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La beffa di Unibos (Versus de Unibove), Appunti di Letteratura

Analisi, traduzione e commento dei Versus de Unibove.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 24/06/2020

jmmy_93
jmmy_93 🇮🇹

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3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La beffa di Unibos (Versus de Unibove) e più Appunti in PDF di Letteratura solo su Docsity! F. Mosetti Casaretto Letteratura latina medievale 2.2. 2019/2020 La beffa di Unibos Analisi, traduzione e commento Introduzione ai Versus de Unibove I Versus de Unibove sono poema composto intorno all'XI secolo da un autore anonimo e tratta la storia di un contadino e che si situa sul crinale tra letteratura folklorica, colta c popolare. Ci sono tramandati da un solo manoscritto, conservato oggi presso la Biblioteca Reale di Bruxelles. Ci sono 875 versioni diverse di questo poema nel medioevo. Quello che abbiamo è l’unica versione latina di questo racconto. Il fatto che il testo sia stato scritto în larino vuol dire che il testo è stato udito dall’autore in piazza 0 al mercato e che ha in qualche modo desiderato organizzare il poema e larinizzarlo. Mettere in latino un testo vuol dire destinar- gli un pubblico preciso cioè altri ecclesiastici. Questo è un testo che contiene un sacco di allusioni c costruzioni cquivoche. 1 versi sono fatti di un prologo che sostanzialmente presenta gli scopi del testo c i personaggi protagonisti. Poi abbiamo una prima beffa, ovvero la beffa del mercato, seguita dalla beffa della resurrezione, poi della giumenta, infine quella dei porci. I Versus sì concludono con un epilogo e con una soluzione. Quale è il contenuto del racconto? C'è un villaggio indeterminato da qualche parte nel medioevo (si pensa che l'ambientazione sia nel Belgio/Fiandre) e all'interno di questo c'è un contadino che perde conti- nuamente i suoi buoi, non si capisce bene. Rimasto con un solo bue i suoi concittadini lo chiamano Unidos, cioè ‘un solo buc?. Ridotto all’indigenza perde anche l’ultimo bue e decide di scuoiarlo e di vendere la pelle al mercato vicino. Unibos scuola il suo buc, lascia il cadavere all'incrocio di tre strade i dirige al mercato, che dista una giornata di cavallo. Giunge al mercato vicino e cerca di vendere la sua pelle come se fosse un drappo di valore incredibile. Gli acquirenti sono calzolai abbastanza scaltri e non cascano alle sue parole. Vende comunque la pelle per otto soldi e rorna a casa. Tornando indietro ha un'esigenza fisiologica (deve defecare): i testi medievali non arretrano di fronte a questi particolari che noi eviteremmo, il rapporto con il corpo dell'autore medievale è molto diverso rispetto a quello che abbiamo noi oggi. Quindi Unibos si inoltra nel boschetto e cerca, dopo aver finito, di pulirsi strappando dell’erba e sollevando una zolla di terra scopre un tesoro: un mucchio di monete d’argento. Mette tutte le monete dentro la sua sacca e corre trafela- to a casa. Giunto a casa rovescia le monete sul tavolo e si rende conto che sono talmente tante che non riesce contarle. L'autore con una scena cinematografica racconta che Unibos chiama un ragazzo del proprio vil- laggio e gli dice di andare dall’economzs del villaggio (il preposto del villaggio, che aveva funzioni giuridiche e ammnistrative) e di farsi dare la bilancia (sextari5) in modo da pesare il denaro. L’economzs si stupisce di questa richiesta c vuole investigare sulla cosa; scopre dal fanciullo che Unibos ha trovato delle monete d’ar- gento. Il preposto si insospettisce, perché il mondo medievale è un mondo stratificato dove non è molto fa- cile uscire dalla propria condizione sociale. Pertanto, se uno è contadino ed è povero è difficile che diventi ricco tutto d’un colpo, come Unibos. Il preposto concede la bilancia al fanciullo e si mette alle sue calcagna (leggiamo i versi come se fossero una scena cinematografica) e una volta che la bilancia arriva ad Unibos lo spia dalla finestra nel mezzo della casa fumosa (che si pensava allontanasse le malattie, ecco anche il motivo di tanti cibi affumicati, non era solo per conservarli meglio). Le case erano affumicate e piene di fuliggine. Altro contrasto cinematografico tra le monete lucenti e la casa. Il sovrintendente entra in casa di Unibos e gli punta il dito dicendo che quella fortuna è frutto di un furto e non di un commercio. Qui non sappiamo se l'accusa venga formulata con l'intento di ritenere Unibos un ladro o se il preposto vuole tenere il denaro per sé. Unibos non si scompone e gli dice che non è vero e gli dice che nel mercato vicino gli danno tutti questi soldi per una sola pelle di bue. Il sovrintendente è talmente sorpreso che l’uomo più povero è diventa- to il più ricco chiama il sindaco c il prete. I tre si trovano ad un crocicchio (si ricordi che Unibos aveva lascia- to il cadavere del bue proprio ad un incrocio) in cui il sovrintendente fa il suo discorso su Unibos e decidono di ammazzare crudelmente tutti i loro animali per vendere le pelli anche loro. I tre tornano a casa, massacra- no con estrema crudeltà i loro buoi. Accatastano tutte le pelli su un carro e di notte si dirigono verso il mer- cato come dei fuggiaschi. Arrivano molto presto al mercato e mettono le loro pelli al centro della piazza, ma nessuno sembra interessato. Dopo un po’ un calzolaio si ferma e chiede al borgomastro quanto vale la sua pelle c lui risponde con una cifra spropositata. Segue un alterco fra i due ma il borgomastro non cede sul prezzo. Il calzolaio si gira verso la piazza e urla dicendo che nessuno avrebbe più avuto i soldi per le scarpe. I tre uomini finiscono in guardina con la confisca di tutte le pelli e una multa. Appena usciti vogliono ac- ciuffare Unibos. Unibos poco prima che loro arrivino fa finta di aver ammazzato la moglie imbrattando la moglie e il coltello di sangue di maiale e i tre uomini. Una volta entrati e aver visto la scena, sono sorpresi e gli dicono che ha compiuto un reato gravissimo. Lui dice che può resuscitarla (sanzbile Nlagiutium prepre- travit per cladium) buttando dell’acqua su di lei e suonando il piffero (Queina). La moglie mentre lui fa ciò si sveglia c torna dai tre uomini «appena vestita meglio» (induta meliuscule), cppure peri tre uomini è bel- lissima e vogliono uccidere le loro mogli per farle risorgere più giovani c più belle. Così decidono che voglio- no comprare il piffero. A questo punto il sacerdote dice che sarà lui a sperimentare per primo il flauto, se- condo il giudice e come terzo borgomastro. La moglie del sacerdote muore e l'inganno è crudele e senza ri- medio. Impaziente il giudice vuole fare la stessa cosa, il prete lo ammonisce ma in modo sibillino e alla fine tutti e tre uccidono le loro mogli e alla domenica si svolgono le esequie. Tornando dalla chiesa dicono che è turta colpa di Unibose vogliono fargli la pelle. Unibos non sa che inventarsi. Prende un lenzuolo bianchis- simo e lo stende al centro della sua casa fumosa c buia. Mette la cavalla al centro della stanza c infila il denaro! nell’intestino della cavalla in modo che quando arrivano i tre defeca monete. I tre la vogliono e gli dicono che se vuole rimanere in vita deve vendergliela. Il primo a portarla a casa è il sacerdote e resta tutta la notte ad ascoltarla. Fruga nello sterco e non trova altro che normale sterco e un centesimo che era rimasto infilato per via di una ferita, I tre vanno da Unibos che dichiara la sua colpevolezza però dice che vuole scegliere il modo per morire: afferma di voler essere legato da corde ritorte chiuso in una botte e essere buttato dal punto più alto della scogliera. Poco prima di buttarlo Unibos dice di prendere le sue ultime monete e di fe- steggiare alla sua salute. Da lì passa il porcaio che lo slega, perché lui gli dice che cra entrato nella botte perché non aveva accettato di diventare sindaco perché non interessato ad onori e soldi e allora il porcaio vuole an- dare nella botte al suo posto e così Unibos se ne va con i maiali. I tre intanto tornano ubriachi e buttano il porcaio (pensando fosse Unibos) giù dalla rupe. I tre rimangono poi di stucco quando in piazza giorni dopo vedono Unibos, il quale gli dice che il mare è pieno di maiali. I tre allora si butano dal punto più alto dove pensavano di avere buttato Unibos, ma muoiono per cercare questi maiali e l'epilogo dice che non bisogna credere ai consigli del nemico: da semplice contadino ingannatore Unibos diventa un diavolo. 216 Inimici conisilia Non bisogna credere ai consigli del non sunt credenda subdola: nemico: questa favola lo mostra per ostendit ista fabula leternità, per seculorum secula. A partire dal primo verso su questo personaggio vengono dati attributi demoniaci e nella strofa 216 inimici sta al diavolo, il Nemico per eccellenza. Per seczlorum secula è una chiosa liturgica e ci fa capire che "Il denaro è quel mucchio di monete d’argento che aveva trovato strappando la terra nel bosco frondoso. 5 Gravi fati commercio Per il commercio con un destino avverso, boves emit pauper bomo, il pover'uomo compra buoi, sub exemplis agricole e a imitazione di un contadino si affatica a terram laborat scindere. dividere la terra. 6 Eventus per borribiles Ma a causa di terribili disgrazie non riesce nunquam ducit duos boves mai a condurre né a stimolare col pungolo nec simul pungit stimulo né a porre sotto lo stesso giogo due buoi nec uno ponit sub iugo. contemporaneamente. 7 Trustra fortunam vincere Invano, nella sua povertà, si forza di sua certat pauperie; opporsi alla sorte; a causa del crudele filo duro fatorum stamine del destino perde continuamente i suoi boves perdit assidue. buoi. 8 Sequax unius fit bovis Scuoiati tutti gli altri (buoi) si rende excoriatis veliquis; seguace di un solo bue; i vicini lo a vicinis deluditur: deridono e affibbiano a quel poveretto il “Unus Bos” miser dicitur. soprannome di “Unibos”. 9 Tvistis sors mugientium La mala sorte de buoi gli rapisce anche bovem rapit novissimum; l’ultimo bue; ormai la realtà diventa iam res minor fit elegi peggiore di quel triste soprannome. egestate vocabuli. 10 Exinanito nomine, Dopo che la stalla si è svuotata e il evacuato bostare soprannome ha perso di significato, tergus disponit vendere scuoiato il cadavere (dell’ultimo bue) si denudatio cadavere. accinge a venderne la pelle. un Corpus linquit quadruvio (Unibos) abbandona il corpo (del bue) sumpto bovis amphibalo, super inmenti sellulam ponit vite fiduciam. all’incrocio di quattro strade e, preso il manto del bue, pone sulla sella della giumenta tutte le sue speranze. Unibos abbandona il corpo del bue senza seppellirlo, e questo è un gesto esecrabile dal punto biblico, perché il libro di Tobia parla di queste cose e dice che «il giusto seppellisce i morti». Comincia a partire da queste quartine un costante ambivalenza fra il lessico animale e îl lessico umano, che rende le due categorie sovrap- ponili, questo forse perché il nostro autore vuole farci capire che il bue è figura dell’anima. L'amphibalo è un tipo di abito monastico, è il mantello monastico; quindi chiamare la pelle del bue amphibalim è una co- sa impropria, evidentemente è un altro di quei segnali che îl nostro autore vuole lanciarci. C'è una forma di ambiguità tra le due categorie, quella umana e quella animale. Gli ultimi due versi della strofa 1, super i menti sellulam/ponit vite fiduciam sono una citazione biblica al libro di Isaia (31,1), in cui si parla dei reprobi, che pongono le loro speranze sulla sella della giumenta. Sono tutti elementi che sono posti all’attenzione del lettore. 12 Ad forum postliminii bovis fert vestem mortui, non tardat se per semitas, Porta la veste del bue morto alla piazza della città fuoriporta; avendo fretta di 6 dum festinat ad nundinas. recarsi al mercato non si attarda lungo i sentieri. Anche in questa strofa c'è da segnalare che il mantello del bue viene chiamato vestis, ancora un modo di de- finirlo improprio. 3 Sed ut intrat emporium, (Unibos) appena entra nel mercato mette facit venale corium, in vendita la pelle, che stima di gran quod putat magni preci prezzo come se fosse un bellissimo sicut decorem pallii. mantello. Unibos stima la veste del bue con un prezzo esorbitante. Qui la veste del bue viene assimilata al pallizm, che è un altro mantello monastico. Questo autore ad ogni strofa continua a chiamare questa pelle di bue con un termine diverso che ha a che fare con l'abito monastico. 14 Participes commercii Coloro che partecipano al commercio capacitatem corti misurano l'ampiezza della pelle in piedi pedum mensurant terminis all’uso dei calzolai. sutorum testimoniis. 15 Unibovem nullus invat: Nessuno aiuta Unibos, solo lui celebra solus pellem magnificat, questa pelle, ma alla fine dà via la sordida pro nummis octo tunicam tunica del bue per otto soldi. bovis largitur sordidam. Qui di nuovo la pelle del bue viene chiamata rricam. Questo autore ci ha detto che Unibos ha magnificato la pelle del bue e prima ancora aveva detto che questa pelle l’ha dipinta come se fosse un magnifico drappo (quod putat magni precii/sicut decorem pallii), poi però nel momento in cui la vende l’autore ci diche che altro non è che una sordidam tunicam; quindi ci dice che Unibos è reprobo, mente, cerca di ingannare il prossimo. Il suo atteggiamento nei confronti del prossimo è frodatorio e questo non può essere considerato. Dobbiamo tenere presente che questo autore scrive ad un suo confratello, în cui vige la dilectio dei e la dilec- tio proximi, C'è anche una possibile allusione blasfema, perché la runica che vien venduta per otto soldi è quella di Cristo e il bue è anche figura di Cristo. 16 Post expletum commercium Terminato l’affare, (Unibos) sale sulla sua ascendit inmentum suum, giumenta, tornando indietro sui suoi distento ventre turgidus passi turgido per il ventre rigonfio. retrorsum vertendo gradum. Nell’iconografia demoniaca il diavolo è normalmente dotato di ventre turgido e retrorsum vertendo gradum significa che il diavolo è capace di camminare all'indietro. 17 Omen habens argenteum Avendo un presagio argentino (Unibos) intrat lucum frondiferum, entra in un boschetto frondoso, dove quo dum ventris purgat lacum, mentre sgrava il ventre, porta via un nummatum trabir meritum. premio in monete. 18 Anum dum certat tergere, Mentre si sforza di pulirsi l’ano, si affretta herbam festinat rumpere, a strappare dell’erba, ma desiderando sed berbam vellens repperit prendere dell’erba trova ciò che ama la quod gens avara diligit. gente avida. Il verbo utilizzato qui è diligo, non è un verbo messo a caso, anzi esso designa il verbo della caritas, indica l’amore spirituale (dilige deum et proximun tunm sicut te ipsum). Diligo è quindi il verbo dell'amore perfet- to, e impiegare — come in questo caso — questo verbo per esprimere la cupidigia rende da un punto di vista lessicale la perversione dell'amore della gente avara, che invece di puntare a cielo punta alle cose materiali. Per la morale monastica la cupitidas est radix omnium malorum, mentre la caritas est radix omnium virtu- tum. Nel testo non c'è caritas, c'è solo capiditas. 19 De nummis tres sextarios Subito urta contro tre vasi nascosti pieni mox offendit absconditos, di denaro, che ripone in una sacca vuota quos in flacenti sacculo che improvvisamente diventa gonfia. ponit mox facto turgido. Alla strofa 19 il nostro autore lumeggia. L'autore non si accontenta, vuole spiegare meglio. Qui bisogna ra- gionare sulle simmetrie. Il ventre di Unibos prima di entrare nel boschetto era turgido, rigonfio, perché do- veva andare di corpo. Una vola liberatosi trova un premo di monete. Ora, lo sterco è il denaro del diavolo, e non sarà un caso che trova le monete proprio dove Unibos ha defecato. C'è quindi un rapporto inversa mente proporzionale tra il ventre di Unibos che si sgrava c il sacco che si rigonfia e l’autore lo fa apposta per farci capire che il denaro è lo sterco del diavolo e che quello che c’era prima nella pancia di Unibos ora è nel sacco di Unibos. 20 Super inmentum concitus Eccitato con tutte le sue forze mette sopra totis imponit viribus (la sua) con giumenta tutte le ricchezze casu repertas vir opes scoperte per caso e se ne torna a cas ad paternos redit lares, 21 Reversus saccum disligat Tornato a casa scioglie il sacco, stolto infantem stultus advocat, chiama a sé un bambino che manda dal quem mittit pro sextario preposto per chiedere la sua giustissima prepositi instissimo. bilancia. Si tratta di un testo la cui traduzione non va tradita, perché alla base dei Versus de Unibove c'è il libro di Qo- hèler. Nella Bibbia si fa riferimento al vir sapiens e al vir stultus; il sapiens è colui che cammina con Dio, è sa- piente perché Dio gli concede di essere intuito e gli trasferisce la sua conoscenza; lo st44775 è invece ‘come un cieco nel sole”, perché non vede la verità a causa del suo peccato, che offusca la sua vista interiore, quindi è incapace di decidere in modo corretto, commette delle stoltezze. Tutte le volte che troviamo dei superlativi {come nel caso di iustissim20) sono ironici: la bilancia del preposto è giustissima per modo di dire, c viene de- finita “giustissima’ per dire completamente il contrario. 22 Querit puer sextarium, Il fanciullo domanda la bilancia, îl prepositus offiucinm; preposto ne domanda l’impiego; pandit puer negotium l’ingenuo fanciullo rivela l’affare lucroso. nimis simplex argenteum. To 35 A nostris tabernaculis omnis fortuna sterilis discedet per commercium commerciorum maximum. 36 Lst mercandi felicitas, quam transmisit divinitas, de vitulorum coriis, de vitularum spoliis. 37 Hic noster pauper Unibos habet multos denarios, quos NOn MENSUTANI NUMETO, sed ferrato sextario. 38 Lst fortunatus subito unius pellis precio, quam vendidit in proximo eventu felicissimo. 39 Non est opus imbribus arare nobis amplius, si probatis una die locupletem de panpere. 40 Sed quod narro commercium occultum sit per tridunmz si trapezete saperent, argentum numquam tunderent. 41 Est facta demonstratio commercii de commodo; fiat deliberatio, quid nobis sit in animo”. Artraverso un affare, il più grande degli affari, si allontana dalle nostre case ogni cattiva sorte. È il successo del commercio della pelle dei vitelli e delle spoglie delle vitelle che la divinità ci ha affidaro. Questo nostro povero Unibos ha molti denari, che non lî conta ma se non con una bilancia di ferro. Unibos è diventato ricco d’un colpo, con il compenso per una sola pelle, che ha venduto nel mercato vicino, per un caso assai fortunato. Se voi provate a diventare ricchi in un solo giorno, non è più cosa da noi arare i campi sotto la pioggia. Ma l’affare di cui vi sto parlando, deve restare segreto per tre giorni; se lo sapessero i banchieri non batterebbero più l'argento. Vi ho dimostrato l’opportunità dell’affare, adesso si deliberi che cosa abbiamo in animo di fare”, L’economus quindi fa un discorso entusiastico ai suoi compari (32-41). Farus tantis rumoribus ci dimostra quanto questo autore sia raffinato, perché rumoribus si riferisce al verso est rumor Units Bovis(32), l’autore usa lo stesso termine per dire che il nostro gaviszs prepositus è fartus dei rumores Unibovis. Bisogna notare (33), come il preposto utilizzi sempre dei termini che hanno a che fare col sacro (miraculim, revelabo). Le parole di Unibos sono diventate un miracolo, poi un consiglio (rif. a 216, dove inimici consilia/non sunt cre- denda subdola). Questo consiglio che sarcbbe miracoloso c sarebbe sa/uberrimum (ovvero anche ‘salvifico’, relativo all'anima), sarebbe quindi da non seguire. Alla strofa 34 que sum facturus, facite ci rimanda Qohè- let, ovvero «ciò che è stato fatto si rifarà», è un’attualizzazione di Qohèlet. Anche alla strofa 36 il punto di vista è quello economico, della cupidigia: il nostro economi punta tutto sull’arricchimento e questo dal punto di vista medievale non è qualcosa di morale. Nella strofa 37 emerge la rovizas: il fatto che il povero Unibos, così chiamato dai suoi compaesani perché aveva un solo bue, ora è molto ricco (povertà-ricchezza) ciò stupisce i tre. La cosa più stupefacente è che Unibos non li conta nemmeno, usa una bilancia di ferro. Quello che sta trasmettendo l’eronomzs è la meraviglia, perché Unibos è in grado di suscitare meraviglia, stupore. La strofa 39 è una sorta di ribellione alla maledizione edenica, alla fatica quotidiana, alla volontà di n Dio. Si ribella a Dio il diavolo. La strofa 40 ci sta dicendo che la novita; deve restare segreta per tre giorni e che faranno così tanti soldi che prosciugherebbero il mercato dalle monete d’argento che ci sarebbero in cir- colazione. Nella strofa 41 termine fondamentale è demorstratio, perché la dimostrazione vorrebbe dire un qualcosa di mostrato razionalmente, mentre invece qui è soltanto una totale allucinazione. Dopo la strofa 41 parleranno il presbitere il maior villae (strofe 42-45). 42 Ad bee suspirans presbiter A queste parole il sacerdote sospirando prior respondit impiger, risponde per primo, pieno di una nuova plenus nove letitie, letizia più di quanta possa mostrare: plus quam possit ostendere: 43 “Si mutaretur in bovem “Se mia moglie che ho sposato nobile si uxor quam duxi nobilem, tramutasse in bue, di fronte alla buona pro tanti lucri spe bona speranza di un così grande guadagno la mox careret pellicula”. scorticherei immediatamente”. 44 Mox maior ville tertius, Subito il borgomastro, per terzo, che non babendi cui non est modus, ha limite alla brama di possesso, vomitò que concepît ex fabula, fuori i prodigi che ha partorito dal eructavit prodigia: racconto. 45 “Per istum iuro baculum, “Giuro su questo membro, su questo per corpus hoc, per spiritum, corpo e su questa anima, che i miei buoi si ruminant diluculo domani non rumineranno più all'alba mei bovis in stabulo”. nella stalla”. Nella strofa 42 suspirans per noi è sintomo di ansia e di oppressioni, e infatti dobbiamo farci guidare da que sto significato: Dante nell’Inferno vede i dannati, infatti Quivi sospiri, pianti e alti quai/risonavan per l’acre sanza stelle,/per ch'io al cominciar ne lagrimai (Inf. ILL, 22-24); il sospirare è un elemento di oppressione dell'anima; non è parodico questo fatto che il sacerdote sia pieno di una nuova /eritiz, che dovrebbe essere la letizia cristiana, ovvero una forma di allegria discreta. In questo caso il sacerdote è desideroso del guada- gno, non perché ha conosciuto la parola di Cristo. Il sacerdote dà quindi una risposta terribilmente cinica, che ci fa capire quanto in effetti il sacerdote non sia tanto incltzs, ma crudele, malvagio (43). Nella strofa 44 tocca ora al borgomastro che farebbe qualsiasi cosa pur di diventare ricco, e in tanto dalla novitas riporta ta dall’economzs sì è già immaginato tutto, diremmo ‘che si è fatto un film’. Qui fabzla è ciò che non è vero. Il medioevo distingue historia, che è qualcosa che è avvenuto veramente, quindi è vero, da fabula, ovvero una narrazione inventata, quindi è menzogna. Qui abbiamo il segno della perversione: il sindaco compie un giramento blasfemo, si renga presente che è vietato dalla Bibbia (45). Questo giuramento che può essere ambiguo, perché l’uomo è fatto di corpo e di anima il sindaco giura sul corpo e sullo spirito, ma cita anche il bacwlus che è un’ambiguità si suale (è il membro virile) e che poteva anche indicare il segno di potere (ba- stone di comando?). Sembra quindi un giuramento blasfemo. 46 Dextras furtivo federe Si sforzano l’uno con l’altro di stringersi le vicissim certant tangere, mani con un patto furtivo di spaccare la ut clan boves excerebrent, testa ai loro buoi e di scuoiarli. interfectos excorient. 1 A questo punto tutti e tre hanno detto quello che vagliono fare, come aveva chiesto il nostro economzs. Quindi non gli resta loro che stingersi la mano con un patto furtrivo, e ci fa capire che non è un patto molto morale. Nella Bibbia si dice che chi agisce nell'ombra è malvagio, il buono agisce alla luce del sole. 47 Firmati per stultitiam Resi risoluti dalla stoltezza, danno luogo procedunt ad insaniam: alla follia: uccidono i buoi crudelmente e mactant boves crudeliter ferocemente li scuoiano. excoriantes acriter. a strofa 47 ci fa capire la prospettiva dell'autore su questo patto, che non è un patto positivo, non è un La strofa 47 ci fa l ttiva dell’auti to patto, cl tte ti patto etico. Questi uomini con crudeltà uccidono e scuoiano i loro buoi, sono stati trasformati dal seguire Unibos. Perdono la loro umanità e diventato bestie. 48 Suspendunt carnes trabibus Sospendono le pelli alle travi, le pelles taxant in curribus, accatastano (poi) sui carri, nella quiete uiete noctis tempore della notte si dirigono al mercato come petuni mercatum transfuge. dei fuggiaschi. La strofa 48 è un po” raccapricciante: dopo averli scuoiati, appendono le pelli, le accatastano e si dirigono al mercato. Come? Prima fanno un patto furtivo poi si dirigono in modo fuggiasco, nella notte, al mercato. Questo rivela la loro malvagità, stanno compiendo qualcosa di illecito, di malvagio. 49 Plaustra pelles vehentia Sistemano con prepotenza i carri carichi locant sub arrogantia di pelle sul confine del mercato in mercati confinio completamente infatuati da una vuota inani pleni somnio. fantasticheria. Questo sub arrogantia è un altro elemento indicativo di questo testo, perché i nostri uomini sono mental- mente deformati, il loro atteggiamento verso il prossimo è arrogante. Da tenere presente che per il cristiane- simo l'atteggiamento verso il prossimo è ‘ama il prossimo tuo come te stesso’, mentre loro arrivano al merca- to con arroganza, con disprezzo per il prossimo, arrivano con avidità. so Respectum per silentia Nel silenzio dardeggiano la piazza del vibranti per fori stadia, mercato e sperano di essere implorati da interpellari sub prece molta gente. sperant a muldtitudine. I nostri tre vomini hanno posto il loro banchetto sul mercato. Questo Respecizon per silentia/vibrant per fori stadia dà proprio l’idea di una persona che con lo sguardo scansiona in modo aggressivo la piazza. Nella seconda parte della strofa i tre sperano che molta gente implori loro di comprare la pelle. $i tratta di una forma di idolatria, di superbia; vogliono essere pregati, cioè non vogliono che qualcuno si interessi alla loro merce, me essere supplicati e ciò dà attuazione a quel sb arrogantia che si trova nella strofa precedente. sl Vuleus transit, vulgus redit: Il popolo va e viene: nessuno li degna di nullus sub cura consulit; uno sguardo; non c'è nessuno che desideri non est qui querat cupide con cupidigia il commercio delle pelli. commercium de tergore. 35 Unibovis consilio. vendica sulla piazza su consiglio di Unibos. Questo Unibovis consilio dobbiamo ricordacelo quando arriveremo alla strofa 216, quando dirà che Zrimici conisilia/non sunt credenda subdola. Il consiulium è Unibovis, quindi per proprictà transitiva Unibos è il l'è nimicus, è il diavolo. 66 Persolvunt legis debita, Risolti i conti con la legge, ritornano a revertuntur ad propria casa con le sacche vuote, sui carri vuoti exbaustis in marsuppiis, (cioè non hanno ricavato nulla). ociosis in curriculis. «Ciò che è stato fatto si rifarà». Come Unibos è ritornando a casa con il sacco vuoto così anche i tre con il sacco vuoto ritornano a casa. 67 Denudati pecunia, Spogliati del loro denaro, armati dal armati tres mestitia rancore; decidono di uccidere Unibos a conantur interficere mezzogiorno. Unibovem meridie. Perché i tre devono uccidere Unibos a mezzogiorno? Perché mezzogiorno, per la demonologia, è il momen- to in cui il diavolo è più forte. La tentazione demoniaca a mezzogiorno è più difficile da respingere. I tre non hanno però capito che Unibos non può essere ucciso, non hanno capito che Unibosè il diavolo e îl dia- volo non si può uccidere, è eterno, e poi a mezzogiorno è ancora più forte e infarti sarà controproducente peri tre. 68 Infva celi tentoria Sotto la volta del ciclo non si sono mai non sunt andita talia udite tali cose simili a quelle che Unibos que perpetravit Unibos perpetrò per placare quegli stoltissimi ut sedaret stultissimos. uomini, 69 Versutus mites reddidit, Quel fraudolento rese miti i tre, irati, non ut tres iratos respicit; appena li vide; la stoltezza e la sapienza si insania, prudentia riconoscono attraverso gli scherzi. respondet per ludibria. Unibos non sta ad aspettare la vendetta dei tre. Infatti, compie una finzione. Versutusè uno dei primi agget- tivi che viene artributi ad Unibos e che ne qualifica la natura demoniaca, perché vuol dire ‘fraudolento’. Unibos riesce ad ammansire î tre, che sono irati, proprio perché essendo il diavolo ha più potere a mezzo- giorno, quindi riesce a placarli. La seconda parte della strofa 69 è fondamentale per comprendere la trama del resto ed è diretta al lettore. L'autore fino adesso ha detto al lettore: fixnt cibis convivia sed verbis exercitia, presentatur ut fabula per verba iocularia, insania prudentia respondet per ludibria. L’autore ci dice che i banchetti si fanno coni cibi, gli esercizi con le parole (quindi questo testo è un esercizio); è un esercizio per verba iocularia, cioè presentato come favola ma attraverso parole scherzose, dove attraverso gli scherzi si di- stingue la stoltezza dalla sapienza. Quindi questo è un exercitim ubi per insiania prduentia respondet verba iocularia. Questo è quello che ci sta dicendo il nostro autore. Ancora meglio: fivns cibis conviva sed verbis exercitia, sed hoc non convivium est sed exercitium, et exercitium ubi insania prudentia repspondet per verba 16 iocularia. Attraverso gli scherzi, parole scherzose, si distingue la stoltezza dalla sapienza, cioè si distingue il reprobo dal giusto. 70 Mori dum tremens estimat, occasionem simulat mortem pigens în coniuge tinctam suillo sanguine. Mentre pensa di morire, tremando, simula un omicidio, truccando la moglie come se fosse morta e imbrattandola di sangue di maiale. Inizia così la beffa della resurrezione. Questi tre uomini si presentano alla soglia della sua casa decisi a fargli la pelle. Unibos allestisce una scena. Ogni rovitas in questo testo è un inganno allestito come scena da Uni- bos. 71 Usor dolosi sub dolo strata iacet tugurio, quasi sit vere mortua, occisa sponsi dextera. Per l'inganno dell’ingannatore la moglie giace distesa sul pavimento della capanna, come se fosse morta, uccisa dalla destra dello sposo. Nella strofa 69 Unibos cra derto fraudolento, cioè verszt4s, ora viene detto do/oszs: viene ribadita la falsità del personaggio. 72 73 Cadaver fedum sanguine corpus apparet femine; crudeles mansuescere incipiunt pro crimine. Qui venerant occidere certant percussam plangere increpantes Unibovem, flendo mactatam coniugem. Il copro della donna si presenta come un cadavere sporco di sangue; i tre spietati cominciano ad ammansirsi di fronte all'omicidio. Coloro che erano venuti per uccidere fanno a gara a compiangere l’uccisa, accusando Unibos, mentre piangono la moglie morta. A questo punto arrivano i tre, decisi a vendicarsi di Unibos. Quelli che vengono chiamati crudeli, cioè i tre spietati, si tranquillizzano davanti all'omicidio, cosa un po paradossale. Ciò ci fa capire che questi uomini non hanno una coerenza, e questo paradosso viene esplicitato maggiormente dall’autore in modo più chiaro alla strofa successiva (73). C'è una contraddizione palesissima. Questo verbo mactatam coniuge ci fa venire in mente quello che si diceva alla strofa 43, Si mutaretur in bovem/uxor quam duxi nobilem,/pro tanti lucri spe bona/mox carcret pellicula. Ala strofa 47 i tre mactant boves crudeliter. I verbi c le parole sono inserite dall’autore in modo tale da potercele ricordare, non sono messe a caso. 74 Simul dicunt ferociter: Dicono tutti insieme crudelmente: “Ehi, “Heus, insensate compater, uomo privo di senno, per quale motivo 75 qua causa tu durissima perpetrasti facinora? Confusionis trux faber, nos seduxisti nequiter; ut mercatum probavintts, mortem tuam tractavimus, hai compiuto crudelissimi misfatti? Bieco artefice di rovina, ci hai sedotto malamente; dopo che abbiamo sperimento (l’inganno) del mercato, abbiamo deciso di ucciderti. 7 76 Magnum damnum, stulrissime, O stoltissimo, ti sei procurato un grosso adquisisti de coniuge: guaio uccidendo tua moglie: non è un non es culpa mediocris reato da poco togliere la vita al proprio vitam fugasse coniugis”. coniuge”. I tre sono abbastanza risoluti, ma ci danno un sacco di informazioni. La strofa 74 si collega subito ai primi due versi della 75, in cui no sono in contraddizione con se stessi, I tre sono allucinati, sono in contraddizione, questo perché è mezzo- giorno e il diavolo è più forte, la loro coscienza è completamente offuscata. è l'individuazione che Unibos non è un contadino mai un diavolo. I tre straparla- 77 Inquit securus Unibos Unibos con sicurezza dice seducendo magis seducens tres viros: ancora di più i tre uomini: “Per mezzo del “Sanabile flagitium pugnale ho commesso un crimine perpetravi per gladium. rimediabile. 78 Si mecum pacem facitis, Se farete pace con me, se cesserete di essere si cordis iram rumptis, adirati, subito vedrete via colci che vedete vivam cito videbitis morta”. interfectam quam cernitis”, 79 - “Fiat, fiat!” bilariter “Va bene va bene!”, dicono sorridendo dicunt seducti pariter, vutti insieme sedotti allo stesso modo, “Repellimus a pectore “Allontaniamo dal cuore la peste pestes inimicitie”. dell’inimicizia”. A questo punto Unibos reagisce in modo secarzs. Sa di avergli un pungo, essendo il diavolo mascherato. Sanabile flagitium/perpetravi per gladium: è la novitas, i tre hanno visto la novitas e sona curiosi di sapere, 6 gi } quindi chiedono incuriositi cosa è successo. Come nel De figa saeculi di Ambrogio, in cui si devono spegne» re i sensi esteriori perché distraggono l’anima, i sensi esteriori qui distraggono l’anima e mettono in pericolo i tre, così si perdono (impostazione monastica). Hanno visto la #ovit4s, ora la ascoltano. Il diavolo cerca di fare in modo che questi uomini si accordino con lui. Il diavolo è l’unico nemico che non piò essere amato se non colpevolmente. Venire a patti col demonio è il primo modo per cadere nelle sue trappole, ma questi uomini non ci pensano troppo, perché attirati dalla rovitas assentono immediatamente alla proposta di Unibos, come avevano fatto per la beffa del mercato («ciò che è stato fatto si rifarà») e rispondono col ver- bo del Padre nostro, fiat volunats tra, ora però diretto al diavolo (blasfemia). Repellimus a pectore/pestes inimicitie, verso che in un qualche modo parodizza l’amore cristiano. 80 Dum sic perpendit Unibos Quando Unibos sente i tre parlare in loqui tres adversarios, questo modo, sî precipita verso una ad cistam currit ligneam cassettina di legno e prende un corno di sumens salignam bucinam. salice. L'autore chiama i tre adversarios, non li chiama ‘amici di Unibos’. Unibos sa che i tre non sono suoi amici, sono nemici (ricordiamo che è il diavolo). Questa bucina ha dei riferimenti biblici e sarebbe più assimilabile ad un corno. L'autore la chiama bucinam, perché l’erimologia di bucinam è bos + cano, ‘chiamo il bue?. 81 Lustrat cadaver coniugis Danza intorno al cadavere della moglie sub testibus erroneis, davanti a spettatori dubbiosi, danza una 20 semantico, i due termini indicano qui il medesimo oggetto. L’autore fa in modo che il lettore si ac- corga della sinonimia dei due termini, anche se hanno significato diverso. In sostanza, non si tratta di uno sdoppiamento, bensì, al contrario, di una fusione emblematica: ovvero, della sovrapposizione intenzionale di due oggetti simili, in origine distinti, che — pur restando scissi a livello linguistico - vengono associati a livello immaginario. L’ambiguità non è comunque il solo problema onomastico legato allo strumento di Unibos. Infatti, sia che esso venga definito &zcin4, sia che venga chiamato #04, la scelta terminologica appare inappropriata. Ci troviamo di fronte a uno strumento a fiato, a metà fra il flauto e il corno, di legno di salice (80.4), în gra- do di emettere suoni acuti e gravi (110.1-3) di colore triste, simili a un muggito (110.2; 116.4): sembrerebbe forse più opportuno ricorrere a definizioni quali fistela o tibia. Nei Versus si registra un costante equivoco fra uomo c animale, fra categoria umana e categoria bestiale, che porta all'omologazione semiologica dei due termini il fatto che la burina-tuba di Unibos porti, chi la suona, letteralmente a muggire, va inserito in questo contesto di specifica ambivalenza, che è tipologicamente comica. Cosa spiega la scelta del poeta me- dievale? Analisi precedentemente condotte hanno rilevato nei Verszs «Ila presenza in notevole misura dell’ele- mento cristiano [a] conferma che l’autore è un uomo colto, buon conoscitore della lingua latina biblica e cristiana. Tra la prima e l’ultima strofa, racchiusi in una sorta di Ringkomposition, si notano numerose allu- sioni c riferimenti specifici alla Bibbia, termini cd espressioni generica-mente cristiane, reminiscenze e rie- cheggiamenti di formule liturgiche c di linguaggio religioso. Si tratta di un materiale linguistico di cui l’au- tore ha una perfetta padronanza e che viene introdotto in un’opera di argomento profano e di genere non impegnato nell’intento di ottenere effetti parodici». Ebbene, se ricorriamo alla Yx/gata, noteremo che in essa con bucina e tuba vengono designati due fondamentali strumenti a fiato, le «trombe d’argento» e il cosiddetto $6ph4r. Il confronto di questi ultimi con la burina-tuba di Unibos si rivela subito fertile e mostra che, a dispetto della sua minore presenza, nel poema medievale è soprattutto la tuba ad essere îl vero elemen- to caratterizzante. «Si tratta di uno strumento molto particolare, che emette un suono grave c non sempre armonioso. Spesso lo si considera dotato di potere magico. La bassa frequenza della sua vibrazione evoca il rumore del caos, il boato che prelude a distruzioni e a metamorfosi radicali. Simile al muggito di un mostro primordiale, al ruggito di una belva invisibile, questo suono possiede un potere straordinario, terrificante, trascendente». Le qualità ripologiche dello strumento biblico e quelle dello strumento utilizzato dallo pseudo-conta- dino coincidono