto dimostrativo (= consumo fondamentale per società caratterizzate dalla mobilità sociale, perché segnala lo status dell’individuo); Katona, consumo = forza: chi acquista è guidato sì da redditi e prezzi, ma anche da abitudini ed aspettative per il futuro. Analisi più recenti, fattore tempo: Friedman vede il consumo come quota costante di un reddito permanente; Modigliani per il consumo si basa sul reddito percepito durante tutta la vita. Anni Sessanta-Settanta: critica al “consumismo”, ma ruolo dei consumatori è cresciuto. Essi sono attori dinamici sulla scena economica. Focus anche sui commercianti, i “mediatori” tra produttori e consumatori. Produttore–mediatore–consumatore = cerchio in cui i diversi protagonisti s’influenzano a vicenda. Primo ‘900. Scelte dei consumatori influenzate da: • Importazione dall’estero. Italia, primo slancio industriale: esporta prodotti agricoli, tessili e alimentari; importa frumento, materie prime, semilavorati e prodotti industriali finiti. Apertura dell’economia italiana resta piuttosto limitata. • Autoconsumo. In queste fasi iniziali molte attività legate alla produzione non avvengono attraverso il mercato, quindi non risultano nelle statistiche. Queste fotografavano quindi solo una faccia della società (e dei consumi). Tendenze di lungo periodo sui prodotti consumati: 1. Passaggio da consumo di beni primari a beni industriali (iniziando dagli alimentari). Molte operazioni prima effettuate a casa vengono ora trasferite all’industria alimentare, per motivi sociali, economici e tecnologici; 3. I luoghi del consumo ridefiniscono gli spazi urbani: circuito legato al consumo e al leisure che diventa centrale nella metropoli moderna. Ridefinizione della gerarchia degli spazi urbani: quelli legati al consumo vengono valorizzati in quanto luoghi di incontro sociale e mete turistiche, soprattutto nelle grandi capitali europee. 4. Questi nuovi spazi sono socialmente connotati: appartengono alla classe borghese, riflettendone i valori. Col tempo si ebbe una stratificazione verso il basso della clientela (piccola borghesia), che portò ad una democratizzazione del lusso (= ricerca di distinzione + valori quali efficienza e risparmio). I grandi magazzini furono costruiti sullo schema del teatro: l’esperienza spettacolare che offrivano ricalcava quella inscenata sulle ribalte teatrali, con luci, colori, musiche. I consumatori sono gli spettatori: entrambi hanno l’aspettativa di un’esperienza piacevole, divertente, non troppo impegnativa. Per questo il grande magazzino venne capito ed accettato fin da subito. Come a teatro, anche qui le donne ricoprono un ruolo fondamentale: protagoniste come spettatrici e principali consumatrici. Le commesse, così come le artiste sul palcoscenico, erano simbolo di fascino ma anche oggetto di severe critiche morali. I luoghi del consumo vedono una cospicua presenza di donne sia perché luoghi decorosi e sicuri, sia perché la loro consonanza col teatro li rende culturalmente appropriati per una donna. Ciò diede però adito a stereotipi negativi: così come l’artista/attrice veniva spesso ritratta come prostituta, così la consumatrice diventa una cleptomane. Lo spettacolo si confonde con la vita, e la vita con lo spettacolo. Capitolo secondo: il Fascismo. 1. Il regime “Crescita economica moderna” (economista Simon Kuznets): definizione adatta all’Italia fra le due guerre, che in questo periodo s’industrializzò. Analisi di Kuznets ci conferma che l’Italia è entrata in una nuova fase economica; interessante per quanto riguarda i consumi. Quali fattori influenzano la crescita dei consumi? Non basta la crescita del reddito pro capite. • Cambiamento delle condizioni di vita. L’urbanizzazione e la specializzazione del lavoro, così come la vicinanza di differenti gruppi sociali e la tipica apertura della cultura urbana inducono ad una crescita dei consumi. • Differente composizione sociale. Si forma una classe estesa di lavoratori dipendenti. Gli impiegati, rispetto agli imprenditori, sono più propensi ad investire su sé stessi e sui propri figli. Tutto ciò aumentò con le politiche redistributive: fasce meno abbienti con reddito più alto. • Progresso tecnologico. L’introduzione di nuove categorie di prodotti ha spinto verso consumi maggiori e una diversificazione delle merci acquistate. Caratteristiche proprie dell’Italia ‘30s, anni particolari a causa del fascismo. 1.1.Autarchia, genere, razza. Si assiste ad una relativa compressione dei consumi privati, ed il denaro impiegato per questi viene distribuito diversamente: meno per gli alimenti, vestiario e calzature, più per beni durevoli e trasporti. All’interno della categoria cibo il frumento rimane sempre il bene più acquistato, con granturco, patate, legumi; sempre scarsi zucchero, caffè e carne. La dieta è scarsa. L’Italia era un paese relativamente povero: nel 1930 il reddito pro-capite in dollari era 2900, contro il reddito medio europeo di 4817$. Ruolo della politica. Epoca di crisi ricorrenti: il fascismo si schierò a favore delle industrie e sostenne al massimo i prodotti italiani attuando un protezionismo che portò all’autarchia (ufficialmente dal 1936, in risposta alle sanzioni applicate dalla Soc. delle Naz. all’Italia dopo l’invasione dell’Etiopia). Gli storici giudicano negativamente l’autarchia. Ha danneggiato l’economia, ha favorito alcuni settori a scapito di altri, ha imposto ai consumatori prodotti italiani spesso costosi. Il fascismo non vedeva bene i consumi, ma per il sostegno dell’economia italiana si piegò, sostenendo i prodotti italiani: l’italianità era un valore aggiunto, comprare italiano non significava “sprecare” ma adempiere ad un dovere patriottico. Molti richiami patriottici nelle pubblicità: ovunque vi erano i termini “produzione nazionale” e “prodotto italiano”. Nei nomi dei prodotti si richiamava anche la romanità. Nel contesto fascista il consumo era elevato ad attività fondamentale per lo sviluppo della nazione: sforzo per creare la figura del “consumatore italiano”, senza distinzioni regionalistiche. Considerazioni in merito: 1. Ruolo del genere in questa politica. L’autarchia entra nelle famiglie e si rivolge di fatto alle donne, incaricate di fare gli acquisti per la casa. Dovevano risparmiare sulla spesa e comprare italiano; trovavano delle dritte su riviste e manuali per la casa. Secondo la storica Victoria de Grazia il fascismo nazionalizzò per la prima volta le italiane, assegnando loro un ruolo preciso all’interno della famiglia. Per fare ciò si servì di strumenti positivi (assistenza sociale, sostegno alla maternità) ma anche repressivi (esclusione dalla politica, allontanamento da vari mestieri). La politica dei consumi fu concepita per le donne soprattutto delle classi medie. 2. Confini di questo nuovo spazio dei consumi. Volontà di creare uno spazio “mediterraneo” o quasi “imperiale”. 1931, prima guida gastronomica italiana del Touring Club: Paese presentato come un compendio di meraviglie gastronomiche, in tutte le regioni. Spostamento del baricentro politico verso il mediterraneo che va di pari passo con la valorizzazione del Meridione, centrale nell’Italia dei consumi. Si cercò di fare lo stesso per lo spazio coloniale: ora i consumi non sono più declinati solo per ceto e genere, ma anche per razza. Le pubblicità ricorrevano allo stereotipo positivo dell’”indigeno”: in esse colonizzati e colonizzatori avevano ruoli ben distinti e non apparivano mai insieme. Esse contribuirono a creare un’identità nazionale contrapposta alle popolazioni coloniali. 