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L'ultimo Beethoven. Musica, pensiero, immaginazione - Maynard Solomon, Sintesi del corso di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

Riassunto di alcuni capitoli: - CAP 2, Oltre il Classicismo; - CAP 3, Alcune immagini romantiche; - CAP 5, Ragione e immaginazione: la dimensione estetica; - CAP 7, Il filo conduttore massonico; - CAP 8, L'immaginazione massonica; - CAP 11, Il senso di una fine: la Nona Sinfonia; - CAP 12, Il potere curativo della musica.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 30/01/2023

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Scarica L'ultimo Beethoven. Musica, pensiero, immaginazione - Maynard Solomon e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! L’ULTIMO BEETHOVEN - RIASSUNTO. 1. OLTRE IL CLASSICISMO. Che Beethoven sia stato uno dei fondatori del movimento romantico in musica, che le sue opere abbiano influenzato molti dei compositori romantici, sono opinioni che la coscienza comune ha dato a lungo per scontate. Tuttavia, la questione del ruolo giocato da Beethoven nella svolta fra Classicismo e Romanticismo è stata soggetta a diverse controversie e ha conosciuto, nel corso del tempo, oscillazioni estreme. Il dibattito non è per nulla archiviato. La prima apparizione dell’immagine di Beethoven romantico è in buona parte il prodotto dell’opera di compositori e figure letterarie del XIX secolo. Tuttavia, anche durante il XIX secolo, vi furono letterari che posero in sempre maggiore rilievo l’adesione di Beethoven alla tecnica e ai principi strutturali del Classicismo. Hugo e Wagner, che ponevano l’idea di un Beethoven romantico, furono decisamente più influenti degli altri. Tuttavia, le libere formulazioni poetiche sembrarono dissolversi di fronte ai primi esami approfonditi: è quanto si verificò l’anno del centenario della morte di Beethoven, con la pubblicazione di Das Romantische Beethovenibild di Schmitz, il quale ricostruì ponderatamente l’evoluzione dell’immagine romantica di Beethoven e sottopose le prove musicali e biografiche del suo Romanticismo a un minuzioso e scettico vaglio. Schmitz rovesciò la nozione assodata del Romanticismo di Beethoven e ne fissò la visione oggi dominante che lo vuole erede di due tradizioni gemelle: dal punto di vista ideologico, quella dell’Illuminismo e, sotto il profilo musicale, quella del Classicismo Europeo e sopratutto viennese. Schmitz usò diverse strategie efficaci. Mostrò che l’idea del Beethoven romantico era piena di fraintendimenti ed errori. Principalmente, comunque, la sua strategia fu quella di presentare una visione semplificata del Romanticismo, dipinto come movimenti irrazionale e morboso. Stando a questi parametri, Beethoven non fu certo un romantico. La critica di Schmitz fu così persuasiva che la posizione romantica si trovò ben presto priva di difensori significativi. Quanto più ci addentriamo nell’essenza della musica di Beethoven tanto più evidente appare la sua appartenenza al mondo classico e più chiara la sua estraneità a quello romantico. Ciò che egli fece fu produrre una nuova sintesi del Classicismo e consegnarla al nuovo secolo. Fra le elaborazioni recenti della posizione classicista, quella forse più influente è quella di Rosen. Egli sostiene che, nonostante le prime composizione viennesi di Beethoven fossero scritte ora in uno stile protoromantico e ora in una versione tarda e un po’ appannata dello stile classico, egli sia poi ritornato decisamente alle forme chiuse, concise e drammatiche di Haydn e Mozart. Per Rosen, l’armonia impiegata da Beethoven ha ampliato i limiti dello stile classico al di là di qualsiasi concezione precedente. Rosen osserva che Beethoven sperimentò occasionalmente tonalità e proporzioni romantiche. Egli non fu tuttavia soddisfatto di queste avventure romantiche. La propensione di Rosen per il Classicismo di Beethoven dipende tacitamente