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L'università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi, Schemi e mappe concettuali di Storia Moderna

Riassunto del libro "L'università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi" di Gianpaolo Brizzi e Jacques Verger necessario per l'esame Storia delle università in età moderna. Il libro illustra l'evoluzione delle università dei principali stati europei durante l'età moderna.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2016/2017

Caricato il 09/03/2017

RamonaR
RamonaR 🇮🇹

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Scarica L'università in Europa dall'Umanesimo ai Lumi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! L’università in Europa dall’Umanesimo ai Lumi Introduzione Nel quattrocento e nella seconda metà del secolo il rapporto che si stabilì fra scuole universitarie e umanesimo fu influenzato dal carattere sovranazionale e intrinseco della cultura umanistica che operò come forza centrifuga, incentivando la circolazione di scolari e maestri. Altra spinta fondamentale fu data dalla stampa tipografica che, fornendo in tempi brevissimi rispetto all’epoche precedenti i libri, accelerò i ritmi della trasmissione culturale e ne dilatò i confini. Le scuole italiane furono il volano del rinnovamento culturale, trovandosi direttamente inserite nel centro della cultura umanistica. Le università della penisola costituirono quindi, sia pure con un’intensità diversa l’una dall’altra, il punto di approdo della peregrinatio academica. Il prestigio delle università tende a perdere il suo monopolio a partire dal XVI secolo. Le università erano rimaste istituzioni tipicamente medievali con tradizioni intellettuali e istituzionali forti: erano ancorate alla lectio, alla quaestio e alla disputatio, ciò spiega l’atteggiamento conservatore che spesso emerge di fronte alle innovazioni introdotte dagli umanisti nella vita culturale. Per questo motivo è frequente che il baricentro umanistico si insediasse all’esterno degli Studi pubblici ad esempio nei convitti universitari, nei collegi, promossi proprio per recepire in termini di maggiore libertà il nuovo indirizzo culturale o nelle numerosissime accademie, sia letterarie che scientifiche, che si qualificarono come il fulcro della ricerca d’avanguardia. Questa congiuntura della vita intellettuale modificò la geografia dei grandi centri di insegnamento: accanto alle università tradizionali (Parigi, Bologna, Salamanca, Oxford e Cambridge) se ne affermarono di nuove o aumentò il credito di altre meno famose come la scuola medica di Montpellier o lo studio di Padova. Importanti carriere scientifiche hanno rapporti solo occasionali con l’ambiente universitario: Copernico, Cartesio vivono ai margini dell’università e ciò parrebbe confermare l’ipotesi che una parte considerevole della vita intellettuale del XVI e XVII secolo non sia riconducibile nel perimetro degli Studi pubblici. Inoltre è certo che fra insegnamento e ricerca ci fosse una separazione, il primo aveva norme e consuetudini didattiche prescritte che ben si sposavano con l’ambiente tradizionalista dell’università; la ricerca invece più dinamica si svolgeva all’esterno delle aule universitarie. L’arcaismo di una certa didattica universitaria fu avvertito e denunciato dai contemporanei ed è su queste denunce che si è spesso fondato il giudizio degli storiografi per decretare il declino delle università connotate da uno stato di decadenza durante tutta l’età moderna. Si tratta di un giudizio che la storiografia più recente ha rivisto e corretto. Bisogna infatti considerare che in alcuni luoghi si verificò una triplicazione delle sedi universitarie: in Spagna tra il 1471 e il 1620 furono create 28 nuove sedi, nelle nuove Province calviniste tra il 1527 e il 1650 ne furono create 18. Furono fondate nelle colonie spagnole a Mexico e Lima nel 1551 e anche in quelle inglesi (Harvard 1638). Per quanto riguarda il rapporto che si stabilì tra riforma religiosa e università si può definire ambivalente. Le università furono sia la fucina delle nuove idee religiose, sia portatrici di un atteggiamento chiuso, di fermo rifiuto ad ogni innovazione facendosi promotrici della denuncia delle eresie. Nel corso del Cinquecento si verificò una grande espansione dei tassi di scolarizzazione ciò fu conseguenza dello sviluppo del nuovo stato moderno e della progressiva burocratizzazione degli apparati statuali. Tra le fila della nuova popolazione studentesca anche gli esponenti della piccola nobiltà di campagna o della borghesia delle professioni e degli affari, semplici gentiluomini che negli studi cercavano le conoscenze teoriche di base per essere ammessi nei complessi apparati burocratici che grandi monarchie, governi cittadini e principati stavano costituendo. Ma un buon curriculum scolastico diventa un passaporto necessario anche ai numerosi membri della nobiltà europea che aspiravano a conquistare i posti di maggiore responsabilità e prestigio nella gerarchia ecclesiastica o nelle corti. La crisi economica del Seicento, la regressione demografica, il lungo periodo di instabilità che accompagnò la guerra dei Trent’anni, elementi che si combinarono con la progressiva saturazione degli impieghi accessibili ai laureati, aggravata dalla prassi sempre più diffusa dell’ereditarietà degli uffici, provocarono in certi casi una diminuzione delle frequenze universitarie. Per quanto riguarda il rapporto tra le università e i poteri politici fu tendenza comune l’esercizio di una pressione sempre più accentuata al controllo diretto svolto direttamente dal Re, dal Senato, come nel caso di Venezia o dai fondatori. Nelle università italiane generalmente sono i collegi dottorali a ricoprire il ruolo di organi di controllo, interponendosi tra il potere politico e gli Studi pubblici eliminando il potere studentesco che aveva invece caratterizzato gli anni della nascita e dello sviluppo delle università. Con il passaggio dalla cultura dell’età barocca a quella dell’illuminismo, l’evoluzione culturale produsse effetti contrastanti nel campo delle istituzioni culturali e didattiche che oscillarono tra la difesa delle strutture esistenti e il loro radicale mutamento. Continuità e cambiamento apparivano come i due poli dello sviluppo dell’università e queste opposte tendenze, che porteranno del XIX secolo al superamento delle vecchie strutture accademiche, favorirono la dispersione dell’insegnamento in istituti esterni all’università che proponevano curricula innovativi, come le scuole tecniche per ingegneri, quelle per veterinari o le accademie militari. Questo fenomeno si era già manifestato nell’epoca precedente ma fu verso la fine del XVII secolo che queste esperienze raggiunsero l’apice, indebolendo gravemente l’offerta didattica delle università. La staticità dei curricula universitari, l’incapacità di accogliere nuove discipline fecero precipitare la crisi dell’istituzione universitaria. Bisogna però considerare che al depauperamento delle presenze studentesche in ambito universitario non dovette per forza corrispondere un abbassamento del livello generale d’istruzione, ciò fu piuttosto il risultato di una dispersione dell’utenza in una molteplicità d’istituti. Il compito delle università infatti rimase quello di fornire le conoscenze di base di determinate competenze professionali immutabili. Le università italiane Come detto in precedenza le università italiane non restarono estranee alla cultura umanistica del Rinascimento, furono gli aspetti sul piano formale dell’organizzazione didattica che maturarono più lentamente. Il magistero culturale esercitato dagli umanisti all’interno delle scuole universitarie impresse al movimento una dinamica accelerata. Le aule di uno Studio pubblico creavano la possibilità di intessere una fitta rete di rapporti, di rilanciare attraverso gli allievi il proprio magistero in varie contrade europee: condizione non comparabile con quella di una privata adunanza di studiosi, di un’accademia. Gli strumenti conoscitivi e metodologici che appartenevano all’elaborazione culturale degli umanisti non determinarono solo una moltiplicazione delle discipline insegnate, una maggiore