in modo impressionante. Non solo sul piano timbrico (il suono grave, simile a un muggi- to), ma anche su quello esoterico (il potere magico). La stringente somiglianza diventa poi identità, quando, verificato quale sia effettivamente l'impiego della tuba nella Rivelazione, ci si imbatte nell'epistolario paoli- no, in particolare, in un celebre passo della Prima Lettera ai Corinzi Ecce moysterium vobis dico/ omnes quidem Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, resurgemusi sed non omnes inmutabimur/ in certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, momento in ictu oculi in novissima tuba/ canet in un istante, in un batter d’occhio, al suono enim/ ct mortui resurgent incorrupti et nos dell'ultima tromba; suonerà infarti la tromba inmutabimur/ oportet enim corruptibile hoc e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo induere incorruptelam/ et mortale boc induere trasformati, È necessario infatti che questo inmortalitatem. corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità. Alla stessa pagina, fa cco la Prima Lettera ai Tessalonicesi Quoniam ipse Dominus in iussu et in voce Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce archangeli/ et in tuba Dei descendet de caelo/ et dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, 21 mortui qui în Christo sunt resurgent primi/ discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i deinde nos qui vivimus qui relinquimuri simul morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, rapiemur cum illis in nubibus/ obviam Domino saremo rapiti insieme con loro cra le nubi, per in aera/ et sic semper cum Domino erimus. andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore. Il simbolismo legato alla tuba scritturale si dispiega in tutta la sua valenza: essa non è solo il corno d’ariete mediatore fra Dio e l’uomo dell’Esodo (Esodo, XIX, 13), né è soltanto il potente distruttore acustico delle mura di Gerico (Giosuè, VI, 1-21): è anche e soprattutto il segnale apocalittico della resurrezione: «al suo suono i morti risorgeranno»; ovvero, per dirla coni Versus: «Cum resonabit bucina/ Fugabitur mors aspe- ra» (92.12) [‘al suono del corno, la dura morte fuggirà]. il riso colto di una società Ecco, d’un tratto il riso suscitato dai Versus svela tutta la sua «complicità»: enciclopedicamente chiusa, clericale, che condivide l'immaginario di uno stesso Libro e immagina attraver- so le sue polarizzazioni, divertendosi a ricreare, al suo interno, situazioni virtualmente allusive, automatizza- te, comicamente irrigidite. Bergson dice che «il comico è quel lato d’una persona per cui essa rassomiglia ad una cosa, quell’aspetto degli avvenimenti umani che imita (con la sua rigidità d’un genere tutto particolare) il meccanismo puro e semplice, l’automatismo totale, il movimento senza vita. Esso esprime dunque una imperfezione individuale o collettiva che vuole la correzione immediata. Il riso è la correzione. Il riso è un gesto sociale che sottolinca e reprime una distrazione speciale degli uomini e degli avvenimenti». La tuba escatologica, la tuba magna del Figlio dell’uomo veniens in nubibus, la voce apocalittica stessa di Dio (Apocalisse, I, 10), viene estratta da una semplice cesta di legno (80.3), diventa 204 Uribovis, uno strumento impoverito di ogni valore soterico, un artificio a metà fra lo zufolo pastorale e un corno di salice. Il capovolgimento e l'interferenza comica sono evidenti. Ma non basta. Se si considerano gli esiti disastrosi dell'inganno perle vittime del contadino (113.1-114.4), non si potrà che ridere del loro stolto plaudere (85.4) alfelix sonus (88.2) della bucina-ruba di Unibos, sapen- do che quel suono «è profetico: segnala l'approssimarsi della sventura». Insomma, dies irce dies tubce et clangoris(Sofonia, 1, 15-16); non a caso, nell’Apocalisse «Sette angeli salutano con squilli di tromba i terribili flagelli escatologici». L’abbassamento parodico în atto nei Verszs è evidente; ma è soprattutto importante vedere come l’i- magerie comica del poema ruoti sempre sopra una piattaforma esegetica; si manifesti, cioè, come «una sorta di correlato della cultura seria, che è presente in css[a]». Di là dal riso, resta nel testo una logica sacra, inclu- dibile, che garantisce al componimento, non solo cocrenza, ma tenuta sul piano didascalico. Peri Versws de Unibove (così prossimi al clima satirico-ridanciano di certi cammina Burana) il «Grande Codice» può di- ventare un «codice comico» senza perdere tuttavia la sua tensione etica. Siamo davvero di fronte a un com- ponimento, che ha «tutre le caratteristiche di un testo che oggi si definirebbe di avanguardia». Osserviamo in filigrana anche gli altri particolari dell’episodio. Ad esempio, come Unibos imiti, nel ge- sto, la figura paolina: egli infatti, come l’Apostolo, « Horam surgendi preedicat» (81.4), ovvero «predica», «annuncia» la resurrezione (Corinzi, XV, 12-14): Si autem Christus preedicatur quod resurresit a Se si predica che Cristo è risuscitato dai morti mortuis/ quomodo quidam dicunt in vobis come possono dire alcuni tra voi che non esiste guoniam resurrectio mortuorum non est/ si autem la resurrezione dei morti, Se non esiste resurrectio mortuorum non est/ neque Christus resurrezione dei morti neanche Cristo è resurrexit/ si autem Christus non resurrexit/ resuscitato, ma se Cristo non è resuscitato inanis ergo praedicatio nostra/ inanis est et fides allora è vana la nostra predicazione ed è vana la nostra» nostra fede. Importante, poi, è soffermarsi sul rito pseudo-negromantico del contadino. Egli inscena un rituale, che altro non è se non la drammatizzazione buffonesca del rito ieratico di consacrazione dei Leviti (Numeri, VIII, 5- 22 22): lo mostra, oltre al contesto, l’uso continuo di verbi-chiave quali lustro (81.4; 82.1) e mundo (83.4; 84.4), nonché la stessa iunerura «deformis babitu» (832). Mala spassosità complessiva del quadro non si ferma qui. Contemporaneamente, esso allude alle nor- me prescritte nell'Antico Testamento per la purificazione di chi fosse entrato in contatto con un cadavere: sì tenga presente che il cadavere della moglie di Unibos è fittizio e che la sua supposta impurità è del tutto concreta e grottesca, essendo stata rozzamente determinata dal sangue di maiale, che lo stesso contadino le ha versato addosso (70.3-4). Infine, quando — per attuare a sua volta il parodico rito di resurrezione — il sacerdote ucciderà la propria moglie «rendendo grazie a Dio» (101.1-102.4), l’addizione di un ulteriore verbo-chiave, igz/0 (96.3; 98.3: 101.2), rivelerà l'intenzione del poeta di voler sovrapporre alla scena anche il ricordo della rappresaglia di Mosè ai danni dci Madianiti, cruenta pagina biblica, in cui, non a caso, le sole donne maritate (1) saranno sgozzate. E che dire poi del fatto che la moglie di Unibos risorge all'essere chiamata per nome? L’implicita allusio- ne all’episodio della resurrezione di Lazzaro, strappato alla morte proprio mediante il suo stesso nome, è chiara; si consideri, fra l’altro, che Cristo paragona il decesso dell'amico a un semplice sonno, stato assai prossimo a quello nel quale si trova effettivamente la mzlier del contadino. L'effetto comico-parodico risulterà poi aumentato quando verrà nuovamente riprodotto dal sacerdo- te: e non solo perché in tale occasione, spazientitosi di fronte all’inutilità dei propri sforzi, il folle uomo comincerà ad invcire obsceris verbis (103.4) sul corpo inerte della propria donna. Il ridicolo, qui, non sta solo nell’anticlimax degli epiteti ingiuriosi — per di più pronunciati da quello che dovrebbe essere un caritativas presbiter (177,1) - ma è anche e soprattutto nel paradossale sostituirsi di questi stessi epiteti allo ieratico 14- litha cumi (Marco, V, 41) con il quale Cristo richiama in vita la figlia di Giairo (Marco, V, 21-24; 35-42), ovve- ro nelloro trasformare l’evangelico «puella ribi dico surge», nel «surge dolosa simia» (104.2) esclamato dal prete, che — fra l’altro — è fi-gura Christi per vocazione ministeriale. Ugualmente ridicolo, poi (seppur di un umorismo nero), sarà constatare l'imperturbabilità del cadave- re della moglie del sacerdote, avendo invece in mente l'immagine dell’immediato risveglio della fanciulla graziata dal Salvatore, che, «subito si alzò e si mise a camminare». La forte volontà di esagerazione caricatu- rale, così come la comicità strettamente biblica di queste situazioni grottesche è evidente. Un altro nucleo di sapidità comico-parodica nel poema è quello legato alla beltà e alla giovinezza mo- strata dalla moglie di Unibos dopo la sua presunta resurrezione. Si tratta di un particolare, che circoscrive esattamente l'ambito originale di produzione-destinazione del testo: esso infatti presuppone la conoscenza dell’claborazione teologica medievale sul tema dei risorti, per la quale «tutti risorgeranno a trent'anni, l’età che aveva Cristo quando sconfisse la morte, risorgendo dopo la crocifissione» e «tutti coloro che lasciano le loro tombe sono giovani e belli, indipendente-mente dall’età in cui sono morti». Anche qui appare manifesta la logica del rovesciamento attuata nei Verszs: la bellezza trascendente, do- vuta alla purificazione e alla trasfigurazione dei risorti (Corinzi, I, XV, 35-58), nella moglie di Unibos viene ridotta a mera forma fisica, corporale; un’avvenenza erotica, esemplata sul modello veterotestamentario di quella di Giuditta. L’irrisione amplificata dal fatto che, in modo speculare c parallelo, la bellezza della donna ripete sul piano della materialità la bellezza del Cristo trasfigurato (Matteo, XVII, 1-9; Marco, IX, 2-9; Luca, IX, 28- 36). Infarti, come nella Scrittura il volto del Salvatore cambiò d’aspetto (Luca, IX, 29) «er resplenduit ... st- cut so» (Matteo, XVII, 2), così anche il viso della moglie del contadino «apparer speciosor» (84.3): ma per- ché era sporco ed è stato lavato (84.1, 4); come nella Scrittura la bellezza celeste del Messia si manifesta attra- verso le sue vesti, che «divennero splendenti, bianchissime» (Marco, IX, 3), così anche la bellezza della mo- glic di Unibos sì estrinseca in un aspetto rinnovato: ma perché la donna ora appare induta meliuscole (84.2), cioè ‘vestita un tantino meglio”. La detronizzazione del sacro e dello spirituale, che - con un vistoso movi- mento verso il basso — vengono convertiti dall’originale piano metafisico a quello pseudo-carnascialesco del’artificio materiale è netta e palese. 100 Cultellum monstrat presbiter; ridendo dicit mulier: “Quid vultis, care, facere? Nolite dure facere!” 1OI Sacerdos aît letifer: “Te ingulabo dulciter: in iuvenili corpore resurges voce bucine”. 102 Solum Ve!” clamat femina, percussa iacet mortuaz sultus paterfamilias exclamat: “Deo gratias!” 103 Apponit ori bucinam, stifflat per arrgantiam; dum ter iacentem circuit, obscenis verbis arguit: 104 “O simulatrix callida, surge, dolosa simia, petilca sicut asian, leva caput de bucina!” 25 Il sacerdote mostra il coltello; la moglie dice sorridendo: “Che cosa vuoi fare, mio caro? Non facemi del male!” Il sacerdote, apportatore di morte, risponde: “Ti sgozzerò dolcemente: risorgerai in un corpo giovane alsuono del corno”. La donna è in grado di dire soltanto “Ahime!”, colpita giace morta; lo stolto capofamiglia grida: “Grazie a Dio!” Porta il corno alla bocca, soffia con arroganza; quando al terzo giro attorno alla morta le rivolge parole infamanti: “O astuta ipocrita, scimmia ingannatrice, testarda come un asina, alzati, solleva il capo al suono del corno!” Il sacerdote poi procede a compiere lo stesso rito che aveva fatto Unibos. Ritornano sempre le stesse parole, che ci fanno capire come questi uomini si pervertano sempre più. Queste parole del sacerdote, dette contro la moglie non sono solo una riproduzione parodica della situazione evangelica, ma sono anche una forma blasfema. 10$ Auditis hic clamoribus amens suani prepositus festinat interficere sub spe vitalis bucine. 106 Ad orbatum presbiterum venit post bomicidium ut sibi prestet bucinam qua suscitet prepositam. 107 Tandem recepta bucina sacerdotem de femina interrogat, a mortua si surrexit invencula. 10$ Interroganti dicitur: “bee te non videbitur, donec limen ecclesie tua petet cum congiuge”. Sentite queste grida il preposto, fuori si sé, si affretta ad uccidere sua moglie, coltivando la speranza nel corno che risà la vita. Dopo l’omicidio si reca dal sacerdote ormai reso vedovo perché gli presti il corno con cui possa resuscitare la moglie. Ricevuto poi finalmente il corno interroga il sacerdote circa la moglie, se è risorta più giovane. Il sacerdote risponde al preposto: “Non incontrai mia moglie, finché non si recherà alla soglia della chiesa insieme alla tua”. 26 Ora tocca al preposto fare la stessa cosa. Fattosi dare îl corno dal sacerdote gli chiede circa la moglie, se è di- ventata più giovane. TI sacerdote, è un personaggio bieco, perché gli dà una risposta sibillina, ma poi è sem- pre il primo a sperimentate le zovitates di Unibos. Tuttavia, non dice mai agli altri due che si trattano di in- ganni. Lui sa di essere stato ingannato, ma non lo dice. Il preposto pensa alla messa domenicale, il sacerdote invece si riferisce al funerale. 109 Sponsecida prepositus Il preposto uxoricida, privato della sua privatus mentis sensibus ragione, porta a casa propria il corno della ad domum portat propriam seduzione. seductionis bucinam. mo Numquam sacerdot altius Il sacerdote non riuscì a fare risuonare mestis tube mugitibus lululato del lugubre corno così bucinavit, profundius, acutamente come vi riuscì lo solto quam fatuus prepositus. preposto. TI Quantum tube concavitas, Quanto è utile alla cavità del corno tanto tantum prodest ventositas: è utile soffiarci dentro: così come risorse ut revixit presbotera, la maglie del sacerdote così risorse la sic surrexit preposita. moglie del preposito. Il preposto si fa dare così il corno. Il sacerdote non è riuscito ad impegnarsi così tanto nel soffiare il corno, come invece ha fatto il preposto. Di nuovo abbiamo la parodia, perché nessuna delle due mogli è risorta. uz Maior ville non est minor Il borgomastro non è da meno nel reato, in reatu, si tardior, benché lo faccia dopo tutti gli altri, lui he qui sponse vitam dissipat, tronca la vita alla sposa c che suonando il qui buscinat non suscitat. corno non riesce a far risorgere nulla. Infine, tocca al borgomastro, che è sempre il terzo. Anche lui non riesce a far risorgere la moglie. Ma guarda un po"! I} Tres gabule, tres mortue Tre bare, tre salme vengono presentate presentantur ecclesie alla chiesa al sorgere di una triste alba con orto tristi diluculo un luttuoso spettacolo. cum lugubri spectacul m4 Sponsorum sub insania Per colpa della stoltezza degli sposi infossantur cadavera; vengono sepolti i cadaveri; i tre rumulano tres occultantur coniuges le mogli con lamentosi canti funebri. per threnas lamentabiles. Si realizza la prospettiva del prete, che aveva detto «Non incontrai mia moglie, finché non si recherà alla soglia della chiesa insieme alla tua». Procedono quindi le esequie delle mogli. Discendentes a tumulis 27 US Ritornando dalle fosse i tre con profondi in profundis suspiriis sospiri bisbigliano l’un l’altro: tres sussurrant adivincem: “Uccidiamo Unibos, “Occidamus Unibovem, 6 qui gazas nonstras sustilit, che ci portato via le nostre ricchezze, che suis verbis nos tradidit, ci ha tradito con le sue parole quando ci dum dixit invenescere ha detto che era possibile far ringiovanire anus mugitu bucine. le vecchio al muggito del corno. I? Auctor tanti perculi Possa essere fatto a pezzi l'artefice di così a nobis possit conteri: grandi mali: la sua ignobile testa sia eius invadat verticem colpita da una morte amara!” amara mors ignobilem!” n$ Mentis commoti fluctibus Sull’onda delle emozioni, corrono subito ad arma currunt protinus artificem versutie occisuri durissime. a prendere le armi per uccidere con la massima crudeltà l'artefice dell’inganno. Come era successo per la beffa del mercato scatta di nuovo l’ira verso Unibos, che sappiamo però ci ricon- durrà di nuovo alla zovitas. Di nuovo si ripetono con le stesse parole i fatti della beffa del mercato. C'è un progressivo imbestiamento dei personaggi, che attraverso il corno sono arrivati anche a muggire. Decidono così di uccidere Unibos. Ha inizio così la nuova beffa, quella della giumenta. Aleggia la consapevolezza che nel Vangelo c'è scritto che il male si sconfigge con il bene, non con il male. I19 Calliditas Unibovis L’astuzia di Unibos piena di tanti tranelli plena multis ingeniis ebbe la meglio sulla protervia arroganza superavit iactantiam dei tre. trium virorum fervidam. Il callidior cunctis animalibus terrae era il serpente della Genesi, all’interno Paradiso terrestre, quindi la ca/- liditas è una delle qualità del diavolo. 120 Ad suos currit Unibos Unibos un tempo povero si precipita a quondam pauper denarios, massam de nummis accipit, armatos bostes decipit. prendere i suoi denari, prende il mucchio di denaro e abbindola i nemici in armi. Quando il testo parlava dei denari trovati da Unibos aveva usa usato proprio la inerana massam de nummis e qui sta utilizzando la stessa inctzra per farci capire che il denaro che Unibos sta andando a prendere è lo stesso, 121 Eguam trabit de stabulo, (Unibos) tira fuori la cavalla dalla stalla, le caudam levat plus solito, in nature foramine nummos certat immergere. soleva la coda più del solito, si sforza di inserire le monete nell'orifizio naturale. 30 Man mano che si va avanti nel testo il volto demoniaco di Unibos si scopre sempre di più, è definito versipel lis. Le parole si nummorum latibulum/vultis, conferte precium possono risuonare sia dal punto di vista com- merciale sia dal punto di vista spirituale. 137 138 139 140 Il sacerdote è il personaggio più bicco del gruppetto. Tves illis libras quindecim ut persoluunt Unibovi, equam ducunt ligamine, custodientes cupide. Festinus inquit presbiter: “Audite me, sicut decet: imentum volo ducere ad stabulum domus mee. Qui sum primus ecclesia, sim primus in custodia; diluculo recolligam quam donavi pecuniam. Sit prima nox presbiteri, secunda sit prepositi, maioris nox sit tertia sub cquitatis trutina”, Quei tre come versano ad Unibos le quindici libbre, portano via la cavalla legata per la cavezza, custodendola con cupidigia. Immediatamente il sacerdote si affretta a dire: “Ascoltatemi, come è giusto che sia: intendo portare la cavalla nella mia stalla (alla stalla di casa mia). To che sono primo nella chiesa, devo essere il rimo nella custodia; domattina all’alba raccoglicrò il denaro che ho investito. La prima notte sia del prete, la seconda sia del preposto, la terza sia del borgomastro secondo la bilancia dell'equità. amo giocando sull’ambivalenza. Il sarerdosè pastore, è il custode delle pecore e deve essere il primo nella custodia, ma non nell’ottenere il denaro. C'è una paro- dizzazione della funzione pastorale del presbiter. La strofa 140 sembrerebbe a rimandare allo is primae noe- tis, che segue la gerarchia sociale degli orazores, bellatores e laboratores. Ius primae noctis perché all’inizio di questo testo il nostro sacerdote aveva detto alla strofa 43 «Se mia moglie che ho sposato nobile si rramurasse in bue, di fronte alla buona speranza di un così grande guadagno la scorticherei immediatamente». Ci sono echi e ambiguirà nel testo, che sono parodiche. I4l “Fiat”, dicit prepositus; “Sit”, dicit maior tertins, “Her est nostra concordia sub miti patientia”. “Si faccia così”, dice il proposto; “Va bene”, dice il borgomastro, “questa nostra concordia è basata su una mite pazienza”. C'è una presa i giro parodica della legge dell’amicizia cristiana. C'è un sodalizio per il guadagno, non spiri- tuale. 142 Eguam procurat presbiter dans bordeuwm celeriter; per nocturnas vigilias eque prebet auriculas. Il sacerdote si prende cura della cavalla, dandole immediatamente dell’orzo; durante le veglie notturne tende l'orecchio alla cavalla. Aveva detto che «domani raccoglicrò ciò che ho donato», adesso sta donando dell’orzo: quindi riceverà orzo. Altra cosa blasfema è che il prete che dovrebbe vegliare di notte pregando, in realtà veglia per sentire se può arricchirsi. 31 143 Facto tamen diluculo Fattosi mattina, il sacerdote tira fuori sacerdos a presepio dalla stalla la bestia in comune proprietà, communem trabit bestiam, perché depositi il denaro. ut deponat pecuniam. Abbiamo poi due bellissime quartine (144 e 145) che sono meravigliose perché ci danno la prospettiva gohé- letica del mondo, una circolarità dove non esiste rovitas, e la prospettiva meravigliosa del sacerdote, che am- maliato dalla propria cupidigia cede alla lusinghe di Unibos, credendo che ci possa essere la novitas. 144 Ila putans ad aratrum Pensando di essere condotta all’aratro che deduci sibi cognitum lei conosce, come suole fare lascia cadere sub cauda laxat squibulas, dei fetidi escrementi da sotto la coda. sicut solet, fedissimas. 145 Dum stercoris quassatio Come viene udito dal sacerdote il rumore auditur a presbitero, dello sterco, (egli) crede che i denari nummos putat procedere stiano uscendo dall’orifizio dalla povera ex salvo brute bestie. bestia. 146 Clamat sacerdos: “Pueri, Il sacerdote grida: “Allontanatevi servi c abscendite, domestici! ragazzi! Raccoglierò solo io il mio denaro » Solus meam recolligam che ho donato (investito) quam donavi pecuniam”. Siamo di fronte ad un personaggio che è ecclesiastico e che ha nel modo di esprimersi una certa ritualità. Lo stesso sacerdote aveva detto alla strofa 139 diluculo recollicam/guam donavi pecuniam, e adesso ripete Solus meam recollicam/quam donavi pecuniam. Con questa chiusura guam donavi pecuniam sa quasi di liturgico (una cantilena liturgica). 147 Cum sacerdos scrutinium Il sacerdote come si mette all'opera per per fimum facit fetidum, esaminare il liquame puzzolente, trova un unum minutum repperit, centesimo, che ratto afferra. quod festinanter accipit. Siamo di fronte ad una scena piuttosto parodica. Festinanter ci fa capire l'avidità del sacerdote. La cosa inte- ressante è che il sacerdote compie uno scrutinio, ma non è quello di frugare nello sterco per cercare i soldi, ma lo scrutinio de sacerdote è quello che fa nel momento del battesimo, quando chiede al candidato, e ai genitori (nel caso il bambino sia piccolo), se vogliono abbandonare Satana e se credono în Dio. C'è quindi un abbassamento parodico dello scrutinio del sacerdote. La parola ‘scrutinio’ è collegata al sacerdote e non è collegato al maior villae 0 al preposto: c'è una evidente volontà di parodiare la pratica liturgica dello seru- rinio battesimale. 148 Iumentum, cum sex mensium La giumenta, quando era piccola di sei olim fuisset parvulum, mesi, ricevette una ferita a causa di un vulnus suseepit stipite colpo di sferza sul tenero orlo dell’ano. ani tenelli limine. 32 149 Ibi minutum substitit, Proprio lì, in quella cicatrice, era insinvata in cicatrice latuit, quella monetina, quando la cavalla aveva equa cum nummos reddidit restituito i soldi che Unibos le aveva quos Unibos subintndit. infilato. 150 Ila scrobs alti vulneris Il solco profondo della ferita giovò a colui invenienti profuit, che la trovò, mentre chinato frugava tra le dum commovit pecuniam monete d'orzo. inclinus hordaceam. A questo punto il sacerdote ha trovato una monetina e il nostro poeta fa una piccola digressione perché vuole togliere dalla testa del lettore che la cavalla veramente defecasse soldi. Abbiamo la spiegazione razio- nale, ovvero la strofa 149. Abbiamo la realizzazione della profezia del sacerdote, quella della strofa 139. Cosa ha donato il sacerdote? Solo orzo (strofa 142). ISÌ Est vulgare proverbium: C'è un proverbio popolare (che dice): “Quod non prosit, non est malum.” “Ciò che è inutile non fa danno”. Il Ani lesi molestia fastidio della ferita all’ano fa la gioia del presbitero dat gaudia. sacerdote. Arriviamo alla satira. Si tratta di una “battutaccia” sull’omosessualità del sacerdote. Siamo nell’XI secolo, e in questo periodo Pier Damiani scrive il Liber Gomorrbianus, un testo contro l'omosessualità dilagante nella Chiesa. 1s2 Prepositus per studium Il preposto desideroso si dirige alla casa sacerdotis petit domum del sacerdote, sforzandosi di richiedere ructatricem pecunie per la mattina l’emettitrice di denaro. certans mane requirere. 153 “Inmentum presta, presbiter! “Dammi la giumenta, sacerdote! Dopo Ex una nocte locuples ‘una notte rimarrai ricco per sempre a manchis omni tempore causa della grande quantità di monete”, nummorum multitudine.” Anche qui abbiamo tutta una serie di riferimenti precedenti. Il preposto va alla casa del sacerdote, come a- stato facto si rifa- veva già fatto precedentemente per il corso magico, quindi «ciò che è stato sarà c ciò che rà». Ructatricem pecunie è nella mente del preposto. Rende a livello testuale la psicologia c l'immaginazione cupida dei personaggi. Così il preposto urla alla finestra del sacerdote e sta ripetendo quello che aveva già detto alla strofa 39: «Se voi provate a diventare ricchi in un solo giorno, non è più cosa da noi arare i campi sotto la pioggia». In questo caso si diventa ricchi in una sola notte. Questa idea del diventare ricchi subito è qualcosa che invade la mente di questo personaggio. Nelle strofe successive di nuovo «ciò che è stato sarà e ciò che è stato farro si rifarà». 154 - Dedam equam, preposite,” “Ti darò la cavalla, giudice”, dice il dicit sacerdos tepide, sacerdote con scarso entusiasmo, “Mi “Intempestive reddere costringi a darti la cavalla prima del equam me cogis hodie. tempo. 35 Unibos parla sempre da diavolo, parla sempre in modo blasfemo. Questo qui queritur, alla strofa 162, è alla stessa posizione metrica della 163, quem queritis, che è la domanda che l’angelo, messo a guardia del Sepol- cro, fa alla pie donne che erano giunte per ungere il corpo di Cristo e trovano il Sepalero aperto senza più il corpo di Cristo. L’angelo rivolgendosi alle pie donne dice loro: “Quem queritis”, “chi cercate??. E loro rispon- dono: “Gesù il Salvatore”. L'angelo risponde: “Non è qui, è risorto. Andate e dire che è risorto”. Questo è un exceptum dal Vangelo. Nel medioevo a partire dal IX secolo questa scenetta diventa il nucleo fondativo del dramma liturgico, viene rappresentata nelle chiese durante la messa di Pasqua. Quindi è un po” strano che sì ripeta due volte questa iuneziara. Se questo è vero, qui queritur sub stipulis sembra un allusione bla- sfema per dire che “il corpo di Cristo non è vero che non c'è, è nascosto sotto la paglia, non è risorto”. Ogni tanto l’autore ci complica la vita, come la strofa 165. C'è di nuovo la tentazione del diavolo di voler scendere a patti. Di voler riconciliarsi con l’uomo, ben sapendo che l’uomo non può riconciliarsi con il diavolo senza peccare, quindi vuole indurre questi uomini a peccare. La strofa 166 ci fa capire l’eternità di Unibos e che il verbo perdo, in tutto i poemetto, significa non solo perdere i buoi, ma morire. E il tipo di punizione che sta per descrivere Unibos (strofe 16758), è quel tipo di punizione che vi è scritta nella Bibbia per il diavolo, che nell’Apocalisse verrà legato e gettato nell’abisso, e- sartamente come Unibos vuole in questo testo. 170 - “Fiat tibi”, tres ingiuni, “hoc mentes nostrae cupunt ut tali morte percas, “Così sia” dicono i tre, “questo è ciò che desiderano le nostre menti, che tu muoia di una simile morte che tu escano da noi a nobis ut sic excas. in questo modo”. I71 Nectunt loris Unibovem Legano con delle corde Unibos, che in terra destestabilem, Pessere che più detestano sulla faccia della qui, postquam tonna caluditur, terra che, dopo che il barile viene chiuso, in ripa maris sistitur. viene sistemato sulla scogliera. 172 Clausus sic fatur Unibos Chiuso, parola così Unibos seducendo magis seducens tres viros: ancora di più i tre uomini: “Ve lo “Confiteor hic bodie, confesso oggi, io sono qui rinchiuso assai reclusus sum iustissime. giustamente. 173 In agone iudicii Sono di fronte al giudizio finale; a causa sum constitutus ultimi; dell'ultimo giorno placare il vostro odio! propier diem novissimum deponite nunc odium! 174 Miser manus erigere Povero me, in questo carcere non riesco in hoc non possum carcere; neppure ad alzare una mano, ahimè, a heu, lumbos vexant brachia causa di queste maledette code le braccia per maledicia vinicula! sono strette dietro la schiena. 175 Pietatis viatico, Attraverso lo spiraglio della botte, come apothecae spiraculo, mendacium non profero, caritatem pronuntio. viatico d’amore, non mento ma vi do una manifestazione di carità. 36 176 Bisseni sunt denarii In fondo al mio borsellino, ci sono dodici in fundo mei loculi, soldi, beveteli, 0 piisimi, in onore del quod bibite, piisimi, sommo Dio!” ad honorem summi Dei!” Unibos alla strofa 172, anche se chiuso, riesce a sedurre maggiormente î tre, procede parodicamente (il Con- fiteorè una preghiera) a sedurli. L'ultima strofa è una forma di tentazione. Sappiamo che la Bibbia condan- na l’ubriachezza e quindi ‘bere a maggior gloria di Dio” è una bestemmia. 177 Caritativus presbiter fatetur temporaliter: “Donec bibamus dulciter, in tonna dormi dulciter!” Il santo sacerdote parla secondo la prospettiva del mondo: “Mentre noi beviamo dolcemente, (tu) dormi soavemente nel barile!” 178 Tres festinant ad pocula bibituri precamina, sedent, loquuntur nimium, bibunt vinum clarissimum. 1 tre si affrettano ai bicchicri pronti a bersi le sue preghiere, si siedono, parlano troppo, bevono un vino di **primissima/pessima** qualità. L'autore qui vuole farci vedere il sacerdote è caritatevole, ma si è più volte visto che è il più desideroso di tutti e tre, è quindi tutto tranne che caritatevole. È caritatevole in quanto sacerdote, perché il sacerdote do- vrebbe essere l'applicazione della caritas Christi. Quindi i tre vanno a bere, e si “bevono lc parole di Uni- bos”. Monasticamente il monaco è tenuto alla regola del silenzio, c la parola del monaco è contingentata, lo straparlare è considerato come qualcosa di negativo. Il verso dibunt vinum clarissimum è dubbio: perché vuol dire sia “bevono un vino di prima qualità”, sia ‘bevono un vino trasparente’. C'è un gioco di parole vo- luto tra il vino preziosissimo e un vino trasparente, di pessima qualità (che si addice più a loro, in quanto stupidi...) 179 It cum porcinis gregibus Passa di Îì un porcaio con un branco di sonoris grumnientium maiali che grugniscono rumorosamente, subulcus, transit perviuis passa per vie praticabili con la faretra alle in pharetratis renibus. reni, 180 Dum porcos audit Unibos Come Unibos sente i maiali sfregare le tonne fricre circulos, doghe del barile, grida: “Ahimè, i miei exclamat: “Adversarii, avversari non sono ancora ubriachi!” ab, non sunt adbue cbrii!” 181 Horret subulcus de sono Il porcaio trasalisce al suono sconosciuto Unibovis incognito; di Unibos: tocca il barile di rovere con il vas qeurnum tangit baculo bastone dicendo al povero recluso: dicens incluso misero: 182 “Pro quo clausus es crimine “Per quale reato sei stato rinchiuso nel in apotheca, perdite?” Prompte respondet Unibos: “Honores nolo maximos. barile, o perduto?” Immediatamente risponde Unibos: “Non voglio i massimi onori. 183 184 186 187 Huius coloni patriae me compelluni coridie me volentes efficere prepositum potentie. Ego numquan prepositus ero meri etatibus, nam sufficit quod babeo, honeres regni renuo.” Subulcus inquit cupidus: “Me decet honor maximus; ego pro te prepositus efficiar ditissimus. Compulsus sum fataliter apothecam tuam, miser, hoc fuste meo tangere; certa me tonna ponere!” Subulcus pellit circulos: miltum letetur Unibos; aperitur vas ligneum: fit fortune commercium. 37 Gli abitanti di questo villaggio mi assediano tuti i giorni perché mi vogliono far diventare preposto al potere. To non sono mai preposto in vita mia, infatti mi basta ciò che ho, rifiuto gli onori del governo. Il porcaio dice cupido: “Spetta a me il massimo degli onori; io al posto tuo sarò fatto ricchissimo preposto. Sono stato spinto dal destino, 0 poveretto, a scontare con questo mio bastone la tua bocre; sforzati di mettere me nel barile!” Il porcaio svelle le doghe di ferro e Unibos se ne rallegra molto; il contenitore di legno viene aperto: si realizza lo scambio dei destini. Qui l’autore introduce un nuovo personaggio, il porcaio, il 204/615, che nel momento in cui sente Unibos, è curioso di sapere del perché si trova Îì dentro (strofe 181-182). Anche qui ritorna la czriositas, che provoca il diavolo. Il porcaio chiama Unibos, ‘perduto’ e immediatamente Unibos risponde facendo di nuovo un discorso parodico del sacro e racconta di nuovo una menzogna (strofa 183-184.) Prepositum potentie non esi- ste come carica, se la inventa Unibos facendo credere al porcaio che con quella carica si possa guadagnare molto. Il porcaio quindi crede ad Unibos, c vede subito il guadagno ( le!) c non vede l’ora di arricchirsi (strofe 185-186). 188 89 190 Licitur, dissolvitur, festinanter dimittitur, duris fit liber vinculis, qui iacuit sub circulis. Subulcus intrat concavum vas aptans corpus proprium, quasi sentiret lectulum de floribus compositum. Trux vas opturat Unibos, strictim reponit circulos, per locos transit invios ducens prorcos pinguissimos. #an è sempre uno scambio commercia Viene tirato fuori, slegato, viene subito congedato in fretra, viene liberato dai lacci crudeli colui che languì sotto le doghe. Il porcaio entra nel recipiente concavo, adattando al recipiente îl suo corpo, come se si adagiasse su un letto di fiori. Il cinico Unibos chiude il vaso, ricolloca e stringe le doghe, se ne va per strade impraticabili, conducendo dei porci grassissimi. 40 205 206 207 208 209 zio 201 212 213 2I4 Respondet sub prodigio: “Mari precipitatio; ad regnum felicissimum ivi per precipitium. Inde numquam recederem, si non amassem coniugem, quam vidistis resurgere veracis tube murmure. Non fuit culpa bucine, sed bucinantis pessime, omnes si vestre femine modo stertuni sub pulvere. Heu, cur in pueritia me non iactastis ad loca, unde felix regredior, revertor eruditior? Me iactastis per odium ad propitiatorium, ubi porcortm sunt greges per nullmum nuberabiles.” Sub ammirationibus primus dicit prepositus: “Nos pernaruim spes optima monet temptare maria. Me quisquis erit stultior, parebit*, dicit stultior; petunt fleutus equoreos, post quo incedit Unobos. Motus marini personant: grunnire porcos estimant, requirunt ad Unibove qua sint porcine semite. Sed Unibos perculum dicens designat pessimum: “Ubi litus est altius, ubi mare profundius: illuc festini currite, sine metu vos mergite! Maiores porci sunt in aguis, quam sint in terris aridis.” Risponde ammaliandoli: “La caduta in mare: precipitando sono giunto nel regno della felicità. Da dove non sarei mai ritornato se non amassi mia moglie, che avere visto risorgere al suono del corno verace. Non è stata colpa del corno, ma dei pessimi suonatori, se tutte le vostre donne giacciono sotto la polvere. Ahimè, perché non mi avete gettato in quei luoghi in fondo al mare quando ero ancora bambino, luoghi da dove torno felice e più sapiente? Mi avete gettato per odio in paradiso, dove ci sono molti branchi di maiali in numero incalcolabile”, Il preposto, stregato, dice per primo: “Ci spinge a tentare il mare un ottima speranza di prosciutti. Chiunque sarà più stolto di me mi imiterà” dice stoltamente; si dirigono verso i frutti del mare e dietro di loro cammina Unibos. Sentono i moto del mare e sono convinti di sentire grugnire i maiali, e domandano ad Unibos dove siano i sentieri dei maiali. Ma Unibos indica loro il peggior pericolo dicendo: “Là dove la costa del mare è più alta, dove il mare è più profondo: proprio là accorrete, affrettatevi, buttatevi senza paura! Ci sono maiali più grandi nell’acqua di quanto ce ne siano sulla terra arida”, 4I 215 Unibovis consiliis I tre si precipitano come da consiglio di tres dant se precipitiis Unibos, în preda a pazzia mortale, e sub capitali frenesi stoltamente morti a causa del volo. per saltum stulte mortui. 216 Inimici consilia Non bisogna credere ai consigli del non sunt credenda sbudola: nemico: questa favola lo mostra per ostendit suta fabula l'eternità. per seculorum secula. Unibos quindi risponde allo stesso modo: ammaliando, parodizzando il sacro e invertendo il sacro. Prima inversione il fatto che lui è precipitato nel regno della felicità, che sarebbe il Paradiso, a cui però si giunge salendo. Altra blasfemia: se uno arriva in Paradiso l’amore del coniuge cessa, c’è solo l’amore in Dio e l’amo- re umano non può essere superiore a quello di Dio. In più, Unibos sta mentendo, la moglie non è mai mor- ta. Vuole però sottolineare che la mancata resurrezione delle tre donne non è nel fatto che il corno era fasul- lo, ma era l'incapacità di chi lo suonava. Unibos lo sta seducendo sempre di più. Revertor eruditior: ritorna dal Paradiso perché ha visto Dio, è più sapiente (ma ricordiamo che è il diavolo). Il riferimento evangelico della strofa 209 è Matteo, 8.28: 28] Giunto all’altra riva, nel paese dei Gadaréni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incon- tro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. [29] Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?». [30] A qualche distanza da loro c'era una numerosa mandria di porci a pascolare; [31] e i demoni presero a scongiu- rarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria». [32] Egli disse loro: « Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel ma- re e perì nei flutti. [33]! mandriani allora fuggirono ed entrati în città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati. [34] Tutta la città allora usci incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio. Ormai i tre uomini straparlano c procedono come i maiali di Unibos (sono diventati i maiali di Unibos) verso il punto più altro; dove c’è il precipizio. I tre, presi dalla pazzia c dal desiderio, si buttano c stoltamente muoiono. Unibos perde così anche il suo gregge (i tre compari), ma si è guadagnato le loro anime. Il poema termina la strofa 216, che è dossologica. Ci permette di leggere allo stesso tempo il poema, è la chiave finale per leggere il poemetto.
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