Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

L'universo del romanzo (Roland Bourneuf Réal Ouellet), Sintesi del corso di Letteratura Francese

Vendo sintesi dettagliata del libro "L'universo del romanzo"; autore: Roland Bourneuf Réal Ouellet; Voto esame: 30 e lode.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
In offerta
40 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 16/11/2018

greta-tuzi
greta-tuzi 🇮🇹

5

(8)

2 documenti

1 / 23

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica L'universo del romanzo (Roland Bourneuf Réal Ouellet) e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Francese solo su Docsity! 1 L’UNIVERSO DEL ROMANZO (Roland Bourneuf Réal Ouellet) - La fortuna di una parola <<Romanzo>> è un termine che evoca molteplici significati. Esso infatti ha assunto nel corso degli anni molte connotazioni. Romanzo è anzitutto <<tempo libero>>, <<riposo del corpo e della mente>>, <<divertimento>>, più precisamente è ciò che allontana noi stessi dalla vita reale facendoci addentrare in un mondo fittizio. In questo modo riusciamo a cogliere gli aspetti più profondi della realtà, quindi ad avere una maggior comprensione di essa. Per un lettore qualunque il romanzo si configura invece come una storia inverosimile e complessa, fatta di eroi troppo perfetti e per questo irreali. Romanzo è quindi ciò che gli angloamericani chiamano <<fiction>>, ovvero illusione. Ma il romanzo è storicamente quello che il dizionario definisce <<lingua comune, popolare>>, quindi non dotta, in contrapposizione al latino. Questa opposizione tra latino e romanzo, la quale ha dato origine al francese antico, è divenuta netta nel VIII secolo: in questo secolo francese, italiano, spagnolo, rumeno, portoghese risultano ancora classificati come lingue romanze; nel XII secolo romanzo designa sia uno scritto in versi, sia la lingua nella quale esso era redatto; <<Romanz>> (lingua volgare) ha dato origine al verbo <<romancier>> che inizialmente significava ‘’tradurre dal latino in francese’’, poi, all’inizio del XV secolo, ha assunto il significato di ‘’raccontare in francese’’; l’autore utilizzava leggende della letteratura latina e leggende celtiche che venivano poi sottoposte dall’autore stesso a delle modifiche (aggiunte personali, ampliamento etc). Successivamente il termine romanzo venne utilizzato per riferirsi alle opere in lingua volgare, opere di immaginazione quindi prive di alcun fondamento storico, le materie letterarie in opposizione alle materie orali e, alla fine del Medioevo, il termine comprendeva anche le canzoni di gesta. Tornando al XII secolo, la Francia vede in questo periodo una fioritura romanzesca con ‘’Perceval’’, ‘’le Chevalier de la charrette’’ di Chrétien de Troyes, ‘’Le roman de Tristan’’ di Béroul, opera dalla quale sono nate innumerevoli varianti sul tema dell’amore. Nel XV secolo, questi lunghi racconti in versi sono stati realizzati sotto forma di prosa, riscuotendo un immenso successo da parte del pubblico del secolo successivo che si appassionava ancora per questi <<romanzi cavallereschi>>. Nel XVII secolo invece hanno preso il sopravvento un altro genere di avventure: quelle dei pastori e delle pastorelle i cui amori apparivano più belli per il fatto di essere sfortunati. Poi, a fine secolo, subentra l’amore per la verità dei sentimenti. Così le avventure perdono importanza. Nel secolo XVIII, Montesquieu, Voltaire e Roussseau, utilizzano il romanzo nella lotta per il trionfo dei Lumi. ‘’Le Rouge et le Noir’’, ‘’L’education sentimentale’’ ed altre opere… Con ‘’A la recherche du temps perdu’’ di Proust, il romanzo cambia natura: l’autore fa del romanzo il solo mezzo per accedere alla <<vera vita>>, quella vissuta. Per Virginia Woolf e Joyce invece il romanzo aiuta ad esplorare la nostra vita psichica. Mentre il romanzo del nostro tempo è metafisico in quanto è testimonianza di lotte contro la sofferenza, l’asservimento politico e altri malesseri sociali. Quindi il romanzo, da genere letterario basato sulla creazione del fittizio, diventa il genere dell’investigazione del reale. - La letteratura è anche un commercio Il romanzo è onnipresente nella nostra vita quotidiana, ma non è stato sempre così. Fino al XIX secolo infatti soltanto i ricchi potevano concedersi dei libri, precisamente nobili, borghesi e soprattutto le loro mogli poiché gli uomini preferivano dedicarsi alla caccia, libertinaggio, affari o alcool. Nel XIX secolo il pubblico lettore si estende grazie alla diffusione dell’istruzione, all’invenzione delle rotative che permette le grandi tirature e riduce il costo dei libri, la diffusione dei giornali fa nascere il romanzo a puntate e il commercio ambulante continua a diffondere i romanzi, gli almanacchi e le raccolte di canzoni nelle campagne più remote. Grandi editori quali Hachette, Larousse ed altri, diffondono ‘’La comédie humaine’’, ‘’Notre-Dame de Paris’’, 2 le opere di Zola, Walter Scott etc, nonostante la censura del Secondo Impero, ossessionata dal mantenimento dell’ordine morale. Nel XX secolo, il romanzo diventa fenomeno di omologazione, un vero e proprio fenomeno virale: gran parte dei lettori francesi preferiscono il romanzo a qualunque altro genere letterario. È un best-seller. Le ristampe in edizioni economiche o in paperbacks inglesi o americani di opere già molto popolari come ‘’Les trois mousquetaires’’ hanno rinvigorito? il commercio, diffondendo le opere nelle rivendite delle stazioni, di aereoporti e nelle edicole. Il romanzo è anche l’unico genere letterario garantito da una produzione di massa o seriale di romanzi polizieschi, pornografici, d’amore o di spionaggio. Dunque non esiste più un vero e proprio ostacolo economico alla consumazione del libro, tantomeno un ostacolo culturale. - Un pomo di discordia Se da una parte il romanzo è il genere più amato dai lettori, dall’altra ha suscitato, a partire dal XVII secolo, molte condanne d’ordine letterario o morale. Tra queste vi è la pretesa da parte del romanziere di rappresentare fedelmente la realtà. Negli anni ‘20 critici e giornalisti pronunciano ‘’A bas le roman!’’, altri difendono il genere. Il dibattito prosegue con Robbe Grillet che denuncia ogni elemento del romanzo poiché non è altro che falsificazione della realtà. Questa interminabile disputa ha portato ad un rinnovamento del romanzo: alle opere di Balzac e Zola, sono seguiti ‘’A la recherche du temps perdu’’ ‘’L’espoir’’ ed altri. Le condanne non potevano non riguardare anche il romanziere, definito dai moralisti un ‘’pubblico avvelenatore’’, o ancora ‘’apologisti del male’’ secondo l’abate Bethléem. - Seduzioni del romanzo Tra le innumerevoli condanne subite, vi è anche quella di possedere un forte potere di seduzione che ha scatenato mode e sentimenti negativi come preoccupazione e angoscia, che, a loro volta, hanno dato origine a determinati comportamenti. Ad esempio si dice che la pubblicazione di ‘’Werther’’ (1774), fu seguita da un’ondata di suicidi, oppure il ‘’René’’ di Chateaubriand ha contribuito a diffondere fino in Russia l’immagine del giovane dal ‘’volto interessante’’ e dall’anima sconvolta da una passione fatale al punto da diventare uno dei cliché della società occidentale per buona parte del XIX secolo. Altri generi che hanno suscitato gli stessi sentimenti sono ad esempio il graphic novel, o semplicemente fumetto, genere che cristallizza il bisogno di meraviglioso, stesso bisogno che incontriamo nel romanzo di fantascienza. Ma quest’ultimo traduce l’angoscia e le paure ancestrali in immagini riguardanti ad esempio creature venute da un altro pianeta che distruggono l’umanità. - In principio era il racconto Prima della letteratura narrativa scritta vi era quella orale e ancor prima di quella orale vi erano la Bibbia, le vite dei santi, i racconti arabi delle ‘’Mille e una notte’’, che possono essere considerati gli antenati del romanzo e dei racconti. Oggi si cerca di fare l’inventario di queste ricchezze registrando i racconti popolari. Questo lavoro viene spesso compiuto da scrittori che danno loro una nuova forma. È ciò che hanno fatto ad esempio i fratelli Grimm in Germania all’inizio del XIX secolo, i quali hanno scritto i loro racconti partendo da temi folcloristici. Mircéa Eliade ci spiega che questa letteratura orale si mescola con la religione. Essa infatti propaga i miti che, nelle società arcaiche, sono storie vere che raccontano avvenimenti reali ed eroiche avventure. La nozione di mito è divenuta ora sinonimo di finzione. Eliade ci parla anche di uno schema che ritroviamo in tutti i racconti orali: un personaggio che deve superare un certo numero di prove e una volta affrontate diventa un eroe. Il superamento delle difficoltà indica la necessità di soffrire e non temere più la morte. Il tema fornirà alle letterature scritte un elemento fondamentale: ‘’Le Rouge et le Noir’’ è il racconto di un apprendistato. 