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L'ITALIA DEL PRIMO DOPOGUERRA: LE TENSIONI, IL BIENNIO ROSSO E L'ASCESA DEL FASCISMO, Appunti di Storia

In questo riassunto troverete informazioni riguardanti la situazione dell’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Questo periodo è caratterizzato da numerose tensioni, dal biennio rosso, dallo squadrismo fascista che porta all’ascesa e alla presa di potere del fascismo Questo materiale può essere utile per studenti di tutti i corsi: licei, istituti tecnici e università.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 01/10/2020

chiara.bicelli
chiara.bicelli 🇮🇹

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Scarica L'ITALIA DEL PRIMO DOPOGUERRA: LE TENSIONI, IL BIENNIO ROSSO E L'ASCESA DEL FASCISMO e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! L’ITALIA: DOPOGUERRA E FASCISMO In questo riassunto troverete informazioni riguardanti la situazione dell’Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Questo periodo è caratterizzato da numerose tensioni, dal biennio rosso, dallo squadrismo fascista che porta all’ascesa e alla presa di potere del fascismo LE TENSIONI DEL DOPOGUERRA L’Italia si trovò a condividere problemi politici e tensioni sociali che aveva creato la Grande Guerra. Rispetto agli altri paesi vincitori, in Italia i problemi erano più gravi a causa delle strutture economiche più arretrate e a causa delle istituzioni politiche che erano meno radicate nella società. La prima guerra mondiale aveva avvicinato le masse allo Stato, ma aveva portato nuove divisioni; aveva aumentato il rifiuto della guerra ma anche un’assuefazione alla violenza, che portò a risolvere molti problemi con la forza. La società che usciva dalla guerra era caratterizzata da numerose fratture, ma era unita dalla volontà di rinnovamento. Le tensioni sociali erano legate principalmente all’aumento dei prezzi al consumo: fra giugno e luglio 1919 in molte città italiane avvennero tumulti contro il caro-viveri e nelle industrie avvennero molti scioperi per ottenere un aumento dei salari. Anche il settore dei servizi pubblici fu coinvolto nelle astensioni dal lavoro. In questo periodo ci furono le lotte dei lavoratori agricoli: in Val Padana le leghe rosse controllate dai socialisti avevano il monopolio della rappresentanza sindacale e miravano alla socializzazione della terra. Nelle regioni centrali erano presenti anche le leghe bianche cattoliche, che si battevano per lo sviluppo della piccola proprietà contadina. Al centro-sud i contadini poveri occuparono le terre incolte e i latifondi aspirando ad ottenere la proprietà della terra. L’Italia era uscita dalla guerra rafforzata: secondo gli accordi di Londra del 1915 aveva ottenuto Trento, Trieste e le altre terre irredente, aveva raggiunto i confini naturali segnati dalle Alpi e aveva visto svanire dalle sue frontiere l’Impero asburgico. La nascita di un nuovo stato jugoslavo creò dei problemi: infatti in base al patto di Londra l’Italia avrebbe dovuto ottenere anche la Dalmazia e non annettere la città di Fiume. Ma alla conferenza di Versailles il presidente del consiglio Orlando e il ministro degli esteri Sonnino chiesero l’annessione di Fiume sulla base del principio di nazionalità, ma questa richiesta trovò l’opposizione degli alleati, soprattutto degli Stati Uniti. Per protesta Orlando e Sonnino abbandonarono Versailles e ritornarono in Italia, ma qualche mese dopo dovettero tornare a Parigi senza aver ottenuto alcun risultato. Questo insuccesso segnò la fine del governo Orlando; il nuovo ministero presieduto da Nitti dovette affrontare la difficle situazione. Gli avvenimenti avevano suscitato ostilità verso gli ex alleati, che volevano defraudare l’Italia dai frutti della vittoria: si parlò quindi di “vittoria mutilata” (espressione coniata da D’annunzio). La manifestazione di protesta più clamorosa avvenne nel settembre 1919 quando alcuni reparti militari assieme a gruppi di volontari, sotto di comando di D’Annunzio occuparono la città di Fiume e ne proclamarono l’annessione all’Italia. Questa protesta si prolungò per 15 mesi: D’Annunzio istituì una provvisoria reggenza con cui sperimentò formule e rituali collettivi. LA CRISI POLITICA E IL BIENNIO ROSSO Le prime elezioni politiche del dopoguerra si tennero nel novembre 1919 ed evidenziarono la gravità delle fratture della società e del sistema politico. Queste elezioni furono le prime tenute con il metodo della rappresentanza proporzionale: il metodo prevedeva il