presenza di cattedre di letteratura latina o greca ma misero in discussione l’assetto stesso delle discipline accademiche. Anche quando l’insegnamento degli umanisti non sconfinava decisamente nell’ambito delle discipline filosofiche, la loro attività investiva comunque le altre materie attraverso l’intenso lavoro storico-filologico condotto sui testi greci e latini di carattere giuridico, medico, scientifico. La diffusione dell’umanesimo nelle università italiane fu favorita dalla minore influenza della scolastica rispetto alle università francesi e inglesi. I rapporti che gli umanisti stabilirono con i centri del potere, con le corti, segnarono in modo profondo i caratteri del Rinascimento italiano contribuendo a delineare un nuovo statuto dell’intellettuale, diverso da quello che tradizionalmente operava nelle università. L’umanesimo impresse un vivace movimento a tutte le zone del sapere e questa svolta culturale lasciò un’orma profonda nell’assetto delle discipline universitarie. Se passiamo però dai contenuti del sapere al piano delle strutture della trasmissione del sapere allora l’immagine è molto più statica e conservatrice. Il sistema degli esami e dei gradi accademici resta immutato, come il carattere corporativo dei collegi dottorali. Bologna e Padova organizzativo del collegio incontrò la decisa opposizione del Consiglio cittadino. La decisa reazione dei consiglieri messinesi, che costrinse i gesuiti ad accettare un ridimensionamento del loro ruolo all’interno dello Studio. A Padova i gesuiti crearono un vero e proprio Antistudio che proclamava la loro contrarietà all’aristotelismo eterodosso dei lettori dello Studio padovano e agli spazi di tolleranza religiosa difesi dal governo veneziano. Nel 1591 i gesuiti furono costretti a chiudere le proprie scuole per garantire il monopolio dello Studio pubblico ma, soprattutto, per aver tentato di contrastare le scelte della Serenissima in materia politica, culturale e religiosa. A Roma i gesuiti fondarono il Collegio Romano nel 1551 che portò al declino della Sapienza, all’inizio del Seicento gli scolari del Collegio erano duemila, quelli della Sapienza appena cento. Per quanto riguarda lo Studio bolognese Urbano VIII nel 1641 decretò una bolla che confermava il monopolio dello Studio sull’insegnamento e vietava ai gesuiti di accogliere studenti esterni nei propri corsi di filosofia, matematica, fisica o teologia. Nelle città dove erano presenti Studi pubblici importanti i collegi gesuiti poterono quindi affiancarsi alle scuole universitarie assumendo generalmente funzioni didattiche propedeutiche. Diverso fu il loro ruolo nelle università sorte nel corso della prima età moderna, insediate in centri periferici o nelle capitali deli Stati minori, come i ducati padani. I gesuiti fondarono collegi anche in centri urbani privi di uno Studio generale svolgendo non solo una regolare attività di insegnamento ma conferendo anche i gradi accademici in arti e teologia. Per quanto riguarda l’ordinamento disciplinare dei collegi non era lasciato alcuno spazio per l’autogoverno degli studenti, erano banditi giochi o divertimenti che potessero distrarre dallo studio. Sul piano dei contenuti culturali il rigore dogmatico emerse con l’intento di affidare l’insegnamento delle discipline filosofiche solo ai gesuiti. Ciò introduce il problema del rapporto fra gli ideali religiosi e i fondamenti dottrinali della Controriforma e lo sviluppo del pensiero scientifico, un tema che ci consente di comprendere la funzione assolta dalle Accademie. I collegi, nonostante il rigoroso conformismo, diedero un contributo fondamentale al processo di modernizzazione dell’insegnamento e al passaggio dall’università degli studenti all’università degli studi. Decadenza e crisi: due concetti fondamentali che caratterizzarono le università italiane tra la metà del Seicento e la fine del Settecento. Molti elementi dimostrano una generalizzata crisi: la perdità di creatività, il fatto che le università divennero sempre più sedi della cultura più tradizionale e conformista. A questa realtà si deve far risalire la nascita di istituzioni alternative come le scuole gesuitiche, i collegi per i nobili, le accademie e le lezioni private. Processi determinati anche dal disordine finanziario in cui versavano le università che spesso comportava il ritardo nel pagamento dei docenti che erano inoltre eccessivamente numerosi rispetto a un corpo studentesco ovunque in forte diminuzione. La nuova cultura riuscì ufficialmente ad entrare nelle università, riformandole, solo quando fu spezzato il monopolio dei collegi dottorali e professionali sul rilascio dei gradi abolendo la distinzione tra alta teoria e bassa pratica. Questo processo riuscì dove gli antichi studi municipali erano stati trasformati in università di Stato. Altrove i collegi dottorali furono tra i maggiori oppositori dei progetti di riforma tanto da bloccarne qualsiasi realizzazione. La riforma dello Studio torinese L’attuazione di una reale riforma universitaria riuscì per la prima volta nello stato italiano in cui il potere dei collegi dottorali e gesuitici furono effettivamente contrastati. Con Vittorio Amedeo II venne attuato un progetto di rinnovamento dell’università fondato sul principio della riappropriazione da parte dello stato delle competenze dell’insegnamento pubblico. Nel 1719 fu decretata la soppressione di tutti i collegi non direttamente legati all’università; nell’anno successivo furono radicalmente riformate natura e funzione dei collegi di teologia, legge e medicina; venne poi imposto un vincolo preciso tra corsi universitari, titoli accademici e scelte di carriera. Fu avviato un processo di simbiosi tra collegi e facoltà attenuando così il divorzio tra teoria e prassi che fino a quel momento aveva contraddistinto il mondo delle professioni. Fu un processo lungo, le riforme piemontesi furono concepite ed attuate all’interno di un rafforzamento complessivo dello Stato contro i privilegi locali, ecclesiastici e nobiliari. Cervello di tutta l’operazione fu, per il periodo 1720-27, Francesco d’Aguirre che attuò una riforma istituzionale, chiamando docenti dall’estero riuscendo a creare un valido centro di studi. Fin dal 1721 era stato istallato nell’ateneo un laboratorio di fisica sperimentale. L’impegno statale a favore di una maggiore diffusione delle teorie scientifiche recenti riuscì ad incidere profondamente attraverso la creazione di una rete capillare di Collegi delle province. Vi insegnarono personaggi prestigiosi conoscitori del pensiero filosofico-scientifico moderno. Compito istituzionale del collegio era quello di mantenere gratuitamente agli studi cento giovani bisognosi scelti proporzionalmente da tutte le province in base a talento, povertà e buoni costumi. Caratteristica peculiare del collegio era la laicizzazione dei fini: il fondatore non si poneva più l’obiettivo di perpetuare il proprio nome o di guadagnare salvezza eterna ma di formare giovani per il servizio dello Stato. Il collegio fu anche lo strumento tramite il quale poterono essere ridefinite alcune figure professionali, come i chirurghi, gli architetti, gli ingegneri, i geometri che poterono rivendicare l’importanza del loro ruolo. Un analogo sforzo di ricomposizione e promozione di figure professionali coinvolse anche gli insegnanti grazie alla riforma del corso di belle lettere. Nel 1737 fu costituito il collegio come organo di difesa e rappresentanza professionale suddiviso in tre classi: una di filosofia, per gli studenti che avrebbero proseguito il corso di studi, una di matematica per architetti, misuratori e agrimensori; una di belle lettere per i docenti. I gradi del magistero delle arti avevano un duplice valore, di abilitazione non solo agli studi di diritto e teologia ma anche all’insegnamento nelle scuole regie e a certe condizioni nell’università. Per l’ingegneria e l’architettura militare furono fondate nel 1739 le Reali Scuole caratterizzate da disciplina ferrea, insegnanti militari apertura al pensiero scientifico e alla ricerca. Da ciò maturò il progetto che si concretizzò nel 1738 dell’Accademia delle scienze. Le riforme nella Lombardia austriaca Nel Settecento al nuovo governo austriaco appariva infondata la pretesa dei collegi di monopolizzare dottorati e abilitazioni; essi, come anche le scuole degli ordini religiosi, furono visti come ostacoli alla politica di recupero della giurisdizione regia avviata dalle autorità viennesi e milanesi. Nel 1766 fu istituita una nuova Giunta degli Studi, in cui non era ammesso nessun membro del patriziato, furono sospesi i privilegi di laurea e di abilitazione dei collegi professionali cittadini e fu aperta la matricola universitaria a chiunque volesse iscriversi; fu creata una struttura pubblica per la divulgazione delle nuove scienze. Lo Studio di Pavia e le Scuole palatine di Milano furono poste sotto il diretto controllo del governo. Primo obiettivo delle riforme era quello di accentuare il ruolo dell’università come unico centro di formazione del giurista. Attraverso l’abolizione di tutti quei centri che nella Lombardia austriaca potevano porsi in concorrenza con l’università, fu raggiunta l’uniformità di principi, dottrine e metodo. La laurea all’università di Pavia divenne il titolo preferenziale per l’accesso a qualsiasi carriera amministrativa. La riforma universitaria riguardò anche le professioni mediche. Negli anni 1769-74 fu creata una nuova facoltà filosofica regia contrapposta a quelle dei soppressi collegi dei gesuiti. Botanica, scienze naturali, fisica e chimica assumevano nella preparazione generale del medico un ruolo preponderante contro la logica e la metafisica. Nel 1774 venne redatto un nuovo Regolamento della professione medica e nel 1783 l’università assunse il pieno controllo dell’internato ospedaliero e delle abilitazioni creando una figura professionale del tutto nuova, quella del medico chirurgo, che univa alla preparazione teorica la pratica delle dissezioni e la capacità di eseguire operazioni. Le riforme delle università di Parma, Modena e Toscana A soluzioni simili a quelle di Pavia approdò la ristrutturazione dell’università promossa a Parma da Guillame Leon Du Tillot con lo scopo di uniformare tutte le istituzioni culturali e scolastiche esistenti al fine di rafforzare lo stato. Tutti gli studenti dovevano frequentare le scuole pubbliche dello stato e gli studi fisico-matematici erano preminenti rispetto alla filosofia tradizionale. Pavia ispirò anche le riforme volute a Modena da Francesco III d’Este. Lo Studio pubblico di San Carlo fu sostituito dall’università suddivisa in quattro classi con ventinove cattedre complessive, Nel 1772 la direzione dell’università fu affidata al magistrato degli Studi, composto da consiglieri di Stato e presidenti delle facoltà, che doveva vigilare non solo sul buon andamento degli studi ma anche sui collegi professionali dei medici, degli avvocati e dei notai. Fu sostituito poi dal dicastero degli riformatori deli Studi. Una politica analoga fu seguita negli anni 1770-80 dal Granduca Leopoldo di Toscana. Nel 1788 fu concentrato nella Soprintendenza generale di Firenze il controllo di tutte le scuole pubbliche del granducato e furono allontanati i religiosi dalle strutture educative. La nomina degli insegnati fu riservata al Granduca. I casi descritti da Torino alla Toscana mostrano come le riforme delle università riuscirono nelle città in cui i collegi furono esautorati dai loro membri che diventarono semplici sudditi subordinati a un solo sovrano. Altrove si dovettero aspettare le riforme napoleoniche. Lo Studio di Napoli Nei primi anni cinquanta del settecento Napoli fu un centro di elaborazione culturale di primaria importanza in Italia. Celestino Galiani si occupò di riformare il sistema scolastico. Egli avvertì lo stretto rapporto esistente tra potere politico e riforma della cultura. Nel 1732 fondò l’Accademia delle scienze; in quello stesso anno aveva presentato la sua proposta per l’università dopo aver licenziato seicento cappellani straordinari sospettati di truffa e di immoralità, aver chiuso molte scuole private gestite da persone con pochi scrupoli e aver introdotto una maggiore disciplina nello Studio pubblico. La riforma era strutturata in cinque punti: rinnovamento della sede; rinnovamento delle cattedre, trattamento economico degli insegnanti, concorsi per il reclutamento dei docenti, statuto interno con precise regole di comportamento dei docenti. La realizzazione delle riforme avvenne, seppur in modo solo parziale, con la conferma della sovranità di Carlo di Borbone su Napoli e la Sicilia. Nello stesso periodo nello Studio di Padova furono intraprese limitate riforme ispirate ad un progetto di Simone Stratico del 1760. Gli anni giacobini Durante l’età giacobina e napoleonica la politica dei governi nei confronti dell’università fu caratterizzata da una forte propensione a centralizzare, semplificare e omologare tra di loro i diversi atenei italiani. I residui del potere clericale furono del tutto eliminati: i vescovi furono estromessi dalle università ed una sorte analoga toccò alle discipline teologiche e canonistiche. Caddero anche le ultime sopravvivenze di potere studentesco. I collegi professionali, che erano riusciti a superare quasi ovunque il triennio rivoluzionario, furono completamente aboliti. Molte università della Padania e dell’Italia centrale furono soppresse e al loro posto furono istituite scuole speciali. Nel Regno d’Italia rimasero tre università nazionali, Bologna, Padova e Pavia, mentre nell’Italia francese Torino, Genova, Pisa e Roma diventarono “accademie”. Le università francesi Nella Francia moderna le università appaiono in principio un’eredità del Medioevo. Tra il 1500 e il 1650 viene fondata una sola nuova università all’interno del Regno, quella di Reims, istituita nel 1548 con una bolla pontificia. Le altre quindici erano tutte di origine medievale. Almeno in teoria erano presenti in ogni università le quattro facoltà tradizionali (la facoltà di arti liberali e le facoltà superiori di teologia, diritto e medicina); nelle più importanti gli studenti si ripartivano in nazioni secondo la regione di provenienza. I funzionari eletti alla gestione degli affari universitari - il rettore, i promotori, i decani – si rifacevano alle origini stesse dell’istituzione come anche i metodi d’insegnamento (letture e dispute), i programmi impartiti e le procedure d’esame. Gli studenti formavano una massa giovane e turbolenta, i cui privilegi, sebbene ridimensionati dopo la metà del XV secolo dall’autorità reale, garantivano riparo dalla brutalità degli ufficiali giudiziari e dalle requisizioni dei collettori d’imposta. degli studenti e delle famiglie diventò l’ottenimento delle certificazioni in tempi brevi e con minima spesa poiché la vera cultura si acquisiva altrove. Ciò costituì una minaccia per le università e provocò una rapida decadenza, eccezioni furono Parigi e Tolosa che per la loro nomea riuscirono a preservare la durata degli studi. Le università francesi nel XVII secolo non erano quindi in totale decadenza e la loro utilità sociale non era assolutamente contestata ma non erano più il luogo della passione e dell’innovazione intellettuale. Nel 1650 il regno di Francia contava sedici università. Tra il 1650 e il 1789 vennero fondati solo quattro nuovi istituti. Nella Francia di Luigi XIV e Luigi XV le università continuavano a rappresentare un’identità medievale e ciò risultava anche dalla localizzazione degli atenei che si trovavano nelle antiche capitali religiose o amministrative mentre nessuna università era stata creata nelle città più popolate e attive del regno (Marsiglia, Lione, Rouen, Lille) il cui sviluppo era recente. Un altro tratto distintivo delle università francesi del periodo 1650-1789 è costituito dal fatto che esse erano ormai istituzioni ben integrate nel sistema amministrativo della monarchia assoluta. Nell’aprile 1679 le facoltà di diritto vennero riorganizzate attraverso una riforma preparata da Colbert che riguardò: l’istituzione di una cattedra di diritto romano a Parigi e la creazione di una cattedra di diritto francese, venne decisa la durata dei corsi di legge che divenne uguale in tutte le facoltà del regno, si creò un sistema d’iscrizioni trimestrali che avrebbero costretto gli studenti a un’assiduità degli studi e fu stabilità un’età minima