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L'ordine del discorso di Focault, Sintesi del corso di Sociologia

riassunto de L'ordine del discorso di Focault utilizzato nel corso teoria delle relazioni sociali del prof Ciro Tarantino

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 15/02/2021

samuele-cardamone
samuele-cardamone 🇮🇹

4.5

(26)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica L'ordine del discorso di Focault e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! L’ordine del discorso di M. Focault Discorso come materiale realtà di cosa pronunciata o scritta, come esistenza transitoria. IPOTESI: in ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure con la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli. Procedure d’esclusione: 1. INTERDETTO; non si ha diritto di dir tutto, non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza. Tre tipo di interdetto: tabù dell’oggetto, rituale della circostanza, diritto privilegiato o esclusivo del soggetto che parla. Regioni più fitte di interdetti dei giorni nostri: sesso e politica, come se nel discorso si esercitassero in modo privilegiato alcuni dei loro terribili poteri. Gli interdetti che colpiscono il discorso rivelano rapidamente il loro legame con il desiderio e il potere. Il discorso è ciò attraverso cui si lotta, per impadronirsi del potere. 2. PARTIZIONE (partage) E RIGETTO; opposizione tra ragione e follia. La parola del folle è quella che viene considerata insieme nulla e senza effetto o all’opposto annunciazione di una verità nascosta. Parola o non intesa o, se intesa, ascoltata come parola di verità. La follia del folle si riconosceva attraverso le sue parole: esse erano il luogo in cui si compiva la partizione. Partizione tra sensatezza e insensatezza, partizione e/o rigetto della follia. Oggi, la parola del folle è ancora dall’altra parte della separazione, la partizione non è stata cancellata, ma agisce secondo linee diverse, attraverso nuove istituzioni (tutta la rete che consente a medici e psicanalisti di ascoltare questa parola, per esempio). Quello del folle è il discorso investito dal desiderio, che si crede, per la sua più grande esaltazione e la sua più grande angoscia, carico di terribili poteri. “Se occorre veramente il silenzio della ragione per guarire i mostri, basta che il silenzio sia in allarme, ed ecco la partizione mantenuta” 3. OPPOSIZIONE DEL VERO E DEL FALSO, VOLONTÀ DI VERITÀ; a livello di proposizione, all’interno di un discorso, la partizione tra vero e falso non è né arbitraria, né modificabile, né istituzionale, né violenta. Se la questione invece si pone attraverso i nostri discorsi, questa volontà di verità che ha attraversato per secoli la nostra storia, è un sistema d’esclusione, ma storico, modificabile, istituzionalmente costrittivo. Nella Grecia del VI secolo il discorso vero, per cui si aveva rispetto e terrore, era quello pronunciato dal potere di diritto, secondo il rituale richiesto. Già un secolo più tardi la più alta verità non risiedeva più in quel che il discorso era o faceva ma in quel che diceva; la verità si è spostata dall’atto ritualizzato, efficace e giusto, verso l’enunciato stesso. Il discorso vero quindi smette di essere il discorso legato al potere. Tra il XVI e XVII secolo, è comparsa invece una volontà di sapere che non coincideva con la volontà di sapere della cultura classica, una volontà di sapere che imponeva al soggetto conoscente una certa posizione, un certo sguardo e una certa funzione. Questa volontà di verità, come gli altri sistemi d’esclusione, si fonda su di un supporto istituzionale (pratiche come la pedagogia, il sistema dei libri, dei circoli, dell'editoria, delle biblioteche). Questa volontà di verità, così sorretta da un supporto e da una distribuzione istituzionali, tende ad esercitare sugli altri discorsi una sorta di pressione e di costrizione. Un insieme prescrittivo come il sistema penale ha cercato le sue basi e la sua giustificazione, dapprima