5 Capitolo primo La storia e la narrazione - Questioni di vocabolario Aristotele, nel suo trattato ‘’Poetica’’, distingue quattro elementi costitutivi, comuni alla tragedia e all’epopea: la favola, i caratteri, l’elocuzione e il pensiero. La favola è la più importante, poiché, come dichiara lo stesso Aristotele, è ‘’il fine della tragedia’’. Tuttora il romanzo viene percepito anzitutto come favola, termine che è stato sostituito dalla narrativa moderna con storia (story). Affinché la storia sia intellegibile è necessario creare un’organizzazione semplice come quella cronologica. Quindi viene prodotta una storia allo stato grezzo, come quella raccontata dai bambini, seguita da una semplice successione di avvenimenti, apparentemente autonomi, ma che in realtà sono collegati da una serie di legami logici, spesso di causalità: il marinaio, al suo ritorno, ritrova la donna che ha amato, ma venuto a conoscenza della sua infedeltà, la uccide. Lo schema narrativo grezzo diventa così un intreccio (plot), nel quale esistono molteplici episodi, incidenti che costituiscono delle unità narrative di dimensioni variabili, le più piccole delle quali sono chiamate motivi (motive). Affinché il racconto sia coerente, è necessario collegare queste diverse cellule le une dalle altre, concretamente parlando, hanno bisogno di un elemento in grado di garantire la progressione degli eventi e di dare orientamento al racconto. Questo elemento si traduce in azione (action). Il romanziere non deve limitarsi solo a stabilire un collegamento tra i vari episodi, ma deve anche dar vita a dei personaggi, offrire elementi spaziali e temporali, e deve disporre il tutto nelle giuste proporzioni, rendere armoniosa la disarmonia. Il romanziere deve quindi effettuare una composizione (composition, pattern), elemento strutturale che risponde a questa preoccupazione estetica, come pure il ritmo (rhythm). La terminologia di questi elementi costitutivi, proposta da Forster in ‘’Aspects of Novel’’, non è condivisa da tutti i critici. Ad esempio, per Forster la distinzione tra storia e intreccio è legata alla presenza o assenza dell’elemento di causalità. Tuttavia non sembra che questi due termini corrispondano alla stessa realtà, poiché storia presuppone dei personaggi, dunque le loro azioni e i loro sentimenti, quindi è un termine generale usato per distinguere personaggi e azione, mentre intreccio è un termine più specifico in quanto si riferisce alla sola azione, e può essere considerato quindi lo scheletro che sostiene i componenti del romanzo. - La metamorfosi dell’intreccio Il romanziere adopera l’ironia, la parodia, si mostra disinvolto per ricordare al lettore che lui è arbitro della storia, e che, essendo tale nessuno può ostacolarlo nella falsa pretesa di far passare per vero qualcosa che è inventato di sana pianta. Ad esempio Flaubert, quando rievoca le letture di Emma in convento, accumula in una frase le convenzioni dei ‘’vecchi romanzi’’: ‘’Non erano che amori, amanti, dame perseguitate che svenivano in qualche padiglione solitario, postiglioni uccisi ad ogni muta, cavalli scoppiati ad ogni pagina, oscure foreste, turbamenti del cuore, giuramenti, singhiozzi, lacrime e baci, barchette al chiaro di luna, usignoli nei boschetti, messieurs coraggiosi come leoni, dolci come agnelli, virtuosi come non se n’è mai visti, sempre ben messi, e che piangono come fontane.’’ (pp. 54-55) Robbe-Grillet riprende il concetto del vero e dichiara che il lettore e il romanziere stabiliscono un accordo tacito tramite il quale l’autore finge di credere a ciò che racconta, mentre il lettore dimentica che tutto è inventato, 6 cullandosi reciprocamente nell’illusione. Dichiara inoltre che questo accordo riposa sulla certezza che la realtà sia intellegibile, una nozione da lui definita superata. Grillet ritrova il perno di questa trasformazione nelle opere di Flaubert, laddove si riduce l’intreccio, cosa che possiamo riscontrare già in Madame Bovary e nelle opere dei Goncourt anche loro desiderosi di scrivere un romanzo senza intreccio. In realtà non è così facile liberarsene. Nonostante i vari tentativi di eliminazione dell’intreccio, che è un male per certi romanzieri, resta forse un male necessario. Il romanzo racconta una storia, è, secondo Forster, ‘’il suo aspetto fondamentale senza il quale non potrebbe esistere’’. Dunque non ci sono personaggi senza azione, ma nemmeno azione senza intreccio. - L’azione Lo stesso Grillet dice che si ha una trasformazione dell’intreccio ravvisabile nell’opera di Flaubert, dove si ha una disgregazione dell’intreccio. In Madame Bovary si ha l’intento da parte dell’autore della creazione di un libro sul niente, sorretto unicamente dalla forza del suo stile impersonale. Un libro che quasi non avesse un soggetto o che almeno fosse invisibile, come egli stesso sosteneva in una lettera a Louise Colet. Egli lascia intravedere un limite ideale nella dissoluzione della storia, nell’immobilità di Emma, nella quasi mancanza di azione e movimento. L’intreccio può dunque evolvere talvolta in modo impercettibile e lento, ed è il caso di Madame Bovary. L’intreccio presuppone infatti l’azione di movimento, che si fonda a sua volta su un cambiamento di stato sotto l’influsso di certe forze. Esiste infatti un gioco di forze che possono incontrare degli ostacoli alla loro azione. I formalisti russi hanno analizzato questi tipi di funzioni attraverso il folclore russo ed in particolare i miti e partendo dalla distinzione tra fabula e intreccio, hanno realizzato che esistono rapporti tra i personaggi che si ripetono con una certa frequenza e logica, rapporti tra agenti (personaggi soggetti o oggetti di queste azioni) quali amare, confidarsi ed altri predicati di base. Questi diversi metodi di analisi dimostrano che l’intreccio, in quanto concatenazione di fatti, si basa su una tensione interna tra questi fatti che deve essere creata sin dall’inizio del racconto e che deve trovare la sua soluzione nell’epilogo. L’intreccio può evolvere seguendo un movimento continuo, talvolta con movimenti impercettibili, come in Madame Bovary, oppure con un gioco di avvenimenti equivalenti a colpi di scena teatrali, per esempio in Notre Dame de Paris. - Inizio e fine Poche battute dell’ouverture riassumono l’intera opera, ce ne suggeriscono il tono, il ritmo e talvolta il soggetto. Tradizionale è il processo in medias res, che consiste nel cominciare il libro nel bel mezzo dell’azione. Il romanzo di Stendhal, Chartreuse de Parme, inizia con un’esultanza conquistatrice: l’ingresso di Bonaparte a Milano che non è il soggetto del libro, ma l’avvenimento che determinerà il risveglio degli italiani. Le conclusioni in genere sciolgono le antitesi, le opposizioni e i conflitti che si sono verificati nel mezzo del romanzo. Nelle ultime pagine di un romanzo