1.2.Emigrazione Dall’800 il consumo dei prodotti italiani aveva seguito gli immigrati italiani in Europa e nelle Americhe, con conseguente domanda di prodotti tipici. Ciò era favorito dal governo perché era un modo di tenere legate le comunità italiane all’estero. Ad esempio, durante la campagna d’Etiopia ci fu una grande richiesta di prodotti nostrani da parte degli italoamericani di Chicago e NYC, per contrastare le sanzioni. Questo servì perlomeno a rafforzare la loro identità etnica. Modello di consumi ≠ prodotti in sé, e si nota specie nel caso degli italoamericani: il valore non era mangiare olio, pomodori, pasta ma mangiarli in famiglia, tutti riuniti, tramandandosi ricette tipiche. “Mangiare italiano” significava dare concretezza ai valori della famiglia e del gruppo: questo spiega la centralità del cibo nella nostra cultura. L’unica differenza era che l’America era “il paese dell’abbondanza”, l’Italia no. Chiaramente il semplice consumo di prodotti italiani non portò alla replicazione dell’identità: tutti i discendenti degli emigrati costruiscono l’immagine dell’Italia sulla memoria locale, sempre più contaminata da usi e prodotti americani: in loro vi era tensione tra il preservare la propria identità etnica e il desiderio di integrarsi con la comunità ospite. 1.3.Politica fascista dei consumi Il mercato autoregolamentato non esiste, è un’invenzione sociale: non può esserci un equilibrio domanda– offerta simile a quello che si trova in natura (cfr. teorema delle capre e dei cani di Townsend). Era quindi ovvio che durante il Ventennio lo Stato intervenisse ampiamente nel mercato dei consumi: cercava di orientare non solo i consumi privati ma anche quelli pubblici, che col fascismo assumono nuova importanza. Era un andamento tipico del regime fascista o comune anche ad altri Paesi occidentali? Per rispondere bisogna porre l’azione del fascismo sul piano transazionale. Sguardo sul lungo periodo: crescita della spesa pubblica, di cui gran parte erano consumi pubblici. Analisi di Wagner: crescita della spesa crescita del reddito. Lo Stato spende di più per correggere gli squilibri dello sviluppo industriale e per rispondere alla costante domanda di servizi sociali, che non è però costante nel tempo. In merito a questo, Peacock e Wiseman hanno osservato il cosiddetto “effetto di spiazzamento”: dopo ogni crisi il livello della spesa si innalza stabilmente di un po’ (es. grandi spese subito dopo una guerra che poi si riabbassano ma non tornano mai al livello precedente al conflitto). In Italia l’effetto spiazzamento quasi non si verificò a causa dell’arretratezza del Paese, ma anche perché il fascismo riorientò rapidamente la spesa pubblica seguendo finalità politiche: abbandonate le spese assistenziali, si concentrò su spese soprattutto militari. Istruzione. In percentuale si spese meno nel fascismo che sotto i precedenti governi liberali. La gestione dell’istruzione è ora in mano allo Stato ed è sempre più politicizzata: 30s creazione di un sistema educativo fascista (scuola + organizzazioni giovanili come l’Opera Nazionale Balilla). La riforma Gentile venne svuotata; subentrò Bottai (Ministro Istruzione dal ’36 al ’43) che volle valorizzare gli insegnamenti tecnici per creare uno strato intermedio di maestranze specializzate. L’istruzione elementare era ormai assicurata, ma il proseguimento degli studi era dettato dal livello sociale della famiglia. Nella maggior parte dei casi ci si limitava a pochi anni di studio per poi lavorare. Nel lungo periodo, la scolarizzazione femminile crebbe, nonostante le restrizioni del regime a varie professioni dirigenziali per le donne. Uso dell’istruzione come leva per trasformare la società, in particolare i giovani. Preparazione diffusa, ma educazione politicizzata. Politica assistenziale e provvidenziale. L’assistenza era disomogenea e parcellizzata poiché fornita da casse mutue private o di categoria. Si passò ad assicurare obbligatoriamente alcune categorie di lavoratori e, dal ’43, all’istituzione dell’Infam, istituto per la provvidenza contro le malattie; inoltre campagne per la prevenzione delle malattie come TBC e malaria, con buoni risultati. Per la previdenza, si estese l’assicurazione obbligatoria anche ai lavoratori agrari e, nel ’19, si varò quella per invalidità e vecchiaia. Il fascismo intervenne in questo modo poiché la previdenza costituisce uno strumento di controllo sociale ed indirizzo politico. Novità: enti centralizzati parastatali per la gestione della previdenza (es. Inadel e Enfdep), che consentono la centralizzazione dei servizi e flessibilità gestionale, oltre a fornire posti di lavoro. Per questo gli enti sopravvivranno al regime. Norme previste per le donne. Leggi a sostegno delle donne lavoratrici: contro il lavoro notturno di donne e bambini, sulla maternità (2 mesi di congedo pagato) ecc. Inoltre si istituirono gli asili nido, i consultori, dal 1925 l’Onmi (Opera Nazionale Maternità Infanzia) e dal 1934 gli assegni famigliari. QUINDI. Regime fascista stimolò i consumi pubblici, prima militari poi civili: negli anni Trenta le spese per la redistribuzione superano quelle per l’istruzione. Fu una scelta politica, per indirizzarsi a certi gruppi (donne, lavoratori industriali e dipendenti pubblici) per integrarli nel regime. 1.4.Consumi collettivi Consumi “collettivi”, legati al tempo libero: educazione, sport, cultura, divertimento – garantiti da enti parastatali o organismi privati. Si trattava di nuove forme di consumo a prezzi agevolati, se non gratis. Perché il regime doveva occuparsene? Ricordiamo l’importanza dell’associazionismo nella cultura operaia, specie in ambienti socialisti: queste preoccupavano i fascisti, che sciolsero ogni associazione anche lontanamente socialista, o le assorbiva nelle organizzazioni del partito, come l’OND (opera nazionale dopolavoro). Attività ricreative portate dentro lo Stato. Quest’operazione è rivelatrice di un grosso cambiamento: si dà ora importanza al tempo libero. Kern & Corbin spiegano come epoca abbia la propria concezione del tempo. Nell’800 il tempo diventa misurabile e in generale più accelerato e strutturato: prevale la concezione borghese del tempo “calcolato” che ne condanna lo spreco: il tempo è prezioso. Da qui le mille battaglie operaie per la riduzione dell’orario legale del lavoro e per le ferie più tempo per sé stessi, da dedicare a otium (tempo libero individuale) e alla ri-creazione (tempo per attività collettive). Consumi culturali ricreativi vanno di pari passo con i consumi base: legittimazione delle attività del tempo libero. Es. teatro: inizialmente riservato alle classi alte. Nei 20s associazioni musicali confluiscono nell’OND e si sviluppano. 1929: istituiti i Carri di Tespi, teatri mobili che arrivavano nelle aree rurali. Spettacoli non propagandistici (opere liriche e teatro italiano), ma l’atto in sé era propaganda Primo magazzino Upim (Unico Prezzo Italiano di Milano) aprì il 22/10/1928 a Verona: semplice, diverso dalla sfarzosa Rinascente, offre ai clienti circa 4000 articoli a prezzo fisso (2, 3, 4 lire) – ricalcava una formula inventata dall’americano Frank W. Woolworth nel 1879. Iniziativa del proprietario della Rinascente Senatore Borletti: catena parallela per distinguere i due marchi. L’Upim si rivolgeva a clienti piccolo-borghesi, con arredi interni funzionali e articoli di ampio consumo; consentiva ai consumatori colpiti dalla crisi di acquistare prodotti, dal basso prezzo e di qualità inferiore, ma comunque rispondenti agli standard della vita occidentale. Nasce la concorrenza: la Standa dei fratelli Monzino, ex dirigenti della Rinascente, nel 1931. Si apre una guerra, il fascismo interviene: legge che estende la necessità di licenza anche ai magazzini + un patto fra aziende che stabiliva massimo 177 filiali in Italia – Upim, 76; Standa, 44; PTB (Per Tutte le Borse), 33. Tutto ciò rallentò la crescita della grande distribuzione. La PTB nacque nel ’37 a Milano, co-finanziata da anglo-americani (e per questo chiusa dai fascisti). Voleva creare un’offerta differenziata, a buon mercato ma con meno prodotti di maggior qualità. La guerra congelerà questa situazione e peggiorerà le condizioni di vita materiali della popolazione. Capitolo terzo: Il miracolo economico 1. La società nell’età dell’oro del capitalismo 1.1.La rivoluzione dei consumi 1945-1973 = “età d’oro” del capitalismo: reddito pro capite: +2,9% in tutto il mondo; bene soprattutto Europa occidentale e i Paesi asiatici. Ridotta la distanza di ricchezza con gli USA (catch-up). Cause: • Liberalizzazione dei mercati & sistemi produttivi integrati in un unico spazio economico, ancorato al $. Fondamentale ruolo degli USA (leadership, aiuti finanziari all’Europa, diffusione di nuovi modelli di produzione). Maddison: divisione del mondo in blocchi politici contrapposti = vantaggio per lo sviluppo economico cooperazione dei Paesi del blocco atlantico, in funzione antisovietica. • Politica economica che promuove lo sviluppo dei singoli Paesi. Crescita economica quantitativa più consumi, miglior qualità di vita, meno disoccupazione. Obiettivo: investire in capitale fisso e capitale umano. • Spazi di crescita economica aperti con la ricostruzione post bellica: danni materiali hanno un risvolto positivo (distruzione come stimolo alla ricostruzione – H. Arendt). Paesi sconfitti in guerra riportano le migliori performances economiche. Infatti Italia e Germania crescono in media del 5% dal ’50 al ’73. Italia, 1973: reddito p.c. triplicato. Aspetto demografico. Generazione del dopoguerra, baby-boom: aumento della popolazione e delle classi d’età più giovani. Secondo Massimo Livi Bacci – due fasi dell’andamento demografico novecentesco: 1. Post WWII: alta mortalità e fine delle migrazioni transoceaniche; isolamento demografico; 2. Dai 50s ai 70s: incremento demografico, riprendono migrazioni interne. Nei 25 anni dopo la WWII: aumento popolazione e maggiore speranza di vita. Ripresa dei flussi migratori – da sud a nord, sia in Europa che all’interno dell’Italia, indotti dal boom economico: 1,7 mln di italiani abbandonano la campagna per la città. Il profilo dell’italiano medio cambia: coppie si sposano, hanno figli, vivono lontani dalla terra natia e si spostano facilmente – tutto questo crea forte domanda di beni di consumo. All’interno delle famiglie si ridefiniscono i ruoli, in base a genere ed età. Dopo duri anni di sacrifici convinzione che la propria vita potesse arricchirsi attraverso i consumi: “comprare la felicità” diffusione modello di benessere individualistico + premesse per consumo di massa poste durante il fascismo. Cosa comprano gli italiani? Spesa per i consumi: 1950, 10.000 miliardi; 1970, 300.000 miliardi. Prezzi stabili e aumento di produttività = maggior potere d’acquisto di consumatori. •Per la prima volta le spese alimentari scendono al di sotto della metà, e la dieta cambia: meno alimenti “poveri”, esplodono quelli “ricchi” (prodotti caseari e uova, vino e birra, ma soprattutto i 3 prodotti-simbolo: carne bovina, zucchero, caffè). MA non si rinuncia alla tradizione (frumento e pomodori). Novità dei condimenti (olio e burro) e passione per caffè e dolci. Dieta ricca e varia, specchio dello sfrenato ottimismo del boom. In calo gli alimenti, stabili casa e vestiti, in crescita gli “altri” consumi (motorizzazione privata, beni durevoli, cura del corpo). I beni durevoli sono la principale novità nelle famiglie: frigorifero e tv, poi lavatrice, automobile, aspirapolvere, motocicletta e infine lavastoviglie (solo per l’1% delle famiglie). Le famiglie più povere privilegiano la tv rispetto al frigo; l’aspirapolvere è meno diffuso, sale invece la moto. Comparata agli altri paesi EU l’Italia è sempre sotto: è definito “età dell’oro”, MA questo periodo contava anche condizioni di vita disastrose per immigrati, speculazione edilizia, sacrifici. Gli anni ‘50 e ‘60 sono stati idealizzati come antitesi positiva del periodo di crisi che seguirà. Il miglioramento dopo la guerra avvenne (in ritardo rispetto ad altri Paesi) ma fu selettivo: la diffusione di beni durevoli segue la stratificazione sociale. Giuseppe Maione ha osservato come tra famiglie di impiegati europei con reddito simile ci fossero somiglianze, mentre abbiamo marcate differenze tra famiglie di operai europei – ancora peggio per gli agricoltori solo la classe media migliora rapidamente i suoi consumi (≠ Nordeuropa, operai coinvolti). sfasatura consumi in campo sociale + storiche fratture geografiche Mutamenti che riscrivono le classi sociali. Si creano nuove identità anche grazie alla cultura materiale, che diventa il tramite per rapportarsi ed integrarsi in società. 1.2.Immigrati La cultura materiale importante in questo passaggio da un luogo ad un altro (cultura contadina cultura urbana). Gli oggetti strutturano la nostra vita, e gli immigrati cambiano molti oggetti (traslochi, valigie ecc.). Un bene non ha senso di per sé stesso ma solo all’interno della cultura che lo produce (Daniel Roche). Tre fondamentali sistemi di comunicazione sociale (Lévi-Strauss): le donne (la parentela); le parole (mitologie e culti); i beni. Immigrati lasciano dietro: la loro casa contadina, struttura organizzata su gerarchie sociali; un’economia di autoconsumo; pasti e abiti che seguono precisi schemi culturali e diventano simbolo di distinzione sociale. Acquisteranno nuovi oggetti, nuovi comportamenti. Prime ondati di immigrati: giovani uomini (poi anche donne) principalmente dal Meridione. Vivono grossi cambiamenti. Mobilità geografica – anche se l’impatto con le città del nord (per quanto forte) non è traumatico molti avevano già parenti migrati sostegno. Automobile (“sogno italiano”). Fiat 600 (1955), la prima vera auto pensata per tutti. Costo: 590.000 lire, pagabili a rate. Rappresentava il sogno di un mondo nuovo, la libertà di movimento, ma soprattutto uno status symbol. L’appagamento per la prima volta arriva più dal consumo che dal lavoro – soddisfazione di tornare “giù” con la prova del loro successo. Fiat 600, successo: nuovi modelli con la stessa ispirazione (es. 600 multipla e Fiat 500). Auto con caratteristiche spartane, ma le linee tondeggianti piacevano; buona tenuta di strada, velocità discreta (90 km/h), prezzo più basso ever. Le auto si diffusero lentamente: 340.000 nel 1950; solo dai 60s la crescita è marcata (5,5 mln nel ’65, 10 mln nel ’70). L’auto suscita reazioni contrastanti: icona del nuovo paesaggio urbano, esprime mobilità spaziale e il valore dell’individualità, MA oggetto di critiche. Nel ’58 i militari non avevano ancora il permesso di acquistarne una; i preti solo se autorizzati dai superiori; donne attanagliate da argomentazioni sulla loro inettitudine alla guida; giovani giudicati troppo immaturi. tutte categorie che la società vuole avere sotto controllo: l’auto è vista come mezzo per sfuggirvi; associata a illiceità sessuali e considerata pericolosa. Velocità urbana ≠ lentezza contadina numerosi incidenti, causati secondo l’opinione pubblica da una “colpa morale” degli automobilisti, dallo stress della vita cittadina. Auto caratterizzazione di