naturalmente in una filosofia del diritto, poi, dal XIX secolo, in un sapere sociologico, psicologico, medico, psichiatrico, come se la parola stessa della legge non potesse più essere autorizzata se non da un discorso della verità. La volontà di verità è il grande sistema di esclusione che colpisce il discorso verso cui hanno continuato a essere sospinti i primi. Per noi la volontà di verità e le sue peripezie sono mascherate dalla verità stessa nel suo necessario svolgimento. Ma se il discorso degli antichi greci, quello che risponde al desiderio o che esercita il potere, non è più il discorso vero, cosa c’è in gioco nella volontà di verità, nella volontà di dirlo questo discorso vero, se non il desiderio e il potere? Volontà di verità in questione contro la verità I sistemi d’esclusione di cui sopra sono procedure di controllo e delimitazione del discorso che si esercitano dall’ESTERNO, concernono senza dubbio la parte del discorso che mette in gioco il potere e il desiderio. Procedure interne: sono i discorsi stessi che esercitano il loro proprio controllo; principi di classificazione, di distribuzione. Si padroneggia, questa volta, la dimensione del discorso dell’evento e del caso. Principi di rarefazione di un discorso. 1. COMMENTO; dislivello tra i discorsi: i discorsi che “si dicono” e che passano con l’atto stesso che li ha pronunciati e i discorsi che sono all’origine di un certo numero di atti nuovi, di parole che li riprendono, li trasformano o parlano di essi. Discorsi che sono detti, restano detti e sono ancora da dire; testi giuridici o religiosi, testi letterari, certi testi scientifici. Questa sfasatura non è né stabile né costante né assoluta. Il radicale annullamento di questo dislivello non può che essere gioco, utopia o angoscia. Da una parte però il commento consente di costruire nuovi discorsi, mentre dall’altra ha come ruolo unico, qualunque siano le tecniche messe in opera, di dire infine ciò che era silenziosamente articolato laggiù. Deve dire per la prima volta quel che era già stato detto e ripetere instancabilmente ciò che, nondimeno, non era mai stato detto. Il nuovo non è ciò che è detto, ma nell’evento del suo ritorno. 2. AUTORE; sino a un certo punto, complementare al commento. Autore non come chi ha pronunciato o scritto un testo, ma come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità ed origine dei loro significati, come fulcro della loro coerenza. Nei campi in cui l’attribuzione ad un autore è di regola, è chiaro che non svolge la stessa funzione: nel discorso scientifico, nel Medioevo, l’attribuzione ad un certo autore era indice di verità. Nel discorso letterario, nello stesso periodo, la funzione dell’autore non ha cessato di rafforzarsi. L’autore è ciò che da all’inquietante linguaggio della finzione le unità, i nodi di coerenza, l’inserzione nel reale. Il commento limitava il caso del discorso col gioco di un’identità che ha la forma della ripetizione e dello stesso. Temi della filosofia che affrontano questi giochi di limitazioni ed esclusioni: verità ideale come legge del discorso e razionalità immanente come principio dello svolgimento, riconfermando un’etica della conoscenza che non promette la verità se non al desiderio della verità stessa e al solo potere di pensarla. Questa antichissima elisione della realtà nel discorso filosofico ha assunto varie forme:  Il tema del soggetto fondatore può elidere la realtà del discorso: il soggetto fondatore è infatti incaricato di animare direttamente colle sue mire le forme vuote della lingua.  Tema che fronteggia il soggetto fondatore, l’esperienza originaria: suppone che, a fior dell’esperienza, prima ancora che si sia potuto formulare un pensiero, significati preliminari percorressero il mondo e l’aprissero a una sorta di primitivo conoscimento. [“Le cose mormorano già in un senso che il nostro linguaggio non ha che da far sorgere”, RIPRESA DI W. BENJAMIN  Tema della mediazione universale: nel ritrovare ovunque il movimento di un logos che innalza le singolarità fino al concetto e che consente alla coscienza immediata di dispiegare alla fine tutta la razionalità del mondo, si mette al centro della speculazione il discorso stesso. Ma questo logos, in realtà, non è che un discorso già tenuto. O meglio, sono le cose stesse e gli eventi che si fanno discorso dispiegando il segreto della propria essenza. Sia dunque in una filosofia del soggetto fondatore, che in una filosofia dell’esperienza originaria o in una filosofia dell’universale mediazione, il discorso non è niente più che un gioco, di scrittura nel primo caso, di lettura nel secondo, di scambio nel terzo. Il discorso si annulla così nella sua realtà, ponendosi a disposizione del significante. LOGOFOBIA In ogni società c’è un sordo timore contro questi eventi, contro questa massa di cose dette, contro il sorgere di tutti questi enunciati. Se si vuole analizzare questo timore nelle sue condizioni, nel suo gioco e nei suoi effetti, bisogna rivolgersi a tre decisioni alle quali il nostro pensiero oggi resiste un pò e che corrispondono ai tre gruppi di funzioni già evocate: rimettere in questione la nostra volontà di verità, restituire al discorso il suo carattere di evento e togliere la sovranità al significante. Esigenze di metodo che essi comportano: 1. PRINCIPIO DI ROVESCIAMENTO: dove si crede di riconoscere la scaturigine dei discorsi, il principio del loro proliferare e della loro continuità, le figure positive come l’autore, la disciplina e la volontà di verità bisogna invece riconoscere il gioco negativo di una rarefazione del discorso. Si deve forse ammettere la virtuale pienezza di un mondo di discorsi ininterrotti? 2. PRINCIPIO DI DISCONTINUITA: il fatto che ci siano sistemi di rarefazione non vuol dire che sotto di essi, al di là di essi, possa regnare un gran discorso illimitato, continuo e silenzioso. I discorsi devono essere trattati come pratiche discontinue, che si incrociano, si affiancano, ma anche si ignorano o si escludono. 3. PRINCIPIO DI SPECIFICITÀ: il mondo non è complice della nostra conoscenza, pertanto non si deve risolvere il discorso in un gioco di significati precostruiti, né tantomeno immaginarsi che il mondo ci volga un viso leggibile, che non si debba che decifrare. Il discorso deve essere concepito come una violenza che noi facciamo alle cose, come una pratica che imponiamo loro e proprio in questa pratica gli eventi del discorso trovano il principio della loro regolarità. 4. PRINCIPIO DELL’ESTERIORITÀ: non si deve andare dal discorso verso il nucleo interno e nascosto, ma, a partire dal discorso stesso, dalla sua apparizione e regolarità, si deve andare verso le sue condizioni esterne di possibilità. Quattro nozioni devono servire da principio all’analisi: evento, serie, regolarità, condizione di possibilità. Esse si oppongono ad altri quattro termini: l’evento alla creazione, la serie all’unità, la regolarità all’originalità, la condizione di possibilità al significato. Queste seconde quattro (creazione, unità, originalità, significato) hanno, in modo generale, dominato la storia tradizionale delle idee, ove si cercava il punto della creazione, l’unità d’opera, di un tema o di un’epoca, il contrassegno dell’originalità e il tesoro indefinito dei significati nascosti. DUE OSSERVAZIONI 1. LA STORIA la storia, così come la si pratica oggi, non si allontana dagli eventi singolari, al contrario, non fa che ampliarne il campo. La storia non considera un evento senza definire la serie di cui fa parte, senza determinare le condizioni da cui queste dipendono; per stabilire le serie diverse, incrociate, divergenti ma non autonome, che consentono di circoscrivere il “luogo” dell’evento, le condizioni della sua apparizione. Le nozioni fondamentali che ora si impongono non sono più quelle di coscienza e continuità, non quelle di segno e struttura, ma quelle di evento e serie. Se i discorsi devono essere trattati come innanzitutto come insiemi di eventi discorsivi, che