dalla sua definizione della forma classica come contrasto fra tensione drammatica e stabilità la cui scaturigine è la risoluzione simmetrica di forze opposte; la riconciliazione di opposti dinamici è il cuore dello stile classico. Ma si tratta di una formula dialettica che lo stesso Rosen sospetta essere talmente ampia da essere una definizione della forma artistica in genere. Naturalmente, nessuna definizione globale del Classicismo o del Romanticismo si è mai dimostrata completamente soddisfacente. All’interno del periodo unificato che Blume (____) definisce “Classico - Romantico”, Beethoven occupa una delle molte posizioni intermedie nello sviluppo continuo di questa antinomia. Di conseguenza la domanda se Beethoven debba essere annoverato fra i classici o i romantici diviene priva di senso, in quanto egli fu semplicemente entrambe le cose nel proprio modo peculiare. D’altro canto, la visione categorica di Beethoven come esponente del Classicismo ha contribuito a precludere una serie di considerazioni sulla sua ricettività intellettuale e musicale delle idee e dell’immaginario postulassimo e postilluministico, tendendo a minimizzare l’indagine sul contenuto espressivo e sulle implicazioni simboliche della sua musica. In particolare, essa ha dato spazio ad una visione di un Beethoven erede della tradizione piuttosto che agente attivo nell’evoluzione della musica. Enfatizzando in Beethoven il tradizionalista invece che l’innovatore si sono ottenuti effetti inaspettati, dal momento che la questione del Classicismo versus Romanticismo beethoveniano è servita come metafora per esprimere il modo in cui percepiamo la sua musica. Le recensioni dei quartetti di Beethoven bastano a rappresentare la prospettiva classicista della critica beethoveniana sua contemporanea. I tre quartetti per archi op.59 ricevettero solo poche infauste righe: il recensore li trovò molto lunghi e difficili e predisse che non sarebbero stati comprensibili per tutti. Inevitabilmente, gli ultimi quartetti di Beethoven incontrarono una notevole resistenza, nonostante intorno alla fine degli anni venti la sua reputazione fosse già sufficientemente estesa da indurre molti recensori a limitarsi ad accennare solamente alla difficoltà di comprendere, eseguire ed apprezzare la sua musica. Il romantico solitario. Per intensificare l’isolamento di Florestano, Beethoven e il suo librettista gli confiscarono addirittura il ritratto di Leonora, che era servito per consolare il prigioniero. Questa totale privazione era intesa come stato esistenziale di una figura romantica familiare, l’eroe solitario. Esso appare in una grande varietà di forme. Lo incontriamo nella Sinfonia Pastorale di Beethoven, come un sensibile osservatore romantico che viaggia in cerca di un tempo perduto, un tempo in cui l’umanità e la natura erano uniti. La prigione romantica. Nella galleria degli eroi solitari che popolano l’immaginazione romantica, il prigioniero occupa un posto di rugando come simbolo della solitudine. Il luogo del confino è esso stesso un’immagine eclettica su cui si è sovrapposta una grande varietà di implicazioni simboliche. Ciononostante, per Beethoven, come per i romantici in genere, il simbolo della prigione non si limitava semplicemente ai propositi idelogici dei drammaturghi Sturm und Drang. La sua prigione era anche un esempio del cosiddetto “Carcere Romantico”, un’immagine polivalente che connota un luogo sia di punizione sia di redenzione. E dal momento che l’orizzonte di Beethoven e dei romantici comprendeva un vasto campionario di nozioni che esprimevano la salvazione attraverso la sofferenza, il prigioniero divenne in qualche modo un personaggio privilegiato, qualcuno che meritava la liberazione proprio in virtù di questa sofferenza. Per i romantici, la prigione possiede una qualità misteriosa in virtù degli echi mitici del mondo sotterraneo che porta con sé. L’anima convalescente. Nel movimento intitolato Malinconia, Beethoven designò come proprio soggetto un individuo intrappolato in un tipo differente di oscurità, depresso, in lutto perenne, incapace di liberarsi del proprio fardello. Non siamo obbligati a scegliere fra i diversi significati della parola - confinato, ristretto, oppresso, appesantito, ansioso, costretto, o anche soffocato - in quanto tutte queste accezioni possono rappresentare contemporaneamente l’intenzione di Beethoven. Tutte assieme, esse evocano una crisi che necessita di essere risolta, di svincolarsi da un circolo opprimente. La possibilità di redenzione comporta dure prove e infermità, attraverso le quali trovare la propria strada verso l’amore, la natura, la comunità. La capanna del contadino. La fretta di Beethoven di ritirarsi in un ambiente libero da conflitti assunse spesso sfumature religiose. L’amante distante. L’immagine più celebre dell’amata distante è rappresentata nel ciclo liederistico romantico, opera 98. Tutti gli agenti della natura si alleano invano per riunire l’amante alla sua amata. Alla fine, comunque, ciò che li avvicina è la musica. L’immagine dell’amata, per quanto lontana, lenisce il dolore per la sua perdita. Si tratta di una forma di adattamento in cui Beethoven era avvezzo da molti anni. Sembrerebbe che Beethoven volesse accontentarsi di questa immagine. Egli voleva disperatamente unirsi alla donna che chiamava l’Amata Immortale, anche se confessò che avrebbe preferito conservarla come un’amata distante. Al di là di ogni corrispondenza biografica, tuttavia, Beethoven sfruttò l’immagine dell’amata distante per risolvere problemi artistici di carattere universale. E’ proprio la sua irraggiungibilità ad essere essenziale al temperamento romantico. Il velo di Iside. L’immagine dell’amata distante è strettamente collegata a un’altra metafora molto diffusa del Romanticismo, quella del velo di Iside. Sono entrambe immagini di donne, entrambe nascoste, l’una letteralmente, e l’altra dalla lontananza nello spazio e nel tempo. Entrambe, infine, sono oggetto di desiderio. Se per i romantici la bramosia è l’atteggiamento invariabile ed essenziale verso l’amata distante, la loro posizione nei confronti dell’Iside velata è decisamente più aggressiva. Di certo, per quanto predicassero le filosofie dell’amore, i primi romantici e i loro successori preferivano interpretare la lacerazione del velo di Iside come una metafora di tipo differente, ossia come descrizione del momento culminante della ricerca della verità. La figura del velo di Iside può rappresentare il lato inferiore dell’idealizzazione consapevole di Beethoven della ferne Geliebte. Le perplessità nei confronti del femmineo e i misteri della sessualità trovarono forse in questo luogo un opaco sbocco attraverso un simbolo occulto. Dopo tutto, è possibile che quando i contemporanei di Beethoven parlavano della conoscenza, non ne escludessero del tutto le implicazioni sessuali. C’è però ancora un’altra possibilità, ossia quella di scoprire la vera amata al di là del velo di Iside. 2. RAGIONE E IMMAGINAZIONE: LA DIMENSIONE ESTETICA. Beethoven non scrisse mai diffusamente di estetica, tuttavia le sue lettere, i suoi diari e i quaderni di conversazione contengono un cospicuo numero di espressioni aforistiche che gettano luce sulla sua visione della natura dell’arte, della creatività e delle responsabilità dell’artista. Esse rivelano come Beethoven abbia assorbito un sorprendente numero di idee estetiche correnti. Coerentemente con quanto ci si potrebbe aspettare da un compositore socialmente impegnato che raggiunse la maturità fra gli anni ottanta e i primi anni novanta del Settecento, Beethoven intensificò coscientemente e automaticamente gli intenti pragmatici e altruistici della propria arte, proponendosi in vari modi di commuovere e istruire, elevare il gusto e la moralità, far avanzare la conoscenza, migliorare l’ordine sociale e servire la divinità. Descrisse così i propri obbiettivi. Egli dichiarò che i poeti dovrebbero essere considerati come i primi maestri della nazione. Con estrema coerenza, egli non perse occasione, per più di quarant’anni, di porre i propri propositi artistici in relazione con un principio divino, inteso sia come scaturigine sia come fine ultimo della sua creatività, oltre che di affermare la sua fede nei propositi trascendenti dell’arte. Spesso, i commenti estetici di Beethoven s’incentrano su quello che egli vedeva come un antagonismo fra la sfera spirituale e quella materiale: purtroppo dall’altezza sovrumana si viene tirati giù anche troppo bruscamente nel bel mezzo degli elementi terreni e umani. E’ degno di nota che queste annotazioni siano intrise di metafore spaziali. Egli vedeva il conflitto fra celeste e terreno come una dialettica in cui l’arte tenta di fuggire da esso. Immaginava paradisi utopici dove l’arte potesse predisporre le proprie difese contro le distrazioni quotidiane, la censura politica e le necessità commerciali. In quanto artigiano della musica e imprenditore dei propri prodotti musicali, Beethoven si preoccupava molto dell’economia dell’arte. Era una condizione di cui egli si doleva, perché lo obbligava a sprecare le proprie energie in contrattazioni d’affari. Durante tutta la sua vita, Beethoven si considerò un seguace del razionalismo illuministico, esaltando la ragione. Su un binario parallelo, egli fu nondimeno attratto dall’inquietudine romantica, dallo sforzo faustiano per un obiettivo irraggiungibile, innominabile e misterioso. La concezione romantica di un incessante sforzo o desiderio per l’infinito risuona nella sua concezione dell’arte. Se è vero che nella sua visione moralizzante della funzione dell’arte e nella sua salda devozione alla ragione continuavano a resistere poderose sottocorrenti neoclassiche, non più tardi dell’inizio degli anni novanta del Settecento, ebbe inizio un processo di fusione di queste ultime con nuove concezioni romantiche. L’oscuro fine di Beethoven, per quanto sublime possa sembrare, non è il sublime, ma la realizzazione creativa. L’oscurità è inoltre essa stessa un ingrediente essenziale del sublime. In più, Beethoven vedeva l’inconoscibile, l’irraggiungibile e l’infinito come territori da conquistare con la razionalità, lo spirito e il ricco potere dell’arte e della saggezza. Noncurante delle accuse di bizzarrie con cui i suoi lavori erano accolti sui giornali musicali classicizzanti, egli perseguì l’idea del nuovo in una moltitudine di innovazioni formali, tecniche e retoriche, sostenendo che ogni opera significativa dovesse porre e risolvere un unico gruppo di problemi. Lo scetticismo provocatorio di Beethoven circa le regole compositive e le convezioni è ben documentato. In aggiunta a queste abbondanti indicazioni circa la stretta associazione di Beethoven alla massoneria e agli Illuminati, c’è tutta una serie di considerazioni e allusioni, che compaiono nelle lettere e in altri scritti beethoveniani, che potrebbero sottintendere sfumature massoniche. Fra queste, particolarmente rilevanti sono i numerosi riferimenti alla fraternità e concetti affini, che al tempo di Beethoven potevano spesso recare, in aggiunta alle connotazioni che derivavano dal loro essere componenti fondamentali del vocabolario politico dell’Illuminismo e della Rivoluzione Francese, un potenziale significato massonico. Gli affiliati alla massoneria vedevano le loro comunità come confraternite, si chiamavano l’un con l’altro fratello e predicavano l’amore fraterno come virtù cardinale. Sull’ultimo foglio degli appunti per l’Adagio del Quartetto op.59 n.1, Beethoven scrisse: “Un salice piangente o un albero d’acacia sulla terra del mio fratello”. Quest’epigrafe è stata interpretata in diversi modi, in particolare, come espressione del sentimento di Beethoven verso l’uno o l’altro dei suoi fratelli, ma, per chiunque sia versato nella dottrina massonica, non sembrano esserci dubbi sulla presenza di un altro significato, in quanto l’acacia è diffusamente “considerata la pianta simbolo della massoneria” poiché rappresenta variamente l’innocenza, l’incorruttibilità, l’immortalità, la resurrezione e il lutto. Se nella musica strumentale di Beethoven esistano motivi o strutture specifici che possano essere interpretati come topai o figure stilistiche appartenenti a un vocabolario del simbolismo musicale massonico resta una questione aperta. Ci sono molte opzioni possibili - e resta comunque molta incertezza: queste idee e questi simboli non sono infatti mai stati appannaggio esclusivo della massoneria, ma derivano da un ampio ventaglio di sorgenti convenzionali ed esoteriche, dalla mitologia classica, alle religioni del mondo, dalle pratiche rituali e le dottrine occulte, al pensiero e alla filosofia illuministi, dalla letteratura utopica, al Romanticismo, alla magia. All’interno della massoneria, inoltre, esistono diverse fazioni contrapposte, ognuna delle quali ha i propri orientamenti ideologici peculiari che coprono un vasto spettro di idee che vanno dal razionalismo al misticismo e che, dal punto di vista politico, esauriscono la totalità delle posizioni possibili, dall’opposizione radicale al sostegno dell’ordine sociale costituito, fino a raggiungere il supporto zelante ai regimi repressivi. 4. L’IMMAGINAZIONE MASSONICA. Il recente esame di un fondamentale documento privato risalente al quinto decennio della vita di Beethoven ci apre una visione più ampia del suo rapporto con la massoneria. Questo documento è il Tagebuch in cui sono contenuti diversi riferimenti massonici espliciti e un gran numero di altre annotazioni presumibilmente collegate alla massoneria. La proposta è quella di prendere questi palesi riferimenti massonici non solo come curiose testimonianze dei primi contatti di Beethoven con le idee e con le pratiche della massoneria, ma anche come indicazioni della presenza di un filo conduttore massonico nel Tagebuch o, per lo meno, come prove che ci autorizzino a esaminare le altre annotazioni dal punto di vista delle loro potenziali implicazioni massoniche. Non si crede sia possibile dimostrare, che Beethoven sia effettivamente stato associato o un membro di una confraternita clandestina fino ad ora non identificata, né tantomeno si desidera usare le prove delle sue connessioni alla massoneria come base di partenza per letture esoteriche delle sue opere. L’Ordine degli Illuminati aspirava ad essere una società colpa, nella quale, attraverso l’esempio e l’istruzione, la comprensione sia guidata e il cuore migliorato. Ad un candidato al primo livello dell’Ordine era richiesto di fornire al proprio superiore un rapporto scritto mensile dei suoi progressi e della sua diligenza. E quelli che avevano raggiunto il secondo livello erano istruiti alla preparazione di un diario e di altri resoconti scritti. Per sei anni Beethoven impiegò il Tagebuch come strumento per fare il punto sulla propria situazione. Riempì il diario con sfoghi personali, note banali relative alla vita quotidiana e frasi significative estrapolate da una grande varietà di fonti. Il Tagebuch registra le battaglie di Beethoven contro le avversità, la sua volontà. Esso mostra la ricerca di un nuovo inizio, il tentativo di definire le sue effettive convinzioni. Nell’intraprendere un’esplorazione così importante, Beethoven si ricordò forse di ciò che aveva sentito dire circa i diari tenuti dai suoi mentori, amici e colleghi. Non ci sono ragioni per supporre che la stesura del Tagebuch di Beethoven sia necessariamente connessa a un effettivo processo di iniziazione o di avanzamento. Ciononostante, sono presenti in esso alcuni dei tratti distintivi normalmente riscontrabili in questo tipo di scritti. L’iniziazione massonica come un passaggio attraverso le tenebre che