confronto fra liste di partito e assicurava alle forze politiche un numero di seggi proporzionale ai voti ottenuti. L’esito fu disastroso per la vecchia classe dirigente: i gruppi liberal-democratici persero la maggioranza assoluta; i socialisti, che avevano adottato un programma rivoluzionario, ottennero successo; il Partito popolare italiano (Ppi) era la principale novità politica del dopoguerra. Il Ppi fu fondato da don Luigi Sturzo nel 1919; il partito riuniva le forze di ispirazione cattolica, che così entrarono nella competizione politica. Il nuovo partito, pur dichiarandosi non confessionale e adottando un programma democratico, aveva l'appoggio della Chiesa, che era spaventata dalla minaccia socialista. I vincitori (Psi e Ppi) non potevano coalizzarsi tra loro poichè il Psi era ostile a collaborare con i gruppi borghesi. L’unica maggioranza possibile era basata sull’accordo fra popolari e liberal-democratici. Il dello squadrismo agrario e sconfessò il patto di pacificazione. I ras riconobbero la guida politica di Mussolini e accettarono la trasformazione del movimento fascista in un partito; così nacque il Partito nazionale fascista (Pnf). Il ministero Bonomi cadde nel febbraio 1922; il debole governo di Luigi Facta non mise freno alla violenza fascista che fece operazioni sempre più grandi. Ad agosto, in risposta alla decisione dei dirigenti sindacali di proclamare uno sciopero generale legalitario, i fascisti fecero un’offensiva contro il movimento operaio, che non seppe opporsi. Dopo aver sconfitto il movimento operaio, il problema era la conquista dello Stato: Mussolini intrecciò trattative con molti esponenti liberali in vista della partecipazione fascista al governo, rassicurò la monarchia sconfessando le passate simpatie repubblicane e ottenne il favore degli industriali con l’annuncio di voler restituire spazio all’iniziativa privata; inoltre lasciò che l’apparato militare del fascismo si preparasse alla presa del potere con un colpo di Stato. In questo modo avvenne la marcia su Roma, cioè una mobilitazione generale di tutte le forze fasciste con obiettivo la conquista del potere centrale. Questo piano non avrebbe avuto successo se avesse incontrato una reazione da parte delle autorità, perché non sarebbero stati in grado di vincere uno scontro con l’esercito regolare. Ma Mussolini contava sulla debolezza del governo e sulla neutralità della monarchia. Infatti l’atteggiamento del re fu importante: Vittorio Emanuele III, il 28 ottobre 1922 (che era il giorno fissato per la marcia su Roma), rifiutò di firmare il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio, che era stato preparato dal governo Facta, già dimissionario. Il rifiuto del re aprì le vie del potere a Mussolini che, oltre a ottenere la partecipazione fascista a un governo guidato da un esponente moderato, chiese e ottenne di essere chiamato a presiedere il governo. Il 30 ottobre 1922, mentre gli squadristi entravano nella capitale senza nessuna resistenza, Mussolini fu ricevuto dal re. La sera il governo guidato da Mussolini era pronto: ne facevano parte fascisti, liberali giolittiano, liberali di destra, democratici e popolari. I fascisti gridarono al trionfo, i moderati si rallegrarono per il fatto che la legalità costituzionale era stata rispettata nelle forme, i rivoluzionari si illusero che nulla fosse cambiato perché ai loro occhi ogni governo borghese era espressione della dittatura di classe. Il paese seguì gli eventi con indifferenza e rassegnazione. IL FASCISMO - VERSO IL REGIME Con il 7% dei deputati, Mussolini riuscì comunque a consolidare il suo potere e mantenere le alleanze dei liberali, che lo appoggiarono anche quando il governo prendeva una piega non di stampo liberale. Dicembre 1922 - Gran consiglio del fascismo ⇒ compito di indicare le linee generali della politica fascista e serviva da raccordo tra partito e governo Gennaio 1923 - Milizia volontaria per la sicurezza nazionale ⇒ squadre fasciste raggruppate in un corpo armato con lo scopo di proteggere gli inesorabili sviluppi della rivoluzione, ma anche disciplinare e limitare il potere dei ras. Non servì a fermare le violenze illegali, alle quali si aggiunse la repressione legale della magistratura e polizia. Questo portò conseguenze disastrose sul movimento operaio, la diminuzione degli scioperi e quindi dei salari. La compressione salariale faceva parte della politica economica del governo, che mirava alla libertà di azione e a spingere l’iniziativa privata, in particolare alleggerendo