l’autore ci consegna spesso la chiave dell’universo che ha costruito, e in linea di massima cerca di rispettare l’orizzonte d’attesa del lettore a meno che non sia sua volontà sorprenderlo con un colpo di scena o addirittura ingannarlo. In un modo o nell’altro è necessario che la storia si concluda bene per soddisfare il desiderio di morale. Ad esempio nei Misérables di Hugo, Jean Valjean, il forzato divenuto riparatore di torti, rivedrà prima di morire Cosette, la giovane orfanella da lui adottata, e Cosette sposerà Marius che l’ama. Il lettore di Hugo ha bisogno di essere soddisfatto della sua sete di giustizia. La concordanza tra l’inizio e la fine è la prova di coerenza nella costruzione del racconto ed è anche un modo per esprimere il pensiero e la visione del mondo del romanziere. Secondo Rolan Barthes si tratta di passare da un equilibrio a un altro, stabilendo un limite iniziale e finale. Il quadro finale risponde alle domande poste nel quadro iniziale, il loro accostamento rivela le linee essenziali dell’intreccio e dei temi. Lo sviluppo centrale può dare luogo a svolgimenti diversi, a biforcazioni, peripezie più o meno collegate con la linea principale del racconto. Le Mille e una notte presentano un intreccio ininterrotto in cui gli episodi si incastrano o si aggiungono ad altri episodi, il filo conduttore è assicurato da Shahrazad che, per evitare di essere messa a morte, deve cercare di tener sempre desto l’interesse del sultano (letteratura che ha il potere di esorcizzare la morte). - La composizione In quanto alla composizione, che significa per lo scrittore conformarsi al movimento stesso della vita, potremmo dire che esistono diverse composizioni che equivalgono a diverse concezioni del romanzo: la composizione metodica e non. L’opera di composizione metodica secondo Bourget vede l’isolamento e lo sviluppo di un unico episodio 7 significativo, in cui ogni elemento è subordinato all’insieme in modo accurato. Flaubert fa uso di questa composizione. Infatti nella genesi di Madame Bovary abbiamo un lento progredire della scrittura, in cui ogni pagina scritta è costantemente messa in discussione. Zola, al contrario, si mette a scrivere quando ha tracciato già uno schema di insieme, in cui si disegnano gli episodi principali e li sviluppa in modo da avere una trama serrata degli avvenimenti. Stendhal si mostra indifferente alla composizione metodica, si preoccupa di raccontare con verità e chiarezza e, per quanto riguarda la composizione, afferma di dover ridurre sviluppi troppo lunghi. Tornando a Flaubert, egli non è mai soddisfatto delle concatenazioni, ed è preoccupato del difetto di proporzione materiale tra le differenti parti di Madame Bovary. Si delineano così i livelli o assi di composizione, che possono essere orizzontali, in quanto successione di episodi, in cui si sviluppano situazioni implicanti determinati personaggi, motivi e temi, e verticali, dove ogni pagina organizza questi diversi elementi in ordine variabile. - Scena o riassunto? Il romanziere, per dar vita ai suoi personaggi, può avvalersi di due modi del racconto o di imitazione poetica (mimesis) distinti da Aristotele: diretto, poiché noi, in quanto pubblico, assistiamo in modo diretto alla rappresentazione degli avvenimenti da parte degli attori, o narrativo (in questo caso gli avvenimenti vengono rappresentati dal narratore). Molti critici anglosassoni hanno adoperato, per questa distinzione, una diversa terminologia: essi infatti non parlano di modo diretto o narrativo del racconto, ma di ‘’scena’’ o ‘’riassunto’’. Se vogliamo ottenere l’assortimento dei procedimenti narrativi, bisogna aggiungere a questi due modi la descrizione. In Madame Bovary, ad esempio, Flaubert apre il racconto con una scena riguardante il povero Charles che viene deriso dai suoi nuovi compagni (<<Eravamo allo studio, quando il rettore entrò seguito da un nuovo vestito ancora dei suoi abiti borghesi>>); poi Flaubert riassume dei genitori e dell’infanzia di Charles, il compimento dei suoi studi di medicina, il matrimonio, fino al II° capitolo (<<Una notte verso le undici, furono svegliati dal rumore di un cavallo…>>) che introduce un’altra scena. Il passaggio scena-riassunto-scena compiuto da Flaubert è quasi invisibile. Stendhal invece si mostra incurante nei confronti di queste transizioni e perciò termina in modo brusco le sue scene o elude un riassunto. A proposito del riassunto o racconto panoramico, il romanziere ricorre ad esso quando il suo intento è quello di dare informazioni, stabilire dei legami tra diverse situazioni, sorvolare fatti poco importanti nell’ottica del racconto, anticipare il futuro o immaginare il possibile. Il narratore può anche inserirvi dei commenti o dei giudizi sui suoi personaggi. Questo è un procedimento spesso utilizzato nelle conclusioni, in particolare nell’ultimo capitolo di Madame Bovary, che porta ad un allontanamento dei personaggi da noi, fino alla loro definitiva scomparsa. Non esiste dunque un romanzo che sia solo racconto panoramico, poiché spesso lo scrittore avverte il bisogno di soffermarsi su un personaggio che lo sollecita, quindi è necessario scrivere delle scene, poiché, come diceva Flaubert, <<bisogna arrivare a rilevare ogni minuto particolare>>. La scena conferisce ai fatti descritti un carattere unico, che corrisponde a un determinato momento come ad esempio un atto importante che si verifica, una personalità che si rivela, l’esplosione di un conflitto etc. A volte la scena dipende dalla fantasia del romanziere, ma spesso risponde ad una necessità interna della storia. Flaubert ha scelto di presentare il suo Charles sin dalla prima pagina, forse per cominciare in medias res ovvero nel mezzo dell’argomento, oppure principalmente perché tutto il personaggio grottesco si manifesta nel suo ingresso allo studio. - La Parte e il tutto La scena di un romanzo è costruita sulla base dei principi di unità (luogo, tempo, azione). Flaubert, ad esempio, in Madame Bovary sottolinea con forza queste unità. Si dedica infatti alla descrizione del luogo (es. la scena in cui Charles va a Bertaux a trovare Emma nella cucina delle persiane chiuse; ci offre anche la durata dell’evento tanto da 10 distaccare la sua finzione da sé, l’autore aggiunge al narratore un editore, a cui spetta presentare al pubblico un documento trovato, oppure di correggere il testo. Questo lavoro di edizione, importantissimo nel romanzo epistolare, non ha solo lo scopo di giustificare una pubblicazione o di chiarire i punti oscuri di un testo, ma di omettere certi passi e di classificare le lettere. Nelle opere di Diderot e Fielding, il dialogo narratore-lettore diventa più aperto. Il narratore infatti pone delle domande al lettore o, viceversa, offre risposte. Può capitare anche che chiami direttamente in causa il suo lettore interlocutore, per agire su di lui o verificare se il contatto sussiste. Interpella il suo narratario quindi, valutando o attestando il grado di veracità del suo racconto, sottolineandone i problemi di organizzazione: il narratore ha cinque funzioni: oltre alla funzione propriamente narrativa, possiede quella di regia (discorso sull’organizzazione interna del testo), comunicazione, testimoniale (rapporto affettivo, morale o intellettuale del narratore con la storia) e ideologica (commenti didattici, filosofici, esplicativi sull’azione o sui personaggi). La scelta, da parte del narratore, di mascherare la sua presenza dietro un ‘’egli’’ impersonale, un ‘’io’’ che parla con sé stesso o un ‘’voi’’ misterioso, corrisponde al patto narrativo che è alla base dei rapporti stabiliti tra l’autore e il lettore virtuale, da una parte, il narratore e il narratario dall’altra. - Il centro di narrazione A questi rapporti è legato il problema che la critica angloamericana chiama the point of view, the focus of narration, vale a dire il