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L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica - W. Benjamin, Appunti di Estetica

L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica - W. Benjamin [RIASSUNTO]

Tipologia: Appunti

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Scarica L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica - W. Benjamin e più Appunti in PDF di Estetica solo su Docsity! 1 L’OPERA D’ARTE NELL’EPOCA DELLA SUA RIPRODUCIBILITÀ TECNICA Walter Benjamin Premessa Quando Marx intraprese l’analisi del modo capitalistico di produzione, risalì ai rapporti fondamentali della produzione capitalistica e li espose in modo che da essi si delineasse che cosa ci si potesse aspettare in futuro dal capitalismo, ovvero non soltanto uno sfruttamento progressivamente esasperato del proletariato, ma anche il prodursi di condizioni che avrebbero reso possibile la stessa soppressione del capitalismo. Il sovvertimento della sovrastruttura ci ha messo più di mezzo secolo per mettere in risalto in tutti i campi della cultura questo cambiamento nelle condizioni di produzione. A queste istanze corrispondono tesi circa lo sviluppo dell’arte nelle attuali condizioni di produzione. Sarebbe errato sottovalutare il valore di tali tesi per la lotta di classe. I. In linea di principio, l’opera d’arte è sempre stata riproducibile; ad esempio, simili produzioni venivano realizzate dagli allievi per esercitarsi nell’arte. Rispetto a ciò, la riproduzione tecnica dell’opera d’arte è qualcosa di nuovo, che si afferma nella storia a intermittenza. I Greci conoscevano soltanto due procedimenti di riproduzione: la fusione e il conio. Con la silografia diventò per la prima volta tecnicamente riproducibile la grafica; così fu a lungo, prima che, tramite la stampa, diventasse riproducibile anche la scrittura. Sono noti gli enormi cambiamenti che la stampa, ovvero la riproducibilità tecnica della scrittura, ha suscitato nella letteratura. Nel corso del Medioevo alla silografia si aggiungono l’acquaforte e la puntasecca, così come, all’inizio del diciannovesimo secolo, la litografia. Con quest’ultima, la tecnica riproduttiva raggiunge un livello sostanzialmente nuovo. Questo procedimento diede per la prima volta alla grafica la possibilità di introdurre nel mercato i propri prodotti non solo in grande quantità, come già faceva, ma anche in configurazioni ogni giorno nuove. La grafica divenne così capace di accompagnare in forma illustrativa la dimensione quotidiana, tenendo il passo della stampa. Già pochi decenni dopo, tuttavia, la litografia venne superata dalla fotografia. Con la fotografia, nel processo della riproduzione figurativa, per la prima volta la mano fu dispensata delle più importanti incombenze artistiche, passando il ruolo all’occhio. Siccome l’occhio coglie più rapidamente di quanto la mano disegni, il processo di riproduzione figurativa venne accelerato così enormemente da poter tenere il passo dell’eloquio. L’operatore cinematografico, girando la scena, fissa le immagini alla stessa velocità con cui l’interprete parla. Per lo studio della riproduzione tecnica, nulla è più istruttivo di come entrambe le sue diverse manifestazioni – la riproduzione dell’opera d’arte e l’arte cinematografica – hanno retroagito sull’arte nella sua forma tradizionale. II. Anche nel caso di una riproduzione altamente perfezionata, manca l’hic et nunc dell’opera d’arte, la sua esistenza irripetibile nel luogo in cui si trova. Proprio in questa esistenza irripetibile si è compiuta la storia a cui l’opera d’arte è stata sottoposta nel corso del suo perdurare: in quest’ambito rientrano sia le modificazioni fisiche patite nel corso del tempo, sia i mutevoli rapporti di proprietà in cui può essere capitata. Le tracce delle modificazioni nella struttura fisica possono essere recepite tramite analisi di tipo chimico o fisico che non si possono compiere sulla riproduzione, mentre la questione circa i rapporti di proprietà è oggetto di una traduzione la cui ricostruzione deve procedere a partire dalla sede dell’originale. L’hic et nunc dell’originale costruisce il concetto della sua autenticità: analisi di tipo chimico, ad esempio, sulla patina di un bronzo possono essere necessarie alla constatazione della sua autenticità. L’intero ambito dell’autenticità si sottrae alla riproducibilità tecnica. Mentre, però, l’autentico mantiene la sua piena autorità di fronte alla riproduzione manuale, di regola bollata come un falso, questo non è il caso della riproduzione tecnica, per una duplice ragione: 2 1. In primo luogo, la riproduzione tecnica si dimostra più autosufficiente di quella manuale: può, per esempio nella fotografia, rilevare aspetti dell’originale che sono accessibili soltanto all’obiettivo, ma non all’occhio umano; 2. In secondo luogo, può introdurre la riproduzione dell’originale in situazioni che sono inaccessibili all’originale stesso, consentendogli di andare incontro al fruitore, nella fotografia o nel disco (ad esempio la fotografia di una cattedrale, per cui la cattedrale ha abbandonato la sua ubicazione originale). Le circostanze in cui il prodotto della riproduzione tecnica può essere utilizzato possono mantenere intatta la consistenza dell’opera d’arte, ma in tutti i casi determinano la svalutazione del suo hic et nunc. L’autenticità di una cosa è la quintessenza di tutto ciò che di esso può venir tramandato, dalla sua durata materiale alla sua testimonianza storica. In questo caso, ciò che viene meno può essere riassunto nel concetto di aura: ciò che viene meno nell’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte è la sua aura. Il processo è sintomatico ed il suo significato rimanda al di là dell’abito artistico. La tecnica della riproduzione sottrae il riprodotto all’ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, la tecnica di riproduzione pone al posto di un evento unico una sua grande quantità. Consentendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce, attualizza quindi il riprodotto. Questi processi conducono a un violento sconvolgimento di ciò che viene tramandato, ad uno sconvolgimento della tradizione, e stanno in stretta connessione con i movimenti di massa dei giorni nostri, il cui agente più potente è il cinema. Il suo significato sociale, anche nella sua forma più positiva, non è pensabile senza questo aspetto di liquidazione del valore della tradizione nell’eredità culturale. III. Nel giro di lunghi periodi storici, insieme alle forme di esistenza delle collettività umane, si modificano anche i modi e i generi della loro percezione sensoriale. Il modo e il genere secondo cui si organizza la percezione sensoriale umana, ovvero il medium in cui essa ha luogo, è condizionato sia in senso naturale, sia in senso storico. L’epoca delle invasioni barbariche, durante la quale sorsero l’industria artistica tardo-romana e la Genesi di Vienna (manoscritto miniato), possedeva non solo un’arte diversa da quella antica, ma anche una diversa percezione. Gli studiosi della scuola viennese, Riegl e Wickhoff, oppositori del peso dato alla tradizione classica, sono giunti per primi all’idea di trarre da essa conclusioni a proposito della percezione nell’epoca in cui essa godeva di considerazione. Le loro cognizioni avevano un limite nel fatto che questi studiosi si accontentavano di rilevare il contrassegno formale proprio della percezione nell’epoca tardo-romana. Non hanno mai tentato di mostrare i rivolgimenti sociali che trovavano un’espressione in questi cambiamenti della percezione. Per il presente, le condizioni per una comprensione corrispondente sono più favorevoli. Se le modificazioni nel medium della percezione di cui siamo contemporanei possono intendersi come una decadenza dell’aura, si può indicarne le condizioni sociali. Si può illustrare il concetto di aura mediante quello di un’aura degli oggetti naturali. Noi definiamo questi ultimi come apparizioni uniche di una lontananza. Seguire una catena di monti all’orizzonte significa respirare la loro aura. È facile comprendere il condizionamento sociale dell’attuale decadenza dell’aura, che si basa peraltro su due circostanze, entrambe connesse alla crescente importanza delle masse nella vita attuale. Questo perché le masse sentono la fortissima esigenza di avvicinare spazialmente e umanamente le cose, così come fortissima è la loro tendenza al superamento dell’unicità tramite la ricezione delle riproduzioni. Ogni giorno emerge di più il bisogno delle masse di impossessarsi dell’oggetto da una distanza il più possibile ravvicinata nell’immagine, o, meglio, nella riproduzione. Riproduzione che, inequivocabilmente, si differenzia dall'immagine. Unicità e durata sono strettamente connesse nell’immagine quanto lo sono la labilità e la ripetibilità nella riproduzione. La liberazione dell’oggetto dal suo involucro, e quindi la distruzione dell’aura, sono il segno di una percezione la cui sensibilità per ciò che nel mondo è dello stesso genere è cresciuta al punto che attinge l’uguaglianza di genere anche in ciò che è unico. 5 sviluppo più recente, intuisce Arnheim nel 1932, consiste nel fatto che si deve trattare l’attore alla stregua di un attrezzo, che viene scelto in base a determinate caratteristiche. A ciò si connette nel modo più serrato il fatto che, molto spesso, all’attore cinematografico sia negata l’identificazione in una parte, poiché la sua prestazione non è mai unitaria, bensì composta di numerose prestazioni singole. Sono le necessità elementari dell’apparecchiatura, come l’illuminazione o il montaggio, a scomporre la recitazione dell’interprete in una serie di episodi montabili. Nulla mostra in modo più drastico come l’arte sia sfuggita al regno della bella apparenza, quel regno che per tanto tempo è stato considerato l’unico in cui potesse fiorire. X. Il senso di disagio dell’interprete di fronte all’apparecchiatura è in sé della stessa specie del senso di disagio dell’uomo di fronte al suo riflesso. Con il cinema l’immagine nello specchio diventa trasportabile, e viene trasportata davanti al pubblico. La consapevolezza di ciò non abbandona mai l’interprete. Mentre sta davanti all’apparecchiatura, l’interprete cinematografico sa che in ultima istanza ha a che fare col pubblico, che è il pubblico degli acquirenti, che costituisce il mercato. Questo mercato nel quale egli viene immesso, nell’istante della sua prestazione, gli diviene inaccessibile quanto un articolo qualunque prodotto in una fabbrica. Il cinema risponde al declino dell’aura con la costruzione artificiosa della personality al di fuori degli studi cinematografici, ovvero con il culto della star, che conserva quella magia della personalità che consiste nella magia fasulla del suo carattere di merce, poiché al cinema odierno non si può ascrivere un merito rivoluzionario se non quello di promuovere una critica della nozione tradizionale di arte. Il cinema odierno può promuovere una critica rivoluzionaria dei rapporti sociali, ma il centro di gravità di questa ricerca risiede in scarsa misura in questo elemento. Dipende dalla tecnica del film il fatto che chiunque assista alle prestazioni di esso diventi un semispecialista. Il cinegiornale, per esempio, fornisce a ciascuno una possibilità di trasformarsi da passante a comparsa cinematografica. In certi casi può addirittura vedersi immesso nell’opera d’arte. Ogni uomo contemporaneo, insomma, può avanzare la pretesa di essere filmato. Per secoli, nell’ambito dello scrivere, la situazione era tale che un numero limitato di persone dedite allo scrivere stava di fronte a parecchie migliaia di lettori. Verso la fine del secolo scorso qualcosa è cambiato: con l’espansione della stampa, gruppi sempre più cospicui di lettori finirono tra coloro che scrivevano. La cosa cominciò quando la stampa quotidiana aprì la rubrica delle lettere al direttore. Con questo la distinzione tra autore e pubblico perde il proprio carattere sostanziale e diventa semplicemente funzionale e funziona in maniera diversa a seconda dei casi. Il lettore, ad esempio, è sempre pronto a diventare uno scrittore. Questo discorso può essere traslato nell’ambito del cinema. Una parte degli interpreti del cinema russo, ad esempio, sono interpreti non nel nostro senso, bensì persone che interpretano se stesse. Nell’Europa occidentale lo sfruttamento capitalistico del cinema impedisce di prendere in considerazione la pretesa legittima che l’uomo odierno ha di essere riprodotto. In questa situazione, l’industria cinematografica ha l’interesse a imbrigliare, tramite rappresentazioni illusionistiche, la partecipazione delle masse. XI. Una ripresa cinematografica offre uno spettacolo che in passato non sarebbe mai stato immaginabile. Per vari motivi, tra cui l’attrezzatura necessaria alle riprese, l’analogia tra una scena cinematografica e una scena teatrale per ciò che concerne il punto di vista risulterebbe troppo superficiale e irrilevante. Per principio, il teatro conosce il punto dal quale ciò che avviene in scena dev’essere visto. Di fronte alla scena ripresa nel film questo luogo non esiste. La sua natura illusionistica è una natura di secondo grado: è il risultato del montaggio. In tal modo, l’aspetto della realtà libero dall’apparecchiatura è diventato il suo aspetto più artificioso e la vista sulla realtà immediata è diventata una chimera nel paese della tecnica. La stessa situazione può essere confrontata ancor più utilmente con quella che si dà nella pittura. Nel suo lavoro, il pittore osserva una distanza naturale da ciò che gli è dato; l’operatore invece penetra profondamente nel tessuto della situazione. Le immagini che producono sono 6 enormemente diverse. Quella del pittore è un’immagine totale, quella dell’operatore è variamente frammentata, le cui parti si compongono secondo una legge nuova. XII. La riproducibilità tecnica dell’opera d’arte modifica il rapporto delle masse con l’arte, rovesciandolo in un rapporto progressivo, dove l’atteggiamento progressivo è caratterizzato dal fatto che il gusto nel vedere e nel rivivere contrae una connessione immediata e intima con l’atteggiamento del giudice competente. Tale connessione è un importante indizio sociale. Quanto più il significato sociale di un’arte diminuisce, tanto più il contengo critico e quello della mera fruizione da parte del pubblico divergono. Il convenzionale viene goduto senza nessuna critica, ciò che è veramente nuovo viene criticato con ripugnanza. Al cinema l’atteggiamento critico e quello del piacere del pubblico coincidono, in una circostanza decisiva: in nessun luogo più del cinema le reazioni dei singoli, che compongono la reazione di massa del pubblico, si dimostra condizionata fin dal principio tramite una loro massificazione immediatamente successiva. Il dipinto aveva la pretesa peculiare di venir osservato da uno o da pochi. L’osservazione simultanea da parte di un vasto pubblico è un sintomo precoce della crisi della pittura. Il fatto è che la pittura non è in grado di proporre l’oggetto alla ricezione collettiva simultanea, e per quanto da questa circostanza non debbano essere tratte conclusioni sul ruolo sociale della pittura, è tuttavia una grave limitazione laddove la pittura viene posta immediatamente a confronto con le masse. È proprio per questa inabilità della pittura che lo stesso pubblico che di fronte a un film grottesco reagisce in modo progressivo, di fronte al surrealismo diventa un pubblico retrivo. XIII. Il cinema si caratterizza per il modo in cui l’uomo si rappresenta di fronte all’apparecchiatura necessaria alla ripresa e per il modo in cui rappresenta il mondo circostante. Il cinema ha in effetti arricchito il nostro mondo dei segni con metodi che possono venir illustrati mediante la teoria freudiana. Prima della teoria freudiana, un lapsus nel corso di una conversazione passava perlopiù inosservato; dopo la Psicopatologia della vita quotidiana questo è cambiato. Quest’opera ha isolato e reso analizzabili cose che in precedenza fluivano inavvertitamente dentro l’ampia corrente del percepito. Il cinema ha avuto come conseguenza un analogo approfondimento dell’appercezione (accorgersi di percepire) sull’intera ampiezza del mondo della sensibilità ottica ed acustica. Il fatto che le prestazioni proposte dal cinema siano analizzabili in modo molto più esatto e da punti di vista molto più numerosi rispetto alle prestazioni di un dipinto o di uno spettacolo teatrale costituisce soltanto il risvolto di questa situazione. Rispetto alla pittura è l’indicazione incomparabilmente più precisa della situazione a costituire la maggiore analizzabilità della prestazione cinematografica; rispetto al palcoscenico la maggiora analizzabilità cinematografica è data da una maggiore isolabilità. Questa circostanza ha la tendenza a promuovere la compenetrazione tra arte e scienza. Una delle funzioni rivoluzionarie del cinema sarà quella di rendere riconoscibile come identici l’utilizzo artistico e l’utilizzo scientifico della fotografia, che prima in genere divergevano. Mentre il cinema da un lato aumenta la comprensione degli elementi costrittivi da cui è governata la nostra esistenza, dall’altro riesce anche a garantirsi un enorme spazio di manovra. Mediante il primo piano si dilata lo spazio, mediante la ripresa al rallentatore si dilata il movimento. In tal modo diventa tangibile che la natura che parla alla cinepresa sia diversa da quella che parla all’occhio. Diversa innanzitutto per il fatto che al posto di uno spazio elaborato dalla coscienza dell’uomo subentra uno spazio elaborato inconsciamente. Se per noi è comune il gesto di afferrare il cucchiaio, non sappiamo in realtà pressocché nulla di ciò che avviene tra la mano e il metallo; qui interviene la cinepresa con i suoi mezzi ausiliari. Dell’inconscio ottico sappiamo qualche cosa soltanto tramite essa, come dell’inconscio istintivo tramite la psicanalisi. 7 XIV. Uno dei compiti principali dell’arte è quello di generare un’esigenza per la cui piena soddisfazione non è ancora giunto il momento. La storia di ogni forma d’arte conosce periodi critici in cui questa determinata forma mira a risultati che potranno risultare senza forzature soltanto a un livello tecnico diverso, ovvero attraverso una nuova forma d’arte. Le stravaganze dell’arte che da ciò conseguono, per di più nelle epoche di decadenza, emergono alla realtà dal loro centro di forza storicamente più ricco, come nel caso del Dadaismo, che cercava di ottenere con i mezzi della pittura quegli effetti che oggi il pubblico cerca nel cinema. Ogni formulazione nuova di determinate esigenze colpirà al di là del proprio bersaglio. Il Dadaismo lo fa nella misura in cui sacrifica i valori di mercato a favore di intenzioni di maggior significato. I dadaisti attribuivano al valore mercantile delle opere un peso molto minore rispetto alla loro inutilizzabilità in quanto oggetti di una concentrazione contemplativa. Si tratta di un’inutilizzabilità che cercavano di ottenere tramite la degradazione del loro materiale. Le loro poesie sono insalate di parole, contengono locuzioni oscene, e non diversi sono i loro dipinti. Ciò che ottengono con questi mezzi è un annientamento dell’aura dei loro prodotti, ai quali imponevano il marchio di una riproduzione. Di fronte alle opere dadaiste, è impossibile concedersi tempo per il raccoglimento e il giudizio. Alla concentrazione, diventata scuola di comportamento asociale nella generazione della borghesia, si contrappone la distrazione quale variante di comportamento sociale. Le manifestazioni dadaiste concedevano una distrazione violenta nella misura in cui rendevano l’opera d’arte il fulcro di uno scandalo. L’opera d’arte doveva produrre un’esigenza, ovvero quella di suscitare pubblica indignazione. Con i dadaisti, l’opera d’arte diventa un proiettile che, dotato di qualità tattile, viene sparato contro l’osservatore. Ha così favorito l’esigenza del cinema, il cui elemento distraente, fondandosi sul mutamento delle inquadrature che investono di colpo gli spettatori, è in primo luogo anch’esso tattile. Il dipinto invita l’osservatore alla contemplazione e di fronte ad esso l’osservatore si può abbandonare al proprio flusso di associazioni. Di fronte all’immagine cinematografica non può farlo, poiché appena a coglie visivamente essa si è già modificata. Il flusso associativo di colui che osserva queste immagini viene subito interrotto per mezzo del loro cambiamento. Su ciò si basa l’effetto di shock del cinema, quello shock fisico che il Dadaismo manteneva ancora impacchettato nell’effetto di shock orale. XV. La massa è una matrice dalla quale esce rinato ogni comportamento abituale nei confronti delle opere d’arte. La quantità si è ribaltata in qualità: le masse sempre più vaste hanno determinato un modo diverso di partecipazione. L’osservatore non deve lasciarsi sviare dal fatto che questa partecipazione si manifesti dapprima in forme screditate, eppure molti autori si sono attenuti a questo aspetto superficiale della cosa. Duhamel è colui che si è espresso con la massima radicalità. Ciò che egli disapprova del cinema è il modo di partecipazione che risveglia presso le masse: definisce il cinema un passatempo per creature incolte, una distrazione. Si tratta di un luogo comune, della vecchia accusa secondo cui le masse cercano soltanto la distrazione. Distrazione e raccoglimento stanno in una contrapposizione che consente la seguente formulazione: colui che si raccoglie davanti all’opera d’arte vi si immerge, penetrando nella stessa; inversamente, la massa distratta fa sprofondare l’opera d’arte in sé. L’architettura, ad esempio, ha sempre fornito il prototipo di un’opera d’arte la cui ricezione avviene nella distrazione e tramite la collettività. Le leggi della sua ricezione sono le più istruttive. Molte forme d’arte sono sorte e poi sono passate; il bisogno dell’uomo di una dimora, tuttavia, è permanente: attraverso l’uso e attraverso la percezione, quindi in modo tattile e in modo ottico. Dal lato tattile non c’è alcuna controparte rispetto a ciò che è la contemplazione del lato ottico; la fruizione tattile non avviene tanto sul pianto dell’attenzione quanto su quello dell’abitudine. Nell’ambito dell’architettura, quest’ultima determina molto anche la ricezione ottica, che a luogo molto meno in un’attenta osservazione che non in sguardi occasionali. Questa fruizione dell’architettura ha un valore canonico,
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