conduce a uno stato dell’essere illuminato. Si può raggiungere uno stato di illuminazione solo dopo aver attraversato le tenebre, dalle quali esso è inseparabile. Nel Tagebuch, Beethoven sottolineò la sua accettazione del bisogno di sottoporsi a dure prove di fedeltà, diligenza, devozione o obbedienza - per determinare la capacità di perfezionarsi moralmente e meritarsi l’ammissione al rango dei purificati. Lungo il corso del Tagebuch, Beethoven offre resoconti di questo tipo, che rivelano i suoi sentimenti di disprezzo o sdegno nei confronti degli alti, e nei quali risuona una nota d’autocritica, principalmente relativa alle sue passioni sessuali. La tendenza principale fu quella di condannare le mancanze e i fallimenti etici, in parte perchè ingenerano in lui dolorosi sensi di colpa. Le annotazioni massoniche presenti nel Tagebuch non devono essere viste come indicazioni certe di una adesione da parte di Beethoven alla massoneria. Beethoven non trasmise soltanto pensieri tratti da fonti da questa approvate, ma riuscì anche a dare voce ai propri sentimenti e alle proprie convinzioni attraverso il linguaggio, l’immaginario e i simboli massonici. Con ogni probabilità, dunque, la massoneria esercitò uno stimolo importante sulla concezione beethoveniana di temi esistenziali e morali. Egli si sforzò di riformulare la comprensione di sé, della divinità e del mondo. La massoneria fu la sola dottrina in grado di aiutare Beethoven a riconciliare la sua bramosia immaginativa con la sua fede nella ragione. Beethoven non fu ateo né aderì mai ad una religione o a una confessione riconosciuta. Piuttosto, nel corso di un tumultuoso viaggio intellettuale, egli rivelò la sua stretta consanguineità con quei desti, liberi pensatori e massoni che riuscirono a collocare sopra ad ogni pantheon politeistico una divnità supera, onnipotente e in definitiva innominabile. 5. IL SENSO DI UNA FINE: LA NONA SINFONIA. Prendiamo ora in considerazione alcuni eventi anomali dell’ultimo periodo della vita di Beethoven cui sono collegate tre fra le sue composizioni più importanti. Nel marzo 1819, egli autorizzò la pubblicazione in Inghilterra di una grande varietà di forme abbreviate o alterate dalla sua Sonata in Si Bemolle Maggiore op.106, in quattro movimenti. “Credo che la sonata non sia adatta per Londra” e come alternativa, egli propose anche di trasformare la sonata in una composizione di tre movimenti, omettendo il Largo e la Fuga ed alternando l’ordine delle sezioni restanti. Nessun musicologo ha mai studiato la Sonata in questa curiosa forma alterata. Naturalmente, questo non è l’unico caso di drastica revisione di una composizione da parte di Beethoven. Quel che è certo è che queste revisioni intaccano la nozione di perfezione organica tipica delle maggiori opere beethoveniane. Una lettura che segua queste linee potrebbe proporre che Beethoven non abbia acconsentito alla sostituzione del finale solo per insoddisfatte o per un compromesso commerciale ma piuttosto perché aveva intuito la possibilità di elaborare una soluzione differente al percorso narrativo originale, una soluzione che prevedeva che il quartetto sfociasse in un territorio Biedermeier piuttosto che in una zona esotica o metafisica. Beethoven scoprì due strategie che avrebbero portato a compimento le sue idee: la prima era una struttura potente e polivalente atta a funzionare come un’arena per il trionfo della volontà sulla mortalità, l’altra era il più semplice dei rondò, radicato nell’impulso giocoso, legato al benessere presente piuttosto che all’anticipazione. Questi esempi implicano che per alcune delle ultime opere di Beethoven esista una pluralità di alternative potenziali, le quali possono pervenire all’attuazione o restare latenti. Si riapre dunque la questione di cosa costituisca un’opera finita, ricordandoci che in alcuni dei suoi autografi
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