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L'occasione fa il libro. La tipografia napoletana di primo Cinquecento, Appunti di Letteratura

Storia della tipografia napoletana nel Cinquecento

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 18/09/2019

fiorinda-giandola
fiorinda-giandola 🇮🇹

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Scarica L'occasione fa il libro. La tipografia napoletana di primo Cinquecento e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! 9. L’OCCASIONE FA IL LIBRO. LA TIPOGRAFIA NAPOLETANA DI PRIMO CINQUECENTO TRA ELEZIONE ALL’IMPERO DI CARLO V E RIVOLTA DEL 1547 Da una lettura complessiva dei dati sulla produzione libraria napoletana nella prima metà del Cinquecento, emerge una generale tendenza recessiva non solo rispetto ad altri centri italiani nel medesimo periodo, ma anche rispetto ai livelli quantitativi raggiunti nella capitale del regno aragonese nel corso dei precedenti tre decenni di produzione incunabolistica.E’ una conferma che la fine della dinastia aragonese scarica riflessi negativi anche su questo particolare comparto produttivo. Agli inizi del XVI secolo gli operatori del settore si trovano di fronte alle leggi di un mercato ormai dominato dalle tipografie veneziane. Bisognerà attendere il 1536 per registrare una ripresa effimera dell’attività tipografica a Napoli, con la pubblicazione di sole 15 edizioni, di cui 11 a cura del tipografo Sultzbach. In questo contesto, avevano la precedenza le pubblicazioni occasionate dalla presenza a Napoli di Carlo V, reduce dalla spedizione di Tunisi. Il picco produttivo raggiunto nel 1536 conferma che quasi sempre la produzione libraria a Napoli obbedisce alle esigenze dettate da occasioni ufficiali più che a programmi editoriali di medio periodo. In generale si tratta di anni in cui la letteratura occupa uno spazio marginale rispetto al resto della produzione libraria, in cui le voci più cospicue continuano ad essere rappresentate da opere di argomento religioso, filosofico e giuridico. A parziale spiegazione di questa oggettiva “povertà” della produzione tipografica a Napoli nella prima metà del XVI secolo si è spesso addotto il clima di intimidazione cui furono sottoposti autori e stampatori di libri, nonostante la produzione non sia cessata nemmeno durante lo svolgimento del tumulto contro l’Inquisizione del 1547. E’ probabile che la tipografia napoletana nella prima metà del Cinquecento sia piuttosto vittima del mancato passaggio dalla dimensione artigianale a quella industriale. Sembra quindi ovvio immaginare che proprio in coincidenza di alcuni momenti topici della vita cittadina le tipografie napoletane fossero chiamate a uno sforzo produttivo maggiore per rispondere alle esigenze di una committenza particolarmente interessata a marcare la propria presenza e magari veicolare attraverso il medium tipografico messaggi politici. La rilettura di alcuni di questi testi a metà strada tra letteratura e propaganda politica, può restituire l’hic et nunc di un evento facendoci recuperare una più diretta chiave di lettura delle finalità politiche di cui gli autori di turno si facevano interpreti. Nel 1519 Girolamo Britonio, un letterato al servizio di Ferrante Francesco d’Avalos marchese di Pescara e di sua moglie Vittoria Colonna stampa un resoconto della serata di gala per solennizzare la recente elezione di Carlo all’Impero. L’intero resoconto della festa è racchiuso tra due invocazioni di Partenope a Carlo. Alla fine, più esplicito si fa l’invito a Carlo a venire in Italia per pacificarla, per cingere la corona imperiale e finalmente rianimare con la sua presenza Napoli. Non sarà poi un caso se all’indomani della vittoria di Pavia qusto stesso rimatore componga un poemetto, che si propone come documento che coglie le attese del Regno e dell’Italia più in generale, ora che la vittoria conseguita dalle armi imperiali sotto la guida di Ferrante Francesco d’Avalos sembra dischiudere la prospettiva di una pace duratura che potrebbe restituire a Napoli un ruolo più autonomo. Britonio tocca alcuni dei punti più sensibili del progetto di Impero Universale vagheggiato da Carlo V: il rinnovamento della Chiesa, l’unità dei cristiani e la lotta contro il pericolo turco. Se l’Imperatore veramente avesse letto questi versi non avrebbe mancato di compiacersi di questo oscuro rimatore napoletano che si faceva banditore di alcuni punti essenziali del suo programma politico.
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