centro di narrazione, il punto ottico di cui si serve il narratore per raccontare la sua storia. Robbe-Grillet mise a confronto il romanzo con il cinema, affermando che il romanzo non può come il romanzo mascherare il punto di vista scelto. Gli stessi lettori non accettano più che venga nascosta loro la posizione del narratore. Nella narrazione orale l’autorità del narratore riposa sulla tradizione. Nella letteratura sacra è l’ispirato, colui a cui stata affidata la capacità di veggenza, pertanto la sua autorità non riposa più sulla tradizione ma sull’ispirazione. Con lo sviluppo della storia in Grecia, il narratore diventa l’histor (colui che indaga, che sa), colui che trae la sua autorità dall’intelligenza. Possiamo affermare quindi che sin dall’antichità ci troviamo di fronte a due concezioni del racconto, che si opporranno lungo tutto il corso del XX secolo: in un caso, il narratore racconta esprimendo giudizi, mentre nel secondo caso si sforza di non comparire, semplicemente mostra, in modo che la storia si racconti da sola. Questa tecnica basata sul ‘’Show, dont’ tell’’, espressione di tecnica narrativa basata appunto sul mostrare e non raccontare, caratterizzerà il romanzo contemporaneo, ed è infatti presente nella corrispondenza di Flaubert dove afferma che ‘’non bisogna scriversi’’. ‘’L’artista deve essere nella sua opera come Dio nella creazione, invisibile e onnipotente in modo che lo si senta ovunque ma non lo si veda.’’ E a partire dagli anni 20 diventa un criterio di valutazione del romanzo. Innumerevoli scrittori inglesi oppongono l’innocenza alla visione limitata o restrizione di campo, la drammatizzazione (trasformazione di un testo letterario in azione scenica) al ‘’show, don’t tell’’, la terza persona alla prima. La critica francese, preoccupata della genesi delle opere e dei problemi filosofici, morali o psicologici, ha impiegato del tempo a interessarsi al problema riguardante il punto di vista. Questo problema è stato meglio studiato a partire dalla fine del XIX secolo, ma sottopone a dura critica il fatto che i tentativi di classificazione a riguardo risentano di una confusione tra il punto di vista propriamente detto o prospettiva, e l’identità del narratore e o dell’enunciazione narrativa (Chi parla?), poiché necessitano di una classificazione distinta. Una volta stabilita questa distinzione, viene ripresa, sotto le nuove denominazioni di focalizzazione zero, interna o esterna, la terminologia a tre termini: visione alle spalle, visione con, visione dal di fuori. La visione con è caratterizzata dalla scelta di un solo personaggio che costituirà il centro del racconto; con la visione alle spalle, l’autore si distacca dal personaggio, non per vederlo dal di fuori, osservando i gesti, ma per considerare in modo obiettivo la sua vita psichica; la visione dal di fuori invece, coglie contemporaneamente il comportamento, l’aspetto fisico e l’ambiente in cui vive il personaggio, rilevatori di una psicologia. 11 Queste distinzioni sono abbastanza confusionarie. Vale la pena quindi considerare solo l’idea principale: il narratore è nella storia o fuori dalla storia raccontata. - Il narratore omodiegetico e i livelli narrazionali Il narratore, per poter essere presente nel suo racconto, (narratore omodiegetico) ricorre alla narrazione delle sue memorie o pubblica un giornale intimo. Ciò implica una visione soggettiva che, pur essendo limitata consente di superare la tradizionale opposizione soggetto-oggetto. Il soggetto è infatti l’oggetto della narrazione. Nelle opere di immaginazione, o Memorie, il personaggio tenta di raccogliersi, di dare un senso a tutta una parte della sua vita, conosce il suo itinerario, può fare la morale e dare un giudizio, proprio come il narratore onnisciente. Ma se il romanziere vuole eliminare dalla narrazione il suo carattere di immobilità, potrà ricorrere a diversi procedimenti, tra cui quello di raccontare la storia di un narratore di cui il lettore non si può fidare perché ci vuole ingannare, o perché manca di fiducia. Nella maggior parte dei casi, il romanziere non fa evincere la duplicità o i limiti del narratore, ma lascia che il lettore li indovini, oppure pone accanto al narratore principale dei narratori secondari. Talvolta, il lettore si trova di fronte a dei racconti o conversazioni filtrate attraverso più personaggi, chiamati ‘’seconde soggettività’’ di cui ha fatto spesso uso il romanzo picaresco. Le seconde soggettività incontrano la prima soggettività, ovvero il narratore, e interrompono lo svolgersi dell’intreccio per raccontare le proprie disgrazie, dando un carattere ambiguo e incerto alla storia. Incertezza che viene ostentata, ad esempio, nel diario e che sarà presente ancor più presente quando il romanziere ricorre al dialogo del ‘’Neveu de Rameau’’ o al romanzo epistolare, perché vuole turbare e commuovere il lettore. Nel romanzo epistolare il carattere polifonico e al tempo stesso relativo degli avvenimenti e dei personaggi viene messo maggiormente in risalto. Ad esempio nelle ‘’Liaisons dangereuses’’, lo stesso avvenimento non solo viene raccontato da diversi corrispondenti, ma viene anche diversamente raccontato dallo stesso personaggio. Il romanziere epistolare del XVIII secolo obbliga il lettore a ricreare il romanzo, a ricostruire la trama, a dargli un senso e una coerenza, a diventare l’histor antico dunque. - Il narratore eterodiegetico e i livelli narrazionali Se il narratore- attore o narratore omodiegetico rassomiglia alle Memorie o al giornale intimo, il narratore eterodiegetico, ovvero fuori dall’azione, presenta delle affinità con il narratore del racconto storico. Emile Benveniste mette a confronto, nel suo ‘’Problèmes de linguistique générale’’, il racconto storico e il discorso, definendo il primo come il modo di enunciazione che esclude qualsiasi forma linguistica autobiografica, mentre il secondo rappresenta qualsiasi forma di enunciazione che presuppone qualcuno che parla e qualcuno che ascolta e l’intenzione da parte del primo di influire sull’altro in qualche modo. Sottolinea inoltre i tempi verbali ammessi o esclusi dai due modi di enunciazione: il presente, il futuro e il perfetto (le forme composte) sono esclusi dal passato storico, poiché, per quanto riguarda il presente, un avvenimento, per essere posto come tale nell’espressione temporale, deve aver cessato di essere presente, non può essere enunciato come presente; il futuro in quanto è un presente proiettato verso l’avvenire e ciò implica certezza e obbligo che sono modalità soggettive, non categorie storiche; perfetto perché presenta la nozione come compiuta e la situazione attuale risultante da questo compimento temporalizzato. Nel discorso invece, non viene ammesso soltanto ciò che la linguistica chiama aoristo, ovvero il passato remoto, che oggettiva l’avvenimento staccandolo dal presente. La differenza tra i due modi di enunciazione deriva, quindi, dal fatto che il racconto storico non vuole avere alcun legame col presente, mentre il discorso colloca l’avvenimento nel presente e lo ricollega, in un modo o nell’altro, ad esso. Quando il romanziere utilizza l’aoristo, costringe la narrazione a compiere l’obiettivo del racconto storico, che non consiste nel condurre la ricerca di un’esperienza esistenziale, ma nel situare un avvenimento di cui sono state spiegate la coerenza e le leggi. 12 Il passato remoto e la terza persona del singolare traducono così il funzionamento del mondo o di una società, e il romanziere potrebbe non intervenire per esprimere giudizi. Gli avvenimenti narrati sono sufficienti. Il romanziere aggiungerà solo una riflessione morale o filosofica. - Il punto di vista come significato Georges Blin analizza, in una sua tesi su Stendhal, le restrizioni di campo e gli interventi d’autore (linguaggio mimetico), i quali offrono, meglio di qualsiasi commento, la visione che questo autore ha del mondo. Le restrizioni di campo, grazie all’impiego del monologo interiore, manifestano il relativismo dell’autore, in cui si è condannati a una visione frammentaria delle cose, in quanto il relativismo nega l’esistenza di verità assolute, oppure conoscibili o esprimibili soltanto parzialmente (appunto relativamente); gli interventi d’autore, invece, tradiscono l’egotismo di Stendhal e il suo desiderio di non intervenire dall’interno, poiché priverebbe i personaggi di ogni libertà. Pertanto preferisce commentare come autore. Le restrizioni di campo e gli interventi d’autore non hanno dunque fini contraddittori, ma complementari. Per quanto riguarda la narrazione di Flaubert, in Madame Bovary maschera la visione soggettiva e quella panoramica mediante l’uso del discorso indiretto libero e di un imperfetto ambiguo, (tempo verbale da lui amato), che appartiene tanto al discorso quanto al racconto storico. Pertanto le sue opere oscillano tra il discorso e il racconto storico, nonché tra il lirismo e la banalità. Flaubert mostra tenerezza nei confronti di Emma, che definisce ‘’la sua donnina’’, ma allo stesso tempo si accanisce contro di lei, condanna il suo sentimentalismo, perché è un’immagine di sé stesso, combattuto tra l’apoteosi romanzesca, il lirismo sfrenato e il disprezzo nei confronti della bêtise umana, della piccola borghesia di provincia da cui lui stesso proviene e da cui vuole sfuggire e adotterà la visione oggettiva per costruire sé stesso. Anche il romanzo epistolare del XVIII secolo, contrariamente a quello borghese, dovrebbe riflettere una particolare condizione dell’esistenza. Un certo numero di scrittori ha scelto di adoperare questa forma narrativa probabilmente perché il romanzo epistolare francese rinnega una visione del mondo fondata su una filosofia antropocentrica, dove l’uomo è al centro dell’universo. Il mondo viene visto dunque come un enorme interrogativo, pertanto il romanzo epistolare propone una molteplicità di visioni soggettive e frammentarie, (realismo oggettivo) mentre quello borghese pretende di darci un mondo conosciuto (onniscienza). L’onniscienza o il realismo soggettivo non sono tecniche inferiori o superiori, ma solo due modi che offrono visioni differenti del mondo. Ogni tecnica rinvia ad una metafisica ed entrambe sono legate al genio individuale, ma anche a fattori culturali. Così l’avvento del cinema e della televisione hanno mutato il nostro modo di vedere il mondo e le tecniche romanzesche. Capitolo terzo Lo spazio Lo spazio all’interno di un romanzo non è un elemento accessorio, bensì riveste molteplici significati. A volte rappresenta la ragione stessa dell’opera. - Inventario dei luoghi Balzac e la maggior parte dei romanzieri del XIX secolo, offrono immediatamente al lettore le informazioni utili o interessanti sul luogo principale in cui si svolge l’azione; Zola talvolta inseriva dei disegni per ritrarre i luoghi dei suoi racconti. Aragon invece, sparpaglia informazioni frammentarie sui luoghi, come se non volesse descriverli. Il lettore si trova costretto a ricostruire la disposizione, partendo dal punto preciso in cui evolvono i personaggi, per poi arrivare agli spazi più lontani che li circondano. Se questa disposizione non può essere riprodotta con un disegno, il romanziere può far immergere il lettore nel mistero e nel sogno, o indurlo a considerare il suo racconto come una favola la cui localizzazione non è importante. Una rappresentazione grafica agevole invece, può rappresentare per il lettore una elaborazione minuziosa dell’opera, ma può anche rivelare la presenza di luoghi diversi aventi un rapporto di simmetria o di contrasto. 15 Le sue origini sono lontane, infatti le storie letterarie rivelano una corrente realistica sin dal Medioevo, ma è soprattutto nel XIX secolo ad essersi diffuso, in cui autori come Zola promuovono l’obiettività e la realtà. L’idea della relatività del vero si era fatta strada nel XVIII secolo. Roland Barthes ad esempio, oppone le cose e il linguaggio, in quanto la seconda non può essere l’immagine fedele della prima: il realismo, come sosteneva Barthes, non può essere la copia delle cose, ma la conoscenza del linguaggio; l’opera più realista non sarà quella che dipinge la realtà, ma quella che, servendosi del mondo come contenuto, esplorerà più a fondo la realtà irreale del linguaggio. Il realismo è dunque impossibile. La rappresentazione dello spazio è un aspetto particolare del problema cruciale della mimesis sulla quale si accaniscono scrittori, storici e critici a partire da Aristotele e Platone e dimostra su quale ambiguità si fonda la pratica letteraria. Due concezioni si affrontano: la letteratura copia e non può far altro che copiare la realtà, oppure rinvia esclusivamente a sé stessa. - Il rapporto con il mondo La descrizione può costringerci a guardare una realtà sola, quella stessa realtà che pretende di porre dinanzi ai nostri occhi, oppure mostrerebbe qualcosa di diverso da quello che finge di mostrare e quindi voler suggerire di più e spingerci oltre. La descrizione esprime dunque il rapporto tra l’uomo, autore o personaggio e il mondo circostante: egli lo fugge, glene sostituisce un altro, vi si immerge per esplorarlo, comprenderlo, cambiarlo, o conoscere sé stesso. L’oppressione dello spazio sembra predominare nei romanzi contemporanei. A volte fa covare l’odio o la rivolta nel cuore di un personaggio. Al di là di questo influsso psicologico, il romanziere carica spesso questo tipo di spazio di un significato filosofico. Il tema del labirinto, ad esempio, è simbolo dell’angoscia degli uomini di fronte al mondo in cui non trovano il loro posto. Il viaggio invece, appare come una promessa di felicità. Il desiderio dell’altrove, deve forse la sua origine alla convinzione che, come per Emma Bovary, con ci può capitare nulla, cioè qualcosa di inedito, esaltante, se non in un altro luogo. Da questa aspirazione è nata la letteratura definita d’evasione. Il viaggio è strettamente legato alla nozione di disorientamento. I personaggi che partono, vanno alla conquista del potere, della passione, della felicità. I viaggi immaginari cercano di soddisfare un proprio desiderio e di sfuggire alla condizione umana. Capitolo quarto Il tempo Il romanzo è, in opposizione alle arti spaziali come la pittura e la scultura, considerato anzitutto come un’arte temporale, esattamente come la musica. Esso è discorso, cioè implica successione e movimento. Il romanzo infatti, per poterlo cogliere perfettamente, deve essere sviluppato. Inoltre, senza progressione, senza un’avventura, non possono sussistere personaggi romanzeschi. Nelle opere moderne di autori come Proust e V. Woolf, il tempo non è più un tema o uno strumento per poter portare a termine un’azione, ma è il soggetto stesso del romanzo. Il tempo diventa l’eroe della storia. La parola tempo riveste significati diversi a seconda dei sistemi di riferimento adottati. Prendiamo come punto di partenza la distinzione proposta da M.Butor: tempo dell’avventura, della scrittura e della lettura. - Il tempo dell’avventura La prima dimensione temporale che colpisce un lettore di romanzi è quella della storia, ovvero l’epoca (presente, futuro, ecc) in cui è situata l’avventura narrata e la durata di essa. Per quanto riguarda la durata narrativa (che è la durata effettiva del racconto, quindi diversa dall’arco temporale), il romanziere deve scegliere, tra gli innumerevoli aspetti della vita sociale o psichica, un numero limitato di questi, poiché raccontare tutto è praticamente impossibile. Il desiderio di voler ‘’fare entrare tutto in un romanzo’’ che ossessiona gran parte degli scrittori come Balzac e Gide, si rivela dunque irrealizzabile. Lo scrittore, per far fronte a ciò, dovrà dunque servirsi di procedimenti quali riassunti, bruschi salti temporali, sincopi, accelerazioni, ecc. 16 Contrariamente alla maggioranza dei romanzieri, Fielding e Jorge Luis Borges sono contrari allo sviluppo di situazioni non straordinarie o rilevanti. Si rifiutano dunque di narrare eventi non importanti ai fini del racconto, i quali risulterebbero inutili e pesanti, quindi prolissi. Pertanto promuovono il rifiuto di dire tutto, il desiderio di un tempo ristretto, che possa al limite ridursi ad un istante vitale. Borges dichiara al riguardo che ‘’ogni destino, per quanto lungo e complicato esso sia, comprende in realtà un solo istante: quello in cui l’uomo sa per sempre chi è’’. Fielding dichiara anche che il narratore non si limiterà a ‘’rispettare scrupolosamente l’ordine dei fatti’’. Balzac sconvolgerà l’ordine cronologico al punto tale da sostituirlo con ciò che egli chiama ‘’il tempo sociale’’, poiché ‘’la storia degli altri non la conosciamo cronologicamente, ma frammentariamente’’. L’ordine cronologico è, come dichiara Butor, più o meno inutilizzabile nel romanzo. La narrazione romanzesca più semplice, oltre a scegliere un esiguo numero di elementi dell’avventura raccontata, fa uso di anticipazioni, flashback, sovrapposizioni di azioni, ecc. Queste tecniche narrative relativamente complessa, si fa più complessa in seguito ad altre forme di discordanza tra tempo del racconto e tempo dell’avventura. Se, infatti, la narrazione più semplice consiste nell’impiegare il passato per raccontare un’avventura passata e il futuro per rendere un’anticipazione, lo scrittore ricorre abitualmente ad una struttura temporale più complessa. Tralasciando l’avventura presente, quella passata o futura può essere raccontata con i tre tempi fondamentali del linguaggio. Il romanzo di fantascienza, ad esempio, ci ha abituati all’uso del presente e del passato per raccontare un’epoca futura. Il futuro invece, non è un tempo romanzesco. L’uso di un tempo risponde a necessità e obiettivi particolari. Ad esempio l’uso del presente per raccontare il passato, punta, come il teatro storico, ad attualizzare un problema, una situazione, a dare all’avventura l’incertezza del presente, mentre il futuro metterebbe a confronto un’epoca futura col tempo presente per renderne evidenti tragicamente o ironicamente la concordanza, l’opposizione, la continuità o la frattura. Più che l’uso dei tempi grammaticali, bisogna cogliere la sostanza stessa di ogni tempo romanzesco. In Balzac, ad esempio, il tempo segna l’evoluzione di una società, mentre in Proust si tratta di sfuggire al ‘’tempo degli orologi’’, al tempo sociale, per raggiungere il proprio ‘’io profondo’’, (l’inconscio) nell’ ‘’extratemporale’’, ‘’il tempo allo stato puro’’. I romanzi moderni (Woolf, ecc..) invece, non hanno nulla a che vedere con l’extratemporale di Proust, in quanto pongono l’accento sull’istante più che sulla durata. Il tempo non è più fiume o circolo mitico, ma uno specchio rotto in mille pezzi. Madame Bovary, per esempio, è costruito sulla duplice opposizione, spaziale e temporale dell’ora e qui e del futuro-altrove. L’ora è il cerchio limitato della sua vita quotidiana senza sorprese, mentre il futuro è la possibilità di infrangere il ciclo temporale in cui lei Emma si sente soffocare. Prigioniera della sua vita provinciale, Emma nutre la sensazione che i giorni e i mesi si accumulino gli uni sugli altri come i diversi strati del berretto di Charles o della torta nuziale: tempo ciclico, ritmato dai rintocchi della campana o dal passaggio delle stagioni e al quale non potrà sottrarsi se non con il suicidio. Ma oltre a questa opposizione del tempo ciclico vissuto e del tempo immaginario progettato, Flaubert utilizza delle accelerazioni (la corsa in carrozza di Emma e Léon), i rallentando (il corteo funebre della fine, in opposizione al corteo iniziale dell’inizio), o i cambiamenti di ritmo (la scena dei comizi agricoli). Il tempo può essere espresso non soltanto con indicazioni appartenenti al racconto considerato come un susseguirsi di episodi, ma anche con l’uso delle risorse della composizione e dei modi narrativi. È su questa distinzione di due diversi livelli temporali che Jean Ricardou fonda la sua analisi del tempo romanzesco: tempo e finzione, dell’aneddoto o della storia propriamente detta, e tempo della narrazione, o modi di espressione di questa storia nel romanzo. Questa distinzione si trova anche nei formalisti russi, ma sotto una diversa denominazione: fabula, che rappresenta l’insieme degli avvenimenti nei loro mutui rapporti, secondo un ordine naturale, cioè causale-temporale (tempo della finzione), e l’intreccio, l’introduzione nell’opera di questi stessi avvenimenti (tempo della narrazione). Tra questi due assi, si instaurano dei rapporti di durata che variano con la natura dei modi narrativi e determinano una velocità della narrazione: equilibrio del racconto durante il dialogo che istituisce tra i due livelli del tempo una sorta di eguaglianza; accelerazione del racconto nello stile indiretto che riassume in un tempo narrativo relativamente breve 17 un tempo fittizio più lungo; rallentamento del racconto durante l’analisi o la digressione che dà la preferenza alla narrazione a scapito della finzione e può portare ad una totale immobilizzazione dell’azione. - Il tempo della scrittura Il momento della scrittura è importante nel senso che l’autore rende più il tempo della sua epoca che quello dell’avventura (divario scrittura-avventura). Anche la durata della composizione riveste un’importanza considerevole. Balzac dichiara al riguardo che il tempo scorre così in fretta che parecchie idee sono invecchiate, espresse, mentre l’autore stampava il suo libro. Il romanzo, infatti, rischia sempre di essere in ritardo sull’evoluzione tecnica e del pensiero del suo autore, che avviene nel corso della redazione del libro. Per quanto riguarda la durata del narratore, la sua interferenza è individuabile in qualsiasi opera romanzesca in cui si crea ciò che Booth chiama ‘’l’autore implicito’’, una maschera forgiata dallo scrittore durante la stesura. La durata di questo autore implicito differisce dalla durata cronologica della redazione, e appartiene a quello che Proust chiama l’io profondo’’ del creatore in antitesi con l’io sociale. È una durata ricca, legata a ciascuno dei personaggi, ma anche indipendente da essi. È esattamente la durata dell’eroe e nello stesso tempo del narratore. - Il tempo della lettura Con gli anni il divario tempo della scrittura-tempo della lettura varia al punto di mutare il significato di un libro. Ad esempio leggere un testo risalente a un’epoca dominata dalle guerre non è più per noi oggetto di timore o di speranza, ma è solo il ricordo di un’epoca. Il divario tra questi due tempi si accentua ancor di più dall’evoluzione semantica delle parole e dai cambiamenti dei modi di vita e di pensiero da un’epoca all’altra. Quindi c’è la necessità di far coincidere la coscienza del lettore e con quella dei personaggi, eliminando ogni tipo di intermediario. Lo stesso atto di leggere, di decifrare un testo, rischia di rendere ancor più opaco lo schermo (l’intermediario) rappresentato dalla scrittura. Claude Mauriac sottolinea che la natura del linguaggio scritto impedisce allo scrittore di offrire una percezione istantanea e globale, e, proprio per questo, è inevitabile lo scarto temporale tra l’avventura, la scrittura e la lettura. Non si tratta solamente di far coincidere la coscienza del lettore con quella dei personaggi, ma soprattutto con quella del romanziere di cui spesso non conosciamo le esitazioni, i ripensamenti, il sentimento di impotenza a dire l’essenziale, ecc. Non è soltanto il significato delle opere a cambiare col tempo. La funzione della lettura in una determinata società impongono allo scritto delle costrizioni. Le lettrici dei salotti mondani del XVII secolo, prive delle arti e delle tecniche di comunicazione moderne, erano stimolate a leggere un’opera di alcune migliaia di pagine. Di qui la nascita dei romanzi formati da cinque o dieci volumi. Nel XVIII secolo, il prestito dei libri da parte delle librerie ambulanti e il moltiplicarsi delle novelle o dei racconti venduti clandestinamente non permettono più una simile prolissità. Nel XX secolo, col romanzo d’appendice la tecnica e il contenuto muteranno considerevolmente. Le frasi che chiudevano i capitoli di questi libri miravano a mantenere desta la curiosità del lettore fino alla successiva pubblicazione del giornale. Anche i fattori socio-economici impongono le loro costrizioni: la lunghezza dei romanzi, legata per esempio ai costi di produzione e al livello di vita dei lettori, influisce notevolmente sulla tecnica romanzesca. La generazione di lettori, nata con la televisione e altri mezzi audiovisivi, non avrà le stesse motivazioni né la stessa armatura intellettuale per affrontare il romanzo. Oltre a questi fattori storici e socio-culturali, le differenze individuali fanno sì che ogni lettura crei la propria durata. Il romanzo diventa un tema sul quale il lettore improvvisa le sue variazioni personali, seguendo il suo genio inventivo o la sua ricchezza interiore. Più che aderire alla durata del romanzo, se ne serve per creare la propria. Il lettore cambia la prospettiva temporale per creare il suo universo, la sua esperienza vitale, indossa le vesti del narratore per inventare a sua volta l’opera. In questo modo il lettore si immerge in una durata più ricca di quella dei romanzi d’evasione. La lettura dunque, non è più un passatempo per dissipare la noia, ma un esercizio intellettuale e un’esperienza creatrice. 20 La psicologia fondata sull’introspezione ha caratterizzato il romanzo francese a partire dalle origini, mentre il romanzo a carattere fenomenologico ha conosciuto un grande successo, da Sartre al nouveau roman. Oltre alla tendenza psicologica alla quale può ricollegarsi un’opera romanzesca, conta anche la densità psicologica dei personaggi. Il romanziere inglese E. M. Forster ha lavorato sulla distinzione tra flat e round characters. Il primo è un personaggio piatto, tipicizzato, senza profondità psicologica, mentre il round è un personaggio complesso, pluridimensionale. La psicologia può apparire in un romanzo in due modi: suggerendo o analizzando la vita interiore del personaggio ed è presente in opere come ‘’Le Rouge et le Noir’’, ‘’la Recherche du temps perdu’’ e in altri romanzi d’analisi. [..] - Un portavoce La tradizione critica considera i personaggi romanzeschi come portavoce del loro autore, dunque come una ricostruzione autobiografica del creatore del romanzo, mentre i romanzieri del periodo tra le due guerre, nonostante la forte corrente autobiografica, sostengono l’autonomia e la libertà del personaggio, indipendente dall’autore. Nonostante queste affermazioni sull’autonomia, la critica ha continuato le sue ricerche generiche e ha tentato di seguire l’evoluzione del pensiero dei creatori attraverso i loro personaggi, al punto che la sociologia e la psicanalisi sono intervenute per dare il loro apporto nel campo della critica letteraria. È relativamente difficile trovare delle opere significative prive di tesi implicite o esplicite. Dietro le azioni di un personaggio si nascondono le concezioni dell’autore. Non sono le tesi che uccidono un romanzo, ma la univocità, la sua povertà di significati. L’obiettivo della psicanalisi è appunto quello di scoprire ciò che è evidente, e questo proposito della psicanalisi letteraria risulta abbastanza difficile e incontra un forte dissenso da parte di molti analisti, che considerano l’opera come il punto di arrivo di un determinismo eccessivamente meccanico. Lo psichiatra Jean Delay sostiene invece questo approccio psicoanalitico, e paragona il rapporto interpsicologico tra autore-personaggio a quello esistente tra medico e paziente, analista e analizzato. Il filosofo e psicoanalista J.B. Pontalis ha applicato un rapporto dello stesso ordine a quello che si instaura tra l’opera e il suo lettore, giungendo alla conclusione che il lettore non è titolare dell’inconscio, dunque non è analista, ma è convinto che un’opera metta il lettore sia in posizione di analista che di analizzato. La psicanalisi, nella misura in cui non cede alla tentazione del determinismo, può fare chiarezza sullo studio del personaggio romanzesco. Quest’ultimo non è solo alle prese con i suoi demoni interiori, ma anche con la società, ed è per questo che lo si potrebbe considerare come una proiezione dell’autore nei suoi rapporti con la società del suo tempo. È nota l’importanza delle tesi di Lukács sull’eroe problematico, chiamato anche demoniaco, che si incarna in un romanzo situato tra la tragedia e la poesia lirica, da una parte, l’epopea e il racconto dall’altra. La forma interna del romanzo è costituita dal percorso, da parte dell’individuo problematico, verso sé stesso, che lo conduce ad una chiara conoscenza di sé. Questo suo lento progredire si realizza in tre tipi di romanzi: quello dell’idealismo astratto (Don Quijote), quello del romanticismo della disillusione (L’éducation sentimentale) e quello dell’apprendistato (Wilhelm Meister) che è un tentativo di sintesi tra i primi due poiché sfrutta il tema della riconciliazione dell’uomo problematico con la realtà concreta e sociale. - Modo di presentazione Esistono quattro modi di presentazione del personaggio romanzesco: la presentazione può avvenire dal personaggio stesso, da un altro personaggio, da un narratore eterodiegetico, dagli altri personaggi e il narratore. Conoscersi e esprimersi Nel primo caso, ovvero quando il personaggio si presenta da solo, nasce immediatamente il problema della conoscenza di sé stessi e dell’autoanalisi, che è difficile poiché l’uomo offre un giudizio di sé stesso da un punto di 21 vista puramente soggettivo, dunque è incapace di giudicarsi obiettivamente, e, anche se potesse farlo, si tratterebbe di un giudizio alterato, deformato, quindi di un autoritratto falsificato, non veritiero. Per evitare che l’apologia prenda il sopravvento sulla verità (poiché maschera inevitabilmente il proprio modo di essere interiore), Rousseau, nella prima passeggiata delle Rêveries, afferma di voler raccontare tutto, anche gli avvenimenti più insignificanti della sua infanzia. Per Rousseau, dunque, la conoscenza di sé stessi è difficile e incompleta. Tuttavia è necessario tentare di conoscersi e per farlo non bisogna ricorrere alla conoscenza aneddotica che potrebbe ricavare un testimone esterno, ma all’introspezione, poiché ciò che conta non è la verità dei fatti ma ciò che si è sentito, ciò che Rousseau chiama verità morale. L’introspezione nel romanzo può avvenire sotto forma di diario, lettera o monologo interiore. Il diario, in teoria redatto giorno per giorno, mira a tradurre la vita interiore man mano che essa si svolge, nonché le incertezze e l’evoluzione di una coscienza immersa nel quotidiano. Nel romanzo epistolare il redattore scrive la sua vita nel momento stesso in cui la vive e, a differenza del diario, la lettera vuole commuovere il destinatario. Anche le memorie si rivolgono al lettore, ma questi non è coinvolto nell’azione. Il narratore-attore in questo caso ci offre un resoconto delle proprie avventure e della propria esperienza. Ma non bisogna lasciarsi ingannare, poiché spesso il diario attinge dalle memorie, e queste possono diventare facilmente diario. Raccontare il proprio passato significa riviverlo oggi, e gli avvenimenti ricordati sono deformati da una coscienza immersa nel presente. Lo stesso avvenimento riportato da uno stesso personaggio in due momenti diversi della sua vita non è riconoscibile, perché il punto di riferimento del narratore, quindi la ricostruzione prospettica del passato, viene continuamente modificata. Il monologo interiore invece, tenta di spingersi ancor più lontano nell’espressione del proprio essere e del modo in cui il reale appare a una coscienza. Lo scrittore francese Edouard Dujardin fu il primo ad utilizzare in modo sistematico il monologo interiore, che, come sostiene lui stesso, mira a riprodurre il pensiero allo stato nascente, nel momento stesso in cui esso si manifesta. La sua definizione è ancor oggi valida. Alcuni critici di lingua inglese usano indifferentemente le espressioni internal monologue e stream of consciousness per riferirsi al monologo interiore. Il monologo interiore assume raramente in Francia il duplice carattere che appare di frequente nella letteratura inglese, ovvero rivelare livelli di vita mentale inesplorati o inaccessibili con altri mezzi e mostrare come una coscienza percepisce il mondo. Questo perché la maggior parte dei romanzieri francesi sembra non aver voluto sacrificare nulla dell’analisi psicologica, anche quando tentavano di raggiungere i livelli più profondi della vita psichica. - La presentazione del personaggio da parte di altri Anche la presentazione del personaggio fittizio da parte di altri pone gli stessi problemi. Analizziamo il caso di un personaggio principale presentato da un narratore, testimone e attore al tempo stesso. Michel Butor sostiene l’ipotesi che l’autore scelga di rappresentare sé stesso, e quindi ciò che egli è, attraverso il personaggio secondario, è ciò che gli sogna di essere attraverso l’eroe. In entrambi i casi il narratore, facendo parlare gli altri, si mostra discreto e diventa motivo di attrazione, un’attrazione talmente forte che gli altri personaggi, presi dal suo fascino, offrono un’immagine deformata ancor più di quella che viene offerta da sé stessi. Né il soliloquio né lo sguardo incantato dei personaggi diranno di più sugli altri, ma saranno i rapporti che questi intrecceranno tra di loro, i loro gesti e le loro parole. Ogni comportamento è una risposta all’immagine proiettata da altri. Ma è soprattutto il dialogo che offrirà una conoscenza non esclusivamente diretta del personaggio, poiché la parola come il gesto è una risposta all’immagine proiettata verso gli altri. Lo scambio verbale, per il carattere spontaneo e imprevedibile, fa nascere sentimenti, scaturire idee. Per Flaubert il dialogo probabilmente sarebbe servito a far emergere una verità, mentre per altri romanzieri avrebbe determinato un’evoluzione intellettuale o morale. Ogni dialogo deve esercitare, oltre alle funzioni di comunicazione e di persuasione, una funzione di ordine diverso nei confronti dello spettatore, così nel romanzo prende forma un secondo dialogo (parzialmente muto) che collega il personaggio al lettore virtuale (o il narratore al narratario). Il dialogo, per il suo carattere di immediatezza, è sempre rivelatore di qualcosa, se non dei personaggi, per lo meno del narratore o del suo narratario. 22 La lettera possiede parecchi attributi del dialogo. Lo scambio epistolare, con la sua prospettiva laterale sull’altro, mette in luce ciò che un semplice racconto lascerebbe in ombra e costituisce una conversazione rallentata tra due interlocutori distanti che non possono conoscere la reazione dell’altro, ma che hanno, in compenso, il tempo per riflettere sulla loro replica. - La presentazione del personaggio da parte di un narratore extradiegetico Nell’epopea primitiva, come nella tradizione orale del Vecchio Testamento, la presentazione dall’esterno è naturalissima. Il personaggio, infatti, non viene messo in scena per sé stesso ma per le sue avventure. Il valore didattico del Vecchio Testamento, per esempio, come pure la consacrazione dell’immortalità dell’eroe epico, derivano innanzitutto dalle azioni raccontate. In un caso come nell’altro, è necessario riportare un certo numero di fatti per rendere possibile una generalizzazione. Dai gesti e dalle parole scaturirà l’immagine dell’eroe trionfante o vendicatore. Quando il gesto o la parola (monologo, ispirazione, ecc.) non permettono di esprimere l’intensità di un sentimento o di conflitto interiore, il narratore epico o sacro ricorre al sotterfugio, ovvero alla drammatizzazione per mezzo del sogno o dell’apparizione miracolosa, che permette di rappresentare l’intensità del conflitto interiore come se fosse un avvenimento. La presentazione dei personaggi dal di fuori si è spesso rivelata efficace nella letteratura romanzesca per drammatizzare il conflitto tra l’individuo e la società. È per questo motivo che il personaggio di Balzac o Zola assomiglia al personaggio epico. Il romanziere colloca il personaggio in uno scenario e lo mostra mentre agisce o parla o lo caratterizza con una formula sorprendente. La lotta tra un individuo e una collettività è anzitutto un rapporto di forze antagoniste o convergenti. Non si ha bisogno di personaggi introspettivi o psicologicamente complesso, ed è ciò che faranno Balzac e Zola. Questi utilizzano la narrazione in terza persona, che, in quanto esclusa dal dialogo, non si riferisce a una persona specifica, ma designa colui che è assente. Il narratore può porsi al di fuori della storia anche in un altro modo, che consiste nel limitarsi a registrare ciò che accade davanti ai suoi occhi, evitando di dare un riassunto o un giudizio e accontentandosi di descrivere l’aspetto esteriore dei suoi personaggi e annotare i loro gesti e le loro parole. Questo procedimento non è del tutto nuovo, poiché possiamo ritrovarlo in alcune tracce della Bibbia come in Flaubert. Ma è soprattutto nel romanzo poliziesco che viene utilizzato, laddove ogni comportamento o gesto del personaggio è un indizio valido come il pantalone macchiato di sangue. - La presentazione mista La presentazione mista è la più diffusa nelle opere romanzesche, vale a dire che i personaggi ci vengono presentati da diversi punti di vista, ciascuno dei quali appartiene ai diversi personaggi della narrazione. In questo modo il narratore limita la sua onniscienza per dare spazio al pensiero dei suoi personaggi. Madame Bovary costituisce un esempio interessante di questo modo misto di presentazione. Charles è il primo personaggio a comparire; ci viene presentato secondo il punto di vista dei suoi condiscepoli e successivamente sarà lui a presentare un altro personaggio (Emma) che scopriremo gradualmente all’inizio del romanzo. L’eroina di Flaubert, a partire dal sesto capitolo della prima parte, diventerà a sua volta obiettivo aperto sugli altri personaggi. Ma l’adozione da parte di Flaubert della prospettiva di certi personaggi non gli impedisce di intervenire quando lo ritiene opportuno con un ‘’egli non pensava che…’’ o espressioni analoghe. Flaubert, per passare da un punto focale ad un altro senza interrompere la corrente soggettiva, ricorre ad una rotazione sapiente del punto di vista la quale maschera abilmente il cambiamento di prospettiva, tanto che il lettore spesso si chiede se è Flaubert o la sua eroina che pensa: ‘’Ma la sua vita era fredda come un granaio, il cui abbaino è rivolto a settentrione e la noia, ragno silenzioso, filava nell’ombra la sua tela in tutti gli angoli del suo cuore’’. Non sappiamo infatti se è il narratore che pensa per Emma, o se è lei che paragona la sua vita ad un granaio e la sua noia ad un ragno. - Le metamorfosi del personaggio romanzesco La presentazione e la funzione del personaggio romanzesco hanno subito forti trasformazioni nel corso della sua storia. Ad esempio, nel XIX secolo si assiste ad uno sgretolamento del personaggio, il quale si rivelerà un preludio alla sua totale soppressione in certe opere contemporanee. In Balzac, per esempio, culminava la nozione del personaggio tipo, nella quale si riassumono i caratteri di una classe sociale, di una professione, di una forte passione, il ritratto si
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved