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L'opinione pubblica nella storia e il suo ruolo nella politica, Sintesi del corso di Amministrazione Pubblica

Il documento esplora il concetto di opinione pubblica, la sua definizione e la sua evoluzione storica. Si analizza il ruolo dell'opinione pubblica nella politica, condiviso da chi ne riconosce il valore positivo e da chi lo critica. Si discute inoltre del suffragio universale e della sua relazione con l'opinione pubblica. Il testo si conclude con una prospettiva futura sulla consultazione continua dell'opinione pubblica.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 15/09/2023

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Scarica L'opinione pubblica nella storia e il suo ruolo nella politica e più Sintesi del corso in PDF di Amministrazione Pubblica solo su Docsity! Cap 1 1.1 L’ opinione pubblica nella storia Quando si usa l’espressione “opinione pubblica” vi è l’obbligo di precisare a cosa ci si riferisce, a quale ritaglio dell’esperienza, del mondo dei referenti si sta pensando: significa precisare anche la natura del concetto. Sartori sostiene che l’opinione pubblica sia un “dato” preso per scontato, evitando di problematizzarne il suo referente. Child negli anni 30 scriveva: “sono stati fatti tanti tentativi di definire “opinione pubblica”. Di conseguenza, ci sono tante definizioni quanti gli studi in merito”. Nella Blackwell Encyclopedia of Political Science, il termine opinione pubblica si riferisce a un concetto liberamente usato ma lontano dall'essere preciso e non ambiguo: concetto ad alto livello di generalità, legato a condizioni storiche di sviluppo sociale, culturale, politico: “la definizione di opinione pubblica non è una questione solo teorica; è il risultato della struttura della società in cui viene stabilita. Il concetto è collegato alla forma di stato, alle forme di rappresentanza politica. C’è largo consenso sul fatto che l’opinione è pubblica nel senso che si sviluppa ed è espressa pubblicamente; riguarda la res pubblica; è Doxa, non episteme. L’opinione pubblica non ha alcuna pretesa di fornire conoscenze sul mondo che ci circonda; non è necessariamente razionale. Si tratta di pensieri, pareri, valutazioni, espressi in pubblico, su materie di pubblico interesse, dai singoli cittadini comuni o da poche persone colte e autorevoli. L’espressione opinione pubblica risale alla fine del ‘700, ma il concetto è più antico e può essere rintracciato già nell’età classica greca e romana. Nelle società attuali coesistono vari centri di imputazione di un'opinione pubblica che si frantuma in tante opinioni variegate. 1.2 il ruolo dell’opinione pubblica Sia chi riconosce il suo ruolo positivo, sia chi ne dà una valutazione negativa condivide l’idea che l’opinione pubblica debba esprimere e perseguire il bene comune, capacitò che legittima i due elementi della diade costituita da governanti e governati. Tra gli ottimisti vi è Aristotele, esprime fiducia nelle capacità di giudizio dei cittadini: “è possibile che considerati singolarmente nessuno degli uomini sia una brava persona, ma collettivamente gli uomini diventano un solo uomo con molte braccia e molti piedi, quindi con molte capacità, ecco perché il pubblico è il migliore giudice della poesia, delle arti”. L’opinione pubblica è saggia, è una volontà collettiva che si evolve nel tempo. Di contro Platone sostiene l’incapacità degli uomini comuni di accedere alle idee pure: si lasciano ingannare dalle ombre e perciò sono inadatti alla gestione del potere che dovrebbe essere affidato ai filosofi. Aristotele e Platone esemplificano due visioni della società civile e politica che si scontreranno nei secoli: la concezione democratica contro quella elitaria. Tocqueville esprime dubbi sul fatto che l’opinione pubblica svolga un ruolo di garanzia contro il dispotismo; egli mette in rilievo i pericoli della tirannia della maggioranza :”L’opinione comune esercita una forte pressione sugli umani e sull’intelligenza di ciascuno. L’opinione pubblica diventerà una specie di religione, di cui la maggioranza sarà il profeta”. Stuart Mill vede nella legittimazione dell’opinione pubblica il dominio dei molti, mediocri, volgari sui colti e capaci. Avverte del pericolo della massificazione delle intelligenze, dei gusti, attraverso la stampa che impone mode e livella le conoscenze. Mill intravede già nell’ottocento la tendenza degli uomini all’atomizzazione e alla totale omologazione in modelli culturali imposti. 1.3 Suffragio universale e concezione aggregativa dell’opinione pubblica È Moseley che nel 1852 esplicita il legame tra opinione pubblica ed elezione diretta dei membri del Parlamento, dichiarando che la rappresentanza politica trova le sue radici nell'opinione pubblica, la quale si esprime attraverso il voto. Le elezioni si affermano come fenomeno cruciale nella storia dell’espressione dell’opinione pubblica: il soggetto è detentore di una sua personalissima opinione che esprime singolarmente attraverso il voto. Il concetto di volontà maggioritaria ricompone le molteplici individualità. Le elezioni come espressione della volontà generale si contrappongono e hanno la meglio sull’attività delle folle e della comunità, mediata da soggetti autorevoli. Sarà il suffragio universale a segnalare la svolta cruciale nella storia dell’espressione dell’opinione pubblica, attribuendo a tutti i cittadini, senza differenza di consenso, un’opinione legittimata a stabilire le sorti del paese. Il concetto di opinione pubblica matura con il progredire delle forme partecipative dei cittadini alla gestione del potere. Contemporaneamente, si afferma l’idea che l’opinione pubblica è fatta dalle persone che partecipano alla vita politica e civile, che comunicano in un’arena pubblica dove possono manifestare le loro preferenze e idee durante tutto il corso della vita quotidiana, e non solo al momento del voto. Il suffragio universale sancisce indirettamente la visione aggregativa dell’opinione pubblica: idea cioè che l’opinione pubblica sia costituita dalla somma delle opinioni personali dei votanti che depositano nel segreto dell’urna le loro preferenze. Bryce, fine 19 secolo, traccia una sequenza delle fasi di sviluppo: a. dall’opinione indifferenziata espressa da un pubblico acquiescente e passivo(fase1), b. alle lotte per il dominio(fase2), c. la sottomissione del potere alla volontà popolare espressa dal voto(fase3). Per noi la fase più interessante è la quarta, in cui si preconizza che in qualche paese di tenterà di accettare la volontà popolare in continuazione, possibilmente senza il voto. In questi paesi il dominio dell’opinione pubblica sarà più completo che in quelli in cui il parlamento rimane centrale. Dove invece si riuscirà a consultare continuamente l’opinione pubblica si potrà parlare di governo dell’opinione pubblica che amministrerà e non solo regnerà. All’inizio del 900, la concezione aggregativa è definitivamente affermata e sganciata anche dal momento elettorale: l’opinione pubblica è fatta delle opinioni delle persone che collettivamente formano il popolo: opinione di uno moltiplicata per tutti quelli che la pensano più o meno allo stesso modo. Si tratta di opinioni su problemi generali espresse liberamente di governati che reclamano il diritto di influenzare l’apparato di governo. La concezione aggregativa deve la sua affermazione alla facilità con cui è possibile individuare sia un immediato referente empirico sia lo strumento per investigarle: il sondaggio, che prevede una o più domande da sottoporre, in vari modo, ai soggetti oggetto di studio. Allport sintetizza questo punto di vista osservano che quando l’opinione pubblica è osservata da un punto di vista scientifico troviamo solo raggruppamenti di individui con un certo accordo comune in un certo periodo e un differente accordo in un altro. Grossi parla di svolta populista a proposito della concezione aggregativa, che contrappone all’idea elitaria di opinione pubblica formata da un pubblico informato, competente, in grado di assumere decisioni politiche, viva ancora per tutto il 19 secolo e non del tutto abbandonata nel 20 secolo. Il terreno è favorevole perché negli US si diffonda l’uso di consultare sistematicamente i cittadini per conoscere le opinioni, attraverso il sondaggio. Avendo già, le elezioni generali, introdotto l'idea dell'opinione pubblica come aggregazione di opinioni individuali che può essere studiata attraverso i sondaggi, i due momenti , elezioni e sondaggi, condividono alcuni assunti di fondo: a. Tutti hanno titolo per dire la loro e influire sulla vita politica così come votare b. Tutti hanno un'opinione su tutto. L'idea riflette inevitabilmente una totale fiducia nella capacità degli strumenti usati di rilevare fedelmente le opinioni dei soggetti. È il trionfo della concezione operazionista, secondo cui l'opinione pubblica è ciò che la massa dice e ciò che le indagini empiriche sono in grado di rilevare. Ne consegue che i sondaggi di opinione danno il polso della democrazia, rimediando al senso di inefficacia politica di cui può soffrire il cittadino ascoltato solo al momento del voto: attraverso i sondaggi, l’opinione pubblica può influire sempre sulle decisioni di governo. I sondaggi di opinione diventano la celebrazione dello spirito democratico. Decenni dopo, politologo americano Verba sostiene che i sondaggi di opinione si configurano come un meccanismo di rappresentanza con cui i governanti ottengono informazioni sulle esigenze dei cittadini, per meglio rispondervi. Warner ridimensiona le pretese cognitive dei sondaggi di opinione affermando che l’opinione pubblica è fatta dalle reazioni delle persone ad affermazioni standard nelle situazioni specifiche di intervista. Nella dichiarazione del ricercatore è di tutta evidenza la consapevolezza che la risposta scelta dipende dalla situazione di intervista, in tutti i suoi aspetti più vari. La definizione marca una differenza ancora più importante per il mondo attuale, in cui invece si ritene prevalente il tipo umano che Riesman definisce etero-diretto: essi sono simili alle persone dirette dalla tradizione. Mostrano incapacità di andare da soli per la loro strada: piuttosto che di un giroscopio sembrano disporre di un radar. Non interiorizzano un codice di condotta, ma un complesso equipaggiamento indispensabile per cogliere messaggi e partecipare alla loro circolazione. Queste riflessione induce Neumann a sviluppare la spirale del silenzio: ipotizza la presenza negli uomini di organo, una specie di sesto senso, una sorta di competenza statistica che fa loro percepire qual è l’opinione prevalente, il clima di opinione. L’uomo spende una grande quantità di energie per osservare il suo ambiente, per sfuggire a quello che percepisce come un grave pericolo: essere diverso dagli altri. La spirale del silenzio si riproduce perché i soggetti si comportano in pubblico in modo diverso a seconda che percepiscano la loro posizione come maggioritaria o minoritaria: chi si sente in minoranza tende a rinchiudersi in sé, non contribuisce alla formazione del clima di opinione. Costituiranno opinione pubblica quelle opinioni che si possono esprimere in pubblico senza correre il rischio di rimanere isolati. Paradossalmente, se i soggetti considerano l’intervista un’occasione riservata, le distribuzioni delle risposte ai sondaggi non sarebbero espressione dell’opinione pubblica. Esprimere in privato, a un intervistatore che sottolinea la riservatezza della comunicazione, opinioni contro corrente non espone al rischio di rimanere isolati. Si tratta di dichiarazioni irresponsabili, che può non tramutarsi mai in opinioni manifestate pubblicamente. Neumann ha il merito di capire che questa reazione ha conseguenze precise sulla composizione dei campioni negli studi di opinione: chi si sente in minoranza tende a rifiutarsi di partecipare ai sondaggi. 1.6 definizione di sondaggi Il sondaggio è un’indagine in cui: • si studiano individui, sia per esplorare le relazioni tra le loro proprietà, sia per ricostruire la loro struttura di personalità, di valori; • le informazioni vengono chieste direttamente agli individui, attraverso domande. Il sondaggio è differente dall’osservazione in cui non sempre si pongono domande e si studiano spesso comportamenti. Più vicino è il teste che, pur ponendo domande a individui, si differenzia per contesto di somministrazione e nature delle proprietà indagate e degli stimoli usati. Il test si somministra in laboratorio, in una situazione sorvegliata, mentre il sondaggio preferisce un contesto il più vicino possibile alle esperienze quotidiane di interazione. Il test rileva performances, cioè capacità intellettuali o pratiche: ciò significa che il soggetto dà risposte giuste o sbagliate, indicando così il suo livello di conoscenze/capacità/abilità. Il sondaggio è interessato a caratteristiche demografiche, scelte comportamentali, credenze, non è risposta giusta o sbagliata. Gli stimoli del test sono rigorosamente sottoposti al soggetto nella forma fissata dal ricercatore senza possibilità di deroga. Nel sondaggio sono possibili vari livelli di standardizzazione a seconda delle decisioni del ricercatore. Altra distinzione è tra sondaggio come strumento della ricerca sociale e sondaggi di opinione, condotti da agenzie demoscopiche, commissionati da giornali, partiti. Sondaggio e sondaggi di opinione si distinguono per il livello di strutturazione delle domande: il sondaggio può usare le forme più svariate di domande, quello di opinione in genere pone le sue poche domande in forma standardizzata , subendo vincoli rigidi nei tempi e nelle forme di somministrazione. 1.6.1 sondaggi di opinione e centralità dei temi La concezione aggregativa dell’opinione pubblica dona ai sondaggi e alle loro risultanze la legittimità di influire sul processo di formazione delle decisioni politiche. Secondo Neumann, i politici di qualificano come tali se si mostrano in grado di interpretare le tendenze dell’opinione pubblica senza bisogno dei sondaggi di opinione, che, per quanto utili, non possono essere assunti a guida ed espressione della saggezza pubblica. Alla base della critica si possono rintracciare almeno 2 ordini di obiezioni, distinguibili a livello analitico: 1. scarsa fondatezza dell’assunto secondo cui tutti gli intervistati hanno un’opinione su qualunque oggetto, tema, il sondaggista proponga loro; 2. limiti della tecnica: il sondaggio è progettato bene? Le domande sono formulate bene? L’intervistato reagisce alle domande nel modo auspicato? Per il secondo ordine, Rogers, ricercatore molto critico nei confronti delle tecniche standard di rilevazione, sostiene che i sondaggi di opinione sono da considerarsi solo uno dei tanti strumenti di studio dell’opinione pubblica. Fabris sostiene che con i sondaggi le aree del sociale di eccezionale complessità vengono disinvoltamente liquidate e banalizzate con poche domande. Il più delle volte rigorosamente predeterminate. Lippman sostiene che i singoli cittadini non sempre hanno la competenza necessaria per valutare, giudicare, formarsi un’opinione su ogni tipo di problema, argomento: ci sono argomenti che devono essere trattati da chi è competente, ha tempo e capacità per occuparsene. D’altra parte i cittadini considerano elementi fondamentali per la loro soddisfazione generale gli affetti familiari, il lavoro, mentre gli affari pubblici l'interessano poco o poco ne sanno. Lo studio dell’opinione pubblica è legittimo solo se questa è informata. “i cittadini possono reagire criticamente solo se sono adeguatamente informati sui temi proposti dai sondaggi. L’opinione raccolta dai sondaggi è una parodia delle convinzioni che si generano col dibattito, la riflessione, la dialettica sociale.” 1.6.2 autorevolezza dei sondaggi e relativi pericoli I sondaggi si sono imposti in parte perché le opinioni personali così rilevati costituiscono un preciso referente di facile accesso. Il sondaggio e i numeri di cui si serve per comunicare, diventano simboli potenti di un’entità amorfa come l’opinione pubblica e di aspetti fondamentali delle società occidentali come la volontà del popolo. Anche la pretesa casualità del campione ha una forte carica simbolica che non viene quasi mai problematizzata. Prima che l’uso dei sondaggi di opinione pubblica (detti polls) fosse diffuso in tutto il mondo i cittadini si potevano esprimere solo attraverso azioni: ciò implicava che i leaders dovevano faticosamente osservare, studiare e interpretare gli umori della folla. Oggi si ha la pretesa che basti fare un sondaggio di opinione pubblica, consultarne i risultati, per conoscere la volontà popolare. Sembra una via fin troppo economica per condensare e rappresentare i complessi atteggiamenti politici dei cittadini interrogati. Assecondare le istanze emerse dai sondaggi non rispetta necessariamente il bisogno di democrazia, come sembra. Chi sceglie le domande che meritano di essere poste in una ricerca? Secondo Bourdieu, che ha risorse economiche e cognitive per farlo, quindi le classo dirigenti , che imponendo i temi scoraggiano la partecipazione delle persone più marginali. Marletti segnale inoltre l’illusione che i sondaggi riproducano l’agorà e forme di democrazia diretta. Il sogno di una democrazia assembleare, basata sulle decisioni dei cittadini consultati continuamente attraverso i veloci sondaggi di opinione non tiene conto del tempo di formazione dell’opinione, della scelta. Le critiche mosse ai sondaggi di opinione, trattati come espressione privilegiata dell’opinione pubblica, titolati a influenzare le decisioni politiche, si osserva che: • i polls non riflettono la forza delle opinioni; alcune opinioni potrebbero dipendere dallo spazio che i media hanno dato al tema nei momenti precedenti all’intervista; • chi formula le domande? Chi decide i temi meritevoli di un sondaggio tra la popolazione generale?; • gli interessi dei committenti non necessariamente coincidono con gli interessi dei soggetti intervistati; • le domande troppo strutturate impediscono di ottenere risposte impreviste. Secondo Bouridieu i sondaggi di opinione sono al massimo una specie di sociologia spontanea, trascinata dalle richieste del mercato e condizionata dalle strutture istituzionali delle agenzie, che produce risposte solo ai problemi posti dai committenti piuttosto che dai cittadini. Secondo l’autore si crea un circolo vizioso per cui i sondaggi di opinione pubblica rilevano niente più degli effetti che essi stessi producono: il dato è creato dalla stessa tecnica di rilevazione. Herbst osserva che la diffusione di questi sondaggi ha creato nei politici l’idea che conoscere le tendenze, le caratteristiche dell’opinione pubblica non sia particolarmente difficile. Basta avere un campione rappresentativo; un buon questionario strutturato; bravi intervistatori ben istruirti per ottenere dati scientifici. Cayol afferma che niente autorizza a pensare che la somma delle volontà individuali, espresse in una situazione artificiale, possa indicare una volontà generale, legittimata a incidere direttamente sulle decisioni politiche. Non aiuta ad aumentare la fiducia nei sondaggi la loro eccessiva proliferazione a volte anche incontrollata di agenzie di ricerca, a discapito della qualità del lavoro e del prodotto offerto. Capitolo 2 2.1 assunti di base Il sondaggio trae la sua legittimazioni da assunti di fondo. Si assume che tutti i cittadini siano in grado di rispondere meditatamente perché: a. hanno un'opinione su tutti gli aspetti rilevanti della vita sociale e politica; b. hanno voglia di riferirne con sincerità. Richiamando il principio dell'eguale dignità di tutte le opinioni; c. sono pienamente consapevoli del loro stesso stato. Si dà per scontato che il sondaggio sappia e voglia fornire informazioni su se stesso e sul mondo che lo circonda; che sia cioè in grado di fornire indicazioni e informazioni che non si possono ottenere in altro modo; d. le loro affermazioni sono rilevanti, fonte importante di conoscenza del mondo che ci circonda. In altre parole diamo per scontato che il soggetto abbia uno stato sulla/e proprietà in questione; e che le sue dichiarazioni corrispondano allo Stato che ha, a quello che fa o farà in futuro. Assumiamo che i suoi resoconti siano sinceri, e che comunque non risentano in alcun modo della situazione stessa in cui sono poste le domande. In definitiva presupponiamo piena corrispondenza tra pensiero-parole-comportamento. 2.2 corrispondenza tra lo stato del soggetto e le sue dichiarazioni Anche nella vita quotidiana non tutto quello che diciamo può essere preso per buono; come avverte Chomski, secondo cui ciò che si dice non sempre è ciò che si vuole significare. Boudieu lamenta che i sondaggi, dissociando lo Stato dal soggetto che lo detiene, perdono completamente di vista la visione e il peso che lo stesso soggetto attribuisce a ciò che dice, che non ha niente di fisso. Per Loriaux, una delle debolezze principali del sondaggio nasce proprio dal fatto che il soggetto è costretto a spiegare se stesso in un circolo vizioso. Secondo alcuni, le risposte al questionario vanno viste come la risultante dello specifico contenuto delle domande, dello stile di risposta dell'intervistato e del modo in cui percepisce e reagisce al complesso della situazione di intervista. Più recentemente, sulla base di alcune risultanze empiriche, psicologi cognitivisti hanno sostenuto che i risultati delle inchieste sono un artefatto delle tecniche di rilevazione e cioè della sequenza dei sets di domande e di risposte. Si fa riferimento alla capacità dei soggetti di studio di interagire con la situazione di domanda- risposta in tutti i suoi aspetti; si depreca il fatto che alcuni studiosi di scienze sociali hanno trattato l'intervista strutturata alla stregua di un qualsiasi strumento neutro di raccolta dei dati. Altri sottolineano che l'analisi dei fenomeni sociali basata sui resoconti dei soggetti di studio si risolve nello studio di come gli intervistati si mostrino in grado di usare il vocabolario, speciale gioco linguistico attivato nei questionari. Quando si esprimono dubbi sulla necessità della corrispondenza tra ciò che l'intervistato dice e ciò che pensa, se lo L'immersione nella situazione specifica può attivare componenti inconsce, spesso oscurate nelle dichiarazioni dalla desiderabilità sociale. I comportamenti possono essere governati, o prodotti al momento, da concause diverse dai valori, gli atteggiamenti, le opinioni. Entrano in campo razionalità di natura diversa, come osserva Deutsher riferendo della ricerca che La Piere condusse tra il 1920 e il 1930 sull'atteggiamento di un campione di albergatori e ristoratori nei confronti di clienti cinesi(p.61). Altri studiosi riconducono il problema delle incoerenze tra comportamento e dichiarazioni ai due livelli di valori che guidano le due diverse espressioni. Secondo Schutz, per regolare i comportamenti gli uomini attingono a un livello di valori che possiamo definire pragmatico. Le procedure di adattamento psicologico all'ambiente, le mediazioni simboliche con il mondo di relazione sono regolate invece da quel livello di valori definito mitologico, che attiene al mondo che giace al di là dell'esperienza diretta dell'individuo. È comunque questo livello verbalizzato che crea l'opinione pubblica, così come viene rilevata dalle ricerche e che può non trovare corrispondenza in un insieme coerente di comportamenti. Alcune ricerche di psicologia cognitivista suggeriscono che in determinate circostanze il fatto stesso di pensare, di riflettere su un argomento, riduce la corrispondenza tra atteggiamento e relativo comportamento. Il fatto di essere intervistati, quindi costretti a verbalizzare, e prima ancora a elaborare mentalmente la risposta, può produrre in seguito un cambiamento nel comportamento. Secondo Bain, le risposte non predicano i comportamenti anche perché gli intervistati mentono, dimenticano, razionalizzano, o più semplicemente non capiscono le domande. Se vogliamo sapere come si comportano gli individui in una determinata circostanza, dobbiamo osservarli; scegliere il sondaggio come scorciatoia è un'illusione e un grave errore sul piano metodologico. 2.3.1 sondaggi pre-elettorali e risultati delle elezioni Il dibattito sull'utilità delle dichiarazione per prevedere i comportamenti è vivace in merito alla capacità dei sondaggi pre-elettorali di anticipare i risultati effettivi. Petty e Cacioppo sostengono che le domande sul comportamento futuro, sulle intenzioni di voto mettono in moto essenzialmente processi cognitivi di elaborazione della risposta; l'espressione di un'opinione e cioè il risultato dell'esame delle basi cognitive, razionali, non emotive di un atteggiamento. Nel decidere il comportamento da adottare entrano in gioco meccanismi diversi; ciò significa che il comportamento di voto può essere influenzato da aspetti affettivi, emotivi; l'influenza di tali aspetti allenta del tutto la già precaria relazione tra atteggiamenti - dichiarazioni e comportamento.. Alcuni autori affermano che talvolta gli intervistati dichiarano che apriranno loro partito non votandolo e poi invece continuano a farlo. D'altra parte è ingenuo aspettarsi una corrispondenza tra il dire e il fare se all'interno dello stesso sondaggio si può riscontrare una discrasia tra la dichiarazione di voto e il giudizio su un candidato. I ricercatori più avvertiti, anche chi fa sondaggi politico-elettorali per mestiere, sottolineano che i loro studi non hanno lo scopo di predire i risultati elettorali, ma vogliono offrire una istantanea delle intenzioni di voto in un momento dato; o al più indicazioni sulle linee di tendenza di fondo dell'elettorato. Secondo Yankelovich la decisione di voto è un processo che si edifica gradualmente man mano che l'elettore acquisisce informazioni sui candidati. Da questo punto di vista, i risultati dei sondaggi politico-elettorali sono riflessi accurati delle intenzioni e dei sentimenti degli intervistati a un dato punto nel tempo, sentimenti suscettibili di cambiare di fronte all'evolversi della competizione: aumentando le informazioni sui candidati, e quindi negli ultimissimi giorni, si dovrebbe avere una maggiore corrispondenza tra dichiarazioni di voto e i risultati elettorali. In ogni caso, confrontare le preferenze registrate dai singoli sondaggi con i risultati delle elezioni implica un'assoluta e improbabile stabilità dell'elettorato che renderebbe superflua la continua ripetizioni dei sondaggi: se così fosse, secondo Lau, per assurdobasterebbe farne uno solo. Il dibattito tradizionale sottaceva uno dei nodi centrali: i sondaggi non sempre prevedono i risultati delle elezioni anche perché i loro campioni non rappresentano adeguatamene la popolazione di riferimento. Quello della rappresentatività è un feticcio che i ricercatori non amano mettere in discussione. 2.3.2 i sondaggi nelle democrazie giovani Il problema della corrispondenza tra scelta dichiarata ed effettivo comportamento elettorale è ancora più drammatico nei paesi a democrazia molto recente. Un ricercatore statunitense ha criticato la visione etnocentrica nordamericana su cui poggiano le tecniche del sondaggio, di cui ha potuto appurare tutti i limiti analizzando i sondaggi pre-elettorali condotti nel 90 in Nicaragua; si trattava delle prime elezioni libere dopo decenni di lotte interne. I risultati dei sondaggi furono fortemente distorti dalla giustificata diffidenza degli intervistati, per niente usi a questa forma d'indagine e restii a rilevare i loro pensieri e il loro voto. Ovunque nel mondo, anche nelle solide democrazie occidentali, tutte le cautele dei ricercatori più rigorosi si scontrano con gli interessi congiunti delle agenzie e dei committenti di presentare i dati come anticipazioni affidabili dei risultati elettorali. È così forte la tendenza a reificare i risultati dei sondaggi, saltando a piè pari tutti i problemi di attendibilità e fedeltà dei dati, che quando si confrontano questi risultati con quelli delle elezioni, qualunque differenza viene imputata a cambiamenti nell’elettorato. O si sottolinea che le persone si mostrano scarsamente capaci di prevedere il loro stesso comportamento. Cap 3 3.1 l'intervista nella ricerca sociale: definizioni L'intervista può essere definita una conversazione con vari scopi: terapeutico, istruttivo, selettivo, giornalistico, sociologico. Come osserva Kwong tutte le varie definizioni prevedono un intervistatore e un intervistato coinvolti in uno scambio sociale. La sua ampia diffusione come strumento principale di raccolta delle informazioni è imputabile, secondo Briggs, al fatto che concretizza la concezione un po' ingenua che parlare equivale a comunicare. Atkinson e Silverman la considerano un mezzo per accedere alla conoscenza autentica nella forma della narrazione di esperienze. Nel 1924 Bingham e Moor coniavano la definizione dell'intervista come conversation with a purpose : lo scopo è ottenere informazioni. L'intervista viene definita come un incontro tra estranei nel territorio dell'intervistato, o in luogo naturale. L'obiettivo professionale (task) deve essere definito con precisione dell'intervistatore prima dell’intervista per creare il working consensus. L'intervista si propone come una situazione sterile, in cui il processo di domande e risposte possa essere considerata un' applicazione del modello comportamentista “stimolo-risposta: il solo obiettivo consiste nell'ottenere reazioni verbali dall'intervistato alle domande che gli vengono poste". Cominciata l'intervista si delinea una precisa divisione dei compiti, che sono complementari: l’intervistatore pone le domande e l’intervistato risponde. La situazione è fortemente squilibrata a favore dell'intervistatore. L'intervista è un'occasione semi- formale con due ruoli conosciuti in comune, intervistatore e intervistato. Quello dell'intervistatore garantisce a chi lo svolge il diritto di determinare l'andamento della conversazione. L'intervistatore ha il diritto di decidere gli argomenti, di stabilire quando si è detto abbastanza, quando passare a un altro punto. Secondo Sormano l'intervista può essere considerata un'istituzione governata da un principio di cooperazione applicato unilateralmente. Uno soltanto dei suoi interlocutori domanderà e l'altro risponderà. Spazi di meta-comunicazione fra intervistato e intervistatore non saranno previsti. In queste condizioni non si può escludere che la ricerca per sondaggio ponga problemi psicologici, che derivano dalla soggettività dell'intervistatore e dell'intervistato, problemi che i ricercatori ignorano. Secondo alcuni autori l'asimmetria rende la situazione di intervista artificiale al punto da minacciare la qualità dei dati creati. Come sostiene Rockwood, la profondità dell'impegno cognitivo e l'elaborazione intellettuale dell'intervistato aumentano con l'aumentare della sua possibilità di controllo della situazione. Tenendo conto di ciò, e mettendosi nei panni dell'intervistato Gilli negli anni 70 sosteneva la necessità di riequilibrare il rapporto tra i due interlocutori dando all'intervisto una copia del questionario da leggere in anticipo. L'idea non ha avuto successo. Altri sottolineano la difficoltà del compito richiesto all'intervistatore, ricordando che l'intervista con questionario è un tipo particolare di comunicazione, un incontro sociale che impiega i due attore in una serie complessa di compiti cognitivi. Compiti aggravati dal fatto che si tratta di un incontro tra estranei. Cnnell e Kahn riflettevano sul fatto che la visione comportamentista mostra i suoi limiti nel momento in cui riflettiamo sul fatto che l'intervista è innanzitutto un'interazione: "Cosa resta a questo punto dell'idea semplicistica dell'intervista come qualcosa che si sprigiona dallo spirito dell'intervistato per travasarsi direttamente nel quaderno dell'intervistatore, senza incontrare alcuna forma di contaminazione durante il percorso?". L'intervista non scaturisce da un flusso unidirezionale di informazioni iniziato dall'intervistatore, ma piuttosto dallo scambio congiunto e dinamico tra intervistato e intervistatore. Le storie personali e le differenze individuali che intervistatore e rispondente portano nello scambio, così come le negoziazioni create dalla stessa situazione di intervista, sono elementi fondanti del prodotto finale dell'intervista. Le aspettative del intervistatore e del intervistato influenza nei comportamenti di domanda e di risposta, fino a costruire i risultati. Da qui il passo è breve per affermare che le interviste sono essenzialmente negoziazioni, transazioni verbali tra esseri umani. Nel '53 Lazarsfeld sosteneva l'idea che un'intervista non può essere ridotta a regole e procedure già definite. L'intervista si muove continuamente in bilico tra evento interazionale e strumento neutrale in cui si presume sia possibile porre domane: rilevanti rispetto agli interessi cognitivi della ricerca; rilevanti dal punto di vista dell'intervistato; formulate in modo tale che tutti gli intervistati le comprendano nel senso inteso dal ricercatore. 3.2 l'intervista nel sondaggio: livelli di strutturazione e standardizzazione Definiamo sondaggio il procedimento di raccolta di informazioni attraverso domande poste a un determinato numero di persone. Abbiamo definito gli elementi minimi: a. Gli individui siano oggetti di studio b. Le informazioni siano chieste direttamente attraverso domande. Si possono distinguere i differenti tipi di intervista in base al grado di libertà di intervistato e intervistatore e al livello di profondità della comunicazione tra i due: 1. intervista in profondità o non direttiva; l'uso. Likert proponeva la fixed question/free answer technique: la procedura prevedeva che la domanda fosse sottoposta nella sua forma standard, ma senza precisare alternative di risposta che venivano creati dopo, in fase di codifica. Nel 42 Likert aveva fondato una scuola per intervistatori in cui si reclutavano soggetti con livello di istruzione molto alto e si insegnavano forme particolari di codifica del materiale raccolto in forma narrativa. Tutto ciò richiedeva tempi lunghi e costi elevati. La razionalità economica determinò la sconfitta di Likert, battuto dalla Polling Division che riusciva a produrre risultati in tempi più brevi. In ogni caso, i comportamentisti vincono definitivamente la loro battaglia negli anni 50-60; dalla seconda metà degli anni 50 infatti l'uso di domande aperte declina progressivamente. Ma già negli anni 30, La Piere aveva previsto il successo del questionario perché appare facile da somministrare, poco costoso e dotato di quel carisma scientifico che gli deriva dal trattamento statistico dei dati. 20 anni dopo Hyman afferma che il questionario strutturato funziona meglio perché produce più coerenza, che viene fatta coincidere con l'attendibilità. Il prpblrma del comportamentismo in materia di costruzione del questionario è riassunto dall’equazione proposta da Fowler e Mangione, che equiparano la standardizzazione alla misurazione, che a sua volta è alla base dei procedimenti scientifici: standardizzazione= misurazione= scienza. L'elemento chiave della misurazione e il processo di standardizzazione. In tutte le scienze si misura applicando le stesse procedure a un insieme di situazioni. La stessa cosa avviene nel sondaggio. In questo caso il processo di misurazione standardizzato da consiste nell'attribuzione di un valore alla risposta del intervistato. L'obiettivo della standardizzazione è esporre tutti gli intervistati alla stessa esperienza (domanda), e alle stesse alternative di risposta, di modo che le differenze possono essere interpretate come differenze effettive tra gli intervistati e non imputabili alle procedure predisposte per ottenere risposte. 3.4 la comparabilità delle risposte La comparabilità sarebbe garantita dal fatto che l'intervistato risponde limitandosi a scegliere tra risposte pre-fissate, che sono specificazioni diverse di una stessa proprietà. È ovvio che una domanda che lasci al intervistati invece piena libertà di esprimersi può raccogliere risposte riferibili a proprietà diverse, e quindi non comparabili automaticamente; al contrario quando l'intervistato sceglie una risposta da una lista, non c'è la garanzia di eliminare la possibilità di errori; la sua risposta dipende solo da lui e non dall'intervistatore. Questo è l'obiettivo che la standardizzazione si prefigge. Applicando a tutti i soggetti la stessa procedure i risultati possono essere comparati e interpretati come differenze effetti tra gli oggetti. È tuttavia legittimo chiedersi se sottoporre a tutti la domanda nella stessa forma (standardizzazione apparente) produca la condizione ideale, e cioè che gli intervistati stiano effettivamente rispondendo alla stessa domanda perché tutti hanno compreso allo stesso modo il testo della domanda e l'elenco delle alternative proposto (standardizzazione reale, sostanziale). Solo in questo caso si può parlare di comparabilità. Flower e Mangione ritengono che questa condizione sia garantita dal ricorso a domande strutturare, da sottoporre in forma standardizzata. I due ricercatori sottoscrivevano la prescrizione del Manuale dell'Intervistatore dell'università del Michigan che per garantire l'uniformità degli stimoli istruisce l'intervistatore a ripetere la domanda nella stessa forma quando l'intervistato chiede spiegazioni, precisando "qualunque cosa significhi per lei". L'intervistatore che segue queste istruzioni indispettisce l'intervistato. Tuttavia, questa pratica raggiunge egregiamente lo scopo di istruire l'intervistato nel ruolo che l'intervista gli assegna. Tanto bene il questionario somministrato in forma rigidamente standard assolve al suo compito che spesso l'intervistato non riesce a evadere dalla gabbia della forma chiusa nemmeno se invitato a farlo. Raymond sostiene che l'intervistatore è istruito ad attenersi alla forma standard per sostenere "the survey's status as scientific instrument". Questa forma tuttavia può stravolgere lo Stato effettivo del soggetto, inducendo a registrare risposte conformi al mandato costitutivo della standardizzazione, ma non allo stato del soggetto. Per massimizzare l'effetto delle domande concepite alla stregua di strumenti neutri si ritiene sufficiente che: a. le domande e tutto l'iter di intervista, non respingono l'intervistato a scegliere una determinata risposta; b. l'intervistatore non influenzi in alcun modo l'intervistato, suggerendogli più o meno velatamente le risposte. Ciò implica che anche gli intervistati siano in grado, e siano disposti a svolgere il ruolo di rispondenti sinceri e sempre ben informati. Si rafforza il mito della standardizzazione che assume la possibilità di formulare la domanda perfetta, quella che elimina ogni possibile fraintendimento, permettendo a tutti gli intervistati di ritrovare il loro stato in una delle risposte previste, senza difficoltà e aiuti da parte dell'intervistatore sul campo. Questo presupposto è alla base della pretesa della ricerca standard di garantire l'ispezionabilità dei dati prodotti. I ricercatori più attenti si rendono conto dei problemi: Benner si lamenta del fatto che la maggior parte dei ricercatori ignori le fonti di distorsione, anche quelle note, e consideri la raccolta dei dati non problematica. Sul versante opposto, i tanti critici della strutturazione e standardizzazione sostengono che la scelta di che cosa chiedere e come determina quali risposte si possono ottenere e quindi quali analisi si possono fare. Si mette in dubbio la stessa nozione di opinione personale dal momento che l'intervistato è vincolato a risposte prefabbricate e non pensate da lui stesso. Capecchi evidenzia un aspetto collegato: le domande standardizzate falliscono nello scopo di rilevare differenze qualificanti, importanti tra gli individui intervistati, poiché lasciano cadere tutte le informazioni preziose che i commenti spontanei dell'intervistato forniscono. Phillips propone di eliminare l'uso del questionario, e in generale dell'intervista, dalla ricerca nelle scienze umane. Non è una soluzione realista. Serve una maggiore riflessione sul metodo e sulle tecniche. 3.4.1 il problema delle forme di concettualizzazione La standardizzazione fonda la sua legittimazione sull' assunto che le definizioni operative siano autosufficienti, capaci di coinvolgere significati inequivocabili, uguali per tutti. Ancor prima di parlare dei significati attribuiti alle domande, dobbiamo riflettere sulla possibile discrasia tra i ritagli concettuali che i diversi soggetti intervistati liberamente operano del mondo che li circonda, e quelli dei ricercatori. Il problema ha origine ancora prima di strutturare il questionario e cioè quando si decide di sottoporre agli intervistati quelle specifiche domande. Nel momento in cui si fa ciò, il ricercatore assume che i ritagli che lui ha operato coincidano con quelli dei possibili soggetti di studi. In tal modo la strutturazione può creare le regolarità che dovrebbe rilevare. Dall’ altra parte, strutturando un questionario il ricercatore impone le sue idee sul mondo invece di raccogliere quelle dei soggetti indagati. Le ricerche comparate transnazionali non tengono conto di questi aspetti perché adoperano lo stesso questionario nelle varie nazioni, in contesti molto diversi. La contestazione di Verba: "persone che appartengono a mondi verbali diversi, concettualizzano i problemi in maniera diversa." I ricercatori dovrebbe tener presente che quando i linguaggi sono troppo diversi, troppo pochi i valori comuni, la tecnica standard può non essere adatta; chi si trova in questa situazione deve inventarsi qualche forma diversa di intervista. Le forme di concettualizzazione possono essere palesemente diverse anche all'interno dello stesso contesto culturale. La pratica di sottoporre agli intervistati scale di auto- collocazione lungo l'asse destra-sinistra, o scale di auto-identificazione di classe, presuppone impropriamente che i soggetti categorizzino le differenti visioni politiche in termini di destra/sinistra e che concepiscano i rapporti sociali come opposizione di classi. Davis ricorda, la scala di auto-collocazione di classe è uno strumento legittimo se i soggetti hanno coscienza di classe prima che gli osservatori attacchino questa etichetta al fenomeno in questione. Le indagini che vogliono creare scale di prestigio occupazionale forniscono un altro interessante esempio, dando per scontato che le persone ordinino le professioni in base al prestigio, o gli altri criteri adottati dalla ricercatore. Ma così trascurano totalmente il peso di vari elementi idiosincratici personali, di natura: a. cognitiva: tutti gli intervistati hanno piena coscienza delle diverse professioni proposte?: b. affettiva:ciascun intervistato può aver avuto esperienze diverse dei medici conosciuti, degli operai; c. culturale, ideologica: ogni cultura, comunità può adottare criteri diversi per valutare la professione. Lo stesso può avvenire ovviamente quando si chiede di valutare determinati uomini politici, la popolarità del governo, dei presidenti del consiglio e della repubblica. Quale aspetto stanno considerando: l'onestà, le capacità comunicative? Altri esempi di concettualizzazioni differenti riguardano il clientelismo. Everett Ladd afferma che la forma stessa del sondaggio di opinione strutturato può rilevarsi inadeguata alla complessità dell'opinione su determinati argomenti in cui entrano in gioco valori e aspettative contrastanti. 3.4.2 il problema dei significati La standardizzazione assume che sottoponendo le stesse domande negli stessi termini, tutti gli intervistati stiano ricevendo lo stesso messaggio e stiano quindi rispondendo effettivamente alla stessa domanda. In realtà niente garantisce che le domande siano effettivamente standardizzate nel significato solo perché formalmente uguali. I significati sono infatti estremamente fluidi, ridefiniti volta per volta dagli attori sociali in un continuo processo interattivo. Peirce sottolinea che non c'è alcuna garanzia a priori che due persone educate nella stessa comunità linguistica useranno la stessa parola con lo stesso significato in ogni circostanza. Se ne rendono conto anche Seltiz e Jahoda, che pur accettando la necessità della standardizzazione, non si nascondono il fatto che essa può essere illusoria, perché la stessa domanda può avere significati diversi per i vari intervistati; maggiore flessibilità nella somministrazione della domanda può incrementare la capacità dell'indicatore di fornire informazioni valide sul concetto cui si riferisce. L'uniformità di significati alla base della standardizzazione presuppone una perfetta coincidenza tra le tre sfere della realtà, del pensiero e del linguaggio. La standardizzazione lascia all'intervistato l'interpretazione delle domande e al intervistatore e quella delle risposte in forme totalmente incontrollate. Nella conversazione comune le persone riescono a capirsi se collaborano, cioè si approfondiscono l'oggetto della discussione fino a quando ritengono di aver superato le incomprensioni. Nell'intervista standardizzata, in cui la comunicazione è compressa l'intervista mutua dalla conversazione, spesso senza che il ricercatore ne sia consapevole e a danno della qualità dei dati. Ad alcuni di questi meccanismi non c'è rimedio; ad altri invece il ricercatore potrebbe ovviare restando innanzitutto opportuna attenzione alla formulazione delle domande. Si potrebbero aggirare alcuni problemi con una concezione più flessibile dell'intervista, recuperando il flusso di discorso tra i due interlocutori. In questo caso le risposte dell'intervistato fornirebbero all'intervistatore elementi utili per valutare se la domanda è stata compresa nella forma attesa, se la risposta scelta è quella più opportuna nella situazione data. 3.6 contribuiti della psicologia cognitivista Secondo Sudman, Bradburm e Schwarz preoccuparsi del modo in cui fare domande e del processo di formulazione della risposta significa preoccuparsi dei processi cognitivi. Essendo stati dominati per 40 anni dal paradigma comportamentista, la psicologia empirica conosce una rivoluzione cognitiva che riporta l'attenzione sull'intervistato e i suoi processi intellettivi. Alcuni studiosi si sono chiesti se le procedure dell'intervista standard siano compatibili con i meccanismi cognitivi che i soggetti adottano per formulare opinioni, ricordare e ricostruire eventi. Secondo alcuni psicologi cognitivisti, quando sottoponiamo una domanda, per ricordare l'intervistato segue questa sequenza: perché fa qualcosa; come la fa; risultato dell'azione; quando l'ha fatto. L'intervista strutturata in genere comincia proprio da domande su: quando; con quale sequenza fa qualcosa. Disponendo dei dati ufficiali di un'associazione contro il fumo, sono in grado di confrontare quanto le risposte degli intervistati si discostavano dai primi nel corso di interviste standardizzate, con gli scostamenti che si producono durante interviste non strutturare che cercavano di assecondare i meccanismi intellettuali di ciascun intervistato nella ricostruzione degli eventi. Mentre l'intervista strutturata priva della domanda su quante volte l'intervistato aveva provato a smettere di fumare, seguita da quelli sul quando, come e perché; l'intervista non standard lasciava il soggetto libero di ricostruire il motivo che lo aveva spinto a smettere, quali tentativi, aveva fatto, perché aveva ricominciato. Solo alla fine chiedeva quando era successo. L'intervistato è incoraggiato così a descrivere minuziosamente ogni episodio prima di essere interrogato su altri aspetti. Nell'intervista standard, al contrario, lintervistato è sottoposto a domande dirette e semplificate sull’argomento. Nella conversazione ordinaria, come nell'intervista non strutturata, l'intervistato prima parla liberamente, poi riceve domande specifiche cui rispondere nei termini previsti. Si assiste ad una combinazione tra strutturazione e spontaneità che può migliorare la qualità dei dati ottenuti. 3.7 è possibile migliorare l'intervista standardizzata? È compito del ricercatore migliorare gli strumenti di cui dispone. Sottolineare le difficoltà dell'intervista standardizzata non significa escluderne il ricorso, ma valutare con attenzione per quali argomenti, a quali condizioni, e con quali precauzioni diventa una soluzione accettabile. Una soluzione sta nella liberalizzazione guidata delle tecniche standard, una forma di flebile interviewing. Si parla di un'intervista, basata su un questionario strutturato, che preveda l’intervento dell'intervistatore quando le circostanze lo richiedono per spiegare meglio le domande; convogliare le risposte dell'intervistato in una delle categorie prestabilite; recuperare quella parte del parlato spontaneo dell'intervistato utile ai fini cognitivi della ricerca. Assimilando l'intervista alla conversazione l'accuratezza delle risposta a un sondaggio può migliorare perché i partecipanti collaborano per assicurarsi che essi stiano attribuendo lo stesso significato alle domande. Pawson sostiene che anche in un'intervista standard può essere opportuno ripetere le domande, spiegarle, tenendo presente che l'intervistato può essere tentato di confermare quelle che gli sembrano le teorie del ricercatore. L'intervistatore deve essere in grado di gestire il flusso comunicativo che si sviluppa durante l'intervista perché ciò che l'intervistato dice venga integrato nelle conoscenze del ricercatore, il quale non resta così tagliato fuori dal lavoro sul campo. Secondo Pawson, questa formula si differenzia dall'intervista semi-strutturata, in cui in genere si pongono domande aperte su altri problemi. Qui si chiede all'intervistato di discutere liberamente dello stesso problema posto attraverso domande con categorie prestabilite, per ridefinire le concettualizzazioni del ricercatore: l'intervistato entra da protagonista nel meccanismo esplicativo. Krahe descrive la stessa forma di conduzione dell'intervista nella ricerca sui diversi significati che le persone correttamente attribuiscono alle stesse parole. Invece di limitarsi a domande strutturate, si chiede al soggetto di dare la sua definizione dell'oggetto x. Le definizioni poi vengono confrontate. Si possono scoprire quali sono gli elementi, i contorni che una persona associa all'idea x, e indagare gli atteggiamenti collegati. Questa procedure potrebbe attenuare quella forte riduzione della complessità che le tecniche di scaling impongono nella rilevazione di atteggiamenti e valori. Queste riflessioni pongono una questione cruciale: come si possono evitare eventuali distorsioni introdotte dall'intervistato ammettendo la negoziazione dei significati prima e in generale la necessitò di uno spazio di intervento maggiore in tutte le fasi della somministrazione? E possibile istruire l'intervistatore a distinguere tra comportamento direttivo che influenza le scelte dell'intervistato e proficua negoziazione?. L'ideale sarebbe motivare adeguatamente all'intervistatore ad agire nonna da automa, ma da attore consapevole, capace di stimolare l'intervistato alla riflessione, senza influenzarlo con interventi direttivi; è disposto a riportare le sue impressioni al ricercatore. Naturalmente ciò comporta maggiori responsabilità dell’intervistatore ma, ancor di più, maggior coinvolgimento nel processo di ricerca. Lazarfeld suggerisce di includere gli intervistatore negli incontri del team di ricerca. Ma un ruolo più impegnativo dell'intervistatore nell'intervista standard pone gravi problemi di costi. Capitolo 4 4.1 la costruzione del questionario Il ricercatore deve essere in grado di individuare tutte le proprietà rilevanti, cioè quelle che servono per soddisfare adeguatamente gli interrogativi che egli si pone. Il questionario deve essere considerato il punto di arrivo di un lungo lavoro di riflessione e dibattito all'interno dell'equipe di ricerca, e ma il punto di partenza del lavoro. In linea di massima un ricercatore fa ricerca su domini disciplinari e sostanziali su cui ha conoscenze ed esperienze. Egli progetta, esempio, una ricerca sui valori perché ritiene che questi siano decisivi per la comprensione di vari aspetti della vita sociale, e perché ha dedicato tempo e attenzione alla relativa tradizione di ricerca empirica. Ciò significa che già prima di cominciare la sua ricerca il ricercatore ha sull'argomento un bagaglio di conoscenze più o meno esplicite. Si raccomanda un approfondito lavoro preliminare di riflessione sull'argomento, nutrito da tutte le letture necessario, prestando attenzione alle ricerche già svolte. Lo studioso è armato della conoscenza tacita che condivide con i suoi oggetti di ricerca, e che quindi lo guiderà nell'individuazione delle proprietà rilevanti. Il problema della rilevanza non può essere considerato solo dal punto di vista del ricercatore. È essenziale che questa venga valutata anche dal punto di vista del soggetto di studio, perché il ricercatore non può dare mai per scontato ciò che lui considera importante lo sia altrettanto per i soggetti di studio. Il bravo ricercatore affronterà il problema della rilevanza facendo precedere la costruzione del questionario da un'indagine esplorativa. Flower e Mangione suggeriscono un'attività preliminare di osservazione del contesto; e alcune discussioni di gruppo cui partecipano almeno 6/7 persone che rappresentino potenzialmente i futuri soggetti della fase standard della ricerca. Consigliano di videoregistrare questi incontri per poi studiare con calma gli elementi emersi; e aggiungere interviste individuali completamente libere. Lo studio-pilota(fase preliminare) deve aiutare i ricercatori a tracciare o arricchire la mappa dei concetti, a scovare quelle proprietà che sono evidenziate spontaneamente dai soggetti studiati: questo il modo per affrontare il problema della rilevanza dal basso, cioè dal punto di vista dell'intervistato. Come ricorda Bourdieu, il ricercatore che non si pone il problema della rilevanza dal basso rischia di trovare una garanzia fittizia di realismo delle sue domande nella realtà delle risposte che ottiene. In questa fase si mettono contemporaneamente alla prova la bozza di mappa preparata e le domande da proporre ai futuri soggetti di studio. Lasciando parlare liberamente i soggetti saremmo in grado di individuare proprietà non previste. Se vogliamo sapere cosa pensano le persone è necessario uno studio preliminare in cui ci si limita ad ascoltare. Durante le discussione e interviste aperte il ricercatore potrà farsi un'idea dell'eventuale distanza tra i suoi concetti e quelli dei soggetti studiati; potrà capire se i termini che intende usare evocano nei soggetti concetti compatibilmente simili ai suoi. Potrà ottenere un ventaglio di possibili risposte alle domande che intende usare per rilevare i concetti inclusi nella mappa. Con una ricerca standard il ricercatore mette alla prova il suo modo di concepire e categorizzare la porzione di realtà che intende studiare. Proprio perché consapevole di questo limite, di questa responsabilità che ha il dovere di assumersi, avrà l'umiltà di cercare spunti anche nel contesto che deve studiare. 4.2 la mappa dei concetti La mappa dei concetti serve da guida per costruire le domande; è una specie di rete, o diagramma di flusso, in cui tutti i concetti che andiamo scegliendo sono collocati su un foglio e posti in una relazione tra loro mediante frecce. Gli errori da evitare sono: a. abitudine di copiare le domande interamente da altri questionari, pratica sconsigliata principalmente quando si prende spunto da questionari preparati in momenti storici e contesti socio-culturali diversi. Non basta che un insieme di domande sia già stato testato e accompagnato da relativi coefficienti di attendibilità per autorizzarsi ad adottarle. In sociologia, l'abitudine a riprende domande altrui può condurre a rilevare un concetto complesso come l'universalismo limitandosi a chiedere agli intervistati se si è d'accordo con le espressioni: dare a tutti le stesse opportunità nella vita; essere tolleranti nei confronti di persone e idee diverse. Se il concetto di universalismo è fondamentale ai fini della ricerca dobbiamo dargli il giusto rilievo con numerose domande che colgano i vari aspetti del problema; b. perché ogni domanda comporta un costo in tempo e impegno intellettuale per l'intervistato e intervistatore, rima di inserirla devo chiedermi se la proprietà che si sta operativizzando attraverso la domanda risponda agli obiettivi cognitivi della ricerca. Devono essere in grado di prefigurare in quanti e quali modelli di analisi posso inserirla. Secondo Fowler la colpa in linea di massima è delle domande, quando sono formulate in termini generici. Invece di porre domande specifiche, per risparmiare tempo e spazio sul questionario, si rende complicatissima la comanda, con il rischio di ottenere risposte imprecise. Converse e Presser invitano a evitare le domande generali e preferire quelle specifiche che sono interpretati in maniera più omogenea dai soggetti. Se il ricercatore preferisce la domanda generale, consigliano di assicurarsi almeno che tutti gli intervistatori usino probes simili. Questo problema è posto da altri in termini di tensione tra globale e specifico che il ricercatore deve risolvere quando decide quali e quante domande porre per studiare una proprietà. Legrenzi e Rumiati ricordano che un aspetto locale, specifico, non esaurisce la dimensione generale, che è difficile da affrontare nella complessità: si fa come se quella specifica domanda autorizzasse a pronunciarsi su aspetti non indagati. 6.1.2 forma interrogativa o assertiva Tra i nodi generali c'è anche quello relativo alla forma interrogativa o affermativa. Dobbiamo preferire domande vere e proprie, chiuse da un punto interrogativo, o frasi che riportano un punto di vista? A favore del loro uso, c'è tutta la tradizione dello scaling, che sfrutta la loro grande universalità. Di contro, molti sottolineano il fatto che le affermazioni per la loro natura assertiva, incoraggiano l'acquiescenza. Secondo Zillman la questione è aperta: in uno studio di laboratorio ad alcuni ragazzi veniva chiesto se accettavano o no la frase "Francesco è un bravo ragazzo". Ad altri si diceva "Francesco è un bravo ragazzo, non è vero?". I consensi erano maggiori nella seconda forma. Ma si potrebbe obiettare che il confronto è fortemente viziato dall'espressione rinforzante "non è vero?", che è una forma pilotante scoperta. Zillman confronta la forma assertiva con una versione interrogativa palesemente viziata. In una ricerca condotta dall'istituto Roper in cui si confrontano le distribuzioni alle due forme : - “alcune persone pensano che sia giusto imporre una detrazione sulle press pensioni alle persone che continuano a lavorare. Altri dicono che questo limite deve essere eliminato perché non si può vivere con la sola pensione sociale. Scelga una delle alternative” - “lei pensa che… o ritiene che… La seconda formulazione, che si chiude con il punto interrogativo, provoca risposte più polarizzate lungo la proprietà età, con i giovani favorevoli alle detrazioni e i vecchi contrari. Gli psicologi cognitivisti imputano le differenze al fatto che la forma interrogativa spingerebbe l'intervistato a riflettere di più, diminuendo il numero di quanti scelgono "non so", "indifferente". 6.1.3 uso e formulazione delle scale Un discorso a parte merita la formulazione delle scale e la decisione stessa di adottarle. Alcuni ricercatori confrontano le distribuzioni ottenute da 2 tipi di domande: quelli che chiedono la valutazione di ciascuno degli specifici oggetti cognitivi ed altre che invitano l'intervistato indicare tali oggetti in lista quelli che ritiene più importanti. Nella prima (esempio p 186) si chiede di scegliere solo tre aspetti mentre nella seconda domanda una valutazione ottenendo una risposta per ogni oggetto cognitivo; di contro c'è il pericolo di ottenere risposte non significative perché la struttura ripetitiva della domanda può sollecitare risposte meccaniche. Quando invece chiediamo di segnare solo quelli che lo interessano, riduciamo il pericolo ma abbiamo altri problemi: non abbiamo idea dell'importanza relativa dei vari oggetti che ha scelto. Nel formulare la domanda, altro aspetto da considerare è l'estensione delle scale. Studi recenti mostrano che l'ampiezza delle scale non solo ha conseguenze sul modo in cui l'intervistato le usa, ma influisce anche sul processo di interpretazione della domanda. Nonostante dal punto di vista metodologico una scala molto sensibile sia preferibile, alcuni ricercatori ritengono che l'intervistato sia disorientato dalle scale sempre più raffinate che si usano, scale che impongono distinzioni sottili che mettono in difficoltà l'intervistato medio, che usa solo in parte. Schwarz indica un altro modo in cui l'estensione della scala e i valori scelti influenzano l'intervistato: questi attribuisce il significato ai numeri intermedi basandosi sull'interpretazione semantica dei due punti estremi. In uno studio si doveva attribuire un punteggio di gradimento ad alcuni politici usando Scalia 11 picchetti che andavano uno da zero a 10 e l'altra da -5 a cinque.la ricerca mostro che usare lo zero o il -5 come punteggio minimo guidava all'interpretazione.chi aveva la scala che partiva da -5 riteneva che questo punteggio indicasse un giudizio del tutto negativo; chi aveva zero pensava che indicasse soltanto l'assenza di un giudizio positivo. In una ricerca precedente, emerse che quando si adotta la scala che va da 0 a 10, il 34% si colloca tra 0 e 5; quando si usa la scala con i due poli di positivo e negativo, solo il 13% si colloca tra -5 e 0. 6.2 distorsioni introdotte dalla formulazione Alcune domande provocano risposte apparentemente appropriate, ma che in realtà non hanno alcuna relazione con quello che l'intervistato crede, pensa, fa, ha fatto, perché sono: a. sotto-determinate: è il caso in cui la domanda o elenco delle alternative manca degli elementi necessari all'intervistato per indicare correttamente il suo stato; e all'intervistatore/codificatore per decidere l'attribuzione della risposta alla categoria opportuna; e in ultima analisi al ricercatore per interpretare la risposta. Possono apparire tali agli intervistati perché sono complesse, presuppongono apparire tali agli intervistati perché sono complesse, presuppongono conoscenze che l'intervistato può non avere, almeno nelle forme imposte dal ricercatore; usano termini ed espressioni che l'intervistato non conosce. O adoperano termini ambigui o una sintassi oscura; evocano più oggetti cognitivi; adottano un elenco delle risposte incompleto, che viola il principio della mutua esclusività; b. sovra-determinate: il testo della domanda è formulato in maniera tale da indirizzare, più o meno velatamente, verso una delle risposte; c. obtrusive: perché appaiono minacciose all'intervistato, affrontando temi che invadono la sua sfera intima, personale, o perché lo costringono a mettersi in cattiva luce. 6.2.1 domande sottodeterminate perché complesso II semplice atto di porre determinate domande costituisce una forzata imposizione di schemi concettuali. Ma questo attiene inevitabilmente gli interessi cognitivi del ricercatore e alle scelte metodologiche di cui si assume la responsabilità, cercando di mantenere la consapevolezza dei limiti oltre che dei vantaggi delle sue decisioni. Vi è un ericoloso assunto alla base dei sondaggi, in particolare quelli di opinione pubblica: che tutti abbiano uno stato su qualsiasi proprietà interessi il ricercatore. È il caso di tutte le domande su aspetti lontani dalla vita quotidiana, che interessano i committenti più che gli intervistati. Si pensi a specifici provvedimenti di legge, a domande sul sistema elettorale, su cui gli intervisti non hanno affatto opinioni. Solo una domanda aperta costringe l'intervistato ad ammettere che non sa nulla del tema proposto. La domanda strutturata, fornendo anche un elenco di alternative, dà la possibilità all'intervistato di coprire a sua ignoranza indicando una qualsiasi delle risposte proposte. Il ricercatore deve scoraggiare questa soluzione. Si introducono alle volte le domande prevedibilmente difficili con le frasi: "non tutti sanno che"; "lei per caso ricorda". O si tenta di fornire un quadro cognitivo, di dare informazioni minime: "la nuova legge sul... recita che…". L'introduzione non risolve il problema perché in ogni caso le informazioni date interagiscono con la base di conoscenze pregresse dell'intervistato. In linea di massima, il problema del non saper rispondere nasce sempre dalla scarsa consapevolezza delle difficoltà lessicale, e dalla tentazione di estendere all'insieme degli intervistandi schemi mentali, interessi, conoscenze e lessico dei commenti e dei ricercatori. Il difetto appare ancora più grave quando si ha a che fare con popolazioni particolari come gli immigrati: una ricerca aveva tra le risposte termini burocratesi poco comprensibili anche per gli italiani. Il problema non è solo italiano: in una ricerca francese si chiedeva agli intervistati un giudizio su diversi sindacati, in particolare quanto apparissero burocatizzati. Grazie a domande aperte e commenti spontanei si constatò che il termine "burocratici" assumeva significati diversi per i ricercatori, i commentatori politici e gli operai. 6.2.2 domande difficili perché propongono concetti specialistici Si ha sotto-determinazione per complessità quando il ricercatore propone direttamente nella domanda categorie sociologiche, in ogni caso specialiste, che si possono legittimamente adottare solo al momento in cui si dà conto dei risultati. In un intervista discorsiva, Houtkoop- Steenstra, a ripreso domande frequentemente usate nei questionari per lo studio del tempo libero, scoprendo che la classificazione dei musei frequentati, dei concerti proposta nelle domande non era condivisa dagli intervistati. Spesso durante le interviste, gli intervistati contestano le categorie di azioni proposte. Secondo la ricercatrice, quando invece si lasciano le domande aperte, ci si rende conto che le persone non pensano alle loro esperienze in termini categoriali, bensì l’intervistato tende a pensare alle sue esperienze in termini specifici. 6.2.3 Domande nascoste Si può parlare di sotto-determinazione per complessità anche nel caso delle domande nascoste, cosiddette perché ne implicano tacitamente altre. Esempi: "lei condivide la politica... tesa a fornire ai cittadini maggiori occasioni di partecipazione?", "per chi ha votato?"." quanto è importante per lei l'ambiente?". La prima è una domanda complessa perché presuppone che l'intervistato abbia le idee chiare su quali sono le occasioni di partecipazione. Le altre due domande danno per scontato che il soggetto abbia deciso di votare o abbia votato, e che conosca le posizioni dei partiti in competizione sui vari problemi economici. Nell'elenco delle alternative le domande possono prevedere la risposta "non so". ma l’intervistato tende a trascurarle e a subire l'assunto implicito. Anche nella conversazione ordinaria facciamo ricorso a tali assunti impliciti, definiti elementi universali del discorso umano che permettono la comunicazione. Ma nella conversazione, la forma destrutturata permette agli interlocutori di chiarire il quadro generale. Lazarsfeld raccomandava l'esplicitazione degli assunti sottesi- in questi casi la procedura corretta richiede più domande che indaghino se l'intervistato ha deciso di votare/se ha votato, ecc. Secondo Fowler e Mangione la domanda risulta complessa quando prevede risposte multiple. Oltre a costruire un compito gravoso, la domanda è sotto-determinata per il ricercatore perché due soggetti possono indicare la stessa terna di problemi, esempio attribuendo a ciascuno un peso differenziato, sulla base delle loro diverse caratteristiche in un unico punteggio la scelta 1 su quale evoluzione si verificherà; e 2 quella sull'intensità dell'evoluzione, valutabile attraverso scale. Lo stiramento delle dicotomie colpisce anche l'opposizione vero/falso. La verità o falsità di un'affermazione è spesso indicibile, o controllabile con difficoltà notevoli che esulano dalle possibilità del soggetto intervistato. Questi ha pieno titolo a esprimere quando condivide l'affermazione com'è nello spirito delle tecnologie di scaling. 6.2.7 pluralità di oggetti: double-barrelled questions Sono seriamente sotto-determinate le domande che contemplano più oggetti cognitivi, che siano o meno in opposizione fra loro. In ogni caso l'intervistato si trova di fronte al dilemma di accettare o rifiutare in blocco i diversi oggetti proposti. Domande: "Ritiene che il seminario x debba migliorare le sue capacità critiche e le sue conoscenze sul tema?"; "Al giorno d'oggi, quanto pensa sia importante avere una laurea per trovare un lavoro qualsiasi o uno qualificato?" (istat). L'intervistato potrebbe voler rispondere valutando separatamente gli aspetti: ritenendo che un seminario migliori le sue conoscenze piuttosto le capacità critiche. Nella domanda sottoposta dall'istato si aggiunge il problema della vaghezza delle espressioni: cos'è un lavoro qualsiasi, un lavoro qualificato? Sono palesemente due domande diverse fuse in una. L'ultima domanda viene sottoposta in questionari auto-amministrati. In una ricerca coordinata da chi scrive, che riproponeva domanda comunemente usate, gli intervistati sono stati incoraggiati a chiarire la difficoltà di interpretazione: mentre il lavoro qualificato aveva un significato ragionevolmente condiviso, il lavoro qualsiasi costituiva una plaude semantica più che altro definita dalla contrapposizione, nella stessa domanda, all'espressione lavoro qualificato. Lo stesso problema presenta un altro sondaggio proposto da Repubblica sui provvedimenti più urgenti che il governo avrebbe dovuto assumere; tra le voci: "cambio radicale della squadra di governo..". Si può pensare che la voce sarebbe stata sottoscritta da più persone se avesse tenuto separati i due aspetti impropriamente assemblati, che si collegano a due concetti diversi. Come sottolinea Altieri, soffrono di questo problema molti questionari che intendono valutare un servizio ricevuto. L'unico motivo per cui si potrebbero accettare domande così consegnate e il fine di individuare le persone che sono consapevoli del prezzo da pagare per conseguire un determinato obiettivo e sono disposti a farlo. Ma allora le frasi dovrebbero essere precedute o accompagnate da introduzioni che esplicitino questo intento. 6.2.8 sottodeterminazione dell'elenco delle risposte Il ricercatore può prevedere domanda complesse, o potenzialmente lontane dagli interessi degli intervistati. Egli però sa che corre il rischio di ottenere risposte infedeli da parte di tutti quegli intervistati che non hanno uno stato sulla relativa proprietà. Affrontando il problema dal punto di vista della formulazione della domanda, dobbiamo chiederci se per contrastare la tendenza a dichiarare opinioni inesistenti sia opportuno e utile inserire l'alternativa "non so/non ho un'opinione". che spesso viene omessa dalla domanda e accettata solo se offerta volontariamente. L'inclusione della categoria di risposta "non so" aumenta molto la validità dello strumento. Ciò conferma la saggezza di dare la possibilità di non rispondere a chi non ha informazioni o opinioni sul tema. Altri preferiscono ometterla perché temono che funga la facile rifugio per chi, pur avendo un'opinione, non vuole affrontare lo sforzo necessario per formulare una risposta; o preferisce nascondere il suo stato perché lo considera socialmente non accettabile. Secondo Bradburn e Sudman è opinione corrente tra i sondaggisti che anche le persone che dicono "non so" inclinino in ogni caso in una direzione o l'altra, abbiano una preferenza, anche se non molto chiara. Per questo ritengono conveniente incoraggiarli a prendere posizione omettendo l'alternativa-rifugio. Gli stessi ricercatori avanzano un'altra interpretazione: gli intervistati possono dire "non so" per prendere tempo, mentre cercano l'informazione nella memoria. Alla scelta "non so" si può far seguire una domanda che spinga l'intervistato a dichiarare se c'è una posizione/alternativa cui sente più vicino anche se non la condivide abbastanza. Andare oltre il "non so" può essere proficuo se si adottano domande aperte, o una conduzione discorsiva, flessibile, dell'intervista. In mancanza di ciò possiamo limitarci a confrontare le distribuzioni delle variabili che includono o escludono l'opzione "non so". Non è estranea alla diffidenza nei confronti dell'alternativa non so una tradizione di ricerca che considera alte percentuali di questa risposta come segno di cattiva prestazione degli intervistatori. Un elenco è sotto-determinato quando manca un'alternativa che rappresenta stati prevedibili dei soggetti sulla proprietà che la domanda intende operativizzare. Come per il "non so", alcuni ricercatori tendono a omettere le posizioni centrali "incerto/indifferente/moderato" perché si preferisce forzare l'intervistato a prendere una posizione e si è interessati a sapere da che parte sta il soggetto su una questione controversa. L'omissione di queste categorie può produrre false opinioni, impedendo di distinguere le opinioni ben radicate che non ha paura di svelare; le omissioni si possono ripercuotere non solo sulle distribuzioni, ma anche sulle relazioni tra variabili. Gli intervistati non hanno elementi sufficienti per decidere la loro risposta quando le liste lunghe di alternative di risposta vengono proposte oralmente senza che l'intervistato abbia la possibilità di leggerla per riflettere con attenzione. È per questo che si raccomanda di limitare la lunghezza della lista e ricorrere ai cartellini. 6.3 la sovra-determinazione: domande pilotanti È il caso in cui il testo della domanda indirizza l'intervistato, più o meno apertamente, verso un'alternativa di risposta. La domanda "lei è d'accordo sul fatto che i magistrati hanno troppo potere, non è vero?" è una domanda pilotante in forma scoperta, ma lo sarebbe anche senza il "non è vero", perché mette in luce, richiama alla mente, un solo aspetto(i magistrati hanno troppo potere), su cui si chiede esplicitamente l'accordo. La domanda indirizza la risposta quando nella sua parte principale chiede se si è d'accordo su uno specifico aspetto del problema, incoraggiando la risposta affermativa, la sola richiamata all'immediata memoria. Come segnala Cantril questo succede comunemente nei sondaggi sulla popolarità dei politici, in cui si mettono in rilievo solo gli aspetti positivi. E ricorrente la formulazione: "quanto è positivo il suo giudizio su x?". Secondo alcuni, anche le domande filtro, proposte nella forma "lei è interessato a…" », incoraggiano risposte acquiescenti perché sottolineano solo la risposta affermativa. L'intervistato tende ad accettare il suggerimento implicito nella domanda, perché non ha motivo di dubitare della buona fede del ricercatore. Schuman e Presser hanno posto la questione in termini di bilanciamento della domanda, bilanciamento che può essere formale o sostanziale. Preferiscono quello formale i ricercatori che si limitano ad usare la forma "lei è d'accordo oppure no?”. Payne aveva affermato che è necessario esprimere la posizione negativa nel dettaglio. Limitarsi a dire "oppure no" non dà il dovuto spezio al versante negativo. Secondo Payne due punti di vista possono apparire egualmente rilevanti solo se sono espressi da un numero uguale di parole. Secondo Schuman e Presser il bilanciamento formale non produce gli effetti positivi sperati. In tempi di grande attenzione ai costi della ricerca, alcuni si chiedono se si possa risparmiare spazio nel questionario e tempo di somministrazione ricorrendo al bilanciamento minimo. In realtà ripropongono il bilanciamento formale, che consiste nell'inserimento di una particella negativa immediatamente accanto al verbo "lei è favorevole o contrario". Da precedenti studi condotti, i ricercatori concludono che il bilanciamento minimo produce gli stessi risultati del bilanciamento esteso proposto da Patne, Schuman e Presser. Inoltre, secondo alcuni, domande brevi avrebbero l'ulteriore merito di essere più comprensibili; ma altri ricercatori affermano che una domanda lunga attira di più l'attenzione dell'intervistato e spiega meglio il tema. Il ricercatore valuterà con attenzione l'opportunità dell'una o dell'altra forma. Il bilanciamento minimo è la forma corrente adottata nei sondaggi di opinione, con risultati che suscitano qualche perplessità. 6.3.1 un caso particolare di bilanciamento: la scelta forzata Quando invece che di una domanda vera e propria si adottano affermazioni, come nella scala di Likert, si mette in luce solo una faccia del problema. Negli anni 70 Jackman sosteneva che questa formulazione guida verso il consenso, poiché l'affermazione esprimerebbe la regola, l'opinione prevalente. Javeline osserva che ampia parte della letteratura metodologica insiste adeguatamente sul fatto che l'intervistato non risponde solo alla domanda, ma anche al modo in cui la domanda è posta. Secondo la ricercatrice, le affermazioni che compongono le batterie di scale non sono emendabili; non si tratta di formulare bene l'affermazione; bisogna cambiare la struttura stessa della domanda, adottando domande a scelta forzata, in sui si presentano due argomenti contrapposti fra i quali l'intervistato è costretto a scegliere; argomenti sottoposti separatamente in una scala Likert potrebbero ottenere entrambi la sua approvazione. La forma dicotomica è molto usata nella tradizione anglosassone, ma sono diffuse versioni che assumono la struttura di scala come(p.228). Tra i pregi della scelta forzata vi è la sua capacità di svelare relazioni nascoste. Secondo Berkwoitz e Wolkon impropriamente si è pensato che l'alta relazione negativa tra la scala di autoritarismo di Adorno e il livello di istruzione degli intervistati fosse effetto della maggiore acquiescenza delle persone meno istruite. Usando la scala a scelta forzata si mantiene inalterata la relazione inversa tra istruzione e autoritarismo, mostrano che la relazione non era dovuta ad acquiescenza ma esprimeva correttamente una visione politica di chi tende a semplificare i problemi. Ovviamente, la costruzione della scala a scelta forzata pone molte sfide: non è facile individuare i due corni del dilemma; ogni singolo aspetto assume un significato diverso quando viene visto alla luce dell'elemento opposto; l'obbligo di scegliere spesso disturba l'intervistato, che tende a rifiutare la fatica. 6.3.2 altre forme di sovra-determinazione Le domande sono sovra-determinate quando presentano un comportamento o un evento come inevitabile, l'opinione come maggioritaria, la sola legittima. Se nel testo della domanda diamo all'intervistato informazioni sulla diffusione di un determinato comportamento, di una determinata posizione verso un oggetto cognitivo, con introduzioni del tipo "la maggior parte delle persone preferiscono/approvano", lo spingiamo formulare la sua risposta confrontando il suo stato con quello della domanda definisce come la norma. Si sceglierà questa formulazione solo se il ricercatore vuole incoraggiare questo processo, com'è nel caso delle domande obtrusive in cui l'accenno alla diffusione di un comportamenti e pensieri, che considera censurabili: "secondo lei, la maggior parte della gente”. Sellitz e Jahoda consigliano di far seguire alla domanda proiettiva una in cui si chiede esplicitamente all'intervistato il suo parere personale. Tra gli strumenti indiretti ci sono anche le vignette da interpretare, o le storie, utili, secondo Martin e Poltiva, per aggirare le difese dei soggetti nella ricostruzione delle definizioni sociali di temi difficili. Anche in questo campo gli psicologi cognitivisti forniscono qualche suggerimento confrontando, in ricerche di laboratorio, diversi modi di condurre l'intervista: la forma tradizionale e la cosiddetta "intervista cognitiva" che tenta di assecondare i processi cognitivi dell'intervistato. (p240) Cap 7 L'ordine delle domande deve essere studiato con cura perché può avere un effetto distorcente sulle risposte degli intervistati. La sequenza è ben costruita quando appare ragionevole agli stessi intervistati perché evita cambiamenti bruschi che li disorientano. Questo requisito non è facile da attuare perché il questionario in genere tocca argomenti vari. I ricercatori concordano sul fatto che l'inizio dell'intervista è una fase delicata, stabilisce il tono del rapporto destinato ad instaurarsi tra l'intervistato e l'intervistatore. Si consiglia di cominciare con domande generali che mettono a suo agio l'intervistato. Curva campanulare dell'attenzione: si ritiene che l'interesse a attenzione crescano dopo l'inizio dell'intervista, raggiungano un massimo sul quale si stabilizzano per un certo tempo, per poi decrescere rapidamente per effetto della stanchezza. Ne consegue che le domande più importanti, o che richiedono il massimo della concentrazione all'intervistato, devono essere poste nella parte centrale del questionario. Il buon senso e l'esperienza suggeriscono di porre alla fine del questionario le domande dall'argomento delicato per due motivi. Se anche l'intervistato si indispone e decide di interrompere l'intervista, ne avremo salvato la maggior parte In secondo luogo, è possibile che nel corso dell'intervista l'intervistatore si guadagni la fiducia dell'intervistato così da fargli accettare anche le domande scomode. È consigliabile porre alla fine le domande sulle caratteristiche sociografiche. Si raggiungono due obiettivi: se evita di appesantire la fase iniziale con domande su dati personali che possono apparire inquisitorie. Si alleggerisce la parte finale con domande importanti ma facili. Nel caso di un campionamento per quote, vanno poste all'inizio del questionario quelle domande sociografiche che stabiliscono se la persona risponde ai requisiti del piano di campionamento. 7.1 conviene raggruppare le domande per argomento? Dipende dagli argomenti. Può essere consigliabile alternare aspetti diversi di uno stesso tema. Quando le domande sono organizzate in batterie si raggrupperanno tutte quelle che hanno la stessa modalità di risposta: scale Likert, di Cantril o termometri. Nella batteria si avrà cura di alternare gli argomenti e la popolarità degli oggetti cognitivi rispetto alla dimensione sottesa. Alternare domande su argomenti lontani tra loro può far diminuire la concentrazione. Può porvi rimedio l'inserimento di frasi che segnalino il passaggio da un argomento all'altro. 7.2 le cosiddette domande di controllo Teoricamente si può operare un controllo, ma solo attraverso il confronto con dati provenienti da fonti diverse dal questionario, per poche proprietà del intervistato: il suo stato civile, la sua età; la consistenza del suo conto corrente; i suoi precedenti penali; se ha votato; lo stato di salute. In questi casi si potrebbero consultare documenti e fonti ufficiali. Quando si tratta di stati interiori, non osservabili, parlare di Stato e effettivo diventa problematico per vari motivi: a)lo stato è inaccessibile all'intervistatore se non tramite una dichiarazione dell'intervistato; b)lo stato può essere inaccessibile allo stesso intervistato; c) il soggetto ha una posizione ambivalente nei confronti dell'oggetto. Nei casi sub a e b, eventuali domande di controllo possono al più fornire indizi, ma non prove dell'insincerità del soggetto, risultato allo stesso tempo controproducenti ai fini della qualità del rapporto tra intervistatore e intervistato. Due diverse domande tese ad accertare l'età del soggetto possono indispettire l'intervistato che si accorge dell'intento inquisitorio e si preoccupa di dare risposte coerenti. Risposte incoerenti ci segnalano solo il problema, ma per risolverlo dovremmo, come abbiamo detto, cercare una fonte esterna al questionario. In tema di opinioni e atteggiamenti, piuttosto che a domande uguali posti in parti diverse del questionario, si potrà ricorrere a operativizzazioni diverse di aspetti differenti del concetto. Piuttosto che di domande di controllo sarebbe quindi meglio parlare di pluralità di indicatori dello stesso concetto per illuminarne i vari aspetti. 7.3 effetto sequenza o effetto contesto? L'ordine in cui si succedono le domande può produrre effetti sulle distribuzioni delle relative risposte; ma anche sulle reti di relazione tra le domande. Si ha un effetto sequenza quando le risposte a una domanda sono influenzate dalla posizione della domanda nel questionario. La raccomandazione generale è evitare la successione immediata di domande che si possono contaminare a vicenda, inducendo l'intervistato a dare risposte coerenti, essendo la coerenza un tratto socialmente desiderabile. In tempi più recenti, il dibattito sulla successione delle domande ha risentito delle riflessioni degli psicologi cognitivisti, che hanno posto il problema in termini di contesto interpretativo e di accessibilità. Secondo queste tesi, le prime domande possono creare un contesto semantico alla luce del quale sono interpretate tutte le domande collegate/bili; evocano schemi interpretativi che agiscono lungo l'intervista, creando un effetto contesto. A questo si aggiunge il fatto che le varie domande rendono accessibili, pronti all'uso, aspetti cui i soggetti non avevano pensato prima o non avrebbero pensato; conoscenze che non avevano e che appena acquisite vengono usate per rispondere alle domande che man mano gli vengono poste. Come osservano Schwarz e Strack le domande precedenti influiscono sulla risposta del intervistato confeziona; gli servono per interpretare la domanda cui di volta in volta e chiamato rispondere. Quando si devono formulare due giudizi di seguito sullo stesso oggetto, il secondo giudizio è derivato dal primo. Per contrastare gli effetti di sequenza o contesto che siano, qualcuno suggerisce di inserire blocchi di domande di argomento completamente diverso (domande buffering) tra le domande contaminabili. Studiosi della memoria ritengono che se un elemento viene usato perché reso accessibile dallo stesso questionario viene anche facilmente dimenticato. In ogni caso l'effetto contesto (carryover) è maggiore quando le domande che attivano gli schemi interpretativi e le domande centrali (ai fini degli interessi del ricercatore) sono fortemente collegate o appaiono tali agli intervistati. Anche su questo le risultanze empiriche sono discordi; in una ricerca sul grado di tolleranza nei confronti di gruppi e movimenti, se in cima alla lista si chiede quanto siano disposti a tollerare un gruppo stigmatizzato negli USA, diminuisce la tolleranza nei confronti di tutti gli altri gruppi citati, anche se molto diversi o antagonisti. 7.4 reciprocità, assimilazione e contrasto. Alcuni effetti sono limitati a domande particolari. Si tratta del principio della reciprocità; e dell'effetto di assimilazione di contro a quello di contrasto. Il principio di reciprocità è importato dalle regole di buona educazione e dettata dal buon senso, che vieterebbero di negare agli altri ciò che concediamo a noi stessi. Questo effetto è molto forte nei questionari auto-amministrati, in cui l'intervistato ha la possibilità di leggere tutte le domande prima di cominciare a rispondere e ha la possibilità di tornare indietro e riflettere sulla domanda precedente collegata a quella cui sta rispondendo. Per cui può rispondere coerentemente, correggendo, se necessario, la risposta già data. Più complessi gli effetti di assimilazione e contrasto, che riguardano la suggestione di domande generali e domande specifiche sullo stesso argomento. L'effetto assimilazione produce relazioni positive tra due blocchi di domande, mentre l'effetto opposto produce relazioni negative. Si ha assimilazione nel caso in cui gli intervistati, essendosi pronunciati positivamente (o negativamente) su alcuni temi, tendano a esprimere opinioni positive (o rispettivamente negative) sui temi seguenti (nel questionario) che ritengano appartenere alla stessa area. In altri casi, si possono attivare principi derivati dalle norme della conversazione; secondo il principio di massima quantità, l'intervistato si sente tenuto a dare informazioni pertinenti, e mai ridondanti. Se una domanda successiva gli appare simile alla precedente l'intervistato può pensare che l'intervistatore non ha capito la sua risposta; o che le risposte che ha dato non corrispondono alle aspettative dell'intervistatore. Si sta descrivendo l'effetto sottrazione, in virtù del quale le domande successive vengono inserite dall'intervistato in un contesto di significato diverso dalle precedenti, producendo risposte contrastanti. Alcuni ritengono che ciò succeda quando l'ordine procede dallo specifico al generale poiché l'intervistato, che pensa come si dover evitare risposte ridondanti, sottrae l'informazione già data nella risposta alla domanda specifica quando risponde a quella generale. Schuman e Presser hanno osservato una differenza nel favore per l'aborto registrato in una loro ricerca. La loro ricerca prevedeva un'unica domanda che chiedeva se erano favorevoli a una legislazione che ammettesse l'aborto: in questo caso il favore era notevolmente più alto nel caso in cui la domanda generale era preceduta da altre specifiche, in particolare quella in cui si chiedeva se erano favorevoli in caso di farti del nascituro.come osservano, si produce un effetto di sottrazione: dal consenso generale si sottrai quello già espresso per l'interruzione della gravidanza per scopi terapeutici. Ma i risultati delle ricerche non sono concordi. Gli studi di Schwartz, Strack e Mai: la possibilità anche la stessa posizione possa produrre effetti diversi sia di assimilazione sia di sottrazione (contrasto). Avanzano due spiegazioni: si produrrebbe l'effetto assimilazione innanzitutto quando le domande specifiche appartengono allo stesso contesto empirico e semantico. Se invece valutiamo aspetti molto diversi della vita e chiediamo poi la soddisfazione generale, si attiverebbe più probabilmente l'effetto sottrazione. Gli autori suggeriscono inoltre che l'insorgere dell'effetto assimilazione di sottrazione- contrasto possa dipendere dal numero di aspetti specifici collegati alla domanda generale. Analizzando le ricerche di Smith e Schuman e 10.5.1 desiderabilità e situazione di intervista: presenza di altri e modalità di somministrazione del questionario Punto fondamentale è cercare di capire in quali condizioni di intervista si sviluppa una maggiore propensione a nascondere opinioni e comportamenti non desiderabili. Ricerche preliminare hanno evidenziato che i giovani parlano più facilmente e francamente con persone della loro età e del loro stesso ambiente. Sono necessari studi esplorativi, interviste intensive, periodi di osservazione per capire in anticipo quali possano essere le condizioni di intervista migliori. Molti autori hanno dato per scontato che la presenza di un'altra persona incentivi risposte socialmente desiderabili. I responsabili della Doxa non hanno dubbi, raccomandano ai loro intervistatori di evitare di condurre intervista in presenza di altri. secondo Galimberti la comunicazione sincera è diadica: quando sopraggiunge il terzo il discorso si impoverisce immediatamente, la comunicazione emotiva di interrompe, la sincerità si maschera. Secondo altri il condizionamento è forte se i presenti appartengono al gruppo di riferimento dell'intervistato. Uno studio panel offre a Gorden l'occasione di constatare il forte stress nelle persone re-intervistate in presenza di persone del loro gruppo, di fronte alle quali si sentono costrette a cambiare le opinioni precedentemente espressi in una situazione di anonimato. Altre ricerche sembrano evidenziare che la presenza di terzi influenza di più gli adulti che gli adolescenti. Altri ricercatori puntano l'attenzione sulle condizioni di anonimato garantite dalle diverse modalità di somministrazione del questionario. Si tende a pensare che il questionario auto- amministrato, compilato in solitudine, possa rassicurare l'intervistato dandogli una più decisa percezione di anonimato. Secondo alcuni, il senso di anonimato aumenterebbe quando il soggetto compila un questionario telematico: in questo caso si creerebbe un ambiente comunicativo nuovo. Quando i segnali del contesto sono assenti o deboli, la gente cessa di preoccuparsi del giudizio degli altri. Alcuni ricercatori sostengono che al contrario compilare un questionario mentre si è collegati in rete intacca il senso di anonimato, facendo diminuire la sincerità dei soggetti. Scatta la sindrome del grande fratello, il timore che il pc sia rintracciabile e identificabile. Meno nette sono le indicazione che vengono dal confronto tra intervista faccia-a-faccia e intervista telefonica. Secondo alcuni la maggiore distanza sociale tra intervistato e intervistatore nell'intervista telefonica dovrebbe incoraggiare maggiore sincerità al telefono. Ma ogni volta che sono stati fatti controlli specifici, è emerso che al telefono, l'intervistato non si sente meno costretto dalla pressione sociale. L'intervista telefonica risulta meno efficace del questionario auto- amministrato. Secondo alcuni ciò accade perché al telefono non c'è modo di creare quel rapporto di reciproca comprensione e fiducia che un intervistatore ben addestrato può sviluppare durante il contatto faccia a faccia. L'intervistato non ha alcun controllo sulla riservatezza della comunicazione, che potrebbe essere registrata e trasmessa a chiunque, con l'aggravante che il soggetto si sente identificato dallo stesso numero telefonico che ha permesso all'agenzia di rintracciarlo. La situazione di anonimato non garantisce necessariamente la sincerità. Il rapporto tra la tendenza alla desiderabilità sociale e la modalità di somministrazione riguarda quella parte della desiderabilità che è rivolta all'esterno, cioè l'aspetto sociologico del problema, quando il soggetto mente per apparire migliore agli altri(impression management). Ma quando il soggetto sceglie risposte desiderabili socialmente per mantenere la sua autostima(self deception), non conta molto il modo in cui sono somministrate le domande. Anche nella situazione di anonimato, l'intervistato darà risposte che gli permettono di mantenere l'autostima. 10.6 risposte meccaniche response sets Si parla di response set quando l'intervistato, al quale viene somministrata una batteria di domande con la stessa struttura di risposte, dà sempre la stessa risposta. In genere si dice che l'intervistato risponde meccanicamente, senza badare al significato delle domande. Si può considerare il fenomeno da punti di vista diversi. Una parte della letteratura lo collega quasi solo a tratti della personalità del soggetto, che producono gli stili di risposta a lui più congeniali. Si possono avere persone che: a. danno risposte sistematicamente dissenzienti no saying), perché tendono a dissentire, a polemizzare sempre, nel caso specifico anche l'invisibile interlocutore che ha preparato il questionario; b. scelgono la posizione centrale nelle scale, o dicono di non sapere perché non amano esporsi; c. danno risposte acquiescenti(yea-saying), o attribuiscono punteggi alti, per acquiescenza nei confronti dell'intervistatore o del ricercatore, che concepiscono come fonte di autorità; d. scelgono posizioni esterne, solo i punteggi molto alti o molto bassi sulle scale. Secondo Greenleaf si tratti di uno stile di risposta stabile, altri ritengono che sia una reazione del tutto casuale, quindi irrilevante. Altri ritengono che le fonti principali del response set vadano ricercate innanzitutto nella stessa situazione di intervista. Consideriamo qualche esempio di batteria, serie di domande con la stessa struttura di risposta: cominciamo dalla scala Likert adottata da Pawson in una ricerca su un gruppo di carcerati che avevano seguito un corso di studio. Il secondo esempio riguarda una serie di interventi che il governo dovrebbe prendere a cui si poteva rispondere con sì- no- non so- Cominciamo col dire che il response set può essere individuato solo se il ricercatore ha previsto frasi a popolarità invertita su una stessa dimensione, in modo che la stessa risposta (d’accordo es.) a due domande collochi il soggetto in posizioni molto diverse. Osserviamo i due esempi: 1. nel primo, le frasi sono tutte orientate positivamente verso la dimensione utilità degli studi.i ricercatori che ottiene una sfilza di d'accordo o in disaccordo può avere qualche sospetto, ma non può escludere che le sue risposte siano rispecchiando lo stato dell'intervistato.questo è il limite di domande orientate tutte lo stesso modo. 2. Nel secondo siano elementi per affermare che gli intervistati che dicono sempre di sì o sempre di no si oppongono sia la necessità di garantire le uguaglianza economica sia l'intervento del governo per aiutare i più deboli: stanno producendo un response set. Ma può essere solo individuato, non corretto in sede di analisi dei dati. Al momento dell'analisi il ricercatore non può fare altro che escludere questi dati palesemente infedeli. Maggiori possibilità di intervento ha un intervistatore attento e motivato che si rende conto del problema mentre esso sorge. Non convince l'idea che il problema si risolva statisticamente bilanciando numericamente le frasi positive e negative; perché sommando i punteggi, le distorsioni si annullano a vicenda. Sia quelli che rispondono sempre di si, che quelli che tendono a rispondere sempre di no vengono a trovarsi riuniti in una categoria centrale. Javeline obietta che non è affatto detto che la frase positiva e quella negativa inducano in egual misura all'acquiescenza, in modo tale che si abbia una perfetta compensazione. Anche se la compensazione fosse perfetta, i soggetti che producono response set sarebbero totalmente confusi con quelli che invece hanno punteggi centrali di diritto, perché sono equidistanti rispetto all'oggetto cognitivo indagato. Appare più ragionevole e prudente l'invito di Lehmann a continuare la ricerca sulla natura dei temi e delle domande che incoraggiano il riesponse set; e sulle caratteristiche delle persone più inclini. 10.6.1 | acquiescenza L'interesse dei ricercatori si è concentrato su una forma specifica di response set, l'acquiescenza, tendenza a dirsi sempre d'accordo, a rispondere sì senza attenzione al testo della domanda, distorsione già segnalata da Likert e Adorno. La maggiore attenzione a questa distorsione è dovuta al fatto che si tratta della forma di response set di gran lunga più frequente. Alcuni ricercatori cercano la fonte dell'acquiescenza in tratti del carattere, della personalità dell'intervistato. Altri puntano il dito sulla situazione di intervista; altri collegano i due aspetti considerando che trai i tanti motivi per cui si producono response sets c'è lo scarso interesse degli intervistati per gli argomenti proposti dal ricercatore. Per Neumann, l'acquiescenza si inscrive nella più generale tendenza degli essere umani a conformarsi all'opinione prevalente nel loro ambiente. Altri studiosi circoscrivono il problema e parlano di stili di risposta, prodotti da persone con specifiche caratteristiche psicologiche, sociali e culturali: anziani, casalinghe, persone poco istruite; persone timide, che temono il conflitto e che quindi hanno l'ansia di concordare con tutto. Secondo Deutsher importiamo l'acquiescenza dal modo in cui comunichiamo nella vita quotidiana, nel corso delle nostre conversazioni ordinarie. Come nella conversazione per attenuare il conflitto ci si dice prima d'accordo e solo dopo si presentano le obiezioni, così nell'intervista la prima risposta, spontanea, tende ad essere acquiescente, mentre commenti e precisazioni lasciano emergere il dissenso. L'intervistato può desiderare di compiacere l'intervistatore per retaggio culturale. Secondo alcuni ricercatori popolazioni diverse possono avere stili di risposta diversi. 10.6.2 l'acquiescenza e la struttura delle domande Altri ricercatori hanno puntato l'attenzione sulle domande e la loro formulazione: domande mal costruite o ambigue incoraggiano l'acquiescenza. Secondo Raymond le domande dicotomiche, che prevedono risposte si/no, inducono risposte acquiescenti: ma anche lunghe serie di domande con la stessa struttura di risposta creano problemi analoghi. Marradi afferma che l'acquiescenza è il risultato di un gioco a somma positiva dal punto di vista degli interessi economici dei committenti e dei sondaggi, a tutto svantaggio della scienza. In questo gioco i committenti, che siano accademici o agenzie, non controllano il lavoro sul campo perché questo allungherebbe i temi; tendono ad adottare strumenti, come le batterie di scale, facili da somministrare e da analizzare, senza curarsi del fatto che incoraggiano reazioni meccaniche. Gli intervistatori non vengono addestrati a dovere; hanno tutto l'interesse a fare preso. Anche gli intervistati hanno tutto l'interesse a sbrigarsi ritengono di poterlo fare dicendosi sempre d'accordo. 10.7 la reazione all'oggetto Con tale reazione, una distorsione individuata per la prima volta da Marradi, l'intervistato reagisce non al significato delle affermazioni/domande ma ai personaggi, oggetti, azioni, menzionati nelle affermazioni. Alla reazione emotiva si accompagna anche scarsa attenzione, e basso livello di collaborazione da parte dell'intervistato. Si ha una reazione all'oggetto quando l'intervistato non riesce a separare l'affermazione, favorevole o no, dall'oggetto, che può essere accettato o rifiutato; il soggetto confonde l'aspetto cognitivo con quello emotivo: il sentimento verso gli attori dell'azione. Una comunicazione alle esigenze di questi. L'applicabilità di tale principio è praticabile solo da un'organizzazione che preveda un accurato e costosa addestramento degli intervistatori, che dovrebbero essere coinvolti il più possibile nel processo di ricerca, ascoltati e seguiti. Lazarsfeld parla di tavole rotonde con gli intervistatori, incontri che permettano un continuo feedback con il lavoro sul campo. Riprende questa idea Stasera affermando che le distorsioni e le inaccuratezze risultano meno ampie e incontrollabili nel caso in cui gli intervistatori si hanno anche ricercatori, cioè lavoratori che prendono parte all'intero progetto di ricerca, dalla sua elaborazione fino all'analisi dei dati. La coincidenza dei ruoli tra intervistatore e ricercatore permette un'altra forma di feedback: l'intervistatore sarà in grado di far emergere, in fase di rilevazione dei dati fenomeni, aspetti non considerati nel modello adottato ex ante. Tale possibilità è preclusa al ricercatore che si tiene lontano da quel contatto con la realtà sociale, delegandola a intervistatori che non conoscono i problemi e non hanno alcuna motivazione di approfondirli. D'altra parte il mito della standardizzazione dei comportamenti dell'intervistatore non esiste al controllo empirico. Alcune ricerche ad hoc hanno mostrato che l'intervistatore nella maggior parte dei casi interviene e non sempre nel migliore dei modi, specialmente quando non è addestrato a farlo. Sormano invita a registrare l'intervista: " intervistato e intervistatore gli si presenteranno nella dinamica della loro interazione linguistica: l'uno non si limiterà a domandare e l'altro non si limiterà a rispondere ma interagiranno l'un con l'altro." 11.2 come ottenere l'intervista Ottenere l'intervista (personale o telefonica) è uno dei compiti più complessi dell'intervistatore. Intervistatori di grande esperienza ottengono l'intervista anche dei soggetti più riluttanti, che hanno rifiutato precedenti richieste. Gostkowski afferma che un buon rapporto con l'intervistatore è parte integrante dei lodevoli tentativi di umanizzare la situazione di intervista, per correggerne la naturale freddezza, convincendo anche intervistandi riluttanti a partecipare. Il compito di ottenere l'intervista diventa sempre più difficile in un periodo che conosce una diffusa stanchezza e una sorta di sfiducia nei confronti dei sondaggi; a questo si unisce la crescente diffidenza nei confronti di estranei che bussano alla porta. Questa difficoltà ha aiutato la rapida e quasi totale diffusione dell’intervista telefonica. Essa ha però peggiorato la scarsa partecipazione ai sondaggi. Anche al telefono il successo è in buona parte affidato alla capacità persuasiva dell'intervistatore; alcune agenzie americane affidano a intervistatori esperti che hanno fama di essere particolarmente bravi il compito di ripetere i tentativi con quanti hanno opposto un primo rifiuto. Si è mostrata decisiva la voce e il modo di parlare. Una volta ottenuta l'intervista resta all'intervistatore il delicato compito di spiegare all'intervistato qual è il suo ruolo e cosa ci si aspetta da lui. Spesso l'intervistato si mostra preoccupato, in questo caso Cannell e Kahn affermano che bisogna chiarire che è stato scelto con procedure casuali, e che le loro risposte interessano solo in quanto rappresentative delle opinioni della gente. 11.2.1 caratteristiche e compiti dell'intervistatore È importante che l'intervistatore usi adeguatamente i cartoncini, e tutti gli altri gadgets previsti, lasciando il tempo all'intervistato di rispondere, senza passare frettolosamente alla domanda successiva. Quando l'intervistato tarda a rispondere, è opportuno che l'intervistatore traccia incoraggiandolo al massimo con lo sguardo o con frasi come "si prenda tutto il tempo che le serve". L'intervistatore dovrebbe essere in grado di approfondire eventuali risposte non classificabili, chiedendo "cosa vuol dire?" ripetendo la risposta data dall'intervistato. Se l'intervistato non ha specificato abbastanza la risposta l'intervistato può insistere dicendo "nient'altro?". Moore ricorda che talvolta l'intervistato fa commenti non chiari e delega all'intervistatore la scelta dell'alternativa, fra quelle previste, che dovrebbe rappresentare la risposta che ha dato in termini discorsivi; in questo caso, secondo il ricercato, l'intervistatore deve segnalare il problema al ricercatore evitando di raccogliere l'invito dell'intervistato. In ogni caso l'intervistatore non deve forzare i soggetti a rispondere: se appare chiaro che l'intervistato non ha una risposta, meglio registrare l'assenza di stato piuttosto che imporgliene uno fittizio. Ciò non togliere che un intervistatore ben addestrato e motivato possa fare quello che i comportamentisti temono: modificare la domanda per adattarla alle esigenze cognitive del singolo intervistato. L'intervistatore non dovrà assumere un atteggiamento valutativo., cioè approvazione o disapprovazione. 11.2.2 il rapporto con l'intervistato L'intervista è caratterizzata da un pesante squilibrio di status a favore dell'intervistatore, anche solo per il fatto che è lui a cominciarla, a decidere di cosa si deve parlare, quando si è detto abbastanza. L'intervistatore deve evitare di appesantire questo dislivello con segni visibili di superiorità: avrà la precauzione di adottare abbigliamento e modi sobri, che evitino di attribuirgli uno status sociale superiore a quello dell'intervistato. Sarà sua cura evitare di mostrare le sue idee e preferenze, perché talvolta gli intervistati cercano di instaurare un rapporto di complicità con l'intervistatore per rendere più gradevole una situazione altrimenti imbarazzante. Cannell e Fowler parlano vagamente di un buon rapporto che aumenterebbe la partecipazione degli intervistati e la loro voglia di dare risposte sincere, effetto che si manterrebbe nel tempo. Cosa significa "buon rapporto"? Negli anni il dibattito si è precisato opponendo due tipi di rapporto: a. quello personale, informale b. quello strettamente professionale. In quello professionale , l'intervistatore mantiene un atteggiamento distaccato, evitando di dare spontaneamente informazioni su se stesso, la sua via e le sue opinioni per scoraggiare comportamenti compiacenti da parte degli intervistati. L'intervistatore dovrebbe rimanere un estraneo. Secondo alcuni, l'estraneità del ruolo è più efficace di un rapporto amichevole al fine di ottenere risposte sincere su temi personali e riservati: se l'intervistato perde il suo anonimato risponderà in maniera convenzionale, in conformità con il suo ruolo sociale. Nello stile personale si mira a instaurare un rapporto amichevole con l'intervistato; se sollecitato l'intervistatore parlerà di sé, della sua vita, dei suoi affetti. Il suo comportamento sarà più partecipativo, manifestando simpatia e comprensione per l'intervistato. Lo stile adottato produce effetti diversi a seconda dell’argomento delle domande: - Con domande che richiedono un particolare impegno cognitivo lo stile di intervista personale migliora la prestazione dell'intervistato perché aumenta la sua volontà di cooperare. Quando si affrontano temi semplici è preferibile lo stile professionale. In quello personale l'intervistatore tende a intervenire con suggerimenti e domande "pilotanti". - Nel caso di domande obrusive si preferisce lo stile personale fortemente sorvegliato: l'intervistatore deve mostrarsi amichevole quanto è necessario per motivare l'intervistato, ma distaccato quanto serve per non influenzarlo in alcun modo. Lo studio delle sequenze mostra una maggiore tendenza a dare risposte socialmente non desiderabili quando lo stile di conduzione è più personale e meno formale. Lo stile confidenziale induce gli intervistato a confidarsi ma lascia più spazio a interventi pilotanti dell'intervistatore. L'intervistato ha più elementi per capire quale risposta gli fa guadagnare la stima dell'intervistatore; sarà tentato di adottare un comportamento compiacente nei confronti dell'intervistatore. Gli intervistati preferiscono lo stile personale, ma quello formale riduce il rischio di domande che indirizzando la risposta dell'intervistato. 11.3 effetti dell'intervistatore Molta attenzione è stata dedicata dai metodologi alle distorsioni sistematiche che l'intervistatore può introdurre nell'interazione con gli intervistati. L'intervistatore può introdurre distorsioni già nel momento in cui sceglie i soggetti da intervistare, se questo compito gli viene delegato, com'è abituale nel campionamento per quote. Quando l'intervistatore ha il compito di intervistare un determinato numero di persone con particolari caratteristiche in una zona stabilita, può avere la tentazione di scegliere persone che conosce o comunque può contattare facilmente; probabilmente eviterà di perdere tempo a cercare le persone che non sono reperibili al primo tentativo. In una ricerca degli anni 70 in cui gli intervistatori dovevano registrare sul questionario il loro cognome e l'indirizzo dell'intervistato, Marradi accertò che alcuni intervistatori estraevano "casualmente" decine di persone che abitavano in uno stesso isolato; molti avevano intervistato solo persone di opinioni politiche simili. 11.3.1 il peso delle aspettative reciproche Alcune distorsioni introdotte dall'intervistatore nel suo rapporto con l'intervistato non sono facilmente eliminabili. In uno dei più completi studi sull'argomento, Hyman distingue due tipi di effetti che l'intervistatore produce: il primo relativo alle sue stesse caratteristiche fisiche, psichiche e sociali(in relazione a quelle dell'intervistato); il secondo alle aspettative che si crea sull'interrogato. Il primo effetto si riferisce al sesso, età, razza, alle opinioni, atteggiamenti e preconcetti in genere dell'intervistatore. È emerso che nelle domande sui pregiudizi razziali gli intervistatori bianchi ricevevano da intervistati della loro stessa razza risposte più razziste dei loro colleghi neri. L'intervistato tende a essere compiacente con l'intervistatore, evitando risposte che teme possano offendere il suo interlocutore. Questo problema non sembra superato dall'uso del telefono nei sondaggi di opinione pubblica; alcuni ricercatori hanno mostrato che gli intervistati sono in grado di riconoscere, dall'accento, dagli usi lessicali, dal tono di voce, la razza dell'interlocutore e quindi incorrono nelle stesse forme di compiacenza sopra descritte. Ricerche recenti hanno evidenziato un altro effetto dell'interazione tra le caratteristiche degli intervistati e intervistatori imputabile alla differenza di sesso, che evidenzierebbe una generica preferenza delle donne per intervistatrici donne. La differenza di genere agirebbe anche sugli intervistati maschi; scatterebbero meccanismi simili a quelli notati nei casi di differenza di etnia: l'uomo intervistato da una donna si mostrerebbe più aperto ai problemi femminili, più consapevole della parità dei sessi. Riguardo agli effetti dovuti all'ideologia e alla struttura dei valori degli intervistatori, le risultanze degli studi sono contraddittorie. Hyman nota che gli intervistatori hanno opinioni e valori conformisti tendono a interpretare le risposte ambigue in maniera coerente con le loro stesse opinioni. L'intervistatore con posizioni minoritarie tende a usare in questi casi la
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