d’iscrizione (18, poi 16 anni). La stessa politica di regolarizzazione e uniformazione degli studi e degli esami venne applicata alla facoltà di medicina. Il quadro fissato con questa riforma fu lo stesso fino alla fine dell’Ancien Régime. Una ricca documentazione ci consente di conoscere le popolazioni studentesche della Francia di Luigi XIV e XV con molta più precisione che nelle epoche anteriori. Rispetto al passato il cambiamento più visibile è la nazionalizzazione del reclutamento geografico delle università. Ormai gli studenti francesi, tranne alcuni protestanti, non andavano più a compiere gli studi universitari al di fuori dei confini del regno e gli stranieri iscritti negli atenei francesi non erano molto numerosi. A Parigi nel XVIII secolo la percentuale degli stranieri oscillava tra il 2% e il 4%, nella facoltà di medicina di Montpellier dove la percentuale di stranieri all’inizio del XVI secolo era del 37% arriva al 3,6% alla vigilia della Rivoluzione. Nella maggior parte degli atenei il reclutamento era diventato essenzialmente regionale o addirittura locale, esercitandosi spesso in un raggio inferiore ai cento km. L’unica eccezione era l’università di Parigi, nel caso della facoltà di teologia il 40% degli studenti proveniva dal centro e dal sud del paese. Molto vasto era anche il raggio d’influenza dell’università di Tolosa e di Montpellier, quasi la metà dei medici francesi era uscita da questa facoltà. Globalmente però le cifre non erano elevate, in media un ragazzo tra i 19 e i 22 anni su 200 frequentava l’università, una percentuale dello 0,55%. Degne di nota più che i valori globali sono le evoluzioni rintracciabili negli elenchi delle matricole e dei laureati tra XVII e XVIII secolo. Nelle undici facoltà di diritto delle quali s’è conservata una documentazione completa si passa, per quanto riguarda i baccalaureati, dai 100 del 1680-89 ai 176 del 1780-89, la crescita è significativa anche per quanto riguarda la facoltà di medicina di Montpellier. Alle soglie della Rivoluzione, le università francesi immettevano ogni anno sul mercato del lavoro circa 1200 baccellieri in diritto (contro i 680 del secolo precedente) e 160 dottori in medicina (contro 75). Questo trend era in opposizione rispetto agli altri paesi di antico regime nello stesso periodo. Diversa l’evoluzione della facoltà di teologia. Nel XVII questa vide una crescita regolare per poi subire dal 1760 una brusca inversione, questa caduta fu conseguenza del declino delle vocazioni religiose e della rapida “decristianizzazione” della Francia prerivoluzionaria. Le università rispecchiano i profondi mutamenti della società francese. Per quanto riguarda il reclutamento sociale la grande maggioranza degli studenti di diritto e di medicina era costituita dai rampolli di funzionari e liberi professionisti. Gli studi teologia erano rimasti più democratici probabilmente per l’assenza di eredità nella funzione, le facilitazioni offerte con i collegi e i seminari; i contadini costituivano un terzo degli iscritti. Come detto in precedenza il diploma era diventato l’obiettivo primario degli studenti. Le università erano quindi diventate fabbriche di diplomi o erano ancora luoghi del sapere? Bisogna innanzi tutto distinguere tra le varie università. Se alcune piccole università di provincia si erano potute ridurre a questo ruolo, le più importanti (Parigi, Tolosa, Montpellier) continuavano a offrire insegnamenti di qualità e a organizzare esami seri. È inoltre necessario distinguere tra le varie discipline. Le facoltà di diritto e di teologia nel XVIII erano caratterizzate da un forte immobilismo nelle facoltà di medicina l’apertura alle novità fu maggiore. In molte facoltà vennero inseriti insegnamenti di anatomia, botanica, ostetricia, medicina e chirurgia. Le università erano quindi ancora luoghi del sapere ma non riuscivano a soddisfare i nuovi bisogni degli studenti. Per questo durante il XVIII secolo vennero create nuove scuole come quelle militari e le grandi scuole tecniche per la promozione sociale degli ingegneri. Queste scuole tecniche, molto elitarie, si rivolgevano a un pubblico ristretto ma inauguravano una forma pedagogica che conoscerà un’eccezionale fortuna nella Francia del XIX e XX secolo, quella delle grandes ecoles scientifiche indipendenti dalle università e destinate alla formazione dei quadri dirigenti dell’amministrazione e dell’esercito. Queste misure isolate non potevano salvare il quadro di generale sfacelo del sistema educativo francese nella seconda metà del XVIII. La filosofia dei Lumi poneva in modo prioritario l’accento sui problemi educativi. L’avvenimento che catalizzò questa riflessione fu l’espulsione dei gesuiti nel 172 in seguito a un lungo conflitto con il governo del re. A seguito di ciò vennero esposti molti progetti per una riforma globale dell’educazione in Francia che concordavano su alcuni punti: gli insegnanti dovevano essere laici, bisognava dare più spazio alle discipline moderne e imporre una struttura uniforme in tutto il regno. Sortirono poco effetto poiché il re non ebbe il coraggio politico di imporli cedendo alle proteste del clero. Università e collegi nelle isole britanniche Nei secoli XVI e XVII Oxford e Cambridge subirono una radicale trasformazione diventando più note sul piano nazionale. La filosofia scolastica medioevale fu pervasa da nuove correnti umanistiche. Il numero dei collegi universitari crebbe come anche il numero degli studenti con conseguenti mutamenti nella composizione sociale del corpo studentesco. Lo sviluppo dell’umanesimo ad Oxford e Cambridge è dovuto in larga parte a Lady Margaret Beaufort che fu la principale mecenate di entrambe le università; negli anni 1502-03 istituì in entrambe la cattedra in teologia per migliorare la formazione teologica del clero. Entro il 1520 entrambe le università ebbero pubblici lettorati in greco e matematica. Nel 1540 la Corona creò nuove cattedre, note come regie, per medicina, teologia, diritto civile, ebraico e greco. All’interno del corso ufficiale di arti liberali l’equilibrio tra le materie del trivio cambiò. Ci fu un mutamento di tendenza dalla logica verso la retorica e la grammatica con un maggiore approfondimento della letteratura classica; inoltre lo statuto della facoltà di Cambridge del 1570 obbligò a studiare gli autori umanisti. In termini istituzionali, l’evoluzione più significativa manifestatasi nelle due università inglesi nei secoli XVI e XVII riguardò il numero e l’importanza crescente dei collegi. Nel tardo medioevo la maggior parte degli studenti viveva in pensioni (ad Oxford chiamate halls, a Cambridge hostels). I pochi collegi che allora esistevano erano in gran parte riservati ad un piccolo numero di laureati che studiavano per ottenere un titolo superiore, a differenza delle pensioni i collegi possedevano terre. Dalla metà del XV secolo in poi il numero dei collegi crebbe costantemente. C’erano 10 collegi ad Oxford nel 1500, altri 8 furono costruiti prima del 1642. A Cambridge ce n’erano 6 nel 1440, ne vennero costruiti altri 4 nel XV sec. Le halls non erano in grado di competere con i nuovi collegi e così scomparvero rapidamente dalla scena. Nel 1505 c’erano circa 52 halls ad Oxford nel 1537 ne erano sopravvissute solo 8. Numerose erano le ragioni per cui i genitori preferivano mandare i loro figli nei collegi. Si pensava che le pensioni fossero turbolente, mentre i collegi potevano garantire disciplina e istruzioni migliori. I collegi inoltre concedevano borse di studio che alleggerivano il carico finanziario dei genitori. Le dimensioni dei college erano molto variabili. Il più grande collegio di Cambridge, il Trinity aveva 440 membri, i due più piccoli contavano 56 membri. L’organizzazione edilizia mantenne il vecchio stile monastico ma la rapida espansione che si verificò tra XVI e XVII obbligò i collegi ad aumentare il numero degli alloggi. I collegi divennero il centro dell’insegnamento, essi provvidero ad organizzare le lezioni, discussioni di tesi ed esercitazioni accademiche. Gli studenti ricevevano lezioni individuali dai precettori assegnati dai loro collegi. Queste attività dovevano integrare le lezioni universitarie ma in genere influirono a far diminuire la frequenza. In seguito venne poi stabilito che i precettori avessero la piena responsabilità dello sviluppo morale, intellettuale e religioso degli studenti. Ricevevano direttive dai genitori riguardo al genere di istruzione che i loro figli dovevano ricevere e al tempo che dovevano dedicare allo svago. La flessibilità rese il sistema didattico particolarmente gradito: entro il XVI molti studenti seguivano programmi di studio che avevano poco in comune con il vecchio corso di arti. I precettori venivano scelti sia nell’ambito religioso che in quello accademico; se si trasferivano gli studenti potevano seguirli. La situazione finanziaria dei collegi si basava essenzialmente sulle proprietà immobiliari che essi possedevano. Tali proprietà venivano affittate a locatari e i collegi ricevevano introiti sotto forma di rendite annuali, entry fines, e vendite del legname che veniva prodotto. I possedimenti terrieri dei collegi erano in gran parte concentrati nelle campagne più vicine alle due città universitarie ma complessivamente ci fu una progressiva espansione geografica attraverso tutta l’Inghilterra; i tesorieri dovevano ispezionare le proprietà e ciò avveniva principalmente nei mesi estivi. I collegi furono creati grazie a ricchi benefattori e l’unico modo di aumentare le proprietà era quello di ricevere donazioni che consistevano in proprietà terriere, denaro e beni mobili. È stato stimato che più del 7% delle donazioni caritatevoli nei secoli XVI e XVII furono a favore dell’università. Rispetto ai loro collegi le due università furono scarsamente finanziate e dipendevano principalmente dalle tesse imposte agli studenti che erano regolate da un sistema proporzionale. Non appena i collegi assunsero un ruolo più significativo all’interno delle università, i loro rettori divennero figure più note. Essi avevano un considerevole potere al loro interno; potevano stabilire i lettorati ed incarichi per il collegio, assegnare stanze ad allievi e maestri e a volte si occupavano personalmente di allievi aristocratici. L’autorità dei rettori crebbe anche grazie ai mutamenti costituzionali che si verificarono nelle università. All’inizio del XVI secolo il potere decisionale era ancora nelle mani dei laureati in arti liberali che si riunivano in convocations (Cambridge) e congregations (Oxford). Durante il regno di Elisabetta ci fu un cambiamento nella divisione del potere e le scelte principali riguardo all’università furono affidate al vice-cancelliere e ai rettori. In quasi tutti i collegi di Oxford e Cambridge ai maestri veniva imposto lo studio della teologia in alcuni, uno o due docenti, di studiare medicina o legge. Gli stipendi erano fissati dallo statuto del collegio oppure dipendevano dalle beneficenze. L’età degli insegnanti era vicina a quella dei loro studenti, generalmente ottenevano una cattedra prima dei 25 anni e la durata media della cattedra era dai 6 ai 14 anni; venivano viste soprattutto come primo passo verso una carriera ecclesiastica alternativa poteva essere l’insegnamento privato o diventare procuratori, scrivani, impiegati d’ufficio. Oxford e Cambridge crebbero rapidamente dal regno della regina Elisabetta in poi. Nella metà del XV secolo la popolazione universitaria di Cambridge era costituita da circa 1300 persone quella di Oxford circa 1700. Ci fu un’ulteriore espansione fino alla metà del XVI secolo quando il prevaricante potere politico e religioso causò un declino del numero in entrambe le università. La percentuale della popolazione maschile dell’Inghilterra e del Galles che frequentava l’università nei primi anni del XVII era del 2%, più alta di ogni altra epoca fino alla prima guerra mondiale. Gli studenti di Cambridge venivano principalmente dal nord e dall’est, quelli di Oxford dalle aree più popolose del sud e dell’ovest ed erano pochissimi gli studenti stranieri. Alcuni collegi posero un limite al numero degli studenti appartenenti dalla stessa contea per evitare la formazione di fazioni regionali, altri fecero l’opposto sviluppando stretti legami con alcune località. La composizione sociale del corpo studentesco subì un profondo mutamento per l’arrivo di un numero crescente di ospiti paganti. Nel XV secolo si erano registrati ben pochi studenti delle classi sociali più agiate, ma negli ultimi vent’anni del XVI il 46% degli studenti di Oxford apparteneva alla piccola ed alta nobiltà; a Cambridge nel XVII la metà degli studenti erano della piccola nobiltà o figli di del XVII secolo in avanti. I collegi non richiesero più l’obbligo di residenza per il M.A e la discussione delle tesi divenne piuttosto superficiale. In base agli statuti tutti i M.A residenti nei collegi dovevano insegnare e studiare per prendere diplomi superiori in legge, medicina o teologia, corsi impegnativi. In pratica ben pochi continuavano gli studi; le lauree in teologia erano prese da chi intendeva seguire la carriera ecclesiastica. Il candidato doveva discutere la tesi con un docente di teologia, si trattava di una verifica intensa e approfondita, erano occasioni in cui l’università metteva in mostra i docenti più eminenti, queste discussioni infatti richiamavano un vasto pubblico. Come la maggior parte della nazione anche le università accolsero favorevolmente la caduta del Commonwealth e il ritorno di re Carlo II e della monarchia Stuart nel 1660. I docenti anglicani che si erano adeguati durante il regime di Cromwell accolsero con soddisfazione il ritorno della loro fede in posizione dominante. Carlo II diede prova di grande moderazione e auspicò che la vita universitaria continuasse senza scosse. I diplomi e i contratti stipulati durante il Commonwealth furono riconosciuti, come pure le nomine legittime, cioè i posti che erano legittimamente vacanti oppure nel caso in cui i titolari, dopo essere stati cacciati, erano in seguito deceduti. Gli altri vennero rimossi. Il nuovo parlamento fu dichiaratamente anglicano: tra il 1662 e il 1665 fu responsabile di un’attività legislativa che imponeva l’ortodossia al clero della chiesa d’Inghilterra. Le università divennero roccaforti dell’ortodossia anglicana. Quando i rettorati rimanevano vacanti la Corona imponeva degli ecclesiastici di provata fede anglicana agli elettori. Il successore di Carlo II, Giacomo II (1685-88) aveva altri piani per le università inglesi. Essendo cattolico romano egli desiderava concedere la libertà di culto che realizzò con la Dichiarazione di Indulgenza del 1687. Il re mirava inoltre a collocare dei cattolici romani in posizioni di potere nelle università, dove essi avrebbero potuto esercitare una certa influenza e incoraggiare la conversione del popolo inglese. Il tentativo di Giacomo sfociò in scontri che videro il loro apice nell’estate del 1688 con l’incarcerazione di sette vescovi anglicani che avevano protestato contro il re. La loro assoluzione scatenò entusiasmo. Giacomo capì ormai troppo tardi che si era spinto troppo oltre opponendosi a troppi esponenti della classe dirigente. A novembre Guglielmo d’Orange sbarcava a Devon con un esercito a difesa della causa protestante: Giacomo preferì non combattere e si rifugiò in Francia. Guglielmo III che era calvinista voleva cambiare la liturgia e la dottrina della Chiesa d’Inghilterra in modo che i protestanti non conformisti potessero essere convinti ad aderirvi; questo piano chiamato Comprensione, era stato tracciato con l’aiuto di alcuni latitudinari formatisi a Cambridge; l’opposizione fu capeggiata da alcuni docenti di Oxford. La chiesa d’Inghilterra nel suo insieme respinse i piani di comprensione nel novembre del 1689. Il desiderio di Guglielmo fu accolto in parlamento solo in condizioni limitate. I sostenitori della posizione e dei privilegi della Chiesa d’Inghilterra furono chiamati Tories. Durante il regno di Guglielmo e Maria, e della regina Anna non approvarono la libertà di culto, d’insegnamento e di stampa concessa ai non conformisti. Essi auspicavano alla rigida applicazione dei testi e delle decisioni delle corporazioni. Oxford fu un centro particolarmente attivo del movimento Tory. Anche a Cambridge erano presenti ma erano sempre stati meno impegnati nel sostenere i privilegi anglicani; erano invece più numerosi i Whigs: uomini che avevano il senso dell’unità del protestantesimo ed erano favorevoli alla tolleranza dei confronti dei non conformisti. Per la maggior parte del periodo tra 1689 e il 1714, il potere al governo rimase nelle mani di uomini politici che consideravano le opinioni di Oxford troppo estremiste; l’Inghilterra era in guerra con la Francia e la tolleranza religiosa era necessaria. Oxford che durante il regno di Carlo II aveva goduto dei favori del governo, cadde in disgrazia, mentre Cambridge era apprezzata come università Whig. Fino a dopo il 1750 le due università si differenziarono nei loro rapporti con il governo. Giorgio I e Giorgio II fecero affidamento sui Whigs quali difensori della loro dinastia mentre diffidarono dei Tories considerandoli potenziali giacobiti. Cambridge fu favorita essendo università Whig. Nel regno di Giorgio III (1760-1820) le due università divennero molto simili nei loro atteggiamenti nei confronti del governo e nel modo in cui il governo le considerò. Furono nominati come ministri sia Tories sia Whigs e Oxford non fu più guardata con sospetto. Le università si resero conto che dovevano affrontare problemi e pericoli comuni: rivelarono quindi una capacità di reazione comune. Le posizioni dell’illuminismo rappresentarono una minaccia al monopolio del potere anglicano e le università risposero con una forte chiusura. Oxford e Cambridge diedero un contributo molto limitato all’illuminismo, anche a causa dell’esclusione dei non conformisti e dei cattolici romani dopo la restaurazione del 1660; erano entrambe private dello stimolo del dissenso. Le due università si distinsero per gli studi classici e la teologia per tutto il periodo dal 1660 al 1800. Nelle università scozzesi invece dal 1700 insegnanti e universitari potevano professare fedi fino ad allora proibite; questa maggiore tolleranza fece si che in Scozia si diffondessero le idee illuministe. La Scozia ha infatti dato un importante contributo all’illuminismo europeo e alcuni dei maggiori pensatori scozzesi sono stati insegnanti universitari come il filosofo Thomas Raid, Adam Ferguson uno dei fondatori della sociologia e Adam Smith autore della Ricchezza delle Nazioni un’opera che gettò le basi dell’economia moderna e che ancora punto di riferimento per la teoria del libero mercato. Il Trinity college di Dublino fu un bastione della chiesa anglicana in Irlanda e la grande maggioranza dei suoi ecclesiastici studiò in questo collegio. Fu progettato per essere simile a un collegio di Cambridge. Gli insegnanti venivano detti fellows e dovevano essere membri della chiesa nazionale, nonché celibi. La maggior parte di loro doveva essere costituita da ecclesiastici. Il potere era nelle mani del rettore e di sette fellows anziani i quali si dividevano gran parte della ricchezza del collegio. Nel 1660 il curriculum era molto simile a quello di Oxford e Cambridge e somigliava a un corso medievale. Le materie insegnate e su cui si basavano gli esami per il B.A comprendevano teologia, filosofia, logica, storia, scienza e matematica benché l’importanza maggiore venisse data al greco e al latino. Studiavano qui i membri dell’aristocrazia irlandese, della piccola nobiltà e delle classi professionali. Un buon numero di iscritti era costituito dai figli di ecclesiastici. Sul finire del XVII secolo ebbe tra i 300 e i 400 studenti. Nel 1800 arrivarono a 900. Le università spagnole e portoghesi Nel medioevo le università furono poco numerose, i centri universitari erano: Valladolid e Salamanca in Castiglia e Leon, Lerida, Huesca e Perpignano nel regno di Aragona ai quali si aggiungeva quello di Lisbona-Coimbra. Nel Quattrocento si registrarono iniziative tese alla creazione di nuove università, soltanto in ambito aragonese e per volontà municipale: Barcellona, Gerona, Maiorca, nel 1502 viene creata l’università di Valencia, nel 1542 quella di Saragozza. Nel 1531 venne fondata l’università regia di Granada finanziata con l’eccedenza delle decime e nel 1551 quelle di Città del Messico e di Lima. Molti collegi privati, istituiti da ricchi prelati per mezzo di donazioni vennero creati in Castiglia e Leon. Tra questi l’università- collegio per eccellenza fu il colegio mayor di Sant’Ildefonso; originariamente riservato a un numero fisso di studenti (33 come gli anni di cristo) che si autogovernavano ed eleggevano il proprio rettore fu accompagnato da alcuni colegios menores. Università-collegio vennero fondate anche da gesuiti e domenicani. I gesuiti fondarono quella di Gandia nel 1547 e di Evora. I domenicani quella di Siviglia, Avila e Almagro. Nacquero poi le università di Tortosa, Solsona e Pamplona tra la fine del 1500 e i primi anni del 1600. Durante il medioevo la vita delle università era stata regolata dai re e dalla Santa Sede. Con l’avvento della monarchia assoluta si assistette ad una vera e propria ingerenza della Corona. Ispettori regi erano inviati in tutte le università, anche in quelle fondate da privati, per verificare la situazione degli atenei. Il re considerava di propria competenza tutte le università e si attribuì il patronato su di esse e l’autorità di stabilirne i regolamenti. Inoltre si occupava anche di politica educativa. Durante l’età di Filippo II, come riflesso del clima controriformistico, la Spagna si chiuse al mondo esterno. Un decreto del 1559 proibì agli spagnoli di frequentare università straniere, ad eccezione di Napoli, Coimbra e il collegio San Clemente a Bologna; le biblioteche vennero poste sotto controllo, fu proibito stampare libri fuori dalla Spagna. Una cappa di piombo veniva così a gravare sulla vita intellettuale spagnola. La volontà di difendersi dall’eresia protestante portò a censurare qualsiasi nuova tendenza; la chiesa e il tribunale dell’inquisizione diedero manforte in questa impresa controllando anche la circolazione dei libri e istituendo molto processi. La rinascita umanistica, il latino e il greco assunti come chiave del sapere, giunse in Spagna dall’Italia. Nelle università fu frequente il caso di cattedre di grammatica e retorica affidate a umanisti italiani. Alcalà costituì uno dei maggiori centri di irradiazione dell’umanesimo spagnolo come anche l’università di Salamanca che istituì corsi di grammatica per migliorare l’insegnamento del latino e il colegio trilingue nel quale allo studio del latino veniva affiancato quello dell’ebraico e del greco. Ma l’impulso dell’umanesimo finì per esaurirsi. Le cause vanno ricercate in una ritrosia allo studio della grammatica che veniva considerata una disciplina minore e remunerata meno di altri insegnamenti. I docenti di grammatica erano addirittura sospettati di eresia per possibili affinità con i filologi luterani. Inoltre l’avvento dei gesuiti contribuì ad inaridire questo genere di studi. I collegi gesuitici si moltiplicarono in tutta la Spagna e il Portogallo con lo scopo di educare gli strati più alti della popolazione ed entrando in concorrenza con le università e le scuole di grammatica. Per quanto riguarda le materie d’insegnamento la scolastica aveva assunto nell’ultimo scorcio del medioevo un indirizzo nominalista che tramontò in fretta per tornare alla scolastica aristotelica che del resto era più in linea con il ritorno più generale all’ortodossia voluto dalla riforma. Nella cultura del XVI secolo la disciplina tenuta in maggior considerazione è la teologia. Nelle facoltà di diritto civile e canonico ci si continuò a basare, come in epoca medievale, sui testi di Giustiniano e del Corpus iuris canonici; si commentavano le istitutiones, il digesto, le decretali, la formazione dei futuri giuristi aveva quindi un carattere principalmente teorico, dal momento che alle leggi e alle procedure in vigore veniva riservato minimo spazio. Per quanto riguarda la medicina degna di nota è la presenza di Andrea Vesalio presso la corte di Filippo II tra il 1559 e il 1564 e l’introduzione della sua anatomia nell’insegnamento della medicina. L’impero spagnolo entrò in crisi nella prima metà del seicento. I proventi delle indie non bastavano a sostenere le campagne militari. Una profonda crisi economica, seguita all’epidemia di peste diede l’avvio al processo di decadenza alla cui base stavano deficienze strutturali. Queste circostanze storiche non furono le cause dirette dell’involuzione delle università. Esse vanno ricercata nella chiusura delle università spagnole a partire dal 1559, che precluse il contatto con le nuove idee che si erano diffuse nel resto d’Europa. Il rispetto dell’ortodossia controriformistica aveva trasformato le facoltà di filosofia e teologia in meri centri di dispute scolastiche, adibiti a perpetuare un sapere tradizionale. L’insegnamento era in mano a docenti che pensavano più a fare carriera che a rinnovare i contenuti del proprio insegnamento. La chiesa controllava la circolazione dei libri e dell’idee; l’attività didattica era sotto il controllo degli ordini religiosi, delle municipalità, dei collegi. A partire dai primi decenni del XVII secolo non vennero più create nuove università: quelle già esistenti erano ritenute sufficienti. Gli ordini religiosi trasferirono i propri sforzi nella penisola iberica, dove potevano disporre di maggiori disponibilità e ricchezze. Nel seicento il numero degli studenti diminuì vistosamente. Una motivazione fu probabilmente l’insufficienza degli sbocchi professionali, la laurea non costituiva un titolo sufficiente per fare carriera; altra motivazione fu il monopolio esercitato dai collegi, soprattutto i colegios mayores, che occuparono in modo particolare dell’ascesa dei loro più prestigiosi membri. Con l’avvento della nuova dinastia dei Borbone vennero introdotti alcuni cambiamenti nelle università. Nel 1717 Filippo V ordinò che tutte le università catalane fossero riunite nella città di Cervera rimasta fedele al sovrano. Il monarca istituì con le rendite e il patrimonio degli ex atenei catalani un nuovo Studio generale sul modello di Salamanca, riconosciuta dal pontefice nel 1730. I primi monarchi della nuova dinastia adottarono altre strade per la diffusione dell’insegnamento e delle scienze. Le conoscenze tecniche, soprattutto quelle legate all’esercito, subirono un forte impulso. Fu fondata una scuola per guardiamarina, una di ingegneria, un centro di insegnamento per artiglieri. Nacquero tre scuole di chirurgia a Cadice, Barcellona e Madrid. Alla fondazione di questi centri si accompagnò la nascita di altre istituzioni come i giardini botanici, i gabinetti di storia naturale e i laboratori di chimica. Furono fondate dal sovrano l’accademia linguistica, quella storica. non quindi a livello imperiale. La pace di Augusta si riflesse sul settore dell’istruzione in senso duplice: da un lato rendeva sempre più stretto il rapporto tra autorità territoriale e università, dall’altro si legava sempre più alla confessionalizzazione. La scuola in tutti i suoi gradi divenne lo strumento più importante per la formazione dei parroci, degli insegnanti, dei funzionari in genere per l’educazione dei sudditi alla lealtà, comprendente ora anche la fede, nei confronti della casa regnante. Per la prima volta le autorità di governo presero ad occuparsi con maggiore intensità dell’istruzione pre-universitaria. Un ruolo particolare giocarono le borse di studio, soprattutto per i futuri teologi. Il processo di confessionazionalizzione si ripercuoteva anche in ambiente universitario. Della condizione dell’università della prima età moderna infatti non faceva parte solo il vincolo alla confessione del signore territoriale; cambiamenti confessionali delle autorità del governo portavano con sé rottura della continuità e licenziamenti come ad esempio a Heidelberg che nel XVI e XVII secolo passò ripetutamente da luteranesimo al calvinismo. Riforma e confessionalismo hanno impegnato grandi energie nella politica scolastica; si trattava di superare, con l’aiuto delle scuole, la fase di crisi. Era necessario istruire i riformatori. La maggiore attenzione prestata dagli Stati principeschi o cittadini all’ammaestramento della giusta fede dei loro sudditi produsse un boom di fondazioni e la moltiplicazione dei tipi di scuole. Accanto al modello tradizionale di università con quattro facoltà, fecero la loro apparizione anche altre scuole particolari senza però aspirare a raggiungere o ottenere il pieno status di università. In queste scuole si possono individuare tre tipi dominanti: le semi-università, i gymnasia illustria e le accademie cavalleresche. Semiuniversitas fu denominato il Ginnasio di Strasburgo in occasione del conferimento nel 1566 del privilegio con cui fu elevato di grado attraverso la concessione di un diritto di addottorare limitato alle facoltà di arti. Un privilegio simile fu conferito poco più tardi alla scuola della città imperiale di Norimberga. Entrambe godettero di altra considerazione grazie alla liberalità confessionale nell’orientamento delle chiamate dei docenti, politica che permise loro di ospitare la giurisprudenza umanistica europeo-occidentale accogliendo i suoi eminenti rappresentanti. Per quanto riguarda i ginnasi illustri caratteristica distintiva era la combinazione della scuola particolare, chiusa e strutturata in classi, come collegio, affiancata da lezioni pubbliche tenute da docenti specialisti di discipline accademiche. La loro dotazione poteva oscillare, a seconda della disponibilità dei fondatori, da un livello più modesto come a Zurigo, a tutte le facoltà come a Brema. Alla fine del XVI secolo si costituirono le accademie cavalleresche, chiamate collegia illustria, ciò fu dovuto a più fattori: l’ideale del gentiluomo proveniente dalla Francia, l’esigenza di un rinnovamento morale ed intellettuale della nobiltà, la volontà della nobiltà territoriale ad una qualificazione personale. Il Collegium illustre aperto a Tubinga nel 1594 funse da modello al movimento delle accademie nobiliari che iniziò dopo la guerra dei Trent’anni, fino al XVIII erano presenti circa 30 accademie cavalleresche. Nel decennio precedente lo scoppio della guerra dei Trent’anni le immatricolazioni nelle università toccarono l’apice, giungendo a quasi il doppio rispetto a quelle di un secolo prima. Lo studio aveva acquisito prestigio sociale confermando come fossero state superate positivamente le sfide lanciate dalla Riforma. Gli avvenimenti bellici, accompagnati da nuove epidemie di peste, interruppero questo trend a causa del repentino calo demografico. Alcune università furono trasferite o chiuse. La pace di Westfalia del 1648 diede il via alla ricostruzione, che consolidò le università fino all’inizio del nuovo secolo. Vi furono alcune innovazioni strettamente collegate al placarsi delle lotte confessionali. La giurisprudenza comincio a intaccare il predominio della teologia e ad assumere, unità alle discipline storiche e accanto all’astronomia e alla matematica, una funzione guida nella gerarchia delle scienze. Si impose un allentamento nell’applicazione rigida del principio confessionale. Con la fondazione nel 652 della società dotta degli scienziati naturali, le accademie scientifiche rivendicarono il compito della ricerca; le università erano i luoghi dell’insegnamento. L’adeguamento legislativo dovuto allo smembramento territoriale dell’Impero dopo la pace diede libero corso alle rivalità fra i principi regnanti anche per quanto concerneva la fondazione di università alle circa 33 università fondate a partire dal 1348 tra il 1648 e il 1806 si aggiunsero ancora 13 nuovi centri. Si consolidarono sempre più le caratteristiche di università regionali e le somiglianze sotto il profilo istituzionale e didattico, pur restando determinate differenze relative alla confessione di Stato. Contrariamente alle università dei Paesi dell’Europa occidentale, le università tedesche e i loro fondatori tennero fede alla tradizione medievale della legittimazione da parte di un potere universale. Il gran numero di piccole università contrastava con il sistema dei collegi inglese e francese. Inoltre nel panorama delle scuole superiori tedesche nessuna università occupò un ruolo preminente sulle altre. Un altro tratto caratteristico riguardava la tipologia dei docenti: di norma erano studiosi con una formazione di tipo enciclopedico le cui conoscenze specialistiche erano circoscritte a settori ben delineati. Sulle generazioni che sopravvissero al 1648 gravarono catastrofici danni di