Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Il Ruolo delle Banche Miste nella Crescita Economica Italiana (1893-1914), Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Storia del capitalismoStoria economica italianaStoria dell'Italia moderna

Come le banche miste, tra cui la Banca commerciale, il Credito italiano, la Banca di sconto e il Banco di Roma, svolsero un ruolo chiave nella crescita economica italiana tra Ottocento e Novecento. Il testo illustra come queste banche, legate ad ambienti cattolici, ottennero il controllo del mercato senza gravi difficoltà grazie a concessioni sull'uso delle acque garantite dallo Stato, bassi canoni e società private che operarono in collaborazione con imprenditori, spesso stranieri. Il settore settentrionale del paese rimase il terreno di elezione per l'industria italiana, mentre il Mezzogiorno subì una netta ridimensionamento industriale. Il periodo è noto come età giolittiana, in cui Giovanni Giolitti, ministro dell'Interno e poi primo ministro, seguì una politica economica incentrata sul sostegno statale allo sviluppo produttivo e sulla relativa tolleranza verso i conflitti del lavoro.

Cosa imparerai

  • Come le banche miste contribuirono alla crescita economica italiana?
  • Come le regioni settentrionali e meridionali dell'Italia furono influenzate dalla crescita economica?
  • Che ruolo giocò Giovanni Giolitti nella politica economica italiana?

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 05/10/2021

francesco-modugno
francesco-modugno 🇮🇹

4

(1)

20 documenti

1 / 5

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Il Ruolo delle Banche Miste nella Crescita Economica Italiana (1893-1914) e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! CAPITOLO 16 L’Italia partecipò dell’espansione economica che investì l’intero mondo occidentale tra Otto e Novecento e si espresse in una forte ripresa dei commerci internazionali sostenuta da una larga misura dalle innovazioni tecnologiche, dalle conseguente offerta di nuovi prodotti, dal miglioramento dei trasporti e da una generalizzata espansione dei consumi. Un ruolo di spicco in questo processo fu svolto dalle banche miste formatesi dopo la crisi del sistema creditizio del 1893- 1894: la Banca commerciale, il Credito italiano, la Banca di sconto e più tardi il Banco di Roma, legato ad ambienti cattolici. Sostenuto dalla politica protezionistica e più in generale da un forte impegno dello Stato, lo sviluppo dell’apparato industriale fu inoltre accompagnato da una significativa trasformazione dei suoi assetti societari. Le società per azioni acquistarono infatti un peso crescente, sostituendo le tradizionali società di persone e introducendo in Italia la forma di impresa che già caratterizzava le economie più forti dell'Europa e del Nord America. Grazie anche a queste soluzioni, si costituirono grandi gruppi che divennero decisivi nella gestione dell’economia italiana: nel settore della siderurgia la Terni, la siderurgica di Savona e l’Ilva, nella meccanica pesante l’Ansaldo e la Breda. Il loro limite più evidente, costituito dalla ristrettezza del mercato interno, fu la compensato dalla copertura assicurata a questi gruppi dal protezionismo e dal ruolo determinante delle commesse statali. Né derivò tuttavia una situazione che non favoriva né l’innovazione tecnologica, né una effettiva competitività sui mercati internazionali. Un altro settore di importanza strategica fu quello chimico, al cui interno assunsero una posizione dominante la Montecatini e la Pirelli, rispettivamente nel campo dei concimi per l’agricoltura e in quello della gomma per pneumatici e cavi telefonici. Ma il comparto più dinamico fu senza dubbio quello dell’industria elettrica. La crescita di questo settore fu ottenuta senza gravi difficoltà grazie alle concessioni sullo sfruttamento dei corsi d’acqua garantite dallo stato, a canoni molto ridotti, a società private che operarono in stretto rapporto con gruppi di imprenditori spesso stranieri, ponendo rapidamente il mercato sotto il controllo di poche imprese a dimensione regionale. Le regioni settentrionali del paese rimasero il terreno di elezione dell’industria italiana sia per i loro antichi legami con i circuiti del grande commercio europeo, sia per gli effetti della politica economica seguita dagli anni ottanta in poi. All’interno di queste aree venne anzi definitivamente affermandosi una geografia dello sviluppo centrata sul triangolo Milano-Genova- Torino. Anche l’agricoltura ebbe un consistente sviluppo, legato all'attuazione di opere di bonifica, all'incremento della zootecnia, alla diffusione di concimi chimici e all'espansione di colture industriali come quella della barbabietola da zucchero. Tale sviluppo si concentrò tuttavia nella valle Padana e non ebbe corrispettivi nelle regioni centrali e meridionali. Nel Mezzogiorno la stagnazione dell’agricoltura non trovò alcun compenso nel settore industriale, che nel primo decennio del secolo subì in queste regioni un netto ridimensionamento. Ciò spiega anche l’esplodere del flusso migratorio che, avviatosi negli anni della crisi agraria, acquisì in questo periodo una straordinari consistenza. All’incremento quantitativo si accompagnò un mutamento qualitativo: la grande maggioranza degli emigranti di questa seconda ondata provenne dalle regioni meridionali e si indirizzò in misura crescente verso le Americhe. Nel Mezzogiorno, provato delle sue energie più giovani e vitali. Si produsse così un circolo vizioso tra arretratezza ed emigrazione. Si è soliti chiamare età giolittiana il primo quindicennio del Novecento, indicando in Giovanni Giolitti la figura chiave di questo periodo. Ministro dell’Interno con Zanardelli, Giolitti venne chiamato alla guida del governo nel 1903 dal nuovo re Vittorio Emanuele III e vi rimase fino al 1914. Il governo Zanardelli-Giolitti si presentò con un programma centrato sul sostegno statale allo sviluppo produttivo e su una prassi di relativa tolleranza verso i conflitti del lavoro, ispirata dalla concezione liberale della neutralità dello Stato nei rapporti economici e sociali. L’appoggio dato al governo dai deputati socialisti, che si astennero nel voto sul bilancio dell’interno, sottolineò la portata di questa svolta. In tale contesto, l’inizio del secolo vide l’industria e l'agricoltura investite da un’ondata di scioperi rivendicativi, nei confronti dei quali Giolitti dette istruzione ai prefetti di non intervenire, se non per favorire il raggiungimento di accordi fra le parti. Ne scaturirono consistenti aumenti salariali, mentre la raggiunta legittimazione dava slancio alo sviluppo del movimento sindacale: nel 1901 le leghe bracciantili si costituirono in Federazione nazionale dei lavoratori della terra e anche le altre federazioni di mestiere e le camere del lavoro crebbero e si moltiplicarono. Nel 1902 furono approvate alcune leggi che regolamentarono il lavoro delle donne e dei fanciulli, abolirono il lavoro notturno per queste categorie, e concessero alle donne un mese di assenza non retribuita dal lavoro dopo il parto, istituirono il riposo festivo introdussero alcune misure previdenziali e assicurative. Nello stesso anno si costituì presso il Ministero di Agricoltura, industria e commercio un Ufficio del lavoro, con compiti ispettivi sul rispetto delle norme negli ambienti lavorativi. Ad esso si aggiunse nel 1906 un Consiglio superiore del lavoro, con compiti consultivi rispetto alla produzione legislativa. Nel 1902 una legge sulla municipalizzazione dei pubblici servizi aveva intanto aperto significativi spazi di decentramento amministrativo, potenziando l’iniziativa e il ruolo degli enti locali. Nel 1911fu istituita l’Istituto nazionale assicurazioni con il compito di raccogliere i risparmi provati e razionalizzare dell’intero settore. Riconosciuto di fatto solo in una parte del paese, il diritto di sciopero non fu comunque sancito sul piano legislativo e venne esplicitamente negato ai dipendenti dei servizi pubblici, mentre la stessa legge sul lavoro delle donne e dei fanciulli non ebbe che un’applicazione parziale. A ciò si aggiunga che l’accentramento politico non solo non venne attenuato, ma fu reso ancora più rigido dalle misure che nel 1901 potenziarono le attribuzioni del presidente del Consiglio, rafforzando il potere esecutivo. In assenza di una riforma che ne sancisse la subordinazione al potere esecutivo e legislativo, le forze armate vennero prefigurando una specie di corpo separato, in diretto rapporto con il re. Questi diversi aspetti della politica giolittiana contribuiscono a spiegare l’immagine di “Giano bifronte” applicata con insistenza alla figura del Primo ministro dalla stampa del tempo. Tali giudizi si sono a lungo riproposti anche nel dibattito storiografico, che vi ha visto ora un corruttore del costume politico, ora l’equilibrato regista di una trasformazione dell’Italia in senso democratico. Sull’esigenza di creare un partito politico della borghesia, rafforzata dall’emergere delle grandi forze popolari organizzate dei socialisti e dei cattolici, Giolitti privilegiò il parlamento come luogo di mediazione tra forze politiche e interessi diversi. Una grande capacità di aggregare vaste maggioranze parlamentari, che ha spinto diversi storici a individuare in una prosecuzione del trasformismo il tratto di fondo della sua gestione del potere, gli permise in effetti di inglobare molti e diversi gruppi d’opposizione. Tra questi i radicali, che dal 1900 al 1913 raddoppiarono la loro delegazione alla Camera ed entrarono stabilmente nell’area di governo. L’inasprirsi della resistenza padronale e una dura sconfitta subita dalle leghe padane portarono nel 1904 la sinistra alla guida del PSI e questa, per protesta contro alcuni eccidi compiuti dalla pubblica nel Mezzogiorno, proclamò una sciopero generale, il primo della storia dell’Italia. L’esaurirsi dello sciopero, verso il quale Giolitti serbò un contegno molto prudente, e le elezioni politiche da lui convocate subito dopo segnarono una svolta in senso conservatore. Il leader liberale, infatti cercò e ottenne il sostegno dei cattolici, che con il consenso del nuovo papa Pio X dettero un importante contributo alla vittoria dei candidati governativi. L’ingresso in campo dei cattolici e l’opzione clerico-moderata della Chiesa furono la prova più evidente dei limiti di uno sforzo riformatore che dette un forte impulso di rinnovamento alla parte più evoluta del paese, ma lasciò intatti i vecchi rapporti di potere clientelari e trasformisti del Mezzogiorno. Ne uscì rafforzato un altro cardine della politica giolittiana, ovvero la sua corrispondenza agli interessi dei settori trainanti dell’industrializzazione, oltre che dei gruppi siderurgici, tessili e zuccherieri e degli agrari padani, uniti nella riaffermazione della scelta protezionista. La riconquistata salute delle finanzi statali permise a Giolitti di abbassare gli interessi sul debito pubblico e di operare la cosiddetta “conversione della rendita”, cioè lo spostamento di parte delle uscite statali dal sostegno alle rendite
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved