Scarica L'ossessione per il tempo da Orazio ai giorni nostri - collegamenti per la maturità e più Temi in PDF di Latino solo su Docsity! Massimo Baiani, IV scientifico L’ossessione per il tempo, da Orazio ai giorni nostri Il tempo: l’ineluttabile scorrere degli eventi, la capacità di saper cogliere l’attimo, la ricerca dell’immortalità. Oggetto di dibattito filosofico, per Platone è da intendersi come "l'immagine mobile dell'eternità"; per Sant’Agostino è estensione dell’anima umana, non è una realtà oggettiva, che esiste di per sé, ma soggettiva, relativa all’uomo; per Kant, insieme allo spazio, è forma a priori della sensibilità, e ci permette di organizzare le sensazioni. Una vera e propria ossessione, invece, per Orazio, contro cui si è scontrato per tutta la vita, prima di ritrovarsi vecchio e stanco, come emerge nel primo libro di epistolae, conscio del fatto che sì, non è riuscito a mettere in pratica i consigli che lui stesso aveva fornito ai suoi lettori su come vivere al meglio, ma che, oggi possiamo dirlo, è riuscito a raggiungere la tanto desiderata immortalità, e lo ha fatto grazie alla sua poesia. Se lo aspettava, come emerge nell’ode III, 30, che sarebbe stato eternamente “mantenuto in vita dalla lode dei posteri”. È vero che il Pontefice massimo romano non sale più il “Campidoglio con la vergine silenziosa”, ma un cittadino di Roma del I secolo a. C. non poteva di certo aspettarsi che questa sarebbe caduta nel giro di qualche secolo. La morte materiale, però, non la può fuggire nessuno, e da questo ci mette in guardia, nell’ode II, 14, nel rivolgersi all’amico Postumo. Ci dice che gli anni passano inesorabili mentre si avvicinano la vecchiaia e la morte. È quindi inutile cercare di ingraziarsi gli dèi con sacrifici (neppure, dice Orazio, se sacrificassimo trecento tori al giorno), così come è impossibile fuggire i pericoli delle guerre e delle malattie (e, aggiungerei, delle pandemie). Tutti gli uomini, sia i “re che i miseri coloni”, sono destinati a incontrare, prima o poi, le squallide presenze che popolano l’Oltretomba. La morte del corpo è un tema che è da sempre discusso, sia a livello religioso che filosofico. C’è chi sostiene che alla morte corporale segua la vita eterna nel regno dei cieli (o negli inferi, a seconda di come ci si è comportati), chi afferma che ci sia il nulla, che tutto finisca, e chi invece crede nella metempsicosi, la trasmigrazione della anima. C’è anche, però, chi è deciso a sfidare la vecchiaia, e con la scienza vuole tentare di allungare la propria vita. Sono tante le proposte scientifiche (e fantascientifiche) che sono state elaborate negli anni. Dall’uso di cellule staminali all’ibernazione nella speranza di cure future, passando per il mind uploading ed il trasferimento di coscienza (qualcuno evidentemente non conosce i film di Star Wars e la terribile fine dell’imperatore Palpatine). Ad ogni modo, ritengo che bisogna rassegnarsi ad accettare che ci sia una fine terrena. Del resto che senso avrebbe la vita se tutto durasse in eterno. Non godremmo più di alcun momento, perché tutto sarebbe destinato a ripetersi. Ritorniamo, quindi, alle parole di Orazio, il poeta del carpe diem, del “cogli l’attimo” (letteralmente il giorno). Bellissimi gli ultimi versi della sua ode I, 11: “Mentre parliamo