genere. La costruzione della mascolinità fu data per scontata per molto tempo, ma già nel ‘900 il soldato era modello d’identità maschile. Tra ‘50s e ‘60s questo aspetto è fondamentale perché la cultura dei consumi porta ad una “femminilizzazione” della società (infatti in questo periodo: scandali sessuali, prime rivendicazioni omo). Nuovi ruoli maschili: cowboys dei Western, eroi dello sport, giovani ribelli. Processo in cui si studiano posture e abbigliamento specifici che incorporino la mascolinità nell’habitus fisico. In questo processo sono impo gli oggetti, specie l’automobile. Auto = bene di lusso. Ma allora che significato ha per i ceti medio-bassi? (Democratizzazione del lusso). Valore intrinseco degli oggetti: dualismo beni di lusso e beni della quotidianità categorie non scambiabili, vi è una frattura tra i beni che corrisponde ad una frattura sociale. Differenze nel consumo dei beni. Non tutti i beni sono uguali. Per alcuni la domanda è anelastica (stabile), e per altri elastica (molto variabile); elasticità dovuta a molti fattori: quantità di beni consumati, valore sociale del loro uso, quanto reddito è impiegato per acquistarli ecc. Fattore temporale – andamento duale del consumo di beni: • Beni base, salgono rapidamente fino ad un certo livello di reddito, poi rallentano; se il reddito sale ancora si stabilizzano; • Beni di lusso, incremento costante legato alla crescita del reddito. 2. Creazione di un mix di consumi. Per capire queste dinamiche bisogna riferirsi a un consumo incrociato di diversi media, diverso a seconda del gruppo sociale. Si va al cinema ogni tanto, a teatro quasi mai, spesso si ascolta la radio e si guarda sempre la tv. Mappa di questi consumi (includendo la carta stampata): 1) quotidiani. 2) TV. 3) riviste settimanali. 4) radio. 5) riviste mensili. 6) libri. 7) cinema. Consumo sovrapposto dei vari media, varia secondo istruzione, genere, età, reddito. In questo quadro è avvantaggiata la carta stampata per via dell’istruzione crescente; inoltre avviene una cross-fertilization (rafforzamento reciproco tra diversi media): TV riprende programmi della radio, fotoromanzi = cinema + fumetti, ecc. Tutti questi media mirano a rafforzare la cultura del consumo. Tv. Inizialmente con un solo canale che trasmetteva 32h/settimana. Esce nel 1954 e costa 200.000 lire. Ha portato il mondo dentro le case: i personaggi televisivi partecipano all’atmosfera casalinga e sono gente comune. La TV sembra combinare il meglio del cinema (immagini spettacolari) col meglio della radio (fruizione comoda); rafforza la cultura del consumo in 2 modi: 1. Indirettamente: mostra nei programmi beni materiali desiderabili; 2. Direttamente: introduzione della pubblicità col Carosello. Questo diventa popolarissimo: inaugura un linguaggio fresco, associa ogni prodotto a uno slogan/jingle. Efficace perché è di qualità (con attori come Totò) e per il suo messaggio (siamo nella fase “eroica” della pubblicità, che intrattiene e istruisce sull’utilizzo dei nuovi prodotti. Riviste. “Epoca”, “Grand Hotel” ecc.: diffusissime MA criticate per i loro contenuti. Nel giro di 10 anni passano da un intento pedagogico/d’intrattenimento ad uno totalmente commerciale. Ricezione: messaggi rielaborati dalle lettrici per affrontare situazioni familiari difficili/stabilire contatti con chi condivide gli stessi interessi contribuiscono a creare una nuova identità – uso della cultura materiale per creare nuovi modelli di vita quotidiana. Questa realtà non riguardava gli abitanti delle case costruite in periferia (spazi sovraffollati) né le realtà rurali (spopolate). Nuova domesticità vissuta in modo contraddittorio dalle donne immigrate: alcune l’accettano (rappresenta la conquista dell’autonomia); altre la rifiutano (continuano con usi culturali tradizionali); altre l’accettano selettivamente. 1.4.Giovani Oggetti nelle camere dei ragazzi rimandano ad una cultura materiale diversa dal resto della casa. •Costruzione identitaria dell’età giovanile. Iniziata a fine 800 (avanguardie novecentesche), perpetuata durante Fascismo e Nazismo (“movimenti di giovani”), ma solo dai 50s-60s i giovani si riconoscono come generazione, con identità comune BC grossi cambiamenti in corso (inurbamento) e ad un mutamento culturale dell’Occidente, più attento a loro. Sviluppo delle industrie culturali: beni specifici per le fasce giovanili. 1964: 250 miliardi di lire che i giovani spendevano per (in ordine) bibite, dolci, sigarette; Vespe e Lambrette; abbigliamento, cosmetici; musica; trasporti (moto, bici, auto); libri, quotidiani; altro (dati riguardanti i ceti medi), ma non bisogna generalizzare. In questo periodo i media si focalizzano sulla “gioventù perduta”, collegata ad ogni episodio di teppismo o violenza. Adulti giudicano i giovani viziati, pigri, plagiati dai film, non disposti al sacrificio. In realtà non si tratta di criminalità giovanile, ma di criminalità in generale, cresciuta nel dopoguerra. Forte calo degli omicidi volontari, forte aumento di rapine e furti: aumento del benessere = aumento dei reati contro il patrimonio, diminuzione reati contro le persone. Diminuisce la violenza collettiva (rivolte), aumenta quella privata (segue la tendenza della privatizzazione della vita sociale). Allo stesso tempo pene meno dure per i rei: abolizione pena di morte – secondo Foucault, ultimo passo dell’età moderna. Perché questo allarmismo allora? Film del dopoguerra che parlano di giovani ribelli / letteratura ispirata all’esistenzialismo francese / personaggi ambigui nei fumetti (Batman): sta emergendo il lato oscuro di una società che si autorappresenta come positiva e che vuole voltare pagina dopo il conflitto. Si forma il cliché del “giovane sbandato”, intorno a cui si costruisce un discorso sociale che “forma” gli oggetti. [In altri Paesi ciò era già avvenuto: in UK, sottoculture giovanili (teddy boys, punk, skinhead) e manifestazioni di violenza. Sociologi come Stuart e Hall spiegano che la paura suscitata dai giovani è parte del panico morale che deriva dalle trasformazioni in corso (che danno fiducia nel futuro ma minano i valori tradizionali). Inquietudine proiettata sui giovani, demonizzati.] Identità dei giovani si costruisce attorno a determinati spazi…: • Cameretta, spazio “altro” rispetto alla casa. Impo soprattutto per le ragazze, soggette a restrizioni più drastiche dei ragazzi. • Cinema: nei 50s il 65% dei ragazzi ci va almeno una volta a settimana. • Bar: giocavano a flipper o usavano i juke-box.La musica è il linguaggio dei giovani. Dal jazz (musica intellettuale) si passa al rock ‘n’ roll (Beatles, Rolling Stones) – la canzone italiana cerca di adeguarsi. …e determinati oggetti: • Per i ragazzi: capelli lunghi, blue jeans, maglioni, magliette a righe. • Per le ragazze: capelli lunghi o corti a caschetto, mini-abiti, jeans, scarpe con tacco/stivali; fantasie geometriche e tinte forti. Ricerca di nuovi modelli estetici, del diverso (es. movimento Hippy: gusto per l’orientale/esotico); riscoperta del corpo, sempre più esposto. Ruolo della plastica: accessori, ma soprattutto i collant. Realizzati dalla Du Pont con l’elastam, una fibra poliuretanica elastica. Lanciati anche grazie al successo della minigonna di Mary Quant. In Italia promossi dalla Omsa. I giovani non sono poi così rivoluzionari: prendono modelli “prefabbricati” dal passato (vengono dalla moda o dai media), li ibridano e li riassemblano. Oggetti decontestualizzati cambiano significato. I simboli costumistici, fuori dal contesto originale, diventano segni di riconoscimento: costruzione di uno stile, per comunicare la propria “alterità”. Perché i giovani entrassero a far parte della classe dirigente è stato necessario lo sconvolgimento della guerra – Italia ha sempre avuto una bassa mobilità sociale rispetto agli altri Paesi europei. Consumi leciti e illeciti. Linea di confine variabile nel tempo. • Alcol: primi ‘900, vino molto comune tra contadini/operai; il suo abuso era stigmatizzato: molte invettive contro l’abuso di alcol, ma non fu mai realmente proibito. • Tabacco: originariamente usato nei riti sciamanici dalle civiltà precolombiane; arrivo in Europa: si diffonde tra le classi agiate, ma poi anche tra i poveri, che lo usano per far diminuire la fame. Veniva distribuito ai soldati – simbolo di vita attiva, socialità: apprezzato anche dalle donne nei 50s. • Prostituzione: sempre disapprovata, ai margini della società; gli spazi controllati (case chiuse) furono aboliti nel ’58 (Legge Merlin). • Droga. In UK l’oppio era venduto liberamente per uso medicinale. Boom nell’800 bc coltivato in India: droga esotica, piacevole, usata dai dandy. Consumato tantissimo fino al 1920, viene dichiarato illegale se non per uso medico. 2. Politica, cultura e «welfare state» 50s: la parola “consumi” compare nel dibattito politico. Come giudicare il ruolo dei consumi nella crescita del Paese? Molti li ignorano perché “non attengono ai problemi della politica” e “non rientrano in nessuna ideologia”; altri temono che questi cambiamenti portino all’omologazione. Gli economisti parlano di “distorsione dei consumi”: gli italiani privilegiano consumi “opulenti” a quelli “necessari” e vi è enfasi sui consumi privati anziché sui consumi collettivi di base. Soluzione: comprimere i consumi di lusso e sviluppare quelli pubblici primari. Diffuso il concetto di “sviluppo = crescita” (by Arndt, cioè che benessere di un Paese dipenda dalla crescita del PIL, e che quindi sia necessario fare investimenti): quindi i consumi sono uno “spreco” di risorse e limitano il risparmio. Partiti politici. La DC diffida dai consumi troppo incentrati sulla mondanità (offuscano la Chiesa); dai 60s aprono il dialogo sugli effetti dell’”americanizzazione”. Anche il PCI è dubbioso sul capitalismo: i consumi sono un inganno, lottare contro di essi & contro capitalismo monopolista. MA molti aderenti al partito, specie giovani, subivano il fascino di cinema e tv. Dibattito intellettuale: si fa riferimento alle opere di Adorno e Horkheimer e alla Scuola di Francoforte; opera Dialettica dell’illuminismo: si parla di consumo sfrenato indotto dall’industria popolare, il nuovo oppio dei poveri. Moderno capitalismo ingloba anche la classe operaia. • Marcuse sottolinea i processi che manipolano i bisogni controllo dall’alto; • Debord: il consumo è trasformato in uno spettacolo, ed è usato per esercitare il potere; • Baudrillard: le esperienze derivanti dai consumi soppiantano le esperienze “reali”, non c’è più distinzione tra vero e falso. • (USA) Galbraith e Parckard criticano (con un taglio meno marxiano) la società del benessere. • (Italia) Pier Paolo Pasolini: (famoso articolo) usa la metafora della scomparsa delle lucciole bc l’inquinamento per l’universo agricolo, scomparso bc civiltà dei consumi. Mutazione “antropologica” degli italiani. Pasolini guardava il mondo con l’occhio del regista: le città italiane assomigliavano sempre più a posti come lo Yemen (baracche ammassate, oggetti di plastica, lattine): periferie operaie quartieri senz’anima; le campagne rimandano ormai solo alle gite del weekend. Studi sul campo: sondaggi d’opinione, ritengono valida l’autorappresentazione degli intervistati. Es. sulla TV. Contadini la vedono come un bene che consente di conoscere il mondo, di articolare i propri pensieri, esplicitare i bisogni, chiamare le cose col proprio nome. Inoltre, il continuo dialogo in merito alle trasmissioni più diffuse stimola la comunicazione e nuove forme di socialità tra spettatori. Infine, il divertimento è centrale: riflette una nuova valorizzazione dell’individuo. Nuova cultura del consumo (nata da nuovi oggetti, investe famiglie ed individui) spiega perché gli italiani si buttino sui beni di consumo, seguendo i Paesi più ricchi. Sulla carta, il tono prevalente è quello di critica. In realtà il “consumismo” è in grado di risolvere diversi problemi: migliori standard di vita quindi meno tensioni sociali, compatta la società. Già il fascismo aveva portato la sfera dei consumi all’interno della sfera politica. Esigenze di redistribuzione del reddito e di giustizia sociale portano alla nascita di un welfare state. 3 aspetti: 1. Continuità coi periodi precedenti. Italia repubblicana eredita dal fascismo diverse istituzioni (cambia solo il nome, levando la “F” di “fascismo”; infps inps). MA ora i benefici sono per tutti, non mirati ad alcune categorie. Politica inclusiva. 2. Warfare VS Welfare. Il welfare è tipico della democrazia del dopoguerra. Nasce ufficialmente dal rapporto del 1942 di Beveridge, in cui egli contrapponeva lo stato di guerra in cui si trovavano (warfare state) con un futuro di pace e benessere (welfare state), che liberasse dalle 5 grandi schiavitù: bisogno, malattia, ignoranza, miseria, ozio. Pochi anni dopo Marshall in proposito 3 fasi della costruzione della cittadinanza: Riconoscimento dei diritti civili (‘700); Ottenimento dei diritti politici (‘800); Diritti sociali di cittadinanza (‘900). Solo il godimento di tutte e 3 garantisce appartenenza alla comunità. 3. Il welfare si costruisce entro chiari riferimenti internazionali. Sia l’Italia che altri paesi europei fanno riferimento allo stato sociale per la struttura delle spese assistenziali. Le risorse derivanti dal miracolo economico vengono impiegate dai governi per compensare nei settori indietro rispetto ad altri Paesi EU: si gettano le basi per l’integrazione europea. Welfare italiano edificato tra 1950–1973. Meno spese istituzionali, più spese per istruzione e sanità. Per la 1° volta: spese istruzione > spese per opere pubbliche, per motivi di equità sociale e pratici: contrastare analfabetismo e abbandono scolastico & creare manodopera qualificata (istruzione base tecnica è prerequisito per una maggiore occupazione). Scuole elementari (5 anni più esamone finale) + scuola media unica, divenuta obbligatoria (1962). Studi obbligatori di 8 anni facilitano l’accesso alle superiori. Riforma che avviene in un periodo di • Prodotti dolciari bambini. Pubblicità con cartoni, confezioni vivaci. Solo dagli anni ’70-’80 il comparto dolciario si rivolgerà anche agli adulti. • Prodotti per i giovani: gelati (es. Algida) e gomme da masticare (es. Brooklyn, nate dai fratelli Perfetti nel ‘46). Queste ultime negli USA erano inizialmente associate ai militari (venivano distribuite in trincea perché pulivano i denti, placavano fame e sete, rilassavano i nervi). Bilanciamento tra cottura (calore) e conservazione (freddo): diffusione del frigorifero = si consumano più cibi deperibili (pesce, carne già tagliata, formaggi – questi ultimi diffusissimi). Latte: novità del Tetrapak e del latte UHT (Ultra High Temperature), a lunga conservazione. I prodotti sono più standardizzati per forma, colore e sapore; gli odori forti sono scomparsi grazie agli imballaggi, che proteggono e presentano i prodotti. Mercato alimentare italiano è frammentato prodotti sfusi + prodotti locali + prodotti industriali. I nuovi prodotti non soppiantano quelli della tradizione, anzi, l’industria valorizza i prodotti tipici (spec. quelli del Meridione) mito della dieta mediterranea (proposta dal nutrizionista Keys nel 1962: meno proteine animali, più pasta, verdure e olio d’oliva). Negli anni ’60 permangono ancora differenze di alimentazione tra Nord e Sud, che si appianeranno completamente negli anni ’80. Compresenza di artigianale e industriale – tipica italiana, anche per l’abbigliamento. Le industrie hanno fatto progressi (anche con le taglie), manca però l’alta moda in Italia. Vi erano grandi sarti apprezzati anche all’estero (Giorgini organizzò a Firenze nel ’51 un Fashion Show in cui sfilarono grandi nomi della sartoria italiana – es. Emilio Pucci). Il mondo della moda nasce policentrico. L’alta moda era nettamente separata dal tessile industriale: si risente ancora della separazione tradizionale tra élite artigianale e prodotti industriali per la massa. MA i consumatori ora sono più esigenti, più ricchi, vogliono capi alla moda; l’abito deve essere strumento di “distinzione” (cfr. Bourdieu). Il concetto di moda si costruiva attingendo da riviste femminili, vetrine dei negozi, consigli del negoziante di fiducia. Sviluppo di un livello intermedio della moda: qualità dell’alta moda + vantaggi della produzione in serie – avviene a inizio ‘60s con la nuova figura dello stilista (progetta una collezione, collabora con le imprese tessili, segue la realizzazione dei modelli, presenta le sue opere e si occupa della distribuzione). A Milano nasce il “sistema moda”: Gianni Versace, Giorgio Armani, Valentino ecc. Stessa cosa avviene nell’arredamento: comparsa del designer. La casa acquista significato attraverso il design industriale. Origine tra le 2 guerre: architetti (es. Gio Ponti) volevano coniugare creatività e produzione in serie. Tendenza (conosciuta come Italian design) all’essenzialità delle forme e il rigore del disegno – costi abbattuti, contenuto valorizzato. Grandi nomi (Sottsass, Castiglioni ecc.), iniziative “istituzionali” (Premio Compasso D’oro) e editoria specializzata (Domus). I designer progettano oggetti della quotidianità che possano modificare l’estetica della casa grazie al loro significato all’interno dell’ambiente. Si rompe il tabù di valore estetico come prerogativa delle élite (ancora, democratizzazione del lusso). Successo del design = rapporto qualità/prezzo. Punti di forza: capacità di coniugare materiali nuovi e tecnologici con materiali “nobili” (es. la Superleggera di Gio Ponti del ’57). 4. La grande distribuzione e i supermercati «americani» 1.5.Supermercati Strategia americana nei 50s e 60s di diffusione dell’American way of life (es. la discussione di Mosca, kitchen debate). Implicito messaggio ideologico: desideri della gente importanti quanto le conquiste scientifiche; libertà di scelta di prodotti = libertà garantita dalla democrazia (libertà economica & libertà politica). Supermercato. Incarnazione del benessere e dell’abbondanza illimitata. 1° supermercato moderno: King Kullen a Long Island nel 1930. In Europa si diffusero nel 2° dopoguerra (es. Tesco in UK), adottando il sistema americano. In Italia commercio = piccoli negozi. Crescono più i non-alimentari (abbigliamento, oreficerie, negozi di arredamento) degli alimentari; in difficoltà gli empori non qualificati, i negozi di tessuti/ cappelli nuova attenzione per il corpo e per la casa. Nell’alimentare crescono i rivenditori di generi freschi/di pregio, calano bazar e negozi di cibi cotti. Nel 1971 si contavano 607 supermercati, 2/3 al nord. La prima importante società di supermercati fu opera di americani (Nelson Rockefeller): “Supermarkets Italiani Spa”, aperto a Milano nel ’57. Apertura difficile (trafile burocratiche e resistenze dei piccoli commercianti) ma rapido successo. Cosa rappresentava il supermercato nella società italiana del tempo? Ambiente efficiente e razionale: arredi semplici, prevalenza di colori chiari, tutto pulitissimo, musica di sottofondo, contrasto tra il profilo sobrio degli scaffali e i colori vivaci delle confezioni. Grandi magazzini : teatro = supermercato : spettacolarizzazione + efficienza di una fabbrica. Meraviglia per la carne già tagliata, confezionata e incellophanata; novità dei surgelati (soprattutto pesce): molti clienti sono ancora scettici. Questi negozi sono sia rivendite che produttori: la Supermarkets Italiani iniziò a produrre direttamente pane, pasta, gelati a prezzi molto concorrenziali. Altrimenti accordi con imprese estere. La tendenza al risparmio è massima agli estremi della scala sociale: poveri la realizzano comprando merce di minor qualità, ricchi mantengono la qualità alta ma comprando anche grandi quantità. La classe media invece va alla ricerca dei punti vendita più vantaggiosi – mobilità territoriale. Clienti: molti giovani ma anche anziani, sorprendentemente i clienti + fedeli. Soprattutto immigrati: sembravano preferire i supermercati ai piccoli negozi, probabilmente perché la mancanza di rapporto umano e l’uniformità (difetti, per la classe media) erano pregi per loro, che faticavano ad integrarsi socialmente. La S.I. (che diverrà Esselunga) colse questo aspetto e lanciò lo slogan “La scelta è uguale per tutti”. Genere. Donne, grandi protagoniste, sia come clienti che come lavoratrici (commesse, impiegate). Non si sa molto sulle loro condizioni lavorative, se non che si combatteva l’assenteismo e si esigeva un aspetto pulito e ordinato. Uomini, sorprendentemente, vanno a fare la spesa: supermercato ≠ solita spesa, perché solletica la curiosità la scelta del cibo non è più solo un processo femminile ma tutti i membri della famiglia vogliono partecipare. Abitudine di concentrare la spesa in un giorno della settimana, con tutta la famiglia: l’ambiente dei supermercati è studiato per rendere piacevole la permanenza. Espansione a livello nazionale: la Rinascente fonda una società autonoma di supermercati, la SMA; la Standa integra gli alimentari ai propri magazzini (“Alla Standa c’è tutto”) idea vincente. Altre due forme importanti: 1. Commercio associato (unione volontaria tra dettaglianti e grossisti, es. Despar); 2. Cooperative (es. Coop e Conad). Nel ’71 su 607 supermercati: 56% grande distribuzione; 32% comm. indipendenti/associati; 12% cooperative di consumo. Il supermercato rivoluzionò i consumi come fecero i grandi magazzini nell’Ottocento. Grosso impatto culturale/sociale: il supermercato esemplifica elementi tipici della modernità, positivi (abbondanza delle merci) e negativi (paura dell’omologazione, simboleggiata dalla ripetizione infinita dei corridoi). Campo artistico Andy Warhol: rappresentazione seriale di icone consumistiche. 1964: mostra/ supermercato alla Galleria d’Arte Bianchini a NYC (si poteva comprare la merce esposta, autografata; persino un uovo per i meno abbienti, 2$: ironica celebrazione del consumo illimitato). In Italia l’arte condanna i supermercati: Luciano Bianciardi in Vita Agra denuncia alienazione di clienti e commessi. Intellettuali (es. Dorfles): ipotizzarono affinità tra nuovi luoghi del consumo e cultura moderna kitsch, manifestazione delle moderne società di massa; il supermercato è il luogo in cui questa cultura moderna si realizza in consumismo. Merci al loro interno = specchio di valori propri del mondo materiale: serialità, imitazione, economicità, reperibilità, semplicità (merci kitsch). Supermercati mutamento paesaggio urbano: luoghi di aggregazione, si trovano soprattutto nei quartieri popolosi. Nei centri storici il n° di negozi è stabile/tende a diminuire, mentre in periferia aumenta. Impatto degli USA: l’Italia ha inglobato tecniche americane MA tenendo conto delle proprie specificità culturali fenomeno di “creolizzazione” (Kroes): parole ed elementi di una lingua straniera s’insediano all’interno di una grammatica indigena. Capitolo quarto: La società affluente 1. L’impatto della società dei consumi 1.1.Dagli anni Settanta al nuovo millennio: luci ed ombre Mostra al Guggenheim di NYC, autunno 2000: esposizione di abiti Giorgio Armani. Ispirazione artistica, ma anche dubbio: i consumi “ordinari” possono diventare opere d’arte? • 70s: depressione economica avviata dallo shock del petrolio; crescente disoccupazione; albori del terrorismo. I consumi risentono della situazione: critiche dei radicali, che li considerano espressione degenerata del capitalismo nonché fonte di alienazione (es. film Superstudio, provocazione anticonsumistica estrema). I consumi sono inoltre minacciati dalla crisi economico-energetica, ci si chiede se ci siano dei limiti “naturali” all’industrializzazione. Risparmiare inizia in Italia l’era dell’austerity, simbolo di un possibile futuro: limitare consumo di petrolio, ridurre orari di apertura dei negozi, riscaldamento e illuminazione regolamentati; “domeniche a piedi”. Governi vogliono contenere disavanzo e spesa pubblica – colpita l’automobile, simbolo del miracolo economico. • 80s: rinascita dell’economia italiana e internazionale. “Secondo miracolo” grazie soprattutto al Made in Italy; seconda ondata dei consumi: moda, vacanze, tv private, cosmetici ecc. Italia quinta potenza mondiale: a metà 80s raggiunge per la prima volta la media Europea. • 90s: incertezze sul mercato del lavoro e sui giovani. Comparsa di nuovi protagonisti a Oriente, terrorismo internazionale, erosione del welfare state si riflettono su dei consumi più ponderati: emergono prodotti tecnologici e i consumi si diversificano. Concetto di classe “stile di vita”. I consumi, parte imprescindibile dello stile di vita occidentale, si stanno trasformando. Ricerche storiche su questi decenni dal punto di vista dei consumi: • Anni Settanta: “anni di piombo”, della crisi. MA consumi privati crescono per tutto il periodo, diminuendo leggermente solo nel ’75 (apice della crisi). Nel decennio c’è un aumento medio annuo del 3%. Com’è possibile? Per gli studiosi del tempo, appena usciti dal boom, questo misero 3% era una tragedia – in realtà era una crescita, seppur piccola, testimonianza della vitalità della società. Beni di consumo si diffondono anche tra i ceti popolari: rivoluzione di massa. Nel 1975 il 94% degli italiani ha un frigo, il 92% l’auto: la differenziazione sociale avviene ora tramite beni più costosi (es. lavastoviglie). Anni fondamentali per i consumi (l’austerità è più un’autorappresentazione che la realtà, o forse specchio di un governo che temeva squilibri sociali – Gundle). • Anni Ottanta – inizio Novanta. Linguaggio della pubblicità più importante che mai: secondo Arvidsson i consumatori giustificavano i loro acquisti servendosi della scusa della “cultura del consumo”. Anni della “Milano da bere” (spot Ramazzotti: “l’amaro di chi vive e lavora, l’amaro della vita, di una giornata che non è mai finita”). Ruolo della pubbl. potenziato dagli investimenti delle tv private. Gruppo Fininvest di Berlusconi: nel 1984 aveva tre Telefono cellulare invece in pochi anni arriva a tutti gli strati sociali bc cheap e semplice da usare. rivoluzione nella comunicazione. Successo rapido analogo a frigorifero e televisione. Ruolo affettivo e contributo alla trasformazione della lingua italiana. Prodotti alimentari nuovi. 2/3 sono di tipo tradizionale (pasta, olio, vino): 17% = cibi elaborati e trattati per risparmiare tempo (sughi pronti, cialde di caffè); 18% nuovi prodotti: • Cibi dietetici, modificati/trattati per contenere meno grassi; • Cibi a marchio DOP o IGP, prodotti della tradizione italiana. In realtà “autenticità” è un’invenzione: opera di codifica delle caratteristiche + marketing = prodotto diventa simbolo di una tradizione regionale (es. Lardo di Colonnata, prodotto “raro” e “simbolo della Toscana” nonché dell’Italian eating – un secolo fa era un cibo “povero”). • Cibi biologici (1%), di nicchia, a causa dei costi elevati. Interventi in campo alimentare: alimenti adattati alle esigenze della società, con l’uso della biologia (tempi di crescita accelerati) e della chimica (colorazioni particolari ai prodotti). Prodotto deve essere esteticamente corretto (il consumatore valutano la qualità in base all’immagine); i tagli di carne/pesce sempre della stessa misura/colore/consistenza. Manipolazione che a fine ‘900 desta timori (avvelenamenti?) desiderio di “ritorno alla natura” boom di cibi semplici e Slow Food. I produttori si adattano con campagne pubblicitarie che inneggiano alla natura, ma resta l’ambivalenza nei confronti di cibi nuovi (=eccesso dell’industrialismo). 1.4.I limiti e i costi del consumo Processi di consumo problema ambientale. Si usa tanto “capitale naturale”, non sempre rimpiazzabile; il consumo non si esaurisce con l’utilizzo del prodotto, c’è anche lo scarto. Questione ambientale: grande sfida del XXI sec.; studi e nuove discipline (es. economia ecologica). Proposte radicali (diminuire i consumi) e moderate (“consumo sostenibile”), anche riguardo la fase produttiva (meno sprechi). Consumerismo legato al problema ambientale è diffuso in società ma è legato a determinati fattori (ideologia, situazione locale e i cosiddetti “valori postmateriali” – Inglehart). Postmaterialismo. Secondo Inglehart nei 60s/70s: “rivoluzione silenziosa” individui che son passati da valori materialisti (consumo fisico) a valori postmaterialisti (affetto, stima, ambientalismo). I postmaterialisti non hanno vissuto miseria e privazioni, e spesso criticano la politica contemporanea, sentita come distante dalle loro esigenze. •Weber: tensione tra “razionalità sostanziale” (dei postmaterialisti, aim: i valori ultimi) e “razionalità funzionale” (dei materialisti, aim: mezzi per raggiungere i valori ultimi). Questo spiega perché l’alto tasso d’insoddisfazione delle società Occidentali, nonostante vivano nel benessere. In Italia: ambientalisti dagli anni Settanta ambivalenti rapporti con la politica & protesta antinucleare. Fine secolo: movimenti come no global vogliono richiamare l’opinione pubblica sui consumi e la produzione. Iniziano le azioni spontanee per limitare l’impatto ambientale + azioni organizzate da associazioni/ autorità amministrativa (es. blocco della circolazione, spesso solo valore simbolico). Dilemma del prigioniero: la razionalità dei singoli si scontra con l’efficienza collettiva. Es. Judith Levine, no acquisti per un anno (tranne cose base per sopravvivere): sensibilità aumentata, consumo responsabile, ma isolamento dalla vita sociale, che si esprime ormai attraverso i consumi. Fenomeni percepiti dall’Italia o reali? Si utilizza uno speciale indice di misurazione – PIL e HDI (Human Development Index) ormai insufficienti – l’ISEW, Indice di benessere economico sostenibile, di Daly e Cobb (1989) si basa su redditi, consumi e possesso di beni + fattori ambientali (inquinamento, costi per urbanizzazione ecc.). In Italia l’ISEW cresceva con il PIL ma dai 70s iniziò a declinare bc costo dell’impatto ambientale porta a effetti negativi. Arte. Denuncia e provocazione: arte contemporanea si ispira agli scarti (trash art) – anche se la spazzatura decontestualizzata dentro un museo non ci colpisce quanto dovrebbe, i rifiuti perdono la loro caducità perché l’arte li fa durare in eterno. Altro es. Daniel Spoerri organizza banchetti- mostra, in cui le opere d’arte sono commestibili (eat art) arte + consumo = fusi. 2. La vita quotidiana contemporanea 1.5.Il corpo e la moda Corpo = tabù più forte del consumo, perché non si può consumare/mangiare. Antropofagia = la più grave delle trasgressioni, ma è un tratto presente nella ns cultura pratiche simboliche in cui si mangia “il corpo umano”/”del dio” (pane di forma umana che viene adorato e poi mangiato). Sacralità del corpo = tipica di fine ‘900, MA inviolabilità corporea ridefinita dalla scienza e da una nuova sensibilità culturale. Uso e manipolazione del corpo: tattoo, piercing, implantation ecc. trasformazioni fisiche per affermare identità & sono veri e propri “consumi del corpo”. Medicina estetica, interna ed esterna; consumo come performance (Sahlins): corpo = nostra opera d’arte. Nuovi rapporti del corpo con l’artificiale (pacemaker, protesi ecc.). Magrezza = canone. Strano perché siamo nell’era dell’abbondanza; sintomo di rifiuto della materialità? Tuttavia la magrezza è stata a lungo un riferimento in occidente: • Corpo magro = santo: sante anoressiche che digiunano per vincere le debolezze del corpo; • Corpo magro = bello: canoni estetici delle classi superiori (≠ contadini, grasso = bello); • Corpo magro = efficiente: funzionale, dev’essere agile e ben allenato per lavorare meglio; • Corpo magro = sano: grassezza e obesità legate a malattie diffusione di diete. Schleifer osserva: abbondanza è la norma nella modernità, perciò la distinzione può essere operata solo attraverso la scarsità – anche in arte: formalismo astratto e minimalismo. Abbigliamento. Comunica cultura e identità. Corpo&abito, entrambi prodotti culturali; moda = ruolo fondamentale, icona di movimenti sociali e politici (es. eskimo = contestazione studentesca; power dressing = donne manager). Simmel: dualismo identificazione/distinzione è la chiave della moda, vero e proprio fenomeno sociale tendiamo ad aggregarci al gruppo per conformismo e sicurezza, ma desideriamo distinguerci – tensione continua. Veblen: moda si diffonde dall’alto verso il basso (trickle down effect). Benjamin: cambiamento continuo della moda = vita urbana. Scuola di Francoforte: critiche alla moda – fatto commerciale, alienante. Barthes. Moda come linguaggio: ogni merce nasconde “universi di senso” che rimandano a miti più vasti. Linguaggio con cui comunichiamo la nostra identità, ci relazioniamo agli altri: seguire la moda = comunicare, ma per comprendere il mess bisogna guardare alla combinazione dei capi, non al singolo (come sintassi > lessico). Douglas & Appadurai. Moda come costruzione di identità: palcoscenico della rappresentazione sociale di noi stessi. Si parla di mode: proliferare di tanti stili paralleli; processo di riuso creativo (détournement); sovrapposizione della moda coi media. Spesso le mode vanno dal basso verso l’alto: i cool hunter studiano gli stili della gente comune (creativa) per intuire i nuovi trend. La moda non riguarda solo l’abbigliamento, ma ci rappresenta in toto (casa, vacanze… total living). In Italia la moda importantissima dal punto di vista economico e culturale. Figura dello stilista apice 80s, proposte di total look. Crescente competizione = studio di nuove strategie: valorizzazione della marca, attenzione per tutti i passaggi della produzione ma soprattutto per i punti vendita finali. In Italia la moda lancia l’Italian way of life. 1.6.Spazi privati e spazi pubblici Nuovo paesaggio domestico: case moderne con l’aspetto di “autentiche” case antiche. Ambivalenza di quest’autenticità: la cascina moderna assume significato culturale. Inoltre gli spazi sono cambiati: cucina fusa con salotto, ambiente centrale della casa; colori prevalenti: bianco, grigio, legni delicati; materiali naturali o ipertecnologici; open space: lo spazio fisico tra i sessi si è avvicinato, il privato invade la casa, si espone, si spettacolarizza; spazio multifunzionale, meno rigido. cucina della cascina ristrutturata cucina minimalista funzionale cucina Ikea = rappresentazioni delle trasformazioni culturali di fine XX sec. Lo spettacolo è entrato in casa (tv, dvd), declino di teatri e cinema. Si afferma la sociabilità legata al consumo di cibi/bevande (3/4 degli italiani pranzano/cenano fuori, fanno aperitivo) motivi pratici (mobilità, orari di lavoro) e motivi culturali (convivialità). Turismo. Simbolo della postmodernità. Tutto diventa consumo: paesaggio fotografia, prodotto artigianale souvenir ecc. L’economia locale è spinta a modificarsi: costruisce alberghi, strade, ristoranti; gli abitanti devono comportarsi come si aspettano i turisti; valorizzazione della “storicità” (fascino del passato) persino il “post-turista” (viaggiatore, ≠ turista), ironico e distaccato, non sfugge a questo tipo di consumismo – alternativa: l’eco-turismo, rispettoso dell’ambiente e della cultura, viaggi in piccoli gruppi. Ambivalenza del turismo: fenomeno originato dal turista / incontro tra due culture attive. Può suscitare apprezzamento o resistenza; aiutare o distruggere l’economia locale e le tradizioni. 1.7.I nuovi luoghi del commercio “consumo-divertimento” + “consumo-spettacolo” trend inevitabile bc è necessario stupire e affascinare il consumatore ormai assuefatto da consumi calcolabili, efficienti (es. Mc Donald’s). Luoghi del commercio = gigantismo e spettacolarizzazione. 1956: primo mall, il Southdale Center di Edina, costruito da Victor Gruen. Ricreare l’atmosfera della città, una città perfetta: mai sporca, sicura, con parcheggi; nuovo luogo d’incontro sociale. In Italia arrivano nei 70s: scetticismo. Spesso sorgono intorno ad un ipermercato, struttura nata in Francia nel 1963 (Carrefour, poi Auchan). Ultimi anni: centri commerciali spostati al centro – recupero di vecchie fabbriche / porti. Centri commerciali cambiano il paesaggio urbano (che è sia spazio fisico che rappresentazione simbolica – Zukin) e si caratterizzano per: 1. Richiamo alla natura: fiori, piante, fontanelle; utilizzo di materiali naturali (legno) e attenti all’impatti ambientale: 2. Esasperazione del momento spettacolare/ludico, connesso allo shopping (es. il Mall of America, con parco giochi all’interno). In Italia: boom solo dagli anni ’80, con la ripresa economica – liberalizzazione. Nuovi luoghi del consumo sono sia causa che effetto delle trasformazioni (causa: stimolano gli acquisti perché incuriosiscono; effetto: dipendono dai mutamenti economici-culturali della società). 2005: grande distribuzione = più della metà dei consumi commercializzabili. Factory outlet: grandi produttori svendono le rimanenze di merci di marca. Nati nei ‘70s dal desiderio dei consumatori di avere merce firmata d’occasione. Inizialmente gruppi di semplici negozi, poi evoluti ad assomigliare a dei centri comm. Primo outlet Italia: Serravalle (’00), il più grande d’Europa; è un “borgo” costituito da negozi tradizionali, come se fosse un centro storico ligure del ‘700 avviene messinscena: si imitano i negozi autentici del marchio. Luoghi con logica inclusiva (pensati per accogliere sempre + clienti), ma è presente anche una logica esclusiva, che punta sulla differenziazione. I punti vendita monomarca (Benetton, Goldenpoint ecc.) vogliono uno stile unico e inconfondibile – esasperato fino ad arrivare al concept store, negozio tematico: spazi che creano una certa atmosfera/stile di vita (es. Ralph Lauren è un elegante salotto). In questi non sono presenti solo elementi commerciali, ma qualsiasi oggetto rafforzi l’idea di vivere secondo un certo stile. Si punta più sulla marca che sui singoli prodotti.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved