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Il Regime Fascista in Italia: La Politica di Mussolini e la Fascistizzazione dello Stato, Appunti di Storia

La ascesa ancorato la fine del regime fascista in italia, con un focus particolare sui primi anni di governo di benito mussolini. Il testo tratta della collaborazione di mussolini con la vecchia classe dirigente liberale, la politica di 'doppio binario', la creazione di nuove istituzioni come il gran consiglio del fascismo e la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, le elezioni del 1924 e la legge acerbo, il delitto matteotti, le leggi fascistissime, l'avvicinamento al potere della chiesa cattolica e la firma dei patti lateranensi, e la modernizzazione economica del regime.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 25/03/2024

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Scarica Il Regime Fascista in Italia: La Politica di Mussolini e la Fascistizzazione dello Stato e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! L’ITALIA FASCISTA Nel 1922, Benito Mussolini fu nominato presidente del Consiglio, si trovò alla guida di un governo che comprendeva, oltre a i ministri fascisti, anche liberali, popolari e nazionalisti. L'esecutivo rispecchiava la composizione dell'eterogenea coalizione dei "blocchi nazionali", un'aggregazione politica sorta con l'intento di arginare l'ascesa delle forze socialiste. Una volta giunto al potere, Mussolini comprese tuttavia che sarebbe stato necessario collaborare con la vecchia classe dirigente liberale, senza il cui appoggio egli non sarebbe riuscito a dare vita a un regime fascista. Nello stesso tempo Mussolini intendeva rassicurare le frange più estremiste del fascismo: nel discorso pronunciato il 16 novembre 1922 per presentare il nuovo governo, egli non esitò a definire il Parlamento come un organismo inutile, che egli avrebbe potuto, se solo avesse voluto, facilmente trasformare in un "bivacco" per i suoi fedelissimi. Grazie a questa politica, definita del "doppio binario", Mussolini riuscì in due intenti: indebolire il Parlamento, intimidito dalle minacce di violenze squadriste, e dare inizio a tutta una serie di riforme radicali, attuate nel rispetto formale delle istituzioni liberali. In pochi anni, attraverso nuove leggi e la creazione di nuovi organismi legati al partito, il governo di Mussolini lavorò per fascistizzare lo Stato, modellandolo cioè sull'ideologia fascista e per svuotare di qualsiasi potere effettivo il Parlamento. Il primo provvedimento di questo tipo fu la cosiddetta "Legge dei pieni poteri", del 3 dicembre 1922, con cui fu attribuita al governo una serie di funzioni proprie del Parlamento. Poco dopo Mussolini creò due nuove istituzioni: il Gran Consiglio del Fascismo e la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. II Gran Consiglio del Fascismo Venne convocato per la prima volta nel dicembre del 1922, inizialmente è solo un organismo di partito. Era formato da dirigenti fascisti nominati direttamente da Mussolini e aveva il compito di consigliare il governo sulle linee guida da seguire, oltre che di proporre le leggi. In un sistema parlamentare l'indirizzo politico viene elaborato dal Consiglio dei ministri (potere esecutivo), per essere poi discusso, ed eventualmente approvato, dal Parlamento (potere legislativo). Con la creazione del Gran Consiglio questa architettura istituzionale venne meno: le linee generali della politica di governo venivano concepite prima all'interno di un organo di partito, il Gran Consiglio, e la discussione da parte delle Camere diventava puramente formale. Nel 1928 il Gran Consiglio sarebbe divenuto un organismo istituzionale a tutti gli effetti, ma gradualmente le sue funzioni furono ridimensionate a causa dei sempre maggiori poteri attribuiti direttamente a Mussolini. L'ultima e più famosa seduta del Gran Consiglio fu quella del 25 luglio del 1943, che sancì la caduta del regime fascista. La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale Fu instituita nel 1923 per dare un inquadramento ufficiale alle vecchie squadre d’azione, fino a quel momento illegali. Questa normalizzazione dello squadrismo serviva a rassicurare l’opinione pubblica conservatrice che, dopo aver appoggiato il fascismo contro le sinistre, premeva ora per disinnescare le sue tendenze anarchiche e liberali. La Legge Acerbo e le elezioni del 24 La Legge Acerbo e le elezioni del 1924 1 provvedimenti presi dal governo mussoliniano erano del tutto incompatibili con il funzionamento di uno Stato democratico e liberale e posero le basi per la costruzione di un vero c proprio regime. Il passo successivo fu quello di varare una nuova legge elettorale che potesse favorire il Partito fascista garantendogli un'ampia maggioranza in Parlamento: La nuova Legge Acerbo (che prese il nome dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo) fu approvata nel novembre del 1923. Fu concepita in modo da favorire chi avesse ottenuto la maggioranza relativa dei voti: più precisamente, la legge prevedeva che il partito (o la lista) che si fosse assicurato il 25% dei voti sarebbe stato premiato con i due terzi dei seggi parlamentari. La repressione del dissenso Il 31 ottobre 1926, A Bologna, si verificò un tentativo di attentato ai danni di Mussolini. L'episodio fu preso a pretesto per liquidare ogni residua forma di opposizione politica: attraverso nuovi provvedimenti legislativi furono abolite le libertà di stampa, di parola, di associazione e molti giornali furono chiusi. Tutti i partiti furono sciolti a eccezione di quello fascista: di conseguenza i deputati dell'Aventino vennero espulsi dalla camera. Fu inoltre ripristinata la vena di morte e costituiti una polizia politica, l’OVRA (organizzazione per la vigilanza e la repressione dell'antifascismo) e il tribunale speciale per la difesa dello Stato, incaricati rispettivamente di arrestare e condannare gli oppositori politici e chiunque fosse considerato una minaccia per la sicurezza del paese. Si va fu molto intensa. Fra le sue vittime più illustri, vi fu anche il capo del PCI Antonio Gramsci: arrestato nel 1926 e condannato altre a 20 anni di carcere, questo morì nel 1937 in seguito da una malattia contratta in prigione. L'antifascismo dal momento in cui queste leggi entrarono in vigore, essere in disaccordo con Mussolini significò ribellarsi a una precisa idea di Stato e di società, e non più solo a un partito e al suo capo. Il fascismo del resto era l'unico partito ammesso nel paese: divenne quasi obbligatorio possedere la tessera fascista, indispensabile per lavorare negli uffici pubblici, accedere a determinati servizi di assistenza e in generale per condurre una vita tranquilla, al riparo dallo sguardo vigile della polizia. La macchina repressiva messa in piedi da Mussolini non posso tuttavia a estirpare il dissenso verso il regime, che molti continuarono esprimere clandestinamente, a rischio della propria incolumità. Numerosi oppositori, per evitare l'arresto e il carcere, fuggirono dall'Italia e cercarono di organizzare la lotta contro il regime dall'estero, fenomeno conosciuto anche come fuoriuscitismo. Soprattutto i fuoriusciti comunisti, sostenuti dall'Internazionale, cercavano di tenere i contatti con gli antifascisti italiani rimasti a piede libero. Il fascismo e la Chiesa Nel 1928 due nuove iniziative del governo valsero a svuotare di qualsiasi potere effettivo e Istituzioni dello Stato liberale. Il Gran Consiglio del Fascismo fu trasformato in "Organo supremo che coordina e integra tutte le attività del regno sorto dalla rivoluzione dell'ottobre del 1922" (la marcia su Roma), e si vide attribuito il potere di indicare al re il nome del capo del governo. Poco dopo fu approvata una nuova legge elettorale in base alla quale gli elettori, potevano votare soltanto "si" o "no" a una lista unica di candidati scelti dal Gran Consiglio. Le elezioni successive, che si tennero nel marzo del 1929, furono in pratica un plebiscito per il "si" e diedero ai fascisti circa il 98% dei voti. Questo successo fu favorito non solo dal clima intimidatorio e dalla martellante propaganda fascista, ma anche dall'avvicinamento del fascismo alla Chiesa cattolica: Mussolini comprese che in un paese cattolico come l'Italia era indispensabile conquistare la fiducia della gerarchia ecclesiastica per rafforzare l'influenza del fascismo sulle masse, soprattutto su quelle rurali. I patti Lateranensi L'11 Febbraio 1929, nel palazzo del Laterano a Roma furono firmati i patti lateranensi, che regolavano diversi aspetti delle relazioni fra Stato italiano e Santa Sede. I patti lateranensi erano costituiti da un trattato bilaterale di riconoscimento reciproco fra Regno d'Italia e chiesa, una convenzione finanziaria e un concordato. Attraverso il trattato il papa riconobbe Roma come capitale d'Italia e l'Italia si impegnava a riconoscere come Stato indipendente un piccolo territorio intorno alla chiesa di San Pietro, lo Stato della Città del Vaticano, comprendente i Palazzi Vaticani, il Palazzo del Laterano e la villa di Castel Gandolfo. Con la convenzione finanziaria lo Stato italiano si impegnò a versare un risarcimento di circa 2 miliardi di lire per la soppressione, avvenuta nel 1870, dello Stato pontificio. Con il concordato la fede cattolica divenne la religione ufficiale dello Stato. Il concordato poneva fine al principio di laicità dello Stato fissato durante il Risorgimento: Stato e Chiesa non erano più nettamente separati e il cattolicesimo assumeva una posizione di privilegio rispetto alle altre religioni. Il regime, pertanto, poté fare del cattolicesimo uno dei suoi pilastri. La costruzione del consenso Il regime fascista nacque in un momento storico in cui le masse non potevano più essere lasciate fuori dalla vita politica. Il suffragio universale maschile, la partecipazione alle lotte sindacali e alla prima guerra mondiale avevano reso la popolazione più consapevole della propria appartenenza alla collettività nazionale e allo stato. Il regime seppe approfittare abilmente di questa nuova sensibilità per incanalarla verso l'ideologia fascista: il regime di Mussolini non si mantenne in vita solo grazie alla repressione ma anche soprattutto attraverso la ricerca del consenso e l'indottrinamento delle masse. Mussolini inoltre assunse per sé l'appellativo di duce, cioè di condottiero del popolo italiano e diffuse un vero e proprio culto della propria persona: non solo parlava alla folla dal balcone di palazzo Venezia o alle adunate di massa organizzate in tutta Italia dai gerarchi locali, ma era presente ovunque con i suoi ritratti e i suoi slogan. La riforma della scuola consapevole dell'importanza dell'educazione del consenso, pochi anni dopo il suo insediamento il governo fascista si impegnò per riformare in modo radicale il sistema scolastico, dimostrando così di avere le idee chiare sulla società che intendeva realizzare; una società nella quale fossero ben marcate le differenze di classe, ormai lontana dall'ideale rivoluzionario è espresso nel programma di Fondazione del partito fascista. Nel 1923 venne approvata la riforma gentile chiamata La battaglia del grano L'economia dell'Italia fascista era fondata prevalentemente sul settore agricolo. Si trattava di un'agricoltura ancora in parte arretrata e, con la crisi internazionale, la situazione nelle campagne era diventata ancora più difficili. Mussolini sapeva bene che la crisi del settore agricolo influiva su tutta l'economia nazionale e che per mantenere il consenso era necessario saper parlare alle masse contadine. Per questo motivo, a partire dal 1925, egli diede grande visibilità a una politica agraria che intendeva valorizzare il ruolo delle campagne nella costruzione dell'Italia fascista. Con il contributo dell'economista e agronomo Arrigo Serpieri, la politica agraria fascista vide fra le sue iniziative più importanti la cosiddetta "battaglia del grano", che aveva l'obiettivo di produrre tutto il grano necessario all'Italia, senza dover ricorrere alle importazioni dagli Stati Uniti e dall'Argentina. Fra i vantaggi della battaglia del grano vi fu la messa a coltura di terreni incolti nel latifondo del Meridione, anche se i proventi arricchirono soprattutto i grandi proprietari, e nelle terre paludose del Lazio. L'interventismo statale e l'autarchia Dai primi anni Trenta, di fronte al rallentamento dell'economia nazionale e internazionale causato dalla crisi del 1929, Mussolini, insieme al ministro delle Finanze Giuseppe Volpi (in carica dal 1925) decise di adottare una politica di tipo protezionista, fondata su un maggiore interventismo dello Stato in campo industriale. L'idea era di sostenere il capitale privato per ridurre ulteriormente le importazioni e di aumentare la produzione interna. Per prima cosa, il governo tutelò i prodotti nazionali dalla concorrenza straniera con forti imposte sulle importazioni, che facevano crescere i prezzi dei manufatti non prodotti in Italia. Ma l'intervento più significativo sul piano strutturale fu l'istituzione di enti statali, come l'IMI (Istituto Mobiliare Italiano) poi diventato l'IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), con lo scopo preciso di intervenire con denaro pubblico per salvare dal fallimento banche e industrie. Attraverso questi enti, lo Stato divenne il maggiore imprenditore industriale banchiere italiano. Per incentivare l'occupazione e ridurre l'impatto della crisi, il governo avviò un consistente piano di lavori pubblici, per restituire alla capitale il carattere di città imperiale moderna. Ma l'impresa di più forte impatto economico-sociale per la storia delle trasformazioni del paese fu la bonifica delle paludi pontine. L'obiettivo della politica economica, soprattutto dal 1936, in seguito alle sanzioni internazionali che colpirono l'Italia per la guerra in fu il regime di autarchia. Con questa espressione si intendeva un sistema economico capace di bastare a sé stesso: l'Italia doveva riuscire a produrre tutto ciò di cui aveva bisogno per mezzo della sua industria e della sua agricoltura, senza ricorrere alle importazioni, o comunque riducendo al minimo gli scambi commerciali con l'estero. Un regime autarchico che lo Stato fascista realizzava con il diretto controllo del capitalismo industriale nelle città, di quello agrario nelle campagne, e dello stesso sistema finanziario, soprattutto grazie alla riforma bancaria del 1936, che nazionalizzò il sistema creditizio. Il militarismo e il razzismo fascista Il fascismo si lanciò in una politica di espansione coloniale in Libia, dove la resistenza locale fu fiaccata con l'uso della violenza, e in Etiopia, che fu attaccata e conquistata tra il 1935 e il 1936. In Etiopia il fascismo non esitò a utilizzare gas asfissianti sulla popolazione. La Società delle Nazioni decretò-delle sanzioni economiche contro l'Italia, che tuttavia si rilevarono inefficaci e, anzi, rafforzarono il consenso interno al regime e lo avvicinarono alla Germania nazista. E se inizialmente Mussolini aveva guardato con sospetto al nazismo, nel 1936 strinse con Hitler l'alleanza detta Asse Roma Berlino. Proprio a causa dell'alleanza con il nazismo, tra il 1938 e il 1939 furono approvate le Leggi per la difesa della razza, che escludevano gli ebrei dalla vita sociale. Le Leggi raziale non suscitarono particolari proteste né da parte dell'opinione pubblica né da parte della Chiesa.
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