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l'ordinamento della cultura, Sbobinature di Diritto dei beni culturali

riassunti dell' l'ordinamento della cultura'' per esame legislazione dei beni culturali alla sapienza

Tipologia: Sbobinature

2021/2022

Caricato il 12/06/2023

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alessia-centazzo-1 🇮🇹

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Scarica l'ordinamento della cultura e più Sbobinature in PDF di Diritto dei beni culturali solo su Docsity! Le attività culturali secondo la definizione dell'articolo 148 del d.lgs. 112/1998  sono quelle rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte. Per promozione si intende invece ogni attività diretta a suscitare e a sostenere l'attività culturali. Parlando di promozione delle attività culturali nella Carta costituzionale vi sono due poli di attrazione: -art. 9  sancisce una biforcazione di funzioni: promozionale e conservativa. La Costituzione parla dello sviluppo della cultura come un bene non è ancora venuto realizzazione ma che sarà in divenire in quanto espress dell’intelletto che consente l’evoluz delle generaz umane.  Il presupposto che anima la norma costituzionale è che la cultura non è libera ove sia semplicemente abbandonata a se stessa x cui l’az dei pubb poteri deve essere finalizzata ad estenderne gli spazi di realizzaz e a liberarla dai condizionamenti. Le regole costituzionali impongono ai pubblici poteri un ruolo di garanzia del libero gioco delle diverse istanze culturali, in particolare sostenendo quelle energie intellettuali che faticano a trovare i loro spazi. Quindi i poteri pubblici sostengono le attività culturali più deboli, perché minoritarie o periferiche. Il fine della Costituzione è la crescita del pluralismo culturale e la cultura di cui si occupa l’art. 9 partecipa al processo di formazione intellettuale del cittadino La Carta fondamentale impone una funzione di riequilibrio fra le espressioni creative tesa a ripristinare fra essi una condizione di uguaglianza: ma si tratta di un'uguaglianza di opportunità, non già di risultati. Tutela e promozione vivono in una traiettoria circolare perché non si può parlare di promozione, prescindendo dalla tutela e valorizzazione delle espressioni culturali del passato. E perché è auspicabile che la promozione sfoci nella tutela di un bene culturale futuro. Nel primo caso si tratta di un obbligo, nel secondo di un'eventualità, propiziata dallo Stato. Il d.P.R. n. 616/1977 conferisce alle regioni ordinarie poteri di intervento nell'ambito delle loro competenze in materia di Beni Culturali, anche sull'attività di prosa, musicali e cinematografiche. Si è trattato di indirizzo legislativo di grande interesse soprattutto per le novità prodotte su diversi livelli di governo, in quanto nuovo orientamento teso a compensare il mantenimento di politiche centralistiche a livello di tutela dei Beni Culturali. Però c'è stato il tentativo delle regioni di consolidare le loro attribuzioni sul tradizionale terreno dei beni culturali, anziché sul nuovo contesto dell'attività. Il d.P.R. ha avuto il merito di sancire l'ingresso delle attività culturali nell’ordinamento giuridico italiano. Vi è stata un'estensione della tipologia delle attività e un diverso modus operandi dell'amministrazione pubblica, chiamata ad assicurare la promozione attraverso l'individuazione di strumenti di garanzia flessibili. Riconosciuta la necessità di tutelare e conservare anche le attività svolte nei Beni Culturali, nella misura in cui quest'ultime fossero collegate alla vita sociale, culturale o civile del centro urbano, in una parola alla memoria storica della città dibattuto è il problema del vincolo d'uso dei beni storici La struttura materiale deve rappresentare una testimonianza attuale di valori culturali idonei a perpetuarsi nel tempo. Inoltre deve trattarsi di un immobile che rappresenti fondati accadimenti storici e di cui conservi effettive testimonianze. Il vincolo non può essere imposto a prescindere dal bene in cui l'attività si esercita e non può spingersi a costituire un obbligo di continuazione dell’attività. È evidente la difficoltà di rendere effettiva la tutela dell'attività in questione, nel momento in cui i tradizionali strumenti di garanzia dei beni vengono meno. Una diversa soluzione del problema potrebbe essere rappresentata dal coinvolgimento dei vari livelli di governo al piano di sostegno per l'esercizio di attività culturali. Può far parte di quest’opera anche la predisposizione di agevolazioni per la concessione dell'esercizio determinata attività e viceversa di vincoli per l'esercizio di altre, anche attraverso la previsione generale del diniego di autorizzazione amministrativa. Tutto questo andrebbe inquadrato in un assetto generale di interventi di qualificazione urbana che ricomprenda la tutela dei beni e la promozione dell’attività. Gli interventi dello Stato e degli enti locali a garanzia dell'attività sono stati sinora lenti, frammentari, episodici e pertanto difficilmente in grado di difendere il tessuto storico culturale dei nostri gioielli urbanistici. Non sono mancate in passato leggi di sostegno delle arti figurative, teatrali e musicali EX 1960le amministraz dello stato e gli altri enti pubb provvedevano all’esecuzione di nuove costruz e al restauro di quelle danneggiate dalla guerra. Nell'ambito della prosa è importante il ruolo svolto dall’ETI che aveva lo scopo di contribuire alla valorizzazione diffusione della cultura e dell'attività teatrali, musicali e di danza. La cinematografia per lunghi anni è stata retta dalla l. n. 4/1965, che disponeva consistenti incentivazioni per gli esercenti e per i produttori. I lungometraggi nazionali erano ammessi ai benefici della legge purché presentassero sufficienti qualità artistiche o culturali o spettacolari. Per la concessione di queste provvidenze decisivo restava il ruolo delle autorità pubbliche. Nel complesso si è trattato di misure tali da suscitare dubbi sulla reale possibilità di interazione delle culture minoritarie, lo sviluppo delle nuove creatività e le capacità degli apparati pubblici di astrarsi da tentazioni dirigistiche. Molte aspettative sono sorte intorno alla disciplina organica prodotta dal d.lgs. 28/2004, che semplificava le procedure di sostegno l'attività cinematografica e introduceva l'istituzione di un'unica commissione di valutazione, divisa in 2 sottocommissioni chiamata all'individuazione dell'interesse culturale e alla definizione della quota massima di finanziamento assegnabile. Va poi menzionata la Consulta territoriale per le attività cinematografiche. Essa elabora un piano triennale contenente l'individuazione di aree geografiche e privilegiate per la realizzazione di opere, e l’individuazione degli obiettivi per la promozione attività cinematografiche esterne al ciclo imprenditoriale. L’apice dell'attenzione per le attività culturali si raggiunge con il d.lgs. n.112/1998si tentava di dare per la prima volta una sistemazione organica delle attività culturali (sia al liv di definiz che di funzioni) marcando la dualità fra beni e attività. Sin dall'intitolazione del capo V, si sottolineava la distinzione tra beni e attività culturaliSi ravvisano in quest’ultime quelle attività rivolte a formare e diffondere espressioni della cultura e dell’arte. Ci si trovava innanzi a una sorta di manifesto teso ad esporre la complessità della materia, illustrando la poliedricità degli interventi rivolti a sostenere e a diffondere diverse espressioni della cultura allo stato nascente. Il quadro sistematico aveva una sua coerenza di fondo, espressa attraverso il doppio binario delle pubbliche funzioni in materia: da una parte la tutela e dall'altra la promozione. Degno di attenzione era il riparto di competenze che aveva l'intento di superare le traiettorie dualistiche fra i due livelli di governo. Nel momento in cui il bene culturale è riconosciuto come tale esso sarà oggetto di funzioni tutela, gestione e valorizzazione; ma, finché il bene culturale non è venuto in essere, il sostegno dell'attività non può che essere di tipo promozionale. La suddivisione territoriale delle attribuzioni in materia promozionale veniva disegnata dal d.lgs. in funzione di un modello spiccatamente cooperativo, in cui lo Stato e gli enti territoriali si impegnavano a suscitare e sostenere le energie intellettuali in via di formazione. Il decreto tracciava una prospettiva originale rispetto al passato, sia per il coordinamento delle funzioni, sia dal punto di vista della tipologia dei beni interessati e sia per le innovazioni prodotte in merito alla armonizzazione delle competenze fra i vari enti territoriali. La legislazione immediatamente successiva non sembra aver mantenuto del tutto queste promesse e la nozione di attività culturale ritornerà, ma in maniera spesso incerta. Il d.lgs. n. 368/1998 istituisce il Ministero per i beni ed attività culturali deve operare per la più ampia promozione delle attività culturali, garantendone il pluralismo e l’equilibrato sviluppo in relazione alle diverse aree territoriali e ai diversi settori. Il contesto dell'attività culturali acquista con tale decreto il perimetro più ampio del passato e il Ministero esercita le funzioni amministrative statali in materia di promozione delle attività culturali in tutte le loro manifestazioni. Si tratta di disposizioni che vanno lette in protezione particolare, circoscrivendone la portata all'interno della forma linguistica “bellezze naturali”. La nozione di paesaggio viene fatta ricomprendere all'interno dei quadri naturali espressi dai valori paesistici, mentre non cadrebbe all'interno della disciplina la fauna, la flora e tutto quanto prescinde dalla natura in quanto tale. ne deriva che i beni costituenti il paesaggio sono tali in virtù di caratt intrinseche intrinseche e predefinite. la disciplina regolat sarà attestata essenzialmente sulle tradiz funzioni conservative e di tutela, senza apertura a valorizzaz e fruizione È stata contrapposta anche una differente teorizzazione in cui la locuzione paesaggio viene imputata un processo creativo che interessa l'uomo non meno della naturaÈ il paesaggio come “forma del paese”, secondo la definizione di PredieriAzione cosciente e sistematica della comunità umana e del territorio, quindi concernente città e campagne, ambiente visibile e non visibile e ogni insediam naturale dove l’operato umano ha lasciato segni tangibili della propria storia Quest'ultima concezione ha permesso di superare definitivamente la dicotomia fra bello prodotto dall'uomo e bellezza della natura (leggi Bottai n. 1089/1939 e n. 1497/1939). All'inizio degli anni 70, il giudice delle leggi è ancora saldamente ancorato a una concezione estetica del paesaggio: nella sent. n. 141/1972 la corte sancisce un regime di separazione fra urbanistica e paesaggio. nella sent. n. 239/1982 la tutela del paesaggio è intesa come protezione di un valore estetico-culturale relativo alle bellezze paesistiche. La svolta avviene con l'entrata in vigore della l. n. 431/1985 (legge Galasso)introduce una innovativa concezione della tutela del paesaggio, assoggettando a vincoli paesaggistici intere categorie di beni in ragione del loro specifico interesse ambientale. La legge interviene per la prima volta in modo incisivo sulla realtà ambientale italiana ed estende la disciplina vincolistica del 1939 a intere aree territoriali. La sent. n. 39/1986 afferma che una nozione di paesaggio conforme all'articolo 9 deve ora ritenersi comprensiva di ogni elemento naturale umano attinente alla forma esteriore del territorio. La sent. n. 151/1986 sottolinea che la legge Galasso disegna una relazione paesaggistica improntata a integrità e globalità. La disciplina del paesaggio ha conosciuto un ulteriore sviluppo negli ultimi decenni Si è rivelato imprescindibile designare i confini tra le nozioni di paesaggio e quelle limitrofe. Si è trattato di definire le esigenze di tutela paesaggistica con la presenza umana e le sue correlate esigenze. La Convenzione europea del paesaggio parla espressamente di gestione dei paesaggi, cioè di azioni volte in una prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali. Il paesaggio non è statico ma vive in una condizione di temporalitàva preservato in quanto tale e è chiamato anche a un’inesorabile e paziente convivenza con l'uomo. La riforma del titolo V della Costituzione ha ridistribuito le competenze in materia e posta una quantità di questioni interpretative. Secondo l’art. 117, comma 2, lettera s la tutela di ambiente ed ecosistema è inserita con le materie a potestà primaria dello Stato, mentre la valorizzazione dei beni ambientali è contenuta per le materie a potestà legislativa concorrente (art. 117, comma 3). La corte costituzionale ha precisato che la tutela ambientale e paesaggistica costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnate alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione del bene culturale e mentale. Questa pronuncia ha ispirato il successivo d.lgs. n. 63/2008, che ha riscritto l’art. 121 del Codice Il nuovo testo prevede che la potestà esclusiva dello Stato di tutela del paesaggio costituisca un limite all'esercizio dell'attribuzione delle regioni sul territorio e che le norme del Codice definiscano i principi e la disciplina di tutela dei beni paesaggistici. Ai sensi dell’art 131 comma 4La tutela del paesaggio è volta a riconoscere, salvaguardare e recuperare i valori culturali che esso esprime tutti i sogg che vi intervengono pertanto devono assicurare la conservaz dei suoi aspetti e caratt peculiari. L'articolo 6 del Codice riconduce alla valorizzazione del territorio l’adeguata fruizione e la conservazione del patrimonio culturale in generale. La tutela si traduce in un'attività ricognitiva, di protezione e conservazione del paesaggio. La valorizzazione consiste nello svolgersi dinamico di molteplici attività finalizzate a promuovere la fruizione, il recupero, il miglioramento e l’innovazione. La potestà regolamentare spetta ancora allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva ma viene attribuita alle regioni per ogni altra materia (art. 117, comma 6). Tutte le funzioni amministrative sono attribuite al livello di governo più in grado di garantire una gestione ottimale --> cioè il Comune art 118 comma 1 , fatto salvo al conf ad altri enti territ per assicurarne l'esercizio unitarioprincipio di sussidiarietà, qui da leggere in senso verticale, cit anche dalla Convenzione europea del paesaggio. Il metodo migliore per attenersi allo spirito della Costituzione è quello della collaborazione nel perseguimento dell'interesse comune. Il rapporto tra beni culturali e paesaggio trova anche riscontro nel codice dei Beni Culturali. Viene offerto una definizione di paesaggio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali umani e dalle loro interrelazioni. Il Codice è importante anche per la connessione che individua tra beni culturali e paesaggio attraverso il genus comune del “patrimonio culturale”, costituito dai beni culturali e dei beni paesaggistici (art. 2, comma 1) che la Repubblica tutela e valorizza in coerenza con l'attribuzione di cui all’art. 117 (art. 1, comma 1). Assume quindi un assoluto rilievo la nozione di patrimonio culturale comprensiva non più solo dei beni culturali tradizionali ma anche dei beni paesaggistici. Un codice che fa dunque propri i principi della Costituzione repubblicana. Il patrimonio culturale è il luogo della memoria della comunità, proiettato in una prospettiva di promozione dello sviluppo culturale dei suoi cittadini (art. 9). La formula “patrimonio culturale” ricomprende sia il patrimonio storico e artistico che il paesaggio. La nozione di beni paesaggistici tende oggi ad assumere un ruolo prevalente rispetto al concetto di beni ambientali. I beni paesaggistici ricomprendono infatti gli immobili indicati dall'articolo 134 e gli altri beni individuati dalla legge e in base alla legge (art. 2, comma 3) ma senza operare più il richiamo alla significatività della testimonianza che si è visto caratterizzare i beni ambientali. L’art. 134 del Codice stabilisce che sono beni paesaggistici: gli immobili e le aree di cui all’art. 136; le aree indicate dall’art. 142; gli immobili indicati nell’art. 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156. Permangono il richiamo alle bellezze naturali e ai vincoli derivanti dalla legge Galasso. Alla seconda categoria appartengono anche i territori costieri, i territori dei laghi, i fiumi i torrenti e corsi d'acqua, le montagne, etc. Nella terza categoria rientrano i beni che vengono vincolati dei piani paesaggistici. Il piano paesaggistico è chiamata a individuare eventuali ed ulteriori contesti diversi da quelli elencati all'articolo 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e utilizzazione. Il piano comprende sia previsioni presupponenti il vincolo paesaggistico che altri estensibili anche alla restante parte di territorio integrante paesaggio giuridicamente rivelante. Sono considerati beni paesaggistici quelli oggetto di dichiarazione di notevole interesse pubblico all'esito di un procedimento amministrativo. Il d.lgs. n. 157/2006 ha ricondotto sia lo Stato che le regioni il compito di assicurare che il paesaggio sia adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito. Le regioni sottopongono a specifica norma d'uso il territorio mediante l'approvazione dei piani paesaggistici. Il Codice specifica che l'elaborazione dei piani paesaggistici avvenga congiuntamente tra Ministero e regioni. Il progetto concordato tra regione e Ministero dei beni forma oggetto di apposito accordo di programma fra pubbliche amministrazioni. Con tale accordo si fissa anche il termine entro il quale il piano deve essere approvato con provvedimento regionale. I soggetti proprietari, possessori e detentori di immobili o aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge o in base alla legge, qualora intendono intraprendere interventi che possano trasformare il paesaggio, dovranno presentare le amministrazioni competenti il progetto di intervento al fine di ottenere l'autorizzazione paesaggistica. Si tratta di una valutazione tecnico-discrezionale il cui rilascio presuppone un controllo di conformità del progetto presentato alle prescrizioni del piano paesaggistico. L'attribuzione alle regioni in materia di piani paesaggistici sanciscono l'affermazione di un'idea plurale del paesaggio. In materia di tutela la competenza è statale, ma le regioni sono chiamate a cooperare attraverso i piani paesaggistici purché l'intervento normativo si risolva in una migliore protezione dell'interesse ambientale. La nozione di città d’arte evoca un concetto al di fuori della scienza e del diritto e davanti al quale il giurista avverte disagio perché abituato a trattare con schemi su tradizioni secolari e qst invece è un fenomeno x lui non famigliare La definizione di tale conc si presenta irta di difficoltà di solito con città d’a. si intende identificare i nuclei urbani dotati di una spiccata vocazione turistica. Ma così si vanno a toccare situaz troppo eterogenee (dalla metropoli al borgo medievale) Per restringere il campo, si potrebbe forse applicare la nozione soltanto alle città particolarmente ricche di tesori artistici. Ma anchè così il campo non è abbastanza ristretto xchè l’ita detiene il 30%del patrm cult mondiale Non ci resta però che esplorare i reciproci rapporti che si instaurano fra il concetto di arte e quello di città. Entrambi i concetti sono provvisti di una forte apertura semantica, al punto da formare oggetto discipline specifiche: l'estetica e l’urbanistica. Dice Max Weber sul conc. di cittàTutte le città hanno in comune soltanto il fatto di costituire un insediamento relativamente circoscritto ‘’ borgata’’, e non case isolatenon ci sono criteri sicuri x distinguere la città dal villaggio. il colleg tra arte e città rende il conc di città d’a. come una figura sfuggente Bisogna ricostruire l’area concett in cui si aggira qst figura: La nozione di centro abitato si basa sul carattere organizzato delle aree, ossia sul fatto che queste ultime siano munite di un sistema apprezzabile di impianti e di servizi. la nozione di vecchio centro abitato, utilizzata soprattutto dalle leggi antisismiche allo scopo di indicare gli aggregati urbani rimasti indenni dopo movimento tellurico a carattere distruttivo. Il concetto di centro storico designa quella parte della città che ne documentano uno stadio diverso dall’attualema x qst va messo a frutto la distinzione fra l'accezione culturale e quella urbanistica di centro storico: la prima mette radici nella l. n. 1089/1939 (Bottai)concernente la tutela delle bellezze naturali e identifica i valori storici intorno ai quali si è raccolta la comunità cittadina; la seconda trae alimento della legge-ponte urbanistica, e risponde ad una logica tutta interna al piano regolatore. Di norma le 2 noz risultano coincidenti ma può avvenire che sec il tessuto urbano ci sia uno anziché l’altro. Non resta che far leva sulla differenza che sussiste tra la nozione di città e quella di centro urbano. Il punto di utilità connesso all'introduzione del concetto di città d'arte sta nel fatto che quest'ultimo permette di superare le angustie del concetto di centro storico in situazioni nelle quali il territorio urbano è dotato di pregio storico-artistico. Ogni aggregato urbano ha un centro storico che va tutelato perché vi si conserva la memoria storica del luogo e quindi la sua identità; taluni insediamenti dispongono poi un centro storico fine consiste nella necessità di assicurare una più intensa sorveglianza nei museigia il testo unico aveva rafforzato le4 senzioni contro le offese Oggi il codice dei Beni Culturali dedica l'intera parte IV alle sanzioni a difesa dei Beni Culturali. E necessario assicurare un soggiorno gradevole e informato al pubblico dei visitatori. Questi ultimi possono ben definirsi titolari di situazioni giuridiche soggettive attive nei confronti dell'istituzione museale. In nessun caso l'intervento dei pubblici poteri può ridursi alla semplice gestione del patrimonio ereditato dalle generazioni precedenti: tale intervento deve invece offrire impulso alla creazione e alla distribuzione dei fatti culturali, e ciò vale anche in relazione all'obbligo di tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione. Il godimento collettivo dei beni museali dà luogo a un insieme variegato di diritti culturali, che a loro volta possono accorparsi in tre categorie. a) il diritto di accesso ai locali alle opere esposte nel museo. L'obbligo di consentire la fruizione pubblica del bene museale non comporta necessariamente l'accesso gratuito per tutti. Il legislatore del t.u. aveva attribuito espressamente alla potestà regolamentare del Ministro la disciplina dell'apertura al pubblico dei musei, reinserendo il biglietto d'ingresso. Aveva inoltre previsto che fosse sempre il regolamento a determinare i casi di ingresso gratuito oltre che i criteri per la fissazione del prezzo, disciplinandola in relazione agli introiti ricavati dalla vendita dei biglietti. Sulle modalità d'ingresso il codice ha scelto (art. 103) una soluzione mediana, lasciando l'alternativa fra accesso gratuito e pagamento per gli studi di cultura, secondo il giudizio della titolare dell’istituto. I proventi derivanti dalla vendita di biglietti di ingresso agli istituti di cultura dello Stato sono destinate all realizzazione di interventi per la sicurezza e la conservazione dei luoghi medesimi, mentre i proventi derivati dalla vendita dei biglietti di ingresso agli istituti e luoghi appartenenti ad altri soggetti pubblici sono destinati all'incremento ed alla valorizzazione del patrimonio culturale. b) dal diritto di accesso si distingue poi un più specifico diritto all’informazione e allo studio dei Beni Culturali esposti al museo. Per conseguirne una chiara intelligenza, i beni storici e artistici messi in mostra nelle sale espositive devono essere dotati di apparati didascalici e il pubblico durante il soggiorno deve poter fruire di visite guidate o di altri strumenti informativi. Accanto a queste forme d'uso generale del bene musicale si configura anche un uso speciale, che stavolta può fondarsi su una finalità scientifica o didattica, che legittima l'adozione di una particolare disciplina. c) il diritto a fruire di un soggiorno confortevole nei locali del museo, godendo di spazi e allestimenti per il riposo e per le attività di ricreazione rendendo la visita al museo anche un'occasione di svago e distensione. L'articolo 117 del Codice prevede servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba e di vendita di ogni altro bene correlato all'informazione museale. 5. Proprio dell’autonomia di cui musei devono considerarsi titolari possono trarsi alcune indicazioni circa la loro organizzazione interna. In Italia manca ancora una chiara scelta normativa che stabilisca le forme di governo del museo, tant'è che la stessa legislazione regionale propone ora moduli di gestione collegiale, ora modelli monocratici. È comunque il direttore l'autentico dominus della sede museale. L’autonomia propria di ogni soggetto culturale non è che un corollario del più generale principio di libertà della cultura. Ne consegue che per dare piena attuazione al dettato costituzionale, i singoli musei dovrebbero disporre della scelta concernente il proprio ordinamento interno. Tuttavia almeno in ordine ai musei degli enti locali fra le maglie del diritto positivo esiste già un modello organizzativo in grado di garantire libertà d'azione culturale: si tratta di applicarvi la forma dell'istituzione come strumento di esercizio dei servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale di cui debbano occuparsi i comuni e le province, e che è dotata per l'appunto di autonomia gestionale, come precisava il successivo art. 23 della legge sull'autonomie locali. L'istanza di autonomia non investe sui rapporti fra gli organi di vertice del museo: un nodo decisivo ha per oggetto il personale, che in Italia è mal distribuito tra le diverse sedi museali, ma che soprattutto è formato prevalentemente da custodi, a scapito della percentuale assai più modesta occupata dal personale tecnico e scientifico. C'è allora un nesso tra la cattiva distribuzione del personale e il sistema di reclutamento, che continua ad essere fin troppo centralizzato e burocratico. Il conferimento di un'effettiva autonomia gestionale in capo a ogni museo non soddisferebbe allora solo il valore della libertà della cultura, ma risponderebbe a un bisogno di efficienza; e anche su tale versante il fenomeno è stato aperto qualche spazio normativo, questa volta in relazione ai musei che appartengono allo Stato. La doppia questione sulla politica di realizzare al fine di incentivare lo sviluppo e il sostegno della domanda di cultura, nonché il contributo che in relazione alla gestione dei musei possono dare i privati, rappresenta un capitolo ancora da approfondire. La spinta verso l'occupazione di maggiori spazi di autonomia in favore dei musei dovrebbe realizzarsi anche con riferimento alla gestione dei singoli beni affidati loro cure. Allo stato attuale, il regime dei beni culturali ospitati nei musei statali, o dagli enti pubblici territoriali è quello della demanialità; essi risultano indisponibili da parte dei singoli istituti museali, sicché non possono essere smembrati senza autorizzazione al ministero. L’inalienabilità dei beni museali pubblici che discende la loro natura demaniale soddisfa l'esigenza di sottrarli alla circolazione giuridica, consentendone la fruizione collettiva; questa speciale produzione normativa può talvolta rivelarsi troppo rigida. Tra le pieghe dell'ordinamento esistono però almeno due istituti che in qualche misura permettono ai musei di riappropriarsi delle scelte circa la loro propria dotazione culturale. Viene di fatto in gioco il procedimento di sdemanializzazione che può ben rivolgersi anche alle cose custodite negli istituti museali quando i musei medesimi ne sollecitano l’impegno. Il provvedimento detta prescrizioni e condizioni in ordine alle misure di conservazione programmate; stabilisce le condizioni di fruizione pubblica del bene; si pronuncia sulla congruità delle modalità e dei tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione indicati nella richiesta. L’autorizzazione non può essere rilasciata qualora la destinazione d'uso proposta sia suscettibile di arrecare pregiudizio alla conservazione e fruizione pubblica del bene o che non sia compatibile con il carattere storico e artistico del bene medesimo. Il Ministero ha la facoltà di indicare destinazioni d'uso ritenute compatibili con il carattere dei beni e con l'esigenza e la sua conservazione. L’art. 58 del Codice contempla lo strumento della permuta di beni culturali, anche essa sottoposta alla preventiva autorizzazione del Ministro. Quest'ultimo strumento è tale da restituire margini sufficientemente elastici alle determinazioni culturali dei singoli musei, senza impoverire il patrimonio ma viceversa migliorandolo. Risulta impervia la capacità di effettuare acquisti direttamente sul mercato da parte dei musei, tutt’oggi regolata da una norma macchinosa e ormai obsoleta. La politica degli acquisti viene comunque gestita dall'amministrazione centrale attraverso un ampio ventaglio di strumenti che annovera l'espropriazione, il diritto di prelazione, l'acquisto coattivo dell'esportazione, acquisto dei ritrovamenti e delle scoperte di beni culturali. XI. Il patrimonio culturale europeo 1.Nel 1957 il Trattato istitutivo della CEE, all'articolo 30, ammise il mantenimento per la circolazione comunitaria di restrizioni e divieti dettati da esigenze di produzione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, e sanciva l'eccezione culturale: una deroga che legittima l'intervento regolativo il finanziario dei poteri pubblici nazionali, sottraendo la materia culturale alle decisioni di organi comunitari e finendo con riconosce una dimensione sovracomunitaria. Nasce la Comunità europea nel segno della libera circolazione di merci e capitali, e tutto quanto riesce a stabilire in termini di patrimonio storico artistico é il mantenimento del monopolio delle politiche nazionali di settore. Le deroghe vanno interpretate in modo tassativo. Si tratta di decisioni che rispecchiano lo scontro tra paesi membri fautori di un approccio totalmente liberista nella disciplina della circolazione dei beni culturali, e paesi attestati verso un ferreo mantenimento dell'integrità del proprio patrimonio culturale. Il risultato è stato quello di una delimitazione fluida e non sempre prevedibile degli ambiti di competenza. La corte di giustizia ha legittimato la regolamentazione comunitaria laddove fossero in gioco principi comunitari del libero mercato e diritti fondamentali. La dimensione culturale ha assunto un carattere più significativo della mera deroga al divieto di restrizioni e circolazione delle merci. Importante è l'Atto unico del 1986. 2. Dopo l’Atto unico europeo, si diffonde sempre di più la consapevolezza che l’Unione può sorgere solo trascendendo quella visione strettamente economicistica che ne aveva segnato la nascita. Si afferma un progetto di integrazione positiva implicante l'estensione dell'azione comunitaria ad un livello non limitato alla mera abolizione degli ostacoli in circolazione di beni servizi. Il Trattato UE del 1992 riconosce competenze specifiche all'Unione in materia di cultura e prevede un contributo rivolto ad un'istruzione e una formazione di qualità. Diventa prioritario l'interesse per il fattore culturale individuato come determinante in funzione di quell’unione sempre più stretta fra i popoli europei. La sintesi di questo nuovo rilievo sta all’art. 128 TCE, come originato dal trattato di Maastricht del 1992. Una disposizione organica all'interno di un titolo esplicitamente dedicato alla cultura. La Comunità deve contribuire al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri nel rispetto della diversità nazionali e regionali,. La sua azione sarà pertanto diretta ad incoraggiare la cooperazione fra gli Stati membri. Questi devono inoltre favorire la cooperazione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura. Si tratta di disposizioni importanti che lasciano la netta sensazione di un'inversione di tendenza della Comunità in maniera culturale. L’art. 128 trasferisce per la prima volta a livello europeo un compito elenco di competenze in maniera culturale e designa limiti ed obblighi della Comunità. Il legislatore comunitario mostra piena consapevolezza dell'accezione breve della cultura senza attestazioni di privilegio per le più conclamate manifestazioni culturali prevalenti, egemoni o centrali. Notevole anche il rilievo attribuito al dialogo interno di livello internazionale, prevedendo la cooperazione con paesi terzi ed organizzazioni internazionali competenti in materia di cultura. Ogni paese membro è dotato di un patrimonio di relazioni legami provi nel momento in cui aderisce alla comunità e tali conoscenze possono presentare un veicolo direzionale. Molte aspettative sono sorte intorno alla previsione che l’UE tenga conto degli aspetti culturali nell'azione che svolge a norma di tutte le altre disposizioni del Trattato. Un obbligo funzionalizzato alla promozione delle differenze culturali nel momento in cui introduce un impegno al bilanciamento tra interessi culturali e gli altri interessi che il Trattato tutela. 3. Prima della firma del trattato di Maastricht, gli interventi culturali siano legati a progetti pilota e a iniziative a tutela di siti europei di eccezionale valore culturale. Il primo programma comunitario nel settore culturale è stato il programma Caleidoscopio (1196-1999), volto a incoraggiare la creazione artistica e a promuovere la diffusione della cultura in Europa mediante gli scambi e la cooperazione culturale. Segue il programma Arianna e il programma Raffaello, il programma Cultura 200o e il programma Cultura 2007-2013. È in corso il programma Europa Creativa 2014-2020, istituito con il reg. UE n. 1295/2013 e suddiviso in tre sottoprogrammi. Il programma contribuisce al raggiungimento degli obiettivi strategici Europa 2020, individuati dalla commissione: tale strategia è finalizzata a formare l'Unione in un'economia intelligente, sostenibile e inclusiva, caratterizzata da alti livelli di occupazione, produttività e coesione sociale. L'azione di sostegno dell'Unione alla cultura in genere si traduce anche nel finanziamento della ricerca. Alcuni esempi sono il programma 7PQ o il programma Horizon. L'azione della comunità si è dunque concretizzata in politiche di sostegno, contributi ed eventualmente anche integrazione alle politiche culturali nazionali. 4. In direzione di un patrimonio culturale dei connotati differenti sembra muoversi la nozione di patrimonio culturale di importanza europea. Tale formulazione non nasce con il trattato di Maastricht, ma nuova é l'evidenza che viene attribuita alla nozione con il trattato del 1992. Il richiamo all'importanza europea pone su un piano diverso la nozione di patrimonio culturale di importanza europea, rispetto al patrimonio culturale europeo. Quindi questa formulazione, insieme a quella di retaggio culturale comune, non mancò di essere esaminata al suo apparire con l'attenzione che meritava. Vi si ravvisava un coraggioso tentativo di superare l'idea di patrimonio culturale di esclusivo interesse nazionale. La nozione ha però incontrato anche molti dissensi. L’osservazione più frequente è che, poiché il Trattato parla di sviluppo delle culture degli Stati membri, nel mentre vieta la possibilità di omogenizzazione della normativa interna, ciò escluderebbe la promozione di un'unica cultura europea alla stregua della moneta. A ciò vanno aggiunti i vincoli alle stesse dinamiche di azione politica europea. Contro il sostanziale disinteresse della CEE delle origini, il Parlamento europeo ha sollecitato nuovi strumenti di intervento giuridico sul piano culturale, giungendo fino ad ottenere, dopo Maastricht, a una procedura decisionale semplificata con il Consiglio in materia. La lettura dell'articolo 115 consegna l'impressione di un'improvvisa marcia indietro dei paesi membri, dopo tutti gli scenari aperti nei primi commi; e limiti di questo modello di governo culturale sono emersi più volte in passato. Parlare di patrimonio culturale di importanza europea può apparire sempre più anacronistico, nel momento in cui si va diffondendo l'idea che bisogna prescindere dal tradizionale approccio territoriale nella tutela dei beni culturali: La convenzione dell'Aja del 1954, parti dal presupposto che i danni arrecati ai beni culturali costituiscono danno al patrimonio culturale dell'intera umanità. La convenzione Unesco del 1972 afferma il principio che tutti i popoli del mondo sono interessati alla conservazione dei Beni Culturali, per cui gli Stati aderenti si obbligano ad astenersi da ogni provvedimento atto a danneggiare il patrimonio culturale. Significativo é il presupposto di fondo che anima questi accordi internazionali, cioè che i beni culturali non appartengono alla singola nazione ma all'intero genere umano. La conseguenza che ne deriva è l'obbligo di assicurare la protezione, la conservazione e la valorizzazione. Non pare che l'Unione sia riuscita ad andare
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