statuto si deve dare a questa nozione di evento che viene di rado presa in considerazione dai filosofi? L’evento non è dell’ordine dei corpi, ma esso non è immateriale. La filosofia dell’evento dovrebbe procedere nella direzione, paradossale a prima vista, d’un materialismo incorporeo. Inoltre, se gli eventi discorsivi devono essere trattati secondo serie omogenee ma discontinue le une rispetto alle altre, quale statuto si deve dare a questo discontinuo? Una tale discontinuità colpisce e invalida le più piccole unità riconosciute: l’istante e il soggetto. Bisogna elaborare, al di fuori delle filosofie del soggetto e del tempo, una teoria delle sistematicità discontinue. Bisogna accettare di introdurre l’alea come categoria nella produzione di eventi. Il caso, il discontinuo e la materialità: tre nozioni che dovrebbero consentire di legare alla pratica degli storici la storia dei sistemi di pensiero. 2. ANALISI SECONDO DUE PRINCIPI: da una parte, l’insieme “critico” che mette in opera il principio del rovesciamento: cercare di individuare le forme dell’esclusione, della limitazione, dell’appropriazione. Dall’altra, l’insieme “genealogico” che mette in opera gli altri tre principi: come si sono formate, attraverso o a dispetto o con l’appoggio di tali sistemi di costrizione, delle serie di discorsi, quali sono state le loro condizioni di apparizione, di crescita e di variazione. Insieme critico: gruppo di analisi sulle funzioni d’esclusione, prima la partizione tra follia e ragione all’epoca classica e poi il sistema di interdetto di linguaggio: la sessualità dal XVI al XIX secolo. Terzo sistema d’esclusione, considerato in due modi: da una parte come si sia costituita, ma anche come sia stata ripetuta riconfermata, spostata, la scelta della verità all’interno della quale siamo presi e che non facciamo che rinnovare. Epoca della sofistica e dei suoi inizi con Socrate = il discorso rituale, il discorso carico di poteri e di pericoli si è a poco a poco allineato sulla partizione tra discorso vero e falso. Inghilterra, XVI e XVII secolo = scienza dello sguardo, dell’osservazione, dell’accertamento come nuova forma della volontà di sapere. Inizi del XIX secolo = atti fondatori della scienza moderna, formazione di una società industriale e l’ideologia positivistica che l’accompagna. Tre sezioni nella morfologia della nostra volontà di sapere. Insieme genealogico: riguarda la formazione effettiva dei discorsi sia all’interno dei limiti di controllo, sia all’esterno, sia da entrambe le parti della limitazione. La critica analizza i processi di rarefazione, di raggruppamento e di unificazione dei discorsi; la genealogia studia la loro formazione dispersa, discontinua e regolare insieme. La formazione regolare del discorso, può integrare, in certe condizioni e fino a un certo punto, le procedure di controllo; e inversamente le procedure di controllo possono prender corpo all’interno di una formazione discorsiva (ad es. la critica letteraria come discorso costitutivo dell’autore). Devono alternarsi, sorreggersi e completarsi le descrizioni critiche e le descrizioni genealogiche. La parte critica dell’analisi si rivolge ai sistemi d’avvolgimento del discorso, cerca di rintracciare, di individuare tali principi di ordinamento, di esclusione, di rarità del discorso. La parte genealogica dell’analisi si rivolge invece alle serie della formulazione effettiva del discorso, cerca di coglierlo nel suo potere d’affermazione, potere di costruire ambiti d’oggetti, a proposito dei quali si potranno affermare o negare proposizioni vere o false. Se lo stile critico è quello della studiosa disinvoltura, quello genealogico sarà quello di un positivismo felice. In ogni modo l’analisi del discorso così intesa non svela l’universalità di un senso, ma mette in luce il gioco della rarità imposta, con un fondamentale potere di affermazione. Modelli e sostegni: Dumezil, Canguilhem, Jean Hyppolite
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