le tasse sul privato. Politica liberista → discreti successi sul piano finanziario: aumento della produzione e bilancio in pareggio. Appoggio della chiesa (Pio XI) in cui stavano riprendendo il sopravvento le tendenze conservatrici. Il fascismo per loro aveva il merito di aver allontanato il pericolo di una rivoluzione socialista, e Mussolini per garantirsi il sostegno concesse La riforma scolastica (ministro della pubblica istruzione Giovanni Gentile) che prevedeva l’insegnamento della religione nelle scuole elementari e l’introduzione di un esame di Stato al termine di ogni ciclo di studi. Vittima di questo avvicinamento fu il Partito popolare di Sturzo, i cui ministri subirono le dimissioni forzate dal governo. Per crearsi una maggioranza parlamentare e rimanere al governo… 1923 - Legge elettorale maggioritaria (legge Acerbo) ⇒ la lista che ottiene la maggioranza relativa (almeno 25% voti) ottiene i due terzi dei seggi disponibili. 1924, aprile - Alle nuove elezioni esponenti liberali e cattolici di destra accettarono di candidarsi con i fascisti nelle liste nazionali con il simbolo del fascio; invece le forze antifasciste (socialisti, comunisti, popolari, liberali oppositori e altri partiti minori) si presentarono ognuno con le proprie liste, condannandosi a una sconfitta. L’esito fu di una vittoria fascista clamorosa (65% dei voti) anche grazie alle violenze perpetrate sia in campagna elettorale che durante le elezioni, e l’appoggio clientelare al sud. LA DITTATURA A VISO APERTO 30 maggio 1924 - Un deputato socialista, Giacomo Matteotti, aveva denunciato le violenze del fascismo e contestato i risultati elettorali 10 giugno 1924 - Matteotti rapito a Roma da un gruppo di squadristi, caricato su un’auto e ucciso a pugnalate. Lui sparisce e il suo cadavere viene trovato 2 mesi dopo il delitto. Per questo ci fu un’ondata di indignazione contro il fascismo e Mussolini (tuttavia i mandanti del delitto non furono mai chiariti) che si trovò isolato. I gruppi di opposizione (che non potevano far cadere il governo o metterlo in minoranza) come protesta, si astennero dai lavori parlamentari e si riunirono separatamente finché non fosse stata ripristinata la legalità democratica ⇒ Secessione dell’Aventino. Era una protesta che voleva suscitare una questione morale, ma di fatto il re non intervenne e i sostenitori rimasero ad appoggiare il PNF. Discorso alla camera 3 gennaio 1925 - Mussolini si assunse la responsabilità politica, morale e storica di tutto quanto era avvenuto e minacciò di usare forza contro le opposizioni, che nei giorni successivi subirono arresti, perquisizioni e sequestri agli organi di stampa. La crisi Matteotti aveva accelerato il processo che avrebbe portato a una vera e propria dittatura. Gli intellettuali presero posizione, con il Manifesto degli intellettuali del fascismo (Giovanni Gentile filosofo ufficiale del fascismo) oppure con il “contromanifesto” (Benedetto Croce) che rivendicava le libertà ereditate dal risorgimento. La “fascistizzazione” dello stato andava avanti chiudendo ogni spazio di libertà politica e sindacale: vennero mandati in esilio molti antifascisti, i quotidiani di opposizione vennero censurati o fascistizzati mediante pressioni, la rappresentanza dei lavoratori era ammessa solo nei sindacati fascisti. La formulazione di nuove leggi segnò uno stravolgimento definitivo allo stato liberale (Alfredo Rocco) - dicembre ‘25 - rafforzati i poteri del capo del governo rispetto al parlamento e ai ministri - febbraio ‘26 - riforma delle amministrazioni locali → abolita elettività dei sindaci e consigli comunali - aprile ‘26 - legge sindacale proibì lo sciopero e solo i sindacati fascisti potevano stipulare contratti - novembre ‘26 - leggi fascistissime + raffica di misure repressive (provvedimenti per la difesa dello stato) cancellò le ultime tracce di vita democratica: sciolti i partiti antifascisti, espulsi dal parlamento i deputati aventiniani, introdotta la pena di morte per i reati contro la sicurezza dello stato, giudicati da un tribunale speciale - 1928 - nuova legge elettorale: lista unica e scelta di approvarla o respingerla in blocco. - 1928 - costituzionalizzato il Gran consiglio → diventò un organo dello stato dotato di compiti molto importanti (es. preparare la lista unica) Prendeva vita un nuovo regime: a partito unico, in cui era abolita la separazione dei poteri e tutte le decisioni importanti erano concentrate nelle mani di un solo uomo.
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