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L'ordinamento della cultura - Roma Tre, Sintesi del corso di Diritto dei beni culturali

Riassunto dettagliato del manuale "L'ordinamento della culturale", utile per sostenere l'esame di Legislazione dei beni culturale della facoltà di Archeologia e storia dell'arte, Roma Tre. Si tratta del riassunto dell'ultima edizione del manuale.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 21/09/2023

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Scarica L'ordinamento della cultura - Roma Tre e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dei beni culturali solo su Docsity! L’ordinamento della cultura Esame di Legislazione dei beni culturali - Roma tre Parte prima: I PRINCIPI CAP 1. UNA STORIA COSTITUZIONALE DELL’ARTE 1. La funzione pedagogica dell’arte 1.1 Il “contagio” dell’arte Arte = valore ⇢ non occorrono strumenti critici per decifrarne la struttura simbolica ma bisogna avere la consapevolezza dei connotati ideologici dell’arte ⇒ forza persuasiva ⇢ tentativi di asservire le attività artistiche a scopi politici ma un’intenzione politicamente orientata può costituire il fermento da cui nasce un’opera, mai la giustificazione esclusiva: forme troppo scoperte (no oblique/indirette) a scapito pregio artistico ed efficacia dell’opera. Arte a compimento nel momento della forma ⇒ la socialità dell’espressione artistica e il suo radicarsi nel tessuto sociale si manifesta attraverso il filtro della mediazione estetica: è la veste formale dell’opera a determinare un urto emotivo che induce ad un coinvolgimento rispetto alla materia elaborata dall’artista che non sarebbe possibile eguagliare ricorrendo a informazioni e ragionamenti astratti⇒ contagio dell’arte (Tolstoj)⇒ valutazione negativa, essendo stati gli artisti più volte ritenuti colpevoli di un effetto di straniamento: - Platone (accusa esercitata nei confronti sofisti) ⇢ mondo fittizio, abitato da idoli e sogni ⇒ distogliere dal vero sapere; - Fomentare passioni in virtù della tendenza all’imitazione che essa desta nel proprio fruitore ≠ educare alla moderazione e al controllo di sé ⇒ rigetto arte = rifiuto del piacere ⇢ per gran parte dell’antichità classica, artisti circondati da clima di ostilità e pregiudizio; - Teoria edonistica dell’arte ⇢ contribuire degradare anziché elevarne lo spirito ≠ funzione educativa richiesta agli artisti messa a frutto sin dai tempi più remoti dell’antichità: a. Grandi religioni per ricerca consenso ⇢ incoraggiate espressioni artistiche capaci di inculcare sentimenti di obbedienza ai precetti divini; b. Primordi cultura greca ⇢ poeta come educatore del suo popolo; c. Ben presto, potere politico: tiranni greci tramite il mecenatismo trovavano una fonte di legittimazione del potere da loro usurpato ⇢ durante la democrazia ellenistica, la tragedia; d. Episodi di funzionalizzazione arte e censura nella storia di Roma; e. Con l’avvento del Cristianesimo, arte come instrumentum regni ⇢ diffusione del cattolicesimo tra le masse popolari⇒ artista lavora con teologo; f. Durante il Rinascimento proclamazione autonomia arte e separazione da metafisica ma comparsa della figure dell’artista di corte ⇒ asservimento di tale condizione come contropartita ai vantaggi economici e sociali + strumento di lotta per il potere tra fazioni rivali ⇢ fino a Rivoluzione Francese. La funzione pedagogica dell’arte ha rischiato spesso di diventarne la tomba ⇒ arte come valore ma non neutrale o equidistante rispetto alla varie componenti della società civile; al contrario questo valore è stato posto al servizio delle forze dominanti ai fini della manipolazione del consenso. NB: l’artista d’avanguardia, eversivo rispetto al blocco di valori tradizionali, esprime la propria opposizione agli stili di vita dominanti attraverso il rifiuto del loro specifico linguaggio, e quindi tramite forme espressive incomprensibili alle grandi masse, perpetuando il suo isolamento in quella sfera separata prevista dal sistema ⇒ arte d’avanguardia diventa così un fenomeno eccentrico (salotto). 1.2 Sulla semanticità dei diversi generi artistici La forza persuasiva eguale in tutti i generi? La misura degli interventi censori o di controllo è del medesimo tenore per ogni forma d’arte? Arti maggiormente esposte ai controlli autoritari sono espressioni artistiche (teatro, letteratura, cinema) che denunciano una diretta parentela con il più comune dei codici simbolici: linguaggio⇒ sua adozione coincide con momento stesso della propria espressione ⇢ verbi, sostantivi e congiunzioni adoperati quotidianamente per comunicare ≠ ciò non implica in ogni caso la comprensione dell’universo simbolico dell’opera. Ciò che deve essere sottolineato nel caso del linguaggio: - Potenzialità di divulgazione delle idee⇒ primazia della parola sull’immagine; - Riproducibilità tecnica dell’opera estende la sfera dei fruitori e quindi la sua risonanza ed efficacia⇒ arti in questione coincidono in buona sostanza con quelle che si esprimono per mezzo del linguaggio ≠ fotografia o registrazione brani musicali. Nel caso del cinema la riproduzione è imposta addirittura da esigenze economiche. L’opera letteraria è più ampiamente comprensibile di quella figurativa o musicale in quanto reca in sé capacità espositive e riflessive del linguaggio ⇒ pittore può rappresentare scena in tutti i suoi dettagli e simultaneamente ma non può scandire i tempi dell’azione, commentare l’antefatto o illustrare lo sviluppo. In aggiunta, l’opera d’arte figurativa, essendo non riproducibile, riveste caratteri di unicità e rarità. Lirica ⇢ il linguaggio non conserva alcun fine espositivo ma si fa suono e canto; suo scopo ⇢ liberare la carica fantastica. Architettura ⇢ arte che più di ogni altra accompagna esistenza quotidiana degli uomini, esprimendone spiritualità e bisogni, incidendo immediatamente sui caratteri di ogni comunità civile. Le capacità simboliche di questa però si arrestano ad un certo punto: strutturalmente è incapace di "esprimere artisticamente qualche cosa di negativo” essendo che non può esprimere toni satirici, tragici o sarcastici. Non può evocare opposizioni agli assetti sociali consolidati ma è condannata a riflettere il risultato dei processi storici di cui è contemporanea. Danza (o pantomima = linguaggio del corpo) ⇢ codice simbolico tra i più facilmente comprensibile, essendo chiunque in grado di decifrare, dinanzi a dei movimenti del corpo, il loro significato. Tali arti si prestano a svolgere importanti funzioni sociali: ex alcune tribù Africa occidentale usano danza per rinsaldare vincoli tra il gruppo per controllarne la criminalità, trattative diplomatiche, celebrazione eventi rilevanti della vita collettiva ecc. No storicamente assoggettate a rigorosi controlli autoritari essendo che fruizione di queste arti circoscritta ad un pubblico poco numeroso. Musica ⇢ arte non verbale e non rappresentativa ma capacità unica, tra tutte le arti, di tradurre con immediatezza sentimenti ed emozioni, coinvolgendo il destinatario. Sfera di incidenza non quella razionale ma “comunicazione delle anime” (Marcel Proust). Estrema libertà del discorso musicale + divincolarsi da ogni costrizione di ordine contenutistico ⇒ valore espressivo della musica (dal momento in cui cessò di essere semplice ornamento della parola) = no contenuto determinato ma piuttosto un susseguirsi di combinazioni, mutamenti, opposizioni che rientrano nel campo puramente musicale dei suoni. Essendo che, in questo senso, la musica sembra prestarsi all’eccessiva discrezione dell’interprete, dovrebbe questo rendere i brani musicali poco adatti farsi portavoce di messaggi politici ⇢ naturalmente, in alcuni episodi della storia, musica assoggettata alla censura per dei generi musicali sgraditi ai detentori del potere politico (ex paesi comunisti o regimi dittatoriali) + capacità pedagogiche della musica sin dall’Antichità (Plutarco educazione musicale parte essenziale formazione guerrieri e per questo curata non di meno delle altre discipline). 1.3 Arte e sistema politico Arte dotata innegabile forza persuasiva ⇒ veicolo privilegiato di comunicazione sociale e di diffusione delle idee. Se non si apprezza la rilevanza sociale dell’arte, risulta arduo comprendere: - le ragioni del trattamento che riceve nel sistema costituzionale dello Stato; rivoluzionario italiano, l’affermazione della libertà d’espressione artistica non corrispose alla presa di coscienza della neutralità dell’arte, ma piuttosto all’istanza di un suo impegno militante in favore dei nuovi ideali liberali. Funzione pedagogica dell’arte fissata in una norma costituzionale ⇢ Art. 299 della Costituzione della Repubblica Napoletana, redatta nel 1799 e mai promulgata ⇒ “Vi sono de’ teatri repubblicani, in cui le rappresentazioni son dirette a promuovere lo spirito della libertà’’ ⇢ Matteo Galdi aveva suggerito di formare dei teatri patriottici in ogni città, ad opera di patrioti riuniti in società di quindici persone per “istruire e allettare il pubblico”. Ben presto, gli antichi governi ripresero il controllo della penisola, e di queste esperienze costituzionali non rimase traccia ⇒ il principio della tutela dell’arte ricevette un debole eco nell’Art. 21 della Costituzione della Repubblica Italiana del 26 gennaio 1802 ⇢ un istituto nazionale avrebbe dovuto incaricarsi di “perfezionare le scienze e le arti”. Nel nuovo clima della Restaurazione, la macchina della censura prese a funzionare a pieno ritmo: erano vietate le parole ‘’Francia’’, ‘’libertà, ‘’tirannide” che furono bandite dal vocabolario per non evocare i fantasmi del passato ⇢ persino gli studi letterari vennero circondati da una rete di divieti e obblighi. 2.4 Il pedagogismo risorgimentale Statuto albertino 1848 (documento costituzionale base dell’ordinamento italiano per circa un secolo) ⇢ alcun accenno alla libertà di creazione artistica. La più generale manifestazione di pensiero parziale ed imperfetta tutela ⇢ “la stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi” (primo comma art. 28) ⇒ Editto sulla stampa del 26 marzo 1848, n. 695 ⇢ abolisce ogni forma di censura preventiva sugli stampati ma con una eccezione, ovvero il secondo comma dell’art. 28, il quale aggiungeva che tutti i libri liturgici e di preghiera (inclusa anche la Bibbia) non potevano essere stampati senza il preventivo permesso del Vescovo. La mancata menzione della libertà d’espressione artistica nello statuto albertino non equivalse ad incuria o indifferenza del nuovo Stato verso i problemi dell’arte. La promozione delle attività artistiche fu rilevante nella progettazione dell’italiano ⇒ al conseguimento di un’autentica coscienza nazionale si rivolse tutta la letteratura civile del Risorgimento, da Alfieri a Foscolo a Manzoni, nonché dal c.d. “pedagogismo risorgimentale”, di cui il Primato morale e civile degli italiani, pubblicato da Gioberti nel 1844, costituì l’espressione più alta ed efficace ⇢ per restaurare la memoria dell’Italia, si volle agganciare alla letteratura sociale, per trasformarlo in elemento civile = stessa cosa per l’arte affinché i suoi principi istruiscano il popolo alle pubbliche rassegne. Il ruolo trainante giocato dalla cultura nel processo d’unificazione, traeva alimento da alcune ragioni di fondo: - la questione della lingua ⇢ invisibile barriera che separava le genti e i popoli della penisola; - necessario superare profonda ignoranza delle masse popolari ⇢ ostacolo per ogni progetto di emancipazione politica. Sin dai primi anni della restaurazione i liberali si preoccuparono di elevare l’istruzione attraverso le scuole di mutuo insegnamento oppure attraverso la “letteratura popolare” che intendeva opporsi a quella di stampo reazionario, in cui venivano esaltate viceversa l’ignoranza e la superstizione. 2.5 La politica artistica dello Stato unitario Le classi dirigenti dell’Italia unita, non mancarono di incoraggiare l’impegno civile delle arti, e alla protezione degli antichi mecenati si sostituì quella dei ministri e delle commissioni giudicatrici dei concorsi ⇢ i temi di questi tratti solitamente da episodi di rilevanza politica nazionale (ex concorso Ricasoli del 1860 ⇢ premio in Fattori per l’autore del miglior dipinto sulla battaglia di Magenta). L’apertura di musei e gallerie pubbliche contribuì ad accelerare il processo di burocratizzazione dell’arte, ma ne agevolò la diffusione tra le masse, consegnando agli artisti numerosi posti di lavoro; e mutavano rapidamente i criteri di formazione professionale e ad impartire l’insegnamento nelle accademie vennero chiamati esperti ed insegnanti specializzati. Nei primi anni del Regno, nel bilancio del ministero di pubblica istruzione v’erano fondi destinati all’incoraggiamento dell’arte e all’acquisto di opere d’arte + il favore con cui lo Stato si rivolse alla condizione degli artisti è comprovato dalla possibilità di ottenere l’esenzione dal servizio militare per quelli vincitori di pensioni ⇢ istituzione di concorsi per l’assegnazione di pensioni di belle arti⇒ benché posti a concorso in numero piuttosto esiguo, comunque opportunità da cui artisti traevano profitto per perfezionarsi nella loro disciplina liberi da urgenze economiche. In seguito queste pensioni ritenute superate e quindi abolite, preferendo altri metodi di incoraggiamento ⇢ premi rivolti in parte agli artisti più giovani, ma soprattutto in base a valutazioni di solo merito, e dunque senza limiti di età ⇒ nel 1881 anche questi vennero soppressi. Regio decreto del 2 luglio 1891, n. 407, si ripristinò il pensionamento artistico (aiuto per giovani efficace a perfezionarsi) + concorsi/premi competenza delle accademie e degli istituti di belle arti. Appartengono alla fine del periodo liberale i primi interventi pubblici nel settore del teatro e delle attività musicali ⇢ già beneficiato qualche forma di sostegno pubblico ma sempre in forme sporadiche e incoerenti, per lo più aiuti economici disposti in favore dei singoli spettacoli. Art. 10, terzo comma, del decreto legge 23 gennaio 1921, n.5 ⇢ finanziamento di 200.000 lire da iscriversi nel bilancio del ministero della pubblica istruzione per scopo specifico della tutela ed incremento dell’arte drammatica e lirica. Nel settore delle attività musicali, tale normativa era stata anticipata dal decreto legge 4 maggio 1920, n. 567, il cui art.18 conferì al Governo la facoltà di imporre un’addizionale ai diritti erariali sugli spettacoli ‘’ allo scopo di dare incremento alla musica, all’arte del canto...’’ ⇢ importo addizionale destinato a vantaggio degli enti autonomi o delle associazioni locali che avessero gestito, senza fini di lucro, un teatro lirico di importanza nazionale. 2.6 La censura nel periodo liberale Nell’arco di tempo compreso tra la proclamazione dell’unità d’Italia e l’avvento del fascismo, norme censorie sugli spettacoli, considerati veicolo di diffusione di idee particolarmente insidiose per la stabilità della convivenza sociale. A una prima legge del 1859 (n. 3720) con la quale si rinviò a norme successive la tutela dell’ordine pubblico e della ‘’moralità’’ nelle rappresentazioni teatrali, fecero seguito la legge di pubblica sicurezza del 20 marzo 1865, che conferiva poteri normativi ai prefetti e alle autorità locali di polizia per la disciplina degli spettacoli teatrali (art.33) e il regolamento d’esecuzione emanato con regio decreto 18 maggio 1865, n. 2336, stabiliva l’onere della licenza anche per singole rappresentazioni, e disponeva il libero accesso della forza pubblica nei luoghi di spettacolo ⇢ nel concedere la licenza alle autorità locali, venne demandata la cura del pudore e della sicurezza pubblica. La legge del 25 giugno 1913 n. 785 e il suo regolamento d’esecuzione, approvato con regio decreto il 31 maggio 1914, n. 532 introducono in Italia la censura cinematografica, estendendola ai film d’importazione. Scopo ⇒ impedire la rappresentazione di ‘’spettacoli contrari al buon costume, alla pubblica decenza, all’ordine pubblico, al decoro nazionale, al prestigio delle pubbliche autorità, o riproducenti scene di crudeltà o atti che possano essere scuola al delitto”. Una più estesa elencazione di divieti contenuta nel decreto 9 ottobre 1919, n. 1953, istituì la censura preventiva sui ‘’copioni o scenari dei soggetti destinati ad essere tradotti in pellicole cinematografiche per la rappresentazione al pubblico,’’ e nel regio decreto n. 531 del 22 aprile 1920, il cui art. 3 vietò la concessione del nulla osta quando si tratti della riproduzione: - di scene, fatti e soggetti offensivi del pudore, della morale, del buon costume e della pubblica decenza; - di scene, fatti o soggetti, contrari alla reputazione o al decoro nazionale o all’ordine pubblico; - di scene, fatti o soggetti offensivi al decoro e del prestigio delle istituzioni o autorità pubbliche; - di scene, fatti o soggetti truci, ripugnanti di crudeltà, anche se a danno animali; di delitti o suicidi impressionanti; operazioni chirurgiche; e in genere di scene, fatti o soggetti che possano essere scuola o incentivo di delitto. La crisi politica precedente al successo del fascismo, impedì una risposta legislativa pronta ed efficace. Entrata in vigore del 19 maggio 1918, del codex iuris canonici, che aggiornò la normativa censoria del diritto canonico ⇢ proibiti, con minaccia di scomunica, i libri osceni, quelli atei o eretici o sacrileghi, nonché le pubblicazioni in difesa di temi disperati quali il duello, il suicidio, la superstizione, l’associazione massonica, il divorzio + immagini sacre, se considerate difformi dalle prescrizioni ecclesiastiche, incorrevano nei rigori della censura⇒ attentato alla libertà dell’arte, perlomeno tra le masse dei fedeli. 2.7 Bastone e carota: la “politica fascita delle arti” Carta del lavoro ⇢ votata dal Gran Consiglio del fascismo il 30 aprile 1927 e trasformata dalle Camere in legge 13 dicembre 1928, n. 2832 ⇒ ‘’le rappresentanze di coloro che esercitano una libera professione o un’arte e le associazioni di pubblici dipendenti concorrono alla tutela degli interessi dell’arte, della scienza e delle lettere” ⇢ inserire gli intellettuali nella scala gerarchica del paese, col ruolo di ‘’collaboratori tecnici della produzione’’. Sebbene scarsezza dati normativi d’ordine generale, no disinteresse da parte del regime nei confronti dell’arte e degli artisti ⇒ il progetto totalitario del fascismo, la sua politica d’integrazione della società civile nello Stato, si saldarono fin dall’inizio col tentativo di guadagnare il consenso degli intellettuali e degli artisti ⇢ Mussolini dichiarò già nel 1923 di “non poter governare ignorando l’arte e gli artisti” in un paese come l’Italia. Nel proseguimento della politica fascista delle arti, ruolo di primo piano svolto da Giuseppe Bottai, ministro dell’educazione nazionale dal 1936 al 1943 (in aggiunta giornalista, docente e letterato) ⇢ affermazione indirizzi di politica artistica del regime. Benché ventennio ricordato soprattutto per l’inasprimento della censura sulle arti, la politica culturale del fascismo non si riassume solamente nell’intervento repressivo ⇢ richiesta partecipazione attiva, militante, degli artisti alla causa del fascismo. Negli anni precedenti si registra una diffusa consapevolezza della capacità d’integrazione raggiunta dal fascismo in ogni settore della vita civile, non ultimo quello dell’arte ⇢ protesta di Croce del 1 maggio 1925 contro contaminazione fra politica e letteratura ma dopo quella data, non altre voci di dissenso essendo stato il regime in grado di costruire una rete di apparati ideologici sempre più diversificati ed efficaci. Mai ricorso ad azioni repressive (roghi di libri e dipinti) sul modello della Germania nazista, respinte fortemente in primis anche da Bottai stesso. Il disegno del regime precedeva piuttosto accattivarsi simpatie di artisti attraverso una trama fittissima di committenze, premi, acquisti opere d’arte da parte dello Stato, mostre frequentate assiduamente, amplia pubblicità offerta dai giornali ⇢ grande mostra della Rivoluzione fascista (a Roma) per celebrazione del decennale⇒ uno dei momenti di più intenso incontro fra artisti e regime. Littoriali della cultura e dell’arte, indetti a partire dal 1934 fino allo scoppio della guerra ⇢ principale strumento di formazione delle generazioni più giovani: concorsi annuali aperti agli studenti universitari iscritti ai GUF, che attraverso selezioni successive, si arrivava a gara nazionale tra i due migliori candidati espressi da ciascun centro universitario ⇢ per molti fu un trampolino per emergere + opportunità d’incontro e di confronto per giovani emarginati causa il provincialismo. Proporzioni dell’intervento su intellettuali e artisti testimoniate dal ritrovamento dell’archivio dei fondi riservati del Minculpop e della Presidenza del Consiglio ⇒ fondi per foraggiare scrittori, giornalisti, sceneggiatori e compagnie teatrali (Quasimodo, Ungaretti ecc) ⇢ regolarità dei versamenti lascia presumere in alcuni casi l’erogazione di una sorta di stipendio ≠ in altri casi cifre destinate all’acquisto di opere di questi artisti reputate utili per la propaganda fascista (ex libri da distribuire nelle biblioteche o nelle scuole). Il governo fascista, in linea con progetto di politica culturale inteso a controllare forze intellettuali del Paese, provvide a potenziare la rete di istituti culturali ereditata dallo Stato liberale, affiancandovene altri di nuova formazione ⇢ Istituto nazionale fascista di cultura (no frutti sperati) e Istituto di studi romani (alone di prestigio culturale il mito fascista della romanità) + Enciclopedia italiana (Treccani) + Opera nazionale dopolavoro (più vasta e capillare, di gran lunga più efficace ⇢ stimolare attività artistiche degli associati ⇒ Carro di Tespi, un teatro ambulante, sorto con l'intento di rappresentare spettacoli teatrali anche nei piccoli centri di provincia). L’azione per l’arte si intensificò negli anni immediatamente precedenti l’ingresso in guerra ⇢ nei tempi più cupi di intransigenza politica e repressione razziale, d’inasprimento della censura sulle opere artistiche (no consone e in statali, come affermò Aldo Moro durante la seduta del 18 ottobre 1946, ma fu Togliatti nella medesima seduta a precisare che i due concetti erano assolutamente separati. Il secondo enunciato normativo mirava ad amputare un’eventuale competenza regionale in questo campo. Quanto alla promozione del lavoro artistico e scientifico, primo accenno nell’intervento di Pignedoli durante seduta del 22 aprile 1947, tradotto poi in un emendamento sottoposto al voto dell’Assemblea costituente ⇢ “la Repubblica protegge e promuove con ogni possibile aiuto la creazione artistica e la ricerca scientifica”⇒ no dibattito, Pignedoli argomentò attraverso esigenza di porre un argine alla fuga dei ricercatori dall'italia + cenno al difficile rapporto fra promozione e libertà della cultura, osservando che la prima serve ad integrare la secona, senza spiegare come, con quali limiti, a quali condizioni. 30 aprile 1947 intervento di Firrao⇒ trapela per la prima volta consapevolezza che progresso tecnico e scientifico postula mezzi finanziari ben superiori alle risorse di cui dispongono i singoli studiosi ⇢ necessità di invocare soccorso dello Stato. 24 aprile 1947 intervento del socialista Paolo Rossi ⇢ “l’arte e la scienza sono la libertà stessa nella sua forma più alta: dire che arte e scienza sono libere è come dire che la libertà è libera!” + un altro socialista Treves ribadì l’espressione artistica e quella scientifica ‘’si deprimano e si umilino’’ formandone oggetto d’una specifica garanzia costituzionale. L’argomento decisivo dei costituenti riecheggiava la condizione cui era stata sottoposta la cultura durante gli anni del fascismo, con la volontà di non voler ripetere mai più quella parabola. Era avvertita l’esigenza di non sottrarre dignità al testo che s’andava elaborando, sovraccaricandolo di elementi minori e di dettaglio. 3. Disgrazia e fortuna dell’art. 9 È decisivo constatare come la svalutazione dell’art.9 cost. riecheggi in tutti i commenti dati alle stampe durante: - anni ‘50: da Crosa a Mazzotti di Celso ⇢ articolo in questione non ospita precetti normativi, bensì dichiarazioni di ‘’valore etico-politico’’ e perciò sprovviste di qualsiasi effetto normativo; - anni ‘60: Spagna Musso ⇢ il secondo comma dell’art.9 Cost. non è che una ripetizione di quanto già stabilito al primo comma; De Valles ⇢ ribadisce difetto di qualità giuridica, poiché l’art.9 Cost. rientra fra le norme che ‘’ non hanno, né possono avere una sanzione’’. All’alba degli anni ‘60, concorsero due distinti fattori: 1. Inedita preoccupazione per tutela dell’ecosistema ⇢ ambientalismo trovò in quella dichiarazione costituzionale il proprio ombrello normativo. Prederi ⇒ leggere il “paesaggio” evocato dall’art. 9 come “forma del paese”, in favore di una nozione di tipo ambientalista dei beni naturali. 2. Promozione culturale ⇢ primo avvio dell’esperienza regionale, scandita dal varo dei nuovi statuti, e da una legislazione sempre più fitta e articolata. Le carte statutarie delle regioni ad autonomia differenziata recavano qualche accenno alle funzioni d’incentivazione culturali ⇒ le regioni di diritto comune approfittarono di questa stagione statutaria per rivendicare a sé stesse un ruolo attivo, sia di gestione che di promozione culturale, e al di là dei limiti testuali dettati dall’art.9 cost. Quest’ultima disposizione venne sottoposta a una lettura estensiva, fino a concepire il progresso culturale delle comunità regionali come ‘’obiettivo preminente’’ della regione ⇢ assicurando alle associazioni culturali il diritto a contribuire alla determinazione della politica regionale + prospettando intervento regionale nel campo della cultura come strumento di riscatto dell’arretratezza in cui versano le popolazioni regionali. La successiva legislazione regionale raccolse il seme deposto nelle dichiarazioni statutarie ⇢ da qui un intervento normativo capillare, ben oltre lo spazio riservato alle regioni dall’art.117 Cost., che nella formulazione originaria ne comprimeva le attribuzioni alla sola cura dei ‘’musei e biblioteche di enti locali’’. Negli anni 70 da parte regionale e da parte dello Stato, l’azione d’impulso culturale era ormai entrata nell’orizzonte pubblico, nel campo d’intervento culturale consegnato ai pubblici poteri ⇒ questo impulso si deve a Giovanni Spadolini, in un primo tempo designato ministro senza portafoglio per i Beni culturali, poi promotore di un decreto legge (1974 e poi trasformato in legge nel 1975) che introdusse in Italia il ministero per i Beni culturali e ambientali. 4. Per una ricostruzione del modello costituzionale In un saggio apparso qualche anno dopo l’entrata in vigore della Costituzione , Norberto Bobbio tracciò distinzione fra politica della cultura e politica culturale: - la prima intesa come “politica degli uomini di cultura in difesa delle condizioni di esistenza e di sviluppo della cultura” ⇢ solo questa nozione può essere in sintonia con i principi di un ordinamento liberale. - la seconda come “pianificazione della cultura da parte dei politici” ⇢ tutte le iniziative promosse dai rappresentanti del potere politico in ambito artistico, religioso, educativo e scientifico e nei settori dei mezzi di comunicazione e del tempo libero. Come si combina a propria volta l’art. 9 Cost. con la dichiarazione introdotta dall’art. 33, dove si afferma che arte e scienza sono (e devono restare) libere? Ogni attività promozionale è intrinsecamente selettiva: postula, cioè la scelta dei settori sui quali intervenire, delle modalità d’intervento, degli obiettivi a cui esso si rivolge. Se lo Stato (o la regione) ha da spendere un milione di euro per valorizzare le creazioni artistiche, dovrà decidere se destinarlo al cinema o alla musica o alla letteratura, e comunque quanta parte all’una e all’altra, e all’interno di ogni disciplina quali tendenza meritano maggiormente il supporto finanziario e quali autori e quali opere dovranno poi in concreto intascare la misura di sostegno. C’è un altro punto di frizione tra libertà e promozione culturale: questo perché lo statuto ontologico della cultura parrebbe ribellarsi a ogni sorta di pianificazione. Si può programmare l’intervento pubblico sull’economia, non sulle creazioni artistiche. In terzo luogo, il sostegno pubblico alle espressioni artistiche e scientifiche rischia non di arricchirle bensì d’impoverirle, di asservirle al sistema politico e di negarne alla radice la funzione critica. Rischia d’introdurre in altri termini una forma di condizionamento o di ‘’censura’’ obliqua e sotterranea, ma non perciò meno efficace di quella apertamente praticata. Come può sciogliersi la contraddizione? Come si compongono autonomia della cultura e domanda di sostegno? Si pensi al cinema o alla ricerca di base, che richiedono ambedue mezzi finanziari quasi sempre superiori alle capacità di spesa dei singoli individui; o si pensi alle correnti artistiche e scientifiche meno ortodosse, fuori dai circuiti del mercato. Risposta ⇢ l’intervento pubblico si giustifica solo in quanto esso riesca ad alimentare il pluralismo, la pluralità delle espressioni culturali. Anche la cultura, ha bisogno di concorrenza per spiegare al meglio tutte le sue potenzialità, mettendole al servizio del più generale sviluppo del paese. In questo senso, la missione dell’intervento pubblico è di tipo suppletivo, di riequilibrio in favore delle energie intellettuali più deboli e depresse⇒ esattamente questo il mandato che la Costituzione assegna ai poteri pubblici. Regioni a garanzia del pluralismo ⇢ doppia esigenza, difficile bilanciamento tra libertà e sviluppo, tra autonomia dai poteri pubblici e sostegno dei poteri pubblici. Ruolo importante riguardo impulso alla creazione artistica e scientifica - dunque in relazione attività culturali - e tutela dei beni culturali, ossia il patrimonio storico e artistico⇒ bene culturale quasi sempre radicato in un determinato territorio, in un particolare ambiente sociale, del quale testimonia la cultura ⇢ sua conservazione costituisce dovere (anche potere) da parte della popolazione interessata. Nonostante l’opposto avviso che prevalse in Assemblea costituente, le regioni hanno un ruolo nell’attività di promozione culturale, e infatti la nuova formula dell’art.117 Cost. attribuisce alla loro potestà legislativa concorrente sia la promozione che l’organizzazione della vita culturale. Spetta al legislatore il compito d’identificare i campi della politica culturale, nonché la strategia dell’intervento; ma tocca agli esperti del settore l’ultima parola circa la distribuzione delle risorse all’interno del campo già selezionato ⇢ autonomia dell’arte e della scienza davvero rispettata in quanto resi protagonisti del giudizio culturale i suoi destinatari stessi. 5. Le distorsioni della prassi La traduzione nella prassi di questo modello, che si estrae dal quadro costituzionale, non si è mai compiuta totalmente. - Ausilio di esperti ⇒ teoricamente affidategli per intero ogni valutazione di pregevolezza artistica e scientifica + esperti designati da altri esperti, secondo metodo della cooptazione ≠ loro nomina quasi sempre in mano alla politica, agli organi inseriti nel circuito dell’indirizzo politico statale o regionale. - Graduale assorbimento di antiche (e in passato indipendenti) istituzioni culturali nell’orbita dell’indirizzo governativo (ex Biennale di Venezia, trasformata da ente autonomo con personalità giuridica di diritto pubblico, in persona giuridica privata, cui partecipano il ministero della cultura, la Regione Veneto, la provincia e il Comune di Venezia). - Contaminazione fra ragioni dell’arte e quelle di mercato (ex nuova legge sul cinema e audiovisivo (n. 220/2016), che lega misura contributi automatici alla solidità economica dell’impresa cinematografica, nonché agli incassi ottenuti nell’anno precedente ≠ nel disegno costituzionale promozione della cultura rivolta ad espressioni culturali periferiche e non ai prodotti di cassetta che non ne avrebbero nemmeno bisogno). - Contributi selettivi ⇢ destinati alle opere di giovani autori, a film realizzati con modeste risorse finanziarie. Essi sono assai modesti, attestandosi su una percentuale del 5,3 % del Fondo per il cinema e l'audiovisivo ⇢ ex 2021 stanziati circa 33 milioni di euro per contributi selettivi, a fronte di una consistenza complessiva del Fondo di circa 636 milioni. CAP 3. LA LIBERTÀ DELL’ARTE E DELLA SCIENZA 1. Definizioni e inquadramento costituzionale La libertà dell’arte e della scienza conosce due principali poli di attrazione costituzionale: - Art. 9 Cost: 1 Comma ⇢ “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica”; 2 Comma ⇢ “tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione”; 3 Comma ⇢ “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela di tutti gli animali”. - Art. 33 Cost ⇢ “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”. Il tribunale costituzionale (sentenza n. 256 del 2004) ritiene che questi due articoli esprimano valori di fondamentale rilevanza costituzionale. Estremamente difficile definire arte e scienza: - Arte ⇢ visione del mondo che si esplica nel realizzarsi di forma o manifestazione nel reale nel linguaggio della metafora, non è più un traguardo dell’eccezionale, ma apertura interpretativa dell’immaginazione individuale a una molteplicità di significati possibili. - Scienza ⇢ complesso di attività volte a riconoscere il reale secondo regole metodologiche che verificano i risultati delle ipotesi formulate alla luce dell’esperienza; o da un altro punto di vista il sistematico succedersi di teorizzazioni che rende tutte le leggi scientifiche ipotetiche e congetturali. Da una parte si smarrisce la pretesa di una definizione ‘’oggettiva’’ di arte e scienza e di controverso all’interno dell’ordinamento giuridico, le nozioni in esame non potranno che risultare aperte a un ventaglio di definizioni assai estensivo. L’arte e la scienza hanno necessità di essere assicurate e garantite nelle loro divulgazioni e nel loro insegnamento. Per conseguire un’espressione artistica originale o un nuovo ‘asserto’ scientifico va promossa e incoraggiata nella sua formazione dalle pubbliche autorità nel nome della libertà individuale e del pluralismo. 2. I limiti alla libertà artistica CAP 4. LA LIBERTÀ D’INSEGNAMENTO 1. Caratteri generali Libertà d’insegnamento rappresentata solitamente come”prosecuzione ed espansione” della libertà scientifica ed artistica. - Insegnamento ⇢ complesso di attività, scolastico e non, attraverso cui il docente divulga e trasmette cultura; - Istruzione (attività + risultato) ⇢ insieme di insegnamenti organizzati e coordinati al fine di rendere istruiti i discenti. Insegnamento strumento elettivo ma non esclusivo per il conseguimento dell’istruzione ⇢ si affianca studio e ricerca + istruzione anche al di fuori delle comunità scolastiche: ex ruolo della famiglia. - Scuola ⇢ apparato organizzativo composto da elementi materiali, tecnici e personali (comunità di docenti e discenti) in cui l’insegnamento si esplica. La radice della libertà d’insegnamento sta nella libertà di manifestazione del pensiero ⇢ tale libertà attiene sia ai metodi sia ai contenuti dell’insegnamento stesso, che è personale, individuale e irrinunciabile. Istruzione e convivenza civile camminano di pari passo ⇢ quando si svolge nell’ambito scolastico, l’insegnamento deve essere rispettoso degli obiettivi prefigurati dal legislatore, pur nella discrezionalità delle modalità tecniche con cui perseguire l’obiettivo dell’istruzione. Le conseguenze della sua inosservanza possono arrivare all’esclusione dall’insegnamento. Un’istruzione avanzata non può limitarsi a trasmettere nozioni senza preoccuparsi della formazione dei destinatari in quanto persone ma libertà d’insegnamento non può significare libertà di proselitismo (cerca di convertire o coinvolgere altri individui a una certa religione o altra dottrina) in ragione della pubblica funzione esercitata ⇒ libertà docente = libertà discente ⇢ libertà di pensiero e non di propaganda politica, che resta legittima come privato cittadino ma non nell’ambito di un pubblico insegnamento. Obiettivo prioritario dell’istruzione in un ordinamento democratico ⇒ formazione di una coscienza individuale critica, aperta e dunque libera ⇢ la cultura deve liberare e non incatenare. 2. Diritto all’istruzione e diritto allo studio La Costituzione (art. 33, comma 2) affida alla Repubblica il compito di dettare le norme generali sull’istruzione, fissando regole dirette a tutte le istituzioni scolastiche, sia pubbliche sia private + obbligo di garantire l’istruzione mediante l’istituzione di scuole statali per tutti gli ordini e i gradi⇒ principio cardine uguaglianza nell’accesso alla scuola. L’istruzione non può essere lasciata ai privati ⇢ necessario porre in piedi strutture qualitativamente e quantitativamente in grado di assicurarne una effettiva capacità di scelta alle famiglie, oltre che la migliore fruizione a tutta la popolazione scolare. Diritto all’istruzione ⇢ quella inferiore (“obbligatoria e gratuita”) deve essere impartita per almeno otto anni + “capaci e meritevoli” diritto di conseguire i gradi più alti degli studi⇒ Costituzione obbligo di prestazioni da parte dello Stato, attraverso sistema di sostegni finanziari, per abbattere sia i costi dell’istruzione superiore, che non è obbligatoria, nè gratuita, sia di quella universitaria. Il diritto all’istruzione va tutelato malgrado ogni possibile ostacolo e i padri della Costituzione erano consapevoli che la radice delle disuguaglianze sociali stava nel gap delle posizioni di partenza, dovute al disagio economico dei consociati, superabile solo attraverso prescrizioni idonee a garantire l’effettività dell’istruzione a tutti i cittadini. Scuola non più un privilegio di pochi ma un diritto di tutti ⇒ superamento definitivo della concezione democratica meramente formale, di matrice ottocentesca. 3. Il pluralismo scolastico Pluralismo scolastico ⇢ coesistenza di scuole pubbliche e private⇒ consentire libera scelta ai cittadini del modello di istruzione preferito. Tali scuole, non statali, possono essere: - “paritarie” ⇢ parità riguardo i titoli rilasciati + piena libertà culturale; - “non paritarie”; - “straniere”. Progetto formativo risponde a specifica scelta ideologica, religiosa o morale (caso Cordero) ⇢ negare ammissione a quegli studenti che tali indirizzi non condividono. Art. 33, comma 3 ⇢ il diritto di istituire scuole private da parte di enti o di singoli individui va esercitato senza oneri per lo Stato. Alle scuole paritarie assicurata la piena libertà per quanto riguarda l’orientamento culturale e l’indirizzo pedagogico - didattico ≠ insegnamento improntato ai principi di libertà stabiliti dalla Costituzione + svolgendo un servizio pubblico, devono accogliere chiunque richieda di iscriversi, compresi gli alunni e gli studenti con handicap, i quali ovviamente devono accettare il progetto educativo. Università ⇢ diritto di darsi ordinamenti autonomi e quindi di governarsi liberamente, nei limiti però stabiliti dalle leggi dello Stato. Qui la libertà d’insegnamento assume connotati peculiari per la specificità dei fini istituzionali, didattici e insieme di ricerca. CAP 5. LA TUTELA DELLA LINGUA C’è spazio per una politica linguistica orfana di una legislazione linguistica? La legge è il veicolo della decisione politica, quindi senza una legge non c’è nemmeno politica. Tuttavia, le stesse lacune normative possono riflettere una scelta dell’astensione da parte dei poteri pubblici in campi consegnati all’autonomia privata + leggi devono rispondere a un progetto, a una trama preordinata. Analisi su quattro livelli: Primo livello: Resoconto degli interventi normativi che si sono succeduti dalla Costituzione in poi, rispetto alla tutela e alla valorizzazione della lingua italiana, alla salvaguardia dei suoi caratteri essenziali, alla sua diffusione. Escludendo le normative sull’istruzione primaria e secondaria, che ovviamente prevedono l’insegnamento della lingua italiana, si ha una lacuna che probabilmente riflette un’identità nazionale debole, incerta sui suoi stessi connotati, fin dagli esordi dello Stato unitario. Durante la parentesi fascista, venne messa in atto una politica linguistica nazionalista ed aggressiva, punteggiata da interventi punitivi verso le lingue delle minoranze etniche, dalla lotta ai forestierismi e agli esotismi, dal mito della purezza della lingua italiana. Nella legislazione dell’età repubblicana il vuoto, presumibilmente per una reazione di rigetto verso gli eccessi del fascismo. Ciò non significa che ordinamento repubblicano esente del tutto di norme sulla lingua italiana ⇢ impossibile essendo la lingua più potente elemento di cultura e perché ogni ordinamento giuridico statale non può che riflettere cultura nazionale: - Quantità di leggi e di regolamenti che prevedono uso dell’italiano come un onere per avvalersi di talune prestazioni pubbliche; - Italiano imposto da molte disposizioni sui pubblici uffici risalenti al periodo statutario e che la Repubblica italiana ha ereditato senza abrogarle e correggerle; - Atti normativi che stabiliscono l’uso dell’italiano nell’etichettatura dei prodotti alimentari; - Provvedimenti normativi per le modalità di redazione dei fogli informativi che accompagnano svariati tipi di prodotti, dai giocattoli ai mezzi di sollevamento ecc; - Obbligo per redazione dei contratti di massa, dalle assicurazioni sulla vita a quelli dei consumatori. Non si tratta di una vera e propria politica linguistica ⇢ no lingua per oggetto, si curano piuttosto di tutelare il contraente debole, di proteggere interesse dei consumatori ⇒ pubblico potrebbe essere ingannato da offerte incomprensibili + esigenze organizzative, facilitare controlli amministrativi e più in generale il buon funzionamento dei servizi pubblici. C’è solo una responsabilità politica o vi si affianca una scelta giuridica di fondo in questo atteggiamento distratto o negligente nei riguardi della lingua? Effettivamente in Italia manca l’elemento propulsivo: la norma costituzionale ⇢ alcuna disposizione che riconosca l’italiano come lingua ufficiale. - Non esiste un indirizzo costituzionale europeo univoco: 14 paesi dell’Unione fanno spazio alla lingua nelle loro Carte costituzionali ma altri 13 (anche Germania) continuano a tacere; - non vero che nostro ordinamento del tutto spoglio di fonti costituzionali circa il ruolo della lingua italiana, ad eccezione Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige, il primo con riferimento più indiretto e il secondo con affermazione esplicita; - benché manchi specifica disposizione nel testo costituzionale, il contesto non si presta ad equivoci ⇢ “Costituzione conferma per implicito che il nostro sistema riconosce l’italiano come unica lingua ufficiale, da usare obbligatoriamente, salvo le deroghe disposte a tutela dei gruppi linguistici minoritari” ⇒ scritta in italiano; - esiste una legge ordinaria, la n. 482/1999, dove l’italiano dichiarato lingua ufficiale della Repubblica ⇒ legge ricognitiva ed interpretativa di un principio costituzionale; - nella prassi parlamentare della Repubblica italiana l’italiano è già lingua ufficiale ⇢ se qualche parlamentare interviene pronunciandosi in dialetto, il presidente di turno gli toglie la parola; - Montesquieu: “Le leggi inutili indeboliscono le leggi necessarie” ⇢ meglio il silenzio di una riforma di carta, perché quest’ultima finisce per corrodere l’autorità e il prestigio della Costituzione. 26 luglio 2000 Camera approva in prima lettura riformulazione dell’art. 12 per aggiungere alla protezione costituzionale della bandiera quella della nostra lingua (+ anche altre legislature) ma senza mai essere discusso. Sede più adatta per il riconoscimento costituzionale della lingua, ammesso che sia davvero necessario, è l’art. 9, ovvero disposizione che la nostra Carta destina alla cultura essendo la lingua un bene culturale, il più insostituibile ⇢ questa collocazione amputerebbe alla radice il rischio di fraintendere la tutela costituzionale della lingua, scambiandola per un segnale d’imperialismo culturale, magari a scapito delle minoranze storiche ospitate sul nostro territorio. Secondo livello: Esame della legislazione di sostegno alle minoranze linguistiche, che la Carta del ‘47 protegge espressamente. Fra costituenti viva memoria della politica fascista contro popolazioni dei territori conquistati all’indomani della Grande Guerra⇒ necessità marcare un segno di discontinuità. Art. 6 ⇢ presidente della Commissione dei settantacinque obiettò il fatto che il nuovo testo costituzionale faceva già spazio al principio d’eguaglianza senza distinzione di lingua ma per la maggioranza si trattava di forgiare una tutela in positivo, di promozione delle identità locali. Da qui la sua applicazione alle minoranze “volontarie”, ossia tali perché scelgono esse stesse di non farsi assimilare dalla maggioranza, distinguendosi peraltro dalle minoranze “necessarie”, che viceversa restano separate e disgregate per volontà della maggioranza. Ma da qui, problemi: - Il concetto stesso di minoranza “linguistica” pone esigenza di distinguere le lingue dai dialetti; - la tutela costituzionale si presta a venire declinata attraverso due sistemi differenti: a. bilinguismo ⇢ minoranza francofona della Valle d’Aosta ⇒ ci si rivolge alle autorità pubbliche sia in italiano sia in francese + insegnamento dovrebbe essere impartito in ambedue le lingue. Comporta il rischio d’annegare le differenze culturali; b. separatismo linguistico ⇢ tedeschi dell’Alto Adige ⇒ diritto di insegnanti madrelingua. Rischio di acuire tensioni fra i diversi gruppi. - per applicare questa normativa di favore bisogna misurare appartenenza all’uno o all’altro gruppo ⇢ strumento del censimento linguistico ⇒ fattore di discriminazione + problemi di veridicità + lesione al principio costituzionale che prospetta adesione a ogni gruppo linguistico su base volontaria; - in che modo la diversa consistenza delle minoranze linguistiche, la loro forza politica, il radicamento in un territorio circoscritto può giustificare la disparità di trattamento fra l’una e l’altra minoranza? Il gruppo Questa incontrò molti dissensi ⇢ poiché il Trattato parla di sviluppo della “cultura” degli Stati membri, nel mentre vieta la possibilità di omogeneizzazione della normativa interna, ciò escluderebbe la promozione di un’unica cultura europea + idea che in nome di una fruizione collettiva, bisogna prescindere dal tradizionale approccio territoriale nella tutela dei beni culturali. Nonostante riconosciuta nel dibattito l’efficacia determinante che un’identità culturale propriamente europea recherebbe al raggiungimento di tutti gli obiettivi istituzionali che l’Unione si è data, non pare che l’Unione sia riuscita ad andare molto al di là di una visione essenzialmente “addizionale” dei retaggi culturali nazionali degli Stati membri. I patrimoni culturali di questi intesi come pars di un mosaico, una summa che coincide con il patrimonio culturale europeo. 4. Un modello culturale fluido Dopo il 1992, non sono affatto mancati interventi comunitari destinati, direttamente o indirettamente, a conseguire un accostamento dei regimi culturali nazionali ⇢ attraverso adozione di strumenti di cooperazione fra gli Stati membri che, essendo rivolti a favorire la pubblica fruizione dei beni e la conoscenza delle normative nazionali, finiscono per incidere su tutti i piani funzionali classici dei beni culturali. Emerge un modello più fluido e variegato, un modello che, nel mentre rispetta le differenze nazionali e regionali in materia, nello stesso tempo valorizza sempre più gli elementi di riavvicinamento e coesione fra le comunità degli Stati membri, nel nome di quel “retaggio comune” che, se ha unito l’Europa in relazione alle merci e ai mercati, non può non farlo dal punto di vista della cultura. Tra i vari interventi: - promozione mobilità interna all’Unione per rafforzare senso di appartenenza (antichissima tradizione continentale); - individuazione annuale della “Capitale europea della cultura” ⇢ partita come iniziativa intergovernativa nel 1985 (prima capitale Atene) e poi successivamente trasformata in un’azione comunitaria ⇒ contribuire a migliorare la comprensione reciproca tra i cittadini, oltre che di valorizzare la ricchezza, la diversità e “le caratteristiche comuni delle culture europee”; - “Itinerari culturali europei” promossi dal Consiglio d’Europa sin dal 1987⇒ promuovere consapevolezza di un’identità culturale fondata su un insieme di valori condivisi, incentivando itinerari che ripercorrono la storia delle influenze, degli scambi e dell’evoluzione delle culture in Europa; - Creatives Unite, lancio da parte della Commissione nel 2020, in piena emergenza sanitaria dovuta alla pandemia ⇢ piattaforma online dedicata agli artisti e agli operatori del settore culturale, per condividere informazioni e buone pratiche sulle misure e sulle iniziative del settore, in risposta alla crisi legata all’emergenza. Si è affermata una articolazione di interventi in materia culturale che, senza negare le peculiarità degli Stati membri, finisce inevitabilmente col rafforzare il senso di appartenenza di un'identità comune. 5. Alla ricerca di un patrimonio culturale dell’Unione La nozione di “patrimonio culturale di importanza europea” obbliga ad un tentativo di ricostruzione ma per provare a raggiungere questo esito bisogna sgombrare il campo dagli equivoci e chiarire cosa non è un patrimonio culturale di importanza europea. Non si possono privilegiare le manifestazioni culturali di un Paese membro a discapito degli altri o di imporre il monopolio di una cultura europea omogenea e uniforme per tutti ⇒ la ricchezza culturale dell’Europa sta esattamente nella varietà e molteplicità delle sue manifestazioni nei vari livelli territoriali che la compongono ⇢ no cultura europea intesa in modo uniforme ed esclusivo + no ammissibile politica culturale europea interpretata come pianificazione culturale al servizio dell’autorità sovranazionale. Fermo restando il rispetto dell’Unione delle peculiarità degli ordinamenti, vi sono spazi per l’individuazione di una cultural rilevancy non meramente sommatoria dei patrimoni nazionali, bensì indirizzata a quei beni intesi come qualificanti per la comune civiltà continentale. Tra le proposte: - Marchio per il patrimonio culturale europeo, proposto dalla Commissione nel 2010, per dare rilievo ai luoghi che celebrano e simbolizzano “l’integrazione, gli ideali e la storia dell’Europa”; - Convenzione di Faro ⇢ sottoscritta nel 2005, sul valore del patrimonio culturale per la società ⇢ definisce patrimonio comune dell’Europa tutte le manifestazioni che costituiscono nel loro insieme una fonte condivisa di ricordo, comprensione e identità. 6. Unità nella diversità: le identità concentriche del demos europeo Nel Trattato si afferma che la Comunità contribuisce al pieno sviluppo delle culture degli Stati nel rispetto delle loro diversità nazionali e regionali ma queste diversità non escludono altre “appartenenze”. Nel corso degli anni, da una comunità internazionale che si muove nel rispetto della diversità, si è transitati ad una comunità che agisce per il rispetto delle diversità. 7. Nation building e retaggio culturale comune Nazione europea che si autopercepisce come sintesi di generazioni passate, presenti e future, e che si traduce nella volontà di vivere in un quadro di principi e valori condiviso. Un’identità ancora in evoluzione, ma sicuramente già acquisita sul piano di principi come la sovranità popolare, l’uguaglianza, i diritti inviolabili, la tutela delle minoranze e il pacifismo. La nation building europea è un cammino lento e dagli esiti ancora assai incerti ⇢ successo dipenderà dalla capacità di aggregazione della civitas europea intorno alle proprie migliori eredità culturali ⇒ bisogno di un patrimonio culturale direttamente figlio dell’Unione, nel nome di tutti i valori sopra citati: il giorno che accadrà non avremo solo un patrimonio culturale dell’Unione ma l’Europa unita stessa. Parte seconda: LE REGOLE CAP. 7 LO STATUTO DEI BENI CULTURALI 1. Profili storici della legislazione sui beni culturali Prime misure di tutela del patrimonio culturale italiano risale agli Stati preunitari e caratterizzate da una preoccupazione univoca e costante ⇢ contrastare spoliazione dei beni artistici e archeologici, impedendone, o almeno limitandone, il trasferimento all’estero. Nascita della normativa di tutela sui beni culturali con alcuni provvedimenti adottati in Toscana agli inizi del sedicesimo secolo: - 1571 ⇢ divieto di rimozione di insegne e iscrizioni dai palazzi antichi; - 1602 ⇢ formalmente proibita l’esportazione dei dipinti senza la concessione della licenza da parte del “luogotenente dell’accademia del disegno”. Nella normativa di salvaguardia del Settecento emerge la natura frammentaria e repressiva dei provvedimenti adottati. Editto Pacca ⇢ emanato a Roma, sotto il pontificato di Pio VII, nel 1820 ⇒ per la prima volta un provvedimento organico di salvaguardia dei beni artistici e storici: - disposte misure molto restrittive contro la spoliazione delle raccolte artistiche capitoline (sofferto durante periodo napoleonico); - divieto di esportazione dalla capitale all’interno dello stesso Stato pontificio; - regole per la conservazione e il restauro dei beni; - regole per modalità di accertamento della consistenza dei patrimoni; - regole per catalogazione degli oggetti d’arte situati nelle chiese ed edifici assimilati. Il conseguimento dell’unità d’Italia nel 1861 no miglioramento ma semmai costituì una pericolosa inversione di tendenza rispetto alle misure, sia pure solo conservative, faticosamente raggiunte nel corso della prima metà dell’Ottocento ⇢ dispersione del patrimonio non si arrestò per nulla⇒ le forti resistenze politiche che una disciplina vincolistica dei beni culturali incontrò in seno alla classe dirigente dell’epoca. Ma perché? Nell’art. 29 dello Statuto albertino: “tutte le proprietà, senza alcune eccezione sono inviolabili” ⇢ la classe governativa non andava oltre il riconoscimento dell’antichissimo principio del rispetto dell’ornato della città, inteso come divieto di trasformazione o demolizione di edifici urbani, se di grande pregio artistico ≠ al bene culturale no riconosciuta necessità di una specifica regolazione perchè già sottoponibile alla disciplina negoziale prevista dal codice civile ⇢ suo valore essenzialmente quello offerto dal mercato. Svolta importante con la legge Rosadi (l. 20 giugno 1909, n. 364): - ampliò ambito dei beni culturali (anche codici, manoscritti, stampe, incunaboli etc); - stabilì doppio regime giuridico per quanto riguarda il trasferimento dei beni: a. inalienabilità se appartenenti allo Stato e ad enti pubblici e privati; b. obbligo di denuncia per ogni trasmissione dei beni appartenenti a privati, in ogni caso con previsione del diritto di prelazione a favore dello Stato. Ministro Giuseppe Bottai due leggi dedicate alle cose d’arte e alle bellezze naturali: - l. 1 giugno 1939, n. 1089: a. assicurato, per sessant'anni, protezione del patrimonio culturale, allargando notevolmente la tutela amministrativa delle cose immobili o mobili di interesse artistico, archeologico o etnografico; b. ministero facoltà di provvedere direttamente alle opere necessarie per assicurare conservazione ed impedire deterioramento delle cose d'interesse artistico e storico; c. ammessa espropriazione dei beni mobili e immobili se di interesse in relazione alla conservazione o all’incremento del patrimonio nazionale. - l. 29 giugno 1939, n. 1497. Nonostante portata radicalmente innovativa della Carta costituzionale, che comprende tra i fini essenziali dello Stato la promozione e lo sviluppo della cultura, i primi anni di regime repubblicano connotati dal silenzio del legislatore sulla materia ⇢ i pericoli in questa fase non sono rappresentati più dalla dispersione del patrimonio, quanto piuttosto da un’espansione urbanistica incontrollata e da un’insufficiente conservazione delle raccolte pubbliche. Nuova fase della politica culturale si aprì con istituzione della commissione d’indagine per la tutela delle cose di interesse storico, archeologico, storico e del paesaggio, nel 1964, con la commissione Franceschini, la quale registrò condizioni drammatiche in cui versava patrimonio culturale italiano: devastazione antichi siti archeologici, insufficiente catalogazione dei beni storici e artistici, impossibilità di provvedere al restauro delle opere d’arte, la carenza di sicurezza e custodia dei musei etc. Nella relazione finale diverse proposte d’intervento, articolate in 84 dichiarazioni, che coprivano intera materia dei beni culturali. Prima dichiarazione ⇢ il bene culturale inteso come ogni bene “che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà”. Negli anni successivi ai lavori della commissione, il legislatore no uscito al di fuori di una politica episodica e localizzata territorialmente, principalmente finalizzata a far fronte all’emergenza. Anni ‘90 secca inversione di tendenza rispetto all’inerzia del passato, per due ragioni: - forte spinta innovativa esercitata dalle fonti comunitarie, nel contesto della creazione di un mercato interno senza frontiere per la libera circolazione; - consapevolezza della necessità di una nuova disciplina dei beni culturali, improntata all’apertura nei confronti della società civile e ad un modello di relazione “cooperativa” tra centro e periferia. a. le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1; b. gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati che rivestono interesse storico particolarmente importante; c. le raccolte librarie, appartenenti a privati di eccezionale interesse culturale; d. le cose immobili (anche mobili) a chiunque appartenenti che rivestono un interesse particolare a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, letteraria, artistica, scientifica e tecnica, industriale e culturale in genere; e. Le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti e che per rilevanza artistica(..storica, archeologica....) rivestano un eccezionale interesse. 4. Elenco esemplificativo dei beni culturali: a. le cose che interessano la paleontologia, preistoria e le primitive civiltà; b. le cose d’interesse numismatico che abbiano carattere di rarità o pregio; c. manoscritti, autografi, libri, stampe e incisioni, con relative matrici aventi carattere di rarità e pregio; d. carte geografiche e spartiti musicali, aventi caratteristica di pregio e rarità; e. fotografie, con relativi negativi e matrici, e pellicole cinematografiche; f. ville, parchi e giardini che abbiano interesse artistico e storico; g. pubbliche piazze, vie strade; h. siti minerari; i. navi e galleggianti; j. architetture rurali. In conclusione lo statuto che ne viene fuori è quello di un bene culturale che continua ad essere destinato alla pubblica fruizione; ma che ha perso il connotato dell’immaterialità su cui puntavano molte delle innovazioni legislative dell’ultimo decennio del secolo scorso. CAP 8. IL TRATTAMENTO GIURIDICO DEI BENI CULTURALI 1. La tutela Carattere strutturale della tutela è la conservazione o la protezione del bene dai rischi di alterazione, modifica e distruzione ⇢ non solo come realtà individuale ma anche come contesto in cui il bene è localizzato. Tutela allargata negli anni anche alla fruizione collettiva e al divieto di circolazione del bene al di fuori del territorio in cui è stato prodotto ⇒ questa accezione sfaccettata della tutela, se riesce a cogliere la molteplicità di sfumature in cui il legislatore inquadra la disciplina, pone alla scienza giuridica una molteplicità di problemi interpretativi, non solo per sovrapposizioni con altre funzioni, ma anche per l’esercizio delle stesse modalità di tutela. Un tentativo di definizione compiuta dalla tutela era presente all’art.148 ove per ‘’tutela’’ dei beni culturali s’intendeva: “Ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i beni culturali ed ambientali”. Il Codice dei beni culturali (che ha espressamente abrogato l’art.148 del d.lgs. n. 112/1998), offre la definizione “esercizio delle funzioni” e “disciplina delle attività dirette, sulla base di un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione” (art. 3 comma 1). Tutela sia come regolazione normativa (disciplina) sia come amministrazione concreta (esercizio delle funzioni) ⇢ funzioni che possono anche sacrificare diritti patrimoniali sui beni culturali. Tre finalità perseguite attraverso la tutela: - individuazione dei beni che entrano a far parte del patrimonio culturale; - garanzia di protezione degli stessi; - conservazione. La tutela in una democrazia costituzionale non può rimanere fine a se stessa. Le funzioni e attività di tutela devono aprire se possibile i confini della fruizione pubblica dei beni che a sua volta deve servire a preservare la memoria della comunità nazionale, del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura. Sino al testo unico del 1999, l’individuazione dei beni culturali di proprietà pubblica si fondava sull’obbligo di elenchi descrittivi dei beni da parte dei legali rappresentanti degli enti territoriali dei beni stessi. L’inserzione era di natura puramente dichiarativa, perché l’applicazione del regime giuridico della tutela era previsto anche per i beni non ricompresi negli elenchi stessi. Non esisteva procedura finalizzata alla verifica dell’interesse culturale, a differenza dei beni mobili e immobili di proprietà privata. L’art. 12 del Codice, recita che le cose immobili e mobili indicate nell’art. 10 comma 1 ⇢ sono sottoposte alle disposizioni della parte II del codice fino a quando non sia stata effettuata la verifica dell’interesse culturale. I competenti organi del Ministero verificano la sussistenza dell’interesse nelle cose sopra richiamate, sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal ministero medesimo al fine di assicurare la valutazione. Per i beni immobili dello Stato la richiesta è corredata da elenchi di beni e delle relative schede descrittive. Nel caso di esito negativo su cose appartenenti allo Stato, le schede contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione. L’accertamento dell’interesse costituisce ‘’dichiarazione dell’interesse culturale’’. Il procedimento di verifica si conclude entro 120 giorni dal ricevimento della richiesta. L’ultima parte dell’art.12 stabiliva che la mancata comunicazione entro il termine complessivo dei 120 gg dalla ricezione della scheda ‘’equivale ad esito negativo della verifica’’, con conseguente sdemanializzazione. 2. Segue: la dichiarazione di interesse culturale Al dì fuori dell’elenco dei beni (art.10 comma 2), per tutti gli altri beni, il codice prevede una dichiarazione, che va ‘’notificata’’ al proprietario possessore, detentore a qualsiasi titolo delle cose che ne formano l’oggetto (art.14), risolvendo in tal modo il problema di superamento dell’avvio della procedura di tutela del bene culturale. Tale dichiarazione può essere formulata anche dalla regione per particolari categorie di beni non appartenenti allo Stato. L’omissione della comunicazione al proprietario di avvio del procedimento è causa di illegittimità del vincolo di interesse culturale. Dal momento della comunicazione al proprietario, il bene viene sottoposto al controllo dell’amministrazione. Il procedimento si chiude con la notifica della dichiarazione, che può essere indifferentemente indirizzata al proprietario, possessore o detentore. All’imposizione del vincolo, derivano per i titolari di diritti di proprietà privata una quantità di obblighi, sia negativi che positivi di comportamento sui beni, come un uso compatibile con il valore storico e artistico (art.20); la denuncia al ministero, in caso di trasferimento degli stessi (art.59); l’assoggettamento a interventi conservativi imposti (art. 32). Il Codice specifica all’art. 21, in relazione alle misure di protezione, che sono subordinate ad autorizzazioni del Ministero: - rimozione e demolizione delle cose costituenti beni culturali; - spostamento anche temporaneo; - smembramento. Riguardo le misure di conservazione, sono assicurate mediante una coerente, coordinata e programmata attività di studio, prevenzione, manutenzione e restauro (art. 29): - restauro ⇢ definizione normativa ⇒ “intervento diretto sul bene attraverso un complesso di operazioni finalizzate all’integrità materiale ed al recupero del bene medesimo, alla protezione e trasmissione dei suoi valori culturali” ⇢ attività materiale a valenza multidisciplinare, in cui l’applicazione di cognizioni tecniche appare strumentale ai valori di testimonianza culturale di cui il bene è espressione; - prevenzione ⇢ “complesso delle attività idonee a limitare le situazioni di rischio connesse al bene culturale nel suo contesto”; - manutenzione ⇢ “complesso delle attività e degli interventi destinati al controllo delle condizioni del bene culturale e al mantenimento dell’integrità, dell’efficienza funzionale e dell’identità del bene e delle sue parti”. Fra le misure di tutela vanno ricordati gli artt. 88 ss. del Codice in relazione alle ricerche archeologiche e per il ritrovamento delle cose indicate nell’art.10; va sottolineato che tutte le cose indicate nell’art.10, da chiunque e in qualunque modo ritrovate, nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono allo Stato e, a seconda che siano mobili o immobili, fanno parte del demanio dello Stato o del patrimonio indisponibile, ai sensi degli articoli 822 e 826 del codice civile (art.91). La 8 ⇢ quella privata può avvenire solo in regime di concessione (art.89). Chiunque si impossessi di beni culturali (art.10) appartenenti allo Stato è punito con la reclusione fino a 3 anni e con la multa da euro 31 a euro 516.50 (art.176). Il Codice ha fatto rientrare nella tutela anche l’espropriazione ⇢ secondo quanto stabilito dalle norme contenute negli artt. 95 ss. beni immobili e mobili, possono essere espropriati dal ministero per causa di pubblica utilità, quando l’espropriazione risponda ad un importante interesse a migliorare le condizioni di tutela ai fini della fruizione pubblica dei beni medesimi. La normativa in materia di tutela ha conservato la tradizionale triartizione tra: - espropriazione del bene già dichiarato di interesse culturale (art. 95) ⇢ fine di assicurare la migliore tutela e fruibilità pubblica; - espropriazione per fini strumentali (art. 96) ⇢ per causa di pubblica utilità; - espropriazione per interesse archeologico (art. 97) ⇢ l’oggetto è un immobile o un’area ancora non dichiarate di interesse culturale. 3. La valorizzazione La valorizzazione dei beni culturali è rimasta nettamente penalizzata rispetto all’attività di tutela. La nozione ha esordito nell’ordinamento dei beni culturali con l’art. 1 del d. P. R. 3 dicembre 1975, n. 805, che affidava al ministero il compito di provvedere “alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali”, senza che però si approdasse a una chiara identificazione semantica dei due concetti. La valorizzazione è strettamente legata all’incremento della qualità economica del bene, mediante l’assicurazione di maggiori entrate finanziarie. Art. 148, comma 1, lett. e collocava sullo stesso piano tutela e valorizzazione ⇢ “ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza del patrimonio culturale ed incrementare fruizione. La valorizzazione veniva affidata alla cura dello Stato, delle regioni e degli enti locali, mediante forme di cooperazione strutturali e funzionali fra Stato, regioni ed enti locali. Il Codice ha riqualificato la valorizzazione come “l’esercizio delle funzioni e la disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale ed assicurarne le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura (art. 6). Il Codice chiarisce gli ambiti funzionali in cui dovrà muoversi il riparto di competenze fra i vari livelli di governo e lo fa coniugando un criterio finalistico, lo ‘’scopo’’, con un criterio di appartenenza che viene fuori dagli artt.102 e 112. Laddove si afferma che la legislazione regionale disciplina la fruizione art. 102 e la valorizzazione art. 112 dei beni, presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato abbia trasferito ‘’la disponibilità’’. Gestione ⇢ con le leggi Bottai veniva identificata in essa ogni attività diretta a permettere la conservazione, l’integrità e la sicurezza del bene. Veniva identificata anche nell’art. 148 come “ogni attività diretta, mediante l’organizzazione di risorse umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali, concorrendo al Trattato di Lisbona, in vigore dal 2009, prevede un’azione dell’UE diretta ad incoraggiare la cooperazione fra gli stati membri: miglioramento della conoscenza e della diffusione della cultura e della storia dei popoli europei; conservazione e salvaguardia del patrimonio culturale d’importanza europea; scambi culturali non commerciali; creazione artistica e letteraria, compreso il settore audiovisivo. Meritevole di particolare attenzione appare l’uso della nozione di “patrimonio culturale d’importanza europea”. Il principio fondamentale è quello di concretizzare politiche di sostegno, integrazione e contributi alle politiche culturali nazionali: l’azione dell’UE è intesa ad incoraggiare la cooperazione degli stati membri e se necessario ad appoggiare ed integrare l’azione di quest’ultimi. La tutela internazionale dei beni culturali ha conseguito inoltre nuovi traguardi con la Convenzione Unesco del 1972, ove si afferma il principio che tutti i popoli del mondo sono interessati alla conservazione dei beni culturali, avendone in comune i valori di civiltà. La definizione di “patrimonio culturale” è decisamente ampia, e comprende: monumenti (opere architettoniche, plastiche o pittoriche monumentali, strutture di carattere archeologico etc), agglomerati (gruppi di costruzioni isolate o riunite) e siti (opere dell’uomo o opere coniugate dell’uomo e della natura). Gli stati aderenti alla Convenzione si impegnano a prestare il proprio concorso all’identificazione, protezione, conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale. Significativa di un approccio della comunità internazionale nei confronti della cultura, è anche la Convenzione Unesco riguardante “la protezione e la promozione delle diversità culturali”. CAP 9. IL GOVERNO DEI BENI CULTURALI 1. Le competenze dello Stato Il primo organico riparto di competenze fra Stato ed enti locali è quello prospettato dalla legge n. 112 del 1998 che innanzitutto riservava allo Stato funzioni e compiti di tutela dei beni culturali. A norma del nuovo art.117 cost. la tutela resta ricompresa tra le competenze legislative di carattere esclusivo; ma la valorizzazione dei beni è affidata alla potestà corrente stato-regioni, residuando alla legislazione statale il compito esclusivo di stabilire i principi fondamentali in materia. Spetta poi alla legge statale la disciplina di forme di intesa e coordinamento nella materia di tutela, con il compito di coordinare i nuovi ordini di competenza territoriale nelle funzioni della tutela e della valorizzazione. Nello stesso tempo le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo il conferimento agli altri enti locali territoriali e allo stato, per assicurarne l’esercizio unitario ⇢ il codice ha disposto che tutti gli enti territoriali “assicurano e sostengono” la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e valorizzazione. A ciò viene aggiunto che gli altri soggetti pubblici nello svolgimento della loro attività, assicurano la conservazione e la pubblica fruizione del loro patrimonio culturale. Novità assoluta è la previsione che anche i proprietari privati sono tenuti a garantirne la conservazione. Dopo di che il codice precisa che al fine di garantire l’esercizio unitario della funzione di tutela, le funzioni stesse sono attribuite al ministero per i beni e le attività culturali, che le esercita direttamente o ne può conferire l’esercizio alle regioni, tramite forme di intesa e coordinamento. Il codice reintroduce il parallelismo delle funzioni legislative ed amministrative in materia di tutela dei beni culturali, e pone in una posizione di centralità il ministero stesso, per l’eventuale conferimento dell’esercizio alle regioni. 2. Le competenze di regioni, province e comuni Il d.lgs. n. 112/1998 ha disposto, in merito alla tutela, che le regioni, le province e i comuni concorrono all’attività di conservazione dei beni culturali (art 149, comma 2) ⇢ possono formulare proposte ai fini dell’apposizione del vincolo, diretto e indiretto, di interesse storico o artistico e di vigilanza; possono formulare proposte in merito all’espropriazione dei beni mobili e immobili; le proposte possono essere espresse anche in merito al diritto di prelazione, sino all’esercizio del diritto d’acquisto, previa rinuncia dello stato. Inoltre, cooperano nella definizione delle metodologie comuni per l’attività di catalogazione e tecnico-scientifica di restauro (art 149, comma 4). Oggi la distribuzione delle competenze legislative in materia conferma la vocazione alla specialità dei beni culturali. Infatti, la valorizzazione dei beni culturali è inserita fra le materie e potestà legislativa corrente, residuando allo stato soltanto il compito di stabilirne i principi fondamentali. L’art.4 del codice approvato nel 2004 chiama le regioni, le province, le città metropolitane a collaborare con il ministero nell’esercizio delle funzioni di tutela. Dunque, il centro delle funzioni in materia di tutela resta allo stato. In materia di valorizzazione, il codice all’art.7 si limita a registrare come principi fondamentali dell’ordinamento le norme in esso contenute. A questa disposizione vanno associati gli artt. 102 e 112, per i quali la legislazione regionale disciplina le funzioni e le attività di valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo stato o dei quali lo stato abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente. Anche in materia di valorizzazione il codice non manca di invocare, il principio cooperativo tra stato, regioni ed enti locali. L’art 7 afferma che il Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali perseguono il coordinamento, l’armonizzazione e l’integrazione delle attività di valorizzazione dei beni pubblici. Mentre l’art 112, comma 4 stabilisce che lo Stato e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai beni culturali di pertinenza pubblica. 3. L’amministrazione dei beni culturali 3.1 Il Ministero per i beni e le attività culturali Il d.lgs. del 1998 ha istituito il nuovo Ministero per i beni e le attività culturali che provvede alla tutela, gestione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali e alla promozione delle attività culturali. Esso esercita anche attività di studio, ricerca, innovazione e alta formazione nelle materie di competenza; di diffusione dell’arte e della cultura italiana all’estero. Il nuovo ruolo del ministero era quello di un’amministrazione attiva con un carattere operativo e dinamico. L’art 10 del d.lgs. del 1999, sul nuovo ordinamento della presidenza del Consiglio, trasferiva al Ministero dei beni culturali e delle attività culturali, funzioni, strutture e risorse relative al diritto d’autore, alla disciplina della proprietà letteraria, nonché alla promozione delle attività culturali, sino ad allora competenza del dipartimento per l’informazione ed editoria. Nel d.lgs. del 1998 il ruolo centrale del ministero sembrava temperato dalla circostanza che esso, dovesse favorire la cooperazione con le regioni e gli enti locali. Per la verità, molti erano di dubbi dinanzi a questi enunciati sull’effettiva coesistenza ed equilibrio del sistema funzionale plurale tratteggiato. Anche perché la costituzione di un centro di governo forte appariva destinato a sfidare il trasferimento delle funzioni avviato tra il 1997 e 1998 e perfezionato con la riforma del titolo V. Un equilibrio che è ancora alla ricerca di assestamento. 3.2 Le strutture centrali Il ministero per i beni e le attività culturali viene qualificato organo di direzione politico-amministrativa del ministero, che determina gli indirizzi, gli obiettivi e i programmi e verifica la rispondenza a questi dei risultati conseguiti. E per l’esercizio delle funzioni di indirizzo sono organi di consulenza del Ministro il Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici, i comitati tecnico-scientifici, i comitati regionali di coordinamento ed altri organi costituiti in attuazione della legge. Il D.P.C.M. n 171 del 29 agosto 2014 ha riformato sia il consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici sia i comitati tecnico-scientifici e ha ridisegnato l’intera struttura organizzativa del ministero. Consiglio superiore: durata triennale, ed è composto dai 7 presidenti dei comitati tecnico-scientifici e da 8 eminenti personalità del mondo della cultura nominate dal ministero, 3 delle quali su designazione della conferenza unificata. Svolge una funzione ausiliaria del ministero. Esso formula pareri obbligatori sui programmi nazionali per i beni culturali e paesaggistici e sui relativi piani di spesa e sugli schemi di accordi internazionali in maniera di beni culturali. Esprime inoltre, su richiesta del direttore generale, pareri su: piani strategici di sviluppo culturale e programmi di valorizzazione dei beni culturali. 3.3 Gli organi periferici Secondo l’art.30 della legge del 1975, erano reputati organi periferici dello stato gli archivi di stato, le biblioteche pubbliche statali e le soprintendenze. La necessità di accrescere i livelli di responsabilità nella gestione ha indotto il legislatore ad affidare il coordinamento regionale a un sopraintendente chiamato a coordinare le attività di soprintendenze operanti nella regione e che affranca l’idea di soprintendenza da una dimensione esclusivamente localistica. Il d.lgs. del 2004 istituiva in tutte le regioni a statuto ordinario la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici. Con il D.P.C.M. del 2014 le direzioni regionali sono state sostituite dai segretariati regionali, chiamati ad assicurare il coordinamento dell’attività delle strutture periferiche del ministero presenti nel territorio regionale e dei rapporti del ministero e delle strutture periferiche con le regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione. Sempre il D.P.C.M. del 2014 individua 8 organi periferici: - segretariati regionali del ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; - soprintendenze di archeologia; - soprintendenze di belle arti e del paesaggio; - poli museali regionali; - musei; - soprintendenze archivistiche; - archivi di stato; - biblioteche. La riforma del 2014 ha interessato le soprintendenze in un’ottica di accorpamento e semplificazione. Più specificamente, sul modello delle passate soprintendenze miste, si procede ad un riordino della materia istituendo due sole soprintendenze: “Soprintendenza Archeologia” e “Soprintendenza Belle arti e paesaggio”, alle quali è affidata la tutela sul territorio del patrimonio culturale. A queste due poi si affiancano quelle archivistiche, quali uffici di livello dirigenziale non generale chiamati ad assicurare nel territorio di loro competenza la tutela e la valorizzazione dei beni archivistici. Fra gli organi periferici di maggiore interesse, il nuovo regolamento di organizzazione del Ministero, oltre i musei individua i Poli museali regionali, quali organi chiamati a promuovere sul territorio la costituzione di un sistema museale integrato. L’obiettivo è quello di favorire la creazione di poli comprendenti gli istituti e luoghi della cultura statali e quelli delle amministrazioni pubbliche, con l’intenzione di promuovere un’offerta di realtà museali private e pubbliche, fra di loro comunicanti, coordinati dal direttore del polo museale, e in grado di dialogare con il territorio, dunque valorizzandolo, attraverso la propria offerta culturale. 3.4 Le strutture autonome Già in passato il legislatore aveva attribuito alla soprintendenza di Pompei, in ragione della straordinarietà del sito archeologico di riferimento, autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e finanziaria per l’espletamento della propria attività istituzionale, con esclusione del personale. Suscitava quindi, grande interesse la costituzione nel 2001, con decreto ministeriale, di soprintendenze autonome per la gestione di musei e grandi complessi archeologici e monumentali nelle città di Napoli, Roma, Firenze e Venezia. Uno status autonomo ai musei, che slega questi istituti dalle soprintendenze, incardina la nomina del direttore su una selezione pubblica operata da una commissione di esperti, attribuisce al soprintendente un nutrito corpus di competenze gestionali e di valorizzazione, che arriva a lambire anche l’area della tutela. CAP 10. I MUSEI 1. Per una definizione giuridica del museo L’art. 101 del nuovo Codice dei beni culturali, all’interno della trattazione di istituti e luoghi di cultura, intende per “museo” ⇢ “struttura permanente che acquisisce, conserva, ordine ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio”. Prima del Codice, una prima nozione di museo appariva nel testo unico del 1999 e prima ancora in alcune leggi regionali ⇢ ex l. reg. Lazio 24 Novembre 1997, n. 42, che all’art. 21 definisce i musei: ‘’poli di documentazione, valorizzazione e di salvaguardia del patrimonio culturale e scientifico, assicurando la fruizione pubblica dei materiali e contribuendo allo sviluppo della conoscenza e ricerca. b. le categorie di biglietti e i criteri per la determinazione del relativo prezzo; c. le modalità di emissione, distribuzione e vendita del biglietto d’ingresso e di riscossione del corrispettivo, anche mediante convenzioni con soggetti pubblici e privati; d. l’eventuale percentuale dei proventi dei biglietti da assegnare all’Ente nazionale di assistenza e previdenza per i pittori, scultori, musicisti, scrittori ed autori drammatici. I proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d’ingresso agli istituti di cultura dello Stato sono destinati alla realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi, nonché all’espropriazione e all’acquisto di beni culturali, mediante esercizio della prelazione. Mentre i proventi derivanti dalla vendita dei biglietti d’ingresso agli istituti e ai luoghi appartenenti o in consegna ad altri soggetti pubblici sono destinati all’incremento ed alla valorizzazione del patrimonio culturale. - diritto all’informazione e allo studio dei beni culturali ⇢ beni dotati di apparati didascalici + pubblico, durante soggiorno, deve poter usufruire di visite guidate. Questo diritto è stato rafforzato dal Cod. dei Beni culturali, che detta la disciplina in merito ai servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico, la cui gestione può essere concessa anche a terzi (gestione indiretta). Esempi di servizi aggiuntivi (art.117): a. il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali; b. i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario; c. la gestione di raccolte discografiche, diapoteche e biblioteche museali; d. la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni ibeni; e. i servizi di accoglienza, inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l’infanzia, i servizi di informazione, assistenza didattica, i centri d’incontro; f. i servizi di caffetteria, ristorazione, guardaroba; g. l’organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali. Accanto a queste forme d’uso generale del bene museale si configura un suo uso ‘’speciale’’ che si può fondare su una finalità scientifica o didattica. Esso si articola nel diritto di ottenere la riproduzione delle cose esposte, nel diritto a usarne per esigenze di ricerca quando ciò risulti compatibile con la conservazione del bene, nella facoltà di promuovere iniziative culturali e vanno ricordati gli artt. 107-108-109 del codice dei beni culturali, che disciplinano l’uso strumentale dei beni culturali sotto forma di riproduzione, riprese e catalogo di immagini fotografiche. - diritto a fruire di un soggiorno confortevole ⇢ nei locali del museo, godendo di spazi e allestimenti per il riposo e per le attività di ricreazione, e rendendo la visita al museo non soltanto un’occasione di arricchimento culturale, ma altresì di svago e distensione; e quindi va richiamato l’art.117 del Codice, che prevede servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di vendita di ogni altro bene correlato all’informazione museale. Il ministero per i beni e le attività culturali, nell’ambito dell’attuazione dell’art.150 del d.lgs. n. 112/1998, aveva formato un gruppo di lavoro affidatario della elaborazione dei criteri tecnico-scientifici e standard per i musei. 5. Il governo dei musei In italia manca una chiara scelta normativa che stabilisca la “forma di governo” dei musei ⇢ la stessa legislazione regionale propone moduli di gestione collegiale, modelli monocratici, incentrati sul ruolo di direttore del museo. È il direttore, l'autentico organizzatore della sede museale. Quanto ai musei statali, un’esperienza pilota era la legge per Pompei (l. 8 ottobre 1997, n. 352) ⇢ art. 9 dotava di autonomia scientifica, organizzativa, amministrativa e finanziaria la soprintendenza di Pompei. Questa legge non è sembrata idonea a realizzare pienamente l’autonomia gestionale dei musei. Con il decreto del presidente del consiglio dei ministri (d.P.C.M.) n. 171/2014, si avvia la creazione di un ‘’sistema museale italiano ‘’, con una nuova Direzione generale musei (art.20) e con il conferimento a due Soprintendenze speciali (1. Per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area archeologica di Roma; 2. Quella per Pompei, Ercolano e Stabia) e a 18 musei la qualifica di uffici di livello dirigenziale, dotati di autonomia gestionale e finanziaria. Il conferimento di un’effettiva autonomia gestionale in capo ad ogni museo, ossia il potere di stabilire la propria pianta organica, risponderebbe a un bisogno di efficienza; e su tale versante è stato aperto qualche spazio normativo, in relazione ai musei che appartengono allo Stato. All’art.3, comma 1-bis, della l. 4/1993, il Ministero ha la facoltà di stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato, e utilizzare il personale reclutato ‘’ad integrazione del personale dell’Amministrazione dei beni culturali e ambientali’’: formula elastica ma che non ha potuto garantire a pieno la qualificazione tecnica dei nuovi entrati. CAP 11. LE ATTIVITÀ CULTURALI 1. L’inquadramento costituzionale Il fine perseguito dalla Costituzione è la crescita del pluralismo culturale, in quanto strumento di sviluppo della personalità dei singoli e quindi della collettività. Art. 9 partecipa del processo di formazione intellettuale del cittadino, e nello stesso tempo incoraggia e persegue il progresso culturale della comunità politica ⇒ la democrazia costituzionale (senza profitto economico) impone un ruolo attivo delle istituzioni pubbliche nell’arena culturale ⇢ tutto l’apporto che l’autorità politica deve offrire sta nel ripristino di un’uguaglianza delle opportunità fra tutte le manifestazioni creative in via di sviluppo, al solo fine della elevazione culturale e del progresso civile della cittadinanza. 2. Il trattamento giuridico Secondo la lettura originaria, andavano ravvisate nelle attività culturali quelle manifestazioni della cultura umana genericamente sfornite di rilievo patrimoniale, in quanto prive di una relazione organica tra le cose ⇢ nozione di Cassese che ebbe rapida diffusione, sanzionata sia sul piano normativo sia quello giuridico. d. P. R. 24 luglio 1977, n. 616 ⇢ sul trasferimento delle funzioni alle regioni ordinarie, attribuendo poteri di intervento nell'ambito delle loro competenze in materia di beni culturali, anche sulle attività di prosa, musicali e cinematografiche ⇢ quelle manifestazioni culturali rientranti nell’ampia orbita dello spettacolo. Questo decreto ha avuto il merito di sancire l’ingresso delle attività culturali nell’ordinamento giuridico italiano. Vi è stata una estensione della tipologia delle attività (tradizioni orali, manifestazioni artistiche e scientifiche, tradizioni culinarie). È riconosciuta la necessità di tutelare e conservare, accanto alla consistenza materiale dei beni culturali, anche le attività in essi svolte, nella misura in cui quest’ultime fossero collegate, alla vita sociale, culturale o civile del centro urbano. Non sono mancate in passato leggi di sostegno delle arti figurative, teatrali, musicali. 3. Il governo delle attività culturali L’attenzione del legislatore per le attività culturali si raggiunge con il d.lgs. 31 marzo 1998, n.112, ove si tentava di dare per la prima volta una sistemazione organica delle attività culturali, sia dal punto di vista definitorio, che a livello di dinamiche funzionali, come pure nell’assetto delle competenze. Sin dall’intitolazione del capo V, si sottolineava la distinzione tra: - beni culturali ⇢ ciò che componeva il patrimonio storico artistico, monumentale, demoantropologico, archeologico, archivistico, librario; - attività culturali ⇢ attività volte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte + si identificava nella promozione ogni attività diretta a suscitare e sostenere le più variegate manifestazioni culturali ed artistiche. Tale decreto esprimeva il doppio binario delle pubbliche funzionalità in materia ⇢ da una parte la tutela, avente per oggetto i beni la cui consistenza materiale non appariva più obbligata sostanziandosi in ogni attività diretta a riconoscere, conservare e preservare i beni culturali; dall’altra la promozione avente di mira il sostegno alle attività culturali in via di formazione. Nel momento in cui il bene viene riconosciuto come tale esso sarà oggetto delle funzioni di tutela, gestione e valorizzazione; ma finché il bene culturale non è venuto in essere il sostegno alle attività non può essere di tipo promozionale. La suddivisione territoriale delle attribuzioni in materia promozionale veniva disegnata dal decreto 112/1998 in funzione di un modello spiccatamente cooperativo, in cui lo Stato e gli altri enti territoriali si impegnano a suscitare e sostenere le energie intellettuali in via di formazione. Il d. lgs. 20 ottobre 1998, n. 368 istituisce il Ministero per i beni e le attività culturali, innestando un processo di riforma dell’apparato organizzativo ministeriale + d. lgs. n. 300/1999 sottolinea che il Ministero, oltre agli obblighi sopracitati, deve anche agire per promuovere le attività culturali. 4. La riforma del titolo V Dopo la riforma del titolo V, la legge 6 luglio 2002, n.137, art.10, disponeva un aggiornamento degli strumenti legislativi del settore culturale. Il Governo veniva delegato ad adottare, entro 18 mesi dalla data in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto e, limitatamente ai beni culturali e ambientali, alla codificazione delle disposizioni legislativi in materia di: a. Beni culturali e ambientali; b. Cinematografia; c. Teatro, musica, danza e altre forme di spettacolo dal vivo d) Sport; d. Proprietà letteraria di diritto d’autore. 5. Le attività culturali dopo il Codice dei beni culturali Non c’erano spazi all’interno del nuovo codice per una disciplina delle attività culturali. Le attività culturali non trovano collocazione all’interno delle tipologie di beni culturali descritte nel nuovo Codice, peraltro quasi integralmente strutturato sul criterio della materialità del bene. Il giudice delle leggi ha affermato che le attività culturali di cui al terzo comma dell’art.117 Cost. riguardano ‘’tutte le attività riconducibili alla elaborazione e diffusione della cultura’’. Ed è stato negato che lo spettacolo rappresenti una podestà residuale, e quindi esclusiva, delle regioni. Le azioni di sostegno alo spettacolo vanno dunque ricomprese nell’ambito della promozione ed organizzazione delle attività culturali. L’obiettivo è quello di recuperare un potere di coesione, la c.d. ‘’concertazione forte’’ fra Stato e Regioni. CAP 12. IL PAESAGGIO 1. La nozione costituzionale di paesaggio Art. 9, comma 2 della Cost. ⇢ Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. In una prima concezione, la nozione di “paesaggio” coincideva con quella di “bellezze naturali” (legge Bottai) ⇢ espressione paesaggio utilizzata per indicare in modo generico il complesso dei beni che la tradizione legislativa ha fatto oggetto di protezione particolare. A questa prima interpretazione è stata contrapposta una differente teorizzazione ⇢ locuzione “paesaggio” imputata ad un processo creativo che interessa l’uomo non meno che la natura ⇒ incessante correlazione fra comunità umana e ambiente che la circonda ⇢ paesaggio come “forma del paese” ⇢ azione cosciente e sistematica della comunità umana sul territorio e dunque concernente città e campagne, ambiente visibile o non visibile, e ogni insediamento naturale ove l’operato umano lasci segni tangibili della propria storia. La disciplina del paesaggio si inoltra al controllo e alla direzione di ogni intervento che incida sul tessuto territoriale, marginalizzando la ricerca di caratteristiche estetiche intrinseche al bene. Quest’ultima concezione superare dicotomia fra “bello” prodotto dall’uomo e “bellezza” della natura, che aveva ispirato le leggi Bottai. 2. Il paesaggio nella evoluzione legislativa e giurisprudenziale Inizi anni ‘70, il giudice della Corte costituzionale è ancora saldamente ancorato a una concezione estetica del paesaggio: - sent. 24 luglio 1972, n. 141 ⇢ separazione tra urbanistica (legata all’assetto e incremento edilizio dei centri abitati) e paesaggio, congiungendolo saldamente alla nozione di bellezze naturali;
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