guerra. Numerose università dovettero cominciare da capo. Le università tedesche furono tutte interessante da alcune tendenze di fondo. Dopo la pace di Westfalia non iniziò un periodo aureo di pace, anzi non si interruppero i conflitti e le università vennero occupate, saccheggiate e sperimentarono il disinteresse dei loro sovrani. Lo sviluppo dello Stato in senso assolutista ebbe delle ripercussioni sulle università. Le attività didattiche cominciarono ad essere controllate non solo riguardo all’ortodossia ma anche relativamente ai contenuti dell’insegnamento. La crescente ingerenza dello Stato si manifestò anche nell’intervento dei principi nella politica delle nomine che minò ulteriormente il tradizionale principio di autocooptazione delle università. L’anno 1648 non costituisce una cesura nella vita culturale, bensì l’inizio della rigenerazione di tutti i settori dell’attività umana dopo la guerra. Ci si affidò all’infallibilità della ragione. Halle, Gottinga ed Erlangen sono considerati i primi centri dell’illuminismo in Germania. Essi surclassarono la cosmopolita Lipsia che rimasta roccaforte della teologia neoscolastica-luterana e non offriva spazio ad innovazioni quali l’illuminismo. L’illuminismo tedesco ebbe quattro caratteristiche principali. In Germania non erano presenti i presupposti sociali generali grazie ai quali in Francia ed in Inghilterra si era sviluppato l’illuminismo inteso come fenomeno sociale. Per lo sviluppo dell’illuminismo in Germania fu più importante il ruolo svolto dalle università. L’illuminismo tedesco non fu un fenomeno omogeneo ma si differenziò secondo le aree confessionali, le condizioni territoriali, sociali e spirituali. Ebbe come priorità la disputa teologico-religiosa e la predominanza del metodo storico-critico. Vi furono anche differenze nei modi e nei canali attraverso i quali i nuovi messaggi culturali furono recepiti dall’università, in virtù delle aree di influenza territoriali e confessionali dei rispettivi centri accademici. L’impatto con nuovi messaggi poteva avvenire mediante contatti di singoli con personalità straniere di spicco o attraverso scambi interuniversitari. In Germania la prima fase dell’illuminismo crebbe in parte spontaneamente, nell’età dell’assolutismo illuminato del XVIII secolo invece l’illuminismo fu promosso dall’alto. Il concetto di assolutismo illuminato definisce l’autorità monarchica modificatasi a partire dal 1740 sotto l’influenza dell’illuminismo e che si espresse appieno incidendo anche sulle università tedesche. I principi illuminati e i funzionari di formazione accademica agirono come esecutori di una sovranità dello Stato esercitata su basi scientifiche. Il loro obiettivo fu la razionalizzazione sistematica e l’educazione dei sudditi al fine di renderli idonei al servizio dello Stato. Questo obiettivo contemplò le riforme dell’istruzione a tutti i livelli, dall’obbligo scolastico generalizzato agli esami di stato per le professioni accademiche. Il fervore riformista produsse una tensione accentuata poiché da un lato i governi si aprirono alle idee liberali, dall’altro operarono in modo radicale senza tener conto delle strutture storiche. Un punto fondamentale di queste riforme fu lo scioglimento dell’ordine dei gesuiti nel 1773, al quale fece seguito la soppressione dei conventi (circa 600) in Austria. Inoltre furono le università ecclesiastiche furono declassate al ruolo di licei. Il nuovo assetto delle istituzioni scolastiche obbedì ad alcuni principi: priorità dello Stato di fronte a tutte le istituzioni, limitazione dell’influenza della Chiesa ma anche integrazione di minoranze religiose e gruppi sociali. In seguito a causa con le guerre con la Francia rivoluzionaria cominciò la “morte di massa” delle università tedesche; tra il 1792 e il 1818 furono soppresse 9 università protestanti. Il declino della costituzione imperiale segnò il passaggio delle università alla giurisdizione degli Stati provinciali. Le università nordiche Nel 1477 fu creata l’università di Uppsala in Svezia e nel 1479 quella di Copenaghen: si trattava però di università con un’offerta didattica ridotta e con strutture di modeste proporzioni e pertanto la maggior parte degli studenti scandinavi continuò a frequentare gli studi in Germania. A partire dal secondo decennio del Seicento l’università di Uppsala divenne un’importante sede per la formazione del clero e contemporaneamente si qualificò come sede privilegiata dell’educazione dei giovani nobili, differenziandosi con quanto avveniva nella maggior parte dei paesi ove il baricentro dell’educazione nobiliare si era stabilito all’interno delle accademie cavalleresche. La Danimarca ebbe uno sviluppo differente da quello svedese per quanto riguarda la formazione dei giovani nobili, concentrata soprattutto nell’accademia dei cavalieri fondata nell’antica scuola monastica di Soro nel 1643 secondo il modello del Collegium Illustre di Tubinga; la scuola venne chiusa nel 1665 per poi venire riaperta nel 1764. L’educazione L’università di Uppsala fu dotata nel 1625 di una propria sede. Nello stesso periodo fu creato un sistema in virtù del quale ogni diocesi doveva avere un ginnasio, cui affidare innanzitutto la formazione del clero. L’arcidiocesi di Uppsala fu invece dotata di un’academia. Anche nelle diocesi di Tartu e Turku i ginnasi ebbero lo statuto di academiae e da allora in poi essere poterono ricevere studenti da tutto il regno e ebbero il diritto di conferire titoli accademici. L’epoca di Gustavo II Adolfo e della regina Cristina (1610-fine anni 50) fu l’era della grande espansione militare del regno di Svezia. Tale espressione fu accompagnata da un serio tentativo di innalzare il livello amministrativo e culturale del paese. Le università da parte loro ebbero l’importante compito di formare il clero e la nobiltà ed europeizzare così il regno. Questo periodo fu caratterizzato dalla ricezione del diritto romano e da un grande processo di assimilazione della cultura umanistica olandese, accompagnato dallo studio del latino, del francese e dell’italiano e da un interesse per le arti e per i costumi continentali. Nelle università si insegnarono, soprattutto ai giovani nobili, la scherma e la danza. Le università furono aperte però anche ai figli di contadini e artigiani. La seconda metà dl XVII secolo vide affermarsi l’ortodossia luterana e la censura divenne più rigorosa. Anche le università furono sottomesse al generale disciplinamento imposto al Paese. Verso la metà del XVIII secolo, una forte tendenza alla modernizzazione si sviluppò sia in Danimarca che in Svezia. Nel 1732 l’università ebbe un nuovo ordinamento: fu legata più strettamente al sistema regio assolutista, le condizioni di ammissione per gli studenti furono rese molto più severe, il lavoro dei docenti fu controllato e furono assunti molti professori stranieri, soprattutto tedeschi. In Svezia la politica riformista della metà del XVIII secolo fu strettamente legata all’affermazione della concezione scientifica utilitaristica. La Reale Accademia delle Scienze a Stoccolma, fondata da Linneo del 1739, diventò il centro di questa corrente di idee. Punto di forza dell’Accademia a partire dalla fine del XVIII secolo fu lo studio della chimica; essa fu disciplina portante anche nei centri di Uppsala e Turku. I giardini botanici e i laboratori chimici furono fra le strutture più notevoli dei nuovi edifici universitari. L’insegnamento e lo studio della medicina invece ebbero a lungo un ruolo secondario nei paesi nordici; per avere un diploma in medicina ci si recava all’estero, di solito in Olanda. Fu soltanto verso la metà del XVIII secolo che furono fondate le prime cliniche universitarie per esercitazioni e che si cominciarono ad organizzare esami di medicina. Lo sviluppo dell’apparato statale e la modernizzazione dell’amministrazione, influenzarono, a loro volta, la didattica nel settore degli studi giuridici. Il nuovo spirito stava soppiantando il carattere paternalistico ed ecclesiastico che aveva condizionato fino ad allora lo sviluppo sociale. Nell’ambito delle facoltà filosofiche venne data crescente importanza alle scienze naturali.
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