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la bella e la bestia, Prove d'esame di Sociologia

Sociologia dei codici culturali

Tipologia: Prove d'esame

2017/2018
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Caricato il 07/12/2018

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Scarica la bella e la bestia e più Prove d'esame in PDF di Sociologia solo su Docsity! PROLOGO Il Tipo Umano I testi che vengono presentati costituiscono quattro variazioni anomale sul tema della Bella e la Bestia. Risulta il fatto che questa contrapposizione tra una bellezza positiva e una bestialità negativa si sia conservata fino ad oggi. Nella classificazione Aarne-Thompson il topos di questa fiaba corrisponde al “tipo 425” nella variante del sottotipo A (la ricerca del marito perduto – la protagonista si sposa con un marito dalle sembianze mostruose). Il primo antecedente storico di questa struttura è data da Amore e Psiche di Apuleio. Il canone moderno è stato fissato tra la fine del 17° secolo e la metà del 18° da tre narratrici francesi: • Contes des Fèes di Madame d’Aulnoy suddiviso in 4 libri pieni di metamorfosi animalesche di mariti La Jenue Americane et les contes marins di Madame de Villaneuve che costituisce il prototipo della fiaba moderna • Nel Le Magasin des enfants, Madame de Beaumont, si ripropone la fiaba ma riadattata per una lettura giovanile. Nonostante vi sia una successione e rilettura pressoché invariata della fiaba, comunque vi è la presenza di elementi che tendono a modificarsi soprattutto per quanto riguarda i personaggi. Più volte mutano anche i frammenti finali che non sono necessariamente lieti. Spesso viene ribadita la bellezza indissolubilmente morale e fisica della Bella ma le altre informazioni sono modeste; ciò vale anche per la Bestia delle origini che è una figura indefinita. • Madame D’Aulnoy ha fatto molto uso della fantasia per descrivere la Bestia; • de Villaneuve la descrive come un mostro con una proboscide e pieno di squame; • de Beaumon dice che il suo aspetto era così orrido da far quasi svenire il padre della bella. La bestia è spesso goffa e incapace di confrontarsi con la Bella; nella versione di Madame de Villaneuve ella sospira perché la Bestia non proferisce parola se non qualcuna che ripete continuamente. Presto gli Illustratori inizieranno a fissare un’immagine di questa Bestia che possa rappresentare l’orrido e il repellente. La Bestia si rifà dunque al mondo animale e in più occasioni ritorna l’iconografia cristiana demoniaca con zoccoli, peli, code e strane protuberanze. Spesso e volentieri assume le fattezze dell’orso che è la belva forestiera, selvaggia e nonché la più antropomorfa con la sua capacità di camminare su due zampe; ma nel momento in cui l’orso verrà addomesticato, tanto da farlo danzare nelle piazze dei paesi, la Bestia a sua volta muterà con maschere diverse perché ella muta a ritmo delle paure. Così cambiano i tratti e i caratteri delle belle e delle bestie, ma i protagonisti restano sempre loro; ciò significa che la favola recepisce e produce un ideale normativo di bellezza e di bestialità. In questa accezione la favola rappresenta quindi un luogo in cui la società opera sui corpi individuali e collettivi contemporaneamente, in cui plasma l’uomo compiuto, atteso e desiderabile, e distinguendolo dal semi-uomo o non-uomo (la bestia). Il carattere pedagogico della favola ha un particolare ruolo nella formazione dell’uomo, in cui la morale della favola rappresenta proprio quello che è il confine tra bello e brutto, buono e cattivo. Essa disegna i contorni del giusto e dell’ingiusto. Il fantastico della fiaba rappresenta qualcosa di molto concreto: rappresenta la trasposizione fantastica di crisi sociali che sono effettivamente reali. La bella è la bestia è in primo luogo un racconto di paura: il momento critico in cui una donna sta per sposarsi con un uomo, in cui si fa un grande passo per l’ignoto, di come ella esca dalla cerchia familiare per unirsi con uno sconosciuto; o anche una favola della dipendenza, in cui la donna passa dalla dipendenza paterna a quella di un altro uomo, probabilmente violento. Può essere una favola del commercio di umani, in cui vi è la contrattazione come elemento principale, chi è contrattato e chi può contrattare, chi può ereditare e chi non possiede etc. dove in questa accezione la bellezza diventa un oggetto commerciale, un capitale da investire. La narrazione di de Villaneuve ci descrive proprio la problematica sociale attraverso tale messaggio: “Quante ragazze sono costrette a sposare Bestie ricche, ma assai più bestie della Bestia, la quale è tale solo per l’aspetto esteriore e non per i sentimenti e per le azioni?” L’anti-tipo La Bella e la Bestia è ancora però una favola d’ancien regime. Alla favola antica infatti si affiancano una grande serie di nuove narrazioni che mireranno sempre più ad una categorizzazione e tipizzazione dell’umano, che è tipica dell’ottocento (la quale poi nel Novecento diventerà una standardizzazione). Si cercherà di far emergere il tipo umano legittimo, sullo sfondo del suo contro-tipo composto da infinite varianti patologico-criminali. Vi è la ricerca di un uomo medio, un uomo nella norma e verranno prodotte sterminate iconografie e bibliografie che tratteranno della normalità e della devianza, e quindi della bella e della bestia. Quetelet con la sua statistica morale sull’uomo medio, Lambroso con i suoi studi sui tipi criminali. Questa figura dell’uomo medio però era stata cercata anche tempo prima, parliamo del settecento con Bernard Mandeville, il quale era sia medico che traduttore di favole di La Fontaine. Egli pubblicò una Favola delle api, in cui trattò del paradosso sociale Private Vices, Pubblick Benefits. La favola contiene sia un’indicazione economico-politica per un principio di organizzazione sociale e sia un’indicazione socio- politica del tipo di individuo compatibile con quella concezione della società, con un individuo tanto virtuoso quanto metodico nel perseguire i propri vizi privati. Il tipo dominante dell’epoca moderna dunque sarebbe un individuo gioiosamente proprietario, promotore di socievolezza e libertinaggio. La favola delle api dunque rinnova il rapporto tra organizzazione sociale e organizzazione morale dell’individuo, in cui vi è presente sempre un tipo ideale (che compone ogni società), regolatore e formativo. L’individuo in ogni relazione sociale deve essere esaminato in riferimento al tipo umano a cui esso stesso da le possibilità di essere ritenuto predominante (o migliore). PARTE I IL PROPRIO MEDIOCRAZIA I DISEGNO PREPARATORIO PER UN’INCHIESTA SUI FUNERALI DI STATO Corpo di Stato Solo vent’anni dopo la sua morte, il corpo di Napoleone verrà restituito dall’Inghilterra alla Francia. L’evento venne chiamato “ritorno delle ceneri” e per l’esecuzione di quest’ultimo vi fu anche un credito speciale di un milione da parte dell’Inghilterra. I resti di Napoleone arriveranno sino all’imbocco della Senna, poi un altro bastimento lo trasferirà sino a Parigi, lì saranno deposti alla piazza degli Invalidi e avverrà una cerimonia solenne e religiosa, che inaugurerà la tomba che dovrà custodire le sue spoglie per sempre. I resoconti e le iconografie dimostrano come questo programma sia stato sostanzialmente seguito, ma da tutti gli scritti si distingue la nota redatta da Victor Hugo (drammaturgo famoso). Il 15 dicembre Hugo presenzia all’arrivo del corteo funebre, e nel marzo e maggio successivi, tornerà sui luoghi della cerimonia, ripercorrendo il piazzale degli Invalidi e la cappella di San Girolamo dove era stata deposta la salma. Nella nota traspare sin dall’inizio una descrizione della desertificazione della zona parigina in cui egli si trovava; è descritto il freddo, il sole e qualche fiocco di neve portato dal vento. Il cannone del palazzo che suona ogni quarto d’ora, batte il tempo di una cerimonia e si odono detonazioni lontane a mezzogiorno. A mezzogiorno e mezzo appare una doppia fila di granatieri a cavallo con paramenti gialli. D’improvviso il cannone spara in tre punti diversi nell’orizzonte e dei tamburi lontani suonano a raccolta. Appare il carro dell’imperatore. La descrizione di Victor Hugo è diversa dagli altri per la grande densità di informazione e per la tensione attribuitagli la quale rispecchia il punto di vista delle aspettative ad esempio pare che si sia creata l’idea di dover raggiungere lo status di classico, già da quando si è in vita. Infine, in base alla previsione dell’articolo 3 “possono essere assunte a carico dello stato le spese per i funerali di cittadini italiani o stranieri o di apolidi, caduti nell’adempimento del dovere o comunque deceduti di conseguenza ad azioni terroristiche o di criminalità organizzata”; ciò significa che ne hanno diritto coloro che sono caduti per la patria e che si siano particolarmente distinti, sulla base di un sacrificio. E’ qui che è intuibile la definizione di eroismo, che giustificherebbe la distinzione attraverso i funerali di Stato; è necessario un di più del normale esercizio delle virtù civiche. Ma la parte più estensiva effettivamente è la seconda dove si fa riferimento ai deceduti a causa di azioni terroristiche o di criminalità organizzata. E’ il riconoscimento legale della figura di una sorta di eroe passivo. Le vittime in questo caso infatti non hanno fatto qualcosa di straordinario per lo stato, ma è lo stato che si ritrova in una situazione straordinaria. Ora però se si tracciasse un percorso che segue le esequie di stato, si deve far caso alla presenza di un’altra tipologia di funerali: quelli dedicati alle vittime di catastrofi naturali e incidentali. Sono stati infatti celebrati i funerali per: le vittime di Casalecchio di Reno, le vittime dell’Abruzzo del 2009, l’incidente ferroviario di Viareggio e l’alluvione di Messina dello stesso anno. Ovviamente la vittima rappresenta già un’articolazione ma è difficile rintracciare quale sia il criterio di selezione delle vittime. Non possono essere il numero di soggetti coinvolti, la tipologia di disastro, lo statuto soggettivo, su quale scala di dolore è misurabile; però sembra siano tutti questi insieme. Il fatto è che non si richiede qualcosa per lo Stato, ma è quest’ultimo che non ha fatto il possibile. Però si noti come molte morti sul lavoro non siano state celebrate con dei funerali di stato; dunque c’è sempre una prassi che produce un piano di estensione vittimaria, attivabile al raggiungimento di una assoluta discrezionalità tra quantità e qualità. Quando a Lampedusa affondò nell’ottobre 2013 un barcone, dando la morte a 366 persone (o più), il presidente del Consiglio, ministro degli interni e presidente della Commissione europea, si recano sull’isola a rendere omaggio e le parole del Presidente del Consiglio specificano chiaramente che è stato dichiarato il lutto nazionale e che vi sarà un funerale di Stato per le vittime di questo incidente, e specifica che il motivo è per la grandezza dell’evento e riconoscendo una colpa pubblica. Nei giorni a venire però i corpi vengono disseminati e tumulati senza pompa in cimiteri dell’agrigentino e del ragusano e i proclamati funerali di stato diventano esequie solenni. Il declassamento della cerimonia deriva dalla ridefinizione del peso attribuito al principio di prevenzione rispetto al senso di colpa e al numero delle vittime. L’unità d’Italia Allora torniamo indietro, come mai se per l’esequie solenni bisogna raggiungere un tale tipo di eroismo, di vittimismo, il presentatore televisivo Mike Bongiorno ha avuto tale merito? E come mai con un tale appoggio da parte dei cittadini? La verità è che Mike Bongiorno incarna in se la figura della persona normale, del tipico cittadino italiano medio e dell’uomo qualunque (che comunque ancora non si è inquadrato che comportamenti questo debba assumere); Per “l’immeritata” sepoltura infatti è stato pensato di ampliare l’argomento giustificando il tutto anche attraverso l’internamento del conduttore nei campi di concentramento italiani, ma ciò vale tanto quanto, anche perché per Primo Levi non sono mai state indette le esequie solenni. E’ qui che bisognerebbe indagare sull’argomento, sulle motivazioni per cui alcuni hanno il diritto e altri no. PARTE II SPA. IL CAPITALE ESTETICO “Il corpo parla di te. Anche se non vuoi” è il titolo di un articolo che annuncia la scoperta scientifica secondo la quale per capire cosa sta provando una persona bisogna guardare esteriormente il suo atteggiamento. Un conoscere profondamente se stessi per arrivare a capire cosa si ha dentro, dai movimenti che si hanno fuori. La cura estetica è comunque diventato un qualcosa di comune, dato dal rapporto di benessere esteriore/interiore e viceversa. I dati di fatturato delle palestre, l’aumento dei centri benessere, la vendita di cosmetici esponenziale etc. mostrano come l’attenzione per l’aspetto estetico sia via via diventato un fenomeno comune nella vita della persona media. Da sempre infatti, si è visto come si sia socialmente evoluta la concezione di bellezza estetica, sulla base proprio dei canoni dei diversi periodi storici. Oggi però questa assume una centralità inedita, anche nel campo lavorativo. Questo potrebbe essere spiegato guardando le modificazioni che hanno interessato la bellezza fisica nel corso della storia. In primo luogo c’è l’estensione delle parti del corpo che concorrono alla bellezza: dal colorito della pelle, ai fianchi, poi alle gambe etc. fino ad arrivare alla considerazione dell’immagine di un corpo dinamico, energico, autonomo. Questo nuovo paradigma della bellezza riflette anche sul lavoro. Una ricca letteratura ha dimostrato che avere un bell’aspetto estetico, è una delle chiavi per accedere ai livelli retributivi più alti; ma il motivo per cui alcune aziende scelgono il proprio personale in base alla bellezza estetica, e non solo alla professionalità sta non tanto in una maggiore produttività dei belli, ma in una vera e propria pratica discriminatoria a danno dei brutti. Le persone brutte guadagnano di meno delle bellezze medie, che a loro volto guadagnano di meno dei belli. Avere un aspetto non avveniente è come entrare in matrimonio senza carte da giocare, senza una dote. E’ stato dimostrato anche che i curricula di donne e uomini attraenti hanno più possibilità di poter essere presi in considerazione in un eventuale assunzione lavorativa. La bellezza è quindi un valore, un capitale da poter investire. L’investimento di questo capitale estetico consentirebbe infatti la possibilità di poter raggiungere la posizioni di classi predominanti. Secondo la teoria di Bordieu è possibile tracciare le posizioni assunte da alcuni individui che si relazionano in più campi sociali e che dispongono di capitale estetico. I campi sociali sono lo spazio in cui gli individui si dispongono in base al capitale posseduto e i capitali rappresentano ciò la risorsa di ciascun individuo che viene sfruttata per affermarsi nel campo. Avere quote sul capitale, significa avere potere sul campo, e quindi il controllo delle regole di quest’ultimo. Il capitale e quindi il potere, è un qualcosa che tutti vorrebbero avere e che è distribuita a pochi ed in modo non uniforme. Tutti i tipi di capitale posseggono delle proprietà: possono essere trasferiti secondo logiche di conflitto e rapporti di forza, non secondo una relazione di domanda-offerta. Le relazioni nel campo dei capitali dunque sono le seguenti: sono dominanti su coloro che non possiedono capitale, ma comunque si trovano male nell’appropriazione del potere; sono dominanti rispetto a coloro che non fanno proprio parte del loro campo, e peggio ancora se sono a corto di capitale estetico sono penalizzati o in casi gravi, completamente esclusi dalla lotta mentre sono dominati rispetto a coloro che fanno parte di più campi (ad esempio quello economico) e che posseggono più capital, poiché hanno più potere e risorse. La concezione di bellezza diventa così un indicatore per le strategie da seguire dall’individui per mantenere o raggiungere posizioni rilevanti. Ci sono due forme di capitale estetico: il capitale incorporato (attitudine, conoscenze, qualità interiori, abilità di riconoscere il bello dominante etc.) e il capitale oggettivo (il corredo di modifiche da apportare al proprio corpo per raggiungere il modello predominante, abbigliamento, accessori, trucchi etc). Quindi il capitale estetico è altrettanto convertibile in altri capitali: se si ottiene una posizione lavorativa superiore attraverso questo, vi è una conversione in capitale economico. Il capitale estetico (chirurgia plastica, vestiti alla moda, accessori costosi) spesso possono essere indice di appartenenza a determinati status proprio per la ricercatezza di quest’ultimo. Esso fornisce spesso anche indicazioni riguardo gli obbiettivi sociali di ciascuno e quindi ha funzione di riconoscimento e distinzione all’interno dei campi dominanti. Ecco che la bellezza diventa uno schema di pensiero assodato, un principio che muove gli individui in modo che questi interpretino le situazioni di dominio non come arbitrarie ma naturali. Si crea così un’opposizione da parte di chi non possiede i capitali, da parte di chi è regolato da contratti atipici che poco tutelano il lavoratore e che compongono una società sì piena di attività ma vuota di dignità. I non proprietari sono individui che tentano sempre e ogni giorno di migliorare la propria posizione e che si trovano difronte a una doppia trappola: da una parte vivono le condizioni del proprietario, che vede il corpo come unica via per sperare di migliorare le proprie condizioni, dall’altra invece c’è l’idea del successo che innesca il desiderio di ottenere una posizione lavorativa-economica-sociale migliore. Belli Dentro Prendersi cura di sé è dunque una pratica che non coinvolge soltanto l’aspetto esteriore, ma anche quella interiore. L’idea che cambiando il corpo, si possa migliorare la propria vita, è un’idea comune. “Operarsi il corpo” infatti è sinonimo di capacità delle donne di operare una scelta. Si è imposta negli anni una sorta di dittatura della bellezza nella quale le industrie farmaceutiche e cosmetiche, stilisti etc. hanno creato uno standard del corpo umano in cui la donna è vista magra, alta, parti del corpo gonfiate dal silicone, occhi grandi; l’uomo è alto, muscoloso, palestrato, con i tratti del volto molto accentuati; entrambi sempre giovani e desiderabili, sexy. Il culto estetico ha tra i propri templi la palestra che è l’unico luogo dove ci si mette alla prova e che non rappresenta semplice sudore, ma è la dimostrazione di un’aderenza ai valori della società. Ma anche il corpo di chi fa sport e lo pratica per mestiere non è più finalizzato alla preparazione agonistica ma diviene spettacolo. La palestra associata all’alimentazione sana ed equilibrata contribuisce a perseguire un “corretto stile di vita”; avere una forma fisica tonica e un aspetto curato sono divenuti sinonimi di salute. Con l’avvento della chirurgia la bellezza smette di essere un dono e diventa un progetto. Si ha una guarigione estetica, per raggiungere un’immagine fantastica di se finalmente liberata dall’invecchiamento. I chirurghi sono così una nuova casta di specialisti sociali che riparano i copri e si assicurano l’adeguamento agli stereotipi sociali. Attraverso la chirurgia si cura anche se stessi perché con “un corpo più bello e un viso più piacevole portano ad un maggiore benessere psicologico”. Spesso l’intervento estetico è dato da chi non si sente a proprio agio con il proprio corpo, e ci sono appunto programmi televisivi sull’argomento dove i protagonisti sentono un senso di frustrazione enorme per il proprio aspetto esteriore; a seguito dell’intervento, mostrato nei minimi dettagli, i protagonisti si sentono come “rinascere”. Di fianco a questi format esistono anche programmi dedicati in maniera specifica al dimagrimento delle persone grasse o obese, tramite esercizio fisico e controllo dell’alimentazione. Le persone grasse infatti si distanziano molto dai canoni di bellezza sociali e infatti ad essi si sono sviluppati una serie di stereotipi che li vedono come stupidi, pigri e incapaci di rapportarsi col cibo. Così gli stili di vita che vanno contro le prescrizioni per conservare la propria salute, vengono condannati e non solo dai medici, dai commerciali etc. ma anche dagli individui stessi che controllano sé tessi. Queste dinamiche però non sono del tutto nuove: nel 1774 con Storia dell’arte antica, Winkelmann getta le basi per un “razzismo estetico”: un insieme di teorie discrimina popolazioni sulla base di strumenti “scientifici”, ossia misurazioni facciali e craniche messe confronto con i canoni estetici giungendo alla conclusione che un corpo mal fatto e tratti non occidentali bastino a individuare un individuo con scarsa intelligenza e moralità ridotta. Sulla stessa base c’è S. Tommaso secondo il quale la bellezza del corpo e la Bellezza morale coincidono. Un meccanismo non lontano dal processo che ancora oggi esiste di razzizzazione. Gli individui con tratti fisici conformi al modello dominante si contrappongono a coloro che si discostano dal modello steso. La razzizzazione è inoltre individuabile in un processo di naturalizzazione. La chirurgia estetica infatti cerca di occultare nel miglior modo possibile le modifiche apportate, e di rendere il corpo come se questo fosse naturale. Molte persone che si sono sottoposte ad intervento, lo negano. Una nuova guerra di razze è scoppiata: belli vs brutti. PARTE II L’IMPROPRIO III. LA STRATEGIA DELLA LUMACA APPUNTI SULLA DIMISSIONE DEGLI OSPEDALI PSCHIATRICI GIUDIZIARI Gatropoda Mollusca L’ultimo sfratto italiano è quello degli ospedali psichiatrici giudiziari, nonché già manicomi giudiziari, nonché manicomi criminali. L’immobile deve essere sgomberato entro il febbraio 2013, come è prassi in Italia, senza proroghe. Il titolo esecutivo è dato dall’articolo 3 della legge n. 9 del 17 febbraio 2012 che recita: “Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”; il quarto comma invece dispone che a decorrere dal 31 marzo 2013, le misure di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura in custodia siano esclusivamente all’interno delle apposite strutture sanitarie, e dunque il relativo trasferimento delle funzioni della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale. Infatti quando nel 1978 la legge n.833 istituisce il sistema sanitario nazionale, la sanità penitenziaria era stata lasciata all’amministrazione della Giustizia, e solo nel 1998 la legge n 419 di razionalizzazione del Servizio sanitario Nazionale ha permesso il riordino della medicina penitenziaria, medico-psicologiche e sociali, vogliono prevenire prima di tutto i rischi. Un rischio non dipende dalla presenza di un pericolo preciso, ma dalla messa in relazione di dati generali o fattori che rendono più o meno probabile il verificarsi di comportamenti indesiderati”. E’ il 1964 quando Foucault dice che la malattia mentale senza dubbio sta per entrare in uno spazio tecnico sempre meglio controllato: negli ospedali la farmacologia ha già trasformato camerate di agitati in grandi acquari tiepidi. L’improprio Modi e forme dell’applicazione dell’ultima riforma chiariranno se si tratta di superamento dell’OPG o della sua disseminazione miniaturizzata. Un’antica storia ritiene la follai l’esperienza raccolta nello spazio graduato fra il polo della dementia e quello del furor, in funzione del tasso di pericolosità. Il manicomio si presenta come il trattamento sociale che si applica al superamento di una certa soglia di pericolosità (la quale non ha mai un grado 0) indipendentemente dalla commissione di un reato. Per questo non si è creata una forte necessità di un manicomio criminale e quando è successo è a causa dell’urgenza di suddividere il reo dal reo-folle. La legge del 1904 prevedeva che la pericolosità era il presupposto di internamento anche in manicomio civile. La radice della pericolosità è da rintracciare nell’identificazione del folle con il non-proprietario, il quale non possiede nulla, neanche se stesso. Egli si differenza dal soggetto proprietario, perché esso ha ragione di modernità. Il non proprietario, chiamiamolo improprio è anche inaffidabile e inattendibile, ed è qui che risiede la pericolosità. Non è un uomo di parola, è dubbia la capacità di saldare i suoi debiti. Egli infatti a differenza del detenuto che deve scontare la propria pena, egli è inespiabile e la misura di sicurezza su di lui applicata tende a non avere un termine. Quindi se il folle è l’ingarantibile, la crisi del debito sovrano di questi anni apre uno spazio di visibilità che lascia pochissimi dubbi sull’attualità e la necessità dell’infame. IV. VENGHINO SIGNORI, VENGHINO. LO SPETTACOLO DEGLI ZOO UMANI Uno dei capitoli della storia europea, che è stato riportato alla luce da un recente film del 2010 di nome Venus Noir, che getta luce su alcune sfaccettature della mentalità umana, è quello dell’esposizione di uomini e donne di paesi anche extraeuropei che presentano stranezze o fattezze diverse al normale. Francia, Olanda, Portogallo, Spagna, Germania, Belgio, Italia, Svizzera e Stati Uniti hanno condiviso gli “Zoo Umani” che si presentavano con una logica che mirava a costruire e giustificare l’impero coloniale dei paesi occidentali, definendo l’identità nazionale e a consentire l’incontro fra milioni di visitatori e gruppi umani provenienti da regioni della terra lontane all’occidente. Lo spettacolo della differenza Il brutto e l’esotico hanno sempre avuto un posto particolare nella storia. Uomini e donne provenienti da terre lontani venivano accolti spesso e volentieri come servi, cortigiane e attrazioni da esibire sui palcoscenici di corte. Nani, giganti, donne barbute, uomini deformati etc. Gli esseri mostruosi hanno sempre avuto un ruolo particolare nell’immaginario collettivo occidentale, intorno ai quali le menti di ciascuna epoca ne ha cercato di capire il senso e darne un’interpretazione. I “freaks” o “curiosità” sono sempre stati al centro dello spettacolo anche svolgendo il ruolo di essere semplicmente osservati suscitando meraviglia, paura, attrazione. Nelle messe in mostra si veniva costruendo una nuova grammatica di immagini e narrazioni che fabbricavano l’Altro e lo fissavano. Questa costruzione dell’Altro, rappresentato non solo dalle minoranze etniche, e dell’Altrove visto come Inferiore, è visibile in diversi luoghi: musei di storia naturale, dove venivano collocati sullo stesso piano degli animali o piante; nei circhi dove i freaks e le curiosità venivano esibite come fenomeni da baraccone; negli spettacoli etnici, dove uomini e donne venivano mostrati nei loro costumi ritenuti bizzarri e selvaggi. Questi però avevano una differenza radicale rispetto agli altri, ossia il presupposto dell’esistenza di razze inferiori e hanno avuto un momento di volgarizzazione delle teorie di ordine gerarchico. Esposizioni nazionali, internazionali e mondiali di Parigi (1877), Amsterdam (1883), Chicago (1893), Saint Louis, Londra, Marsiglia e molte altre, hanno messo in mostra, misurato, fotografato, indiani nordamericani, lapponi, filippini e si sono messe a comparare gli stili di vita dei due mondi: quello civile e quello selvaggio. Si è cercata l’identificazione del buono e del cattivo selvaggio, e sono state rappresentate le differenze razziali. Proprio per il carattere spettacolare ed emozionante si è passato dal categoricare scientifico ad un razzismo popolare, propagandato con riviste, cartoline, manifesti pubblicitari etc. in cui l’obbiettivo era divertire, informare ed educare. Gli uomini notavano le differenze con gli Altri e la sottoumanità di interi gruppi umani. In questa accezione lo “zoo umano” rende evidente le dinamiche: da un lato separa razzialmente attraverso gabbie, recinti etc l’Altro dal normale ma dall’altro lato addomestica e in questo caso cerca di educare non tanto il selvaggio ma lo spettatore che impara a conoscere l’Altrove. Non è esistita pedagogia della cittadinanza più estrema, l’uomo tendeva a disciplinare il suo “selvaggio” intrinseco. La tecnica espositiva era standardizzata: uomini, donne e bambini posti in un recinto o comunque separati dal pubblico accorso ad assistere all’esibizione. Essi erano posti in luoghi dove venivano messi in mostra prodotti di progresso: tecniche, macchine, strumenti etc. e venivano riprodotti i villaggi, abitazioni e atteggiamenti tipici. Uno dei più famosi proprietari di circhi Europei, Carll Hagenbeck, ha organizzato la prima esposizione esotica. Mostrò ad un pubblico nel 1874 una famiglia di lapponi insieme a delle renne in un giardino. Erano mostrati fiano a fianco animali e umani, che significavano una somiglianza fisica e intellettuale. Barnum, nel suo museo di Manhattan nel 1841 ha dato vita a un luogo dedicato alla conoscenza scientifica e al divertimento, con teatri e sale conferenze per restituire una ricostruzione dei contesti di provenienza delle persone-attrazione. Nel 1867 Federic Le Play commissario generale della quarta esposizione universale, ha proposto di far alloggiare delle famiglie operaie nella mostra per far vedere ai francesi il loro vivere quotidiano. L’idea è stata bocciata ma ha fatto installare un museo di storia del lavoro all’interno del quale persone lavoravano durante le ore di apertura della fiera. Per non snaturare il principio dell’esposizione: comparare le diverse specificità di ciascun paese ospitato. Le persone non si limitavano a lavorare ma dovevano esibirsi in piccoli spettacoli a orari della giornata stabiliti. A seguito dell’esito positivo, seguirono altre città con l’Esposizione internazionale di Amsterdam ad esempio del 1883. A Parigi ne 1889 è stato possibile vedere la “strada del Cairo”: più di 225mila egiziani esposti. Essa venne replicata a Chicago nel 1893, Anversa 1894 e Saint Louis 1904. Nel corso del 900 però le fabbriche dell’Altro cambiano la loro strategia. Senza venir meno al concetto di inferiorizzazione, la vista del diverso veniva mostrata come normale, risultando meno strana e più quotidiana. Il selvaggio risultava ormai colonizzato, un indigeno in via di civilizzazione. L’intento era quello di considerare gli indigeni come futuri cittadini. In Francia, Germania, Italia e Gran Bretagna venne mostrato il viaggio itinerante dove veniva replicato un mondo in miniatura, con un atmosfera che coinvolgesse i 5 sensi dello spettatore, al quale veniva data l’illusione di fare un viaggio per le varie etnie. Attraverso ciò la figura del selvaggio era sempre meno minacciosa agli occhi dello spettatore che veniva avvicinata all’Occidente. Va precisato però che nonostante ciò le condizioni di vita delle popolazioni esposte erano orribili e disumane. Spesso, oltre alle recinzioni e alle gabbie che li distaccavano dal pubblico, essi morivano per le condizioni di vita precarie e gli alloggi venivano predisposti proprio dove si esibivano, dove erano tenuti come animali; i metodi di reclutamento erano delle vere e proprie deportazioni. Le Comparse Grazie alle esposizioni vi fu la possibilità per la scienza di disporre di persone in carne e ossa da sottoporre alle più svariate misurazioni. Antropologi ed etnologi sono stati i primi a cercare di differenziare l’uomo in razze. L’antropologia fisica, si ispirava alla cronometria, ossia il tentativo di stabilire un’analogia fra misure del cranio e qualità intellettuali e morali. Molte di queste teorie si basano su Winckelmann. Petrus Camper per esempio, a partire dalla bellezza greca, simbolo di perfezione, crea una scala evolutiva in cui la razza inferiore è dei “Negri”; Jules-Joseph Virey nel 1801 elabora una teoria della razza in base alla quale afferma con forza che c’è connessione tra livello estetico e psichico, bellezza e intelligenza. Gli zoo umani si sono prestati come laboratorio scientifico nel quale si misuravano e catalogavano corpi che andavano a costituire le prove dell’esistenza di più razze. L’ipotesi era che le persone nate e cresciute in società primitive, rispetto al concetto di progresso occidentale, fossero affette da deformazioni o ritardi mentali. Si faceva leva sui tratti culturali o fisici bizzarri, esotici e primitivi; atteggiamenti come cannibalismo, poligamia, costumi singolari e abitudini alimentari ripugnanti. Uno dei casi più eclatanti fu l’esposizione di Saartije Baartman conosciuta come la Venere ottentotta: una giovane donna proveniente da una colonia olandese dell’attuale Sud Africa. Ella giunse in Europa nel 1810 e venne esposta a svariate fiere e spettacoli fra Londra e Parigi. Ciò che la rendeva un’attrazione era la conformazione di due parti del suo corpo: le natiche molto prominenti e rialzate, i genitali particolarmente sviluppati. L’esibizione era nell’apparizione di Saartije nuda con una catena al collo o posta in una gabbia, che doveva ringhiare come un animale feroce pronto ad assaltare il pubblico e a camminare a quattro zampe sul palco. Venne esposta a Londra, Parigi, e pubblicizzata attraverso depliant che narravano le sue eccezionali doti fisiche. Posl per numerosi ritratti scientifici al Jarduin du Roi e venne rappresentata da Nicolas Huet le Jeune nuda in varie posizioni. Alla sua morte per una malattia infiammatoria il suo copro venne sezionato e analizzato. Il pube della donna venne esposto insieme a parti del cervello al Museo dell’Homme al Palais de Chaillot, dove rimasero sino al 2002, anno nel quale i resti vennero rientrati in Sud Africa. La fama della donna fu enorme, tanto che il suo ritratto apparve su numerose pubblicazioni. In quel periodo la scienza si avvalse della fotografia per dare vita a gallerie di immagini di tipi umani, come quelle realizzate da Ronald Bonaparte. Il mondo si ritrovò in poco tempo catalogato e organizzato in gallerie fotografiche, che raggruppavano popolazioni del mondo per etnie e caratteristiche fisiche. Le immagini- souvenir seguivano dei criteri di rappresentazione sempre riprodotti: il gruppo di selvaggi o la singola persona, in pose classiche con abiti tradizionali e uno sfondo fedele al contesto di origine. Le immagini rappresentavano proprio la concezione gli occidentali avevano del selvaggio e rafforzavano gli stereotipi che si stavano via via costruendo. Le immagini erano mezzo di diffusione e testimoniavano l’azione civilizzatrice dell’Europa. I manifesti di promozione delle etno-esposizioni sono documentati dalla costruzione diffusione dell’esotico e dell’Altro come inferiore. Le figure rappresentavano donne africane per lo più a seno nudo, con lo sguardo verso avanti e uomini dai corpi atletici e muscolosi, indiani americani con piume, arabi on turbanti e cammelli. Stereotipi che ancora oggi sono diffusi. Amazzoni nude, donne coperte da veli che lasciavano intravedere le curve del corpo e uomini ritratti assieme a bestie feroci. Il caso italiano Anche l’Italia conobbe il fenomeno delle esposizione di gruppi africani provenienti dalle colonie negli anni ’70 e ’80 dell’Ottocento. L’africa divenne centro di propaganda di comitati e società geografiche e coloniali. Tutta la produzione di articoli e immagini fotografiche sui nuovi territori che venne realizzata dalla SAI (Societa Africana d’Italia) andava nella promozione dell’espansione in Africa dell’Italia. Come avvenuto nel resto d’Euro, anche in Italia il ruolo della costruzione dell’Altro è stato centrale. I villaggi etnici prima di tutto erano luoghi di immagini e poi di oggetti. Dopo pochi anni un grande villaggio abissino venne allestito all’Esposizione nazionale di Palermo del 1892. L’iniziativa era organizzata con l’obbiettivo di diffondere un’immagine positiva della nuova colonia Eritrea, convincendo gli italiani che si stesse realizzando una pacifica convivenza; erano mostrati usi e costumi, quotidiani, abilità artigianali e caratteristiche culturali/artistiche. Vi erano anche altri due forme di zoo umani: i villaggi spettacolari (o villaggi attrazione) che erano organizzati da imprenditori privati solitamente, e che erano orientati all’esposizione dei caratteri razziali del mondo selvaggio e i villaggi missionari che erano organizzati dai missionari cappuccini animati dalla volontà di portare in patria esempi di persone convertite al cattolicesimo. Anche in questi casi gli scienziati non persero occasione di misurare e analizzare gli individui. Cesare Lombroso e Mario Carrara realizzarono no studio psicologico e antropometrico sulla popolazione Dinka del Sudan e definirono 42 rappresentanti dei Dinka come “selvaggi” e “ottusi” con capacità intellettuali limitate. Il lessico usato da Lombroso e Carrara per caratterizzare il gruppo richiama un elemento di assoluta particolarità dell’Italia rispetto alle nazioni Europee. Negli altri paesi l’incontro con l’Altro e l’Altrove è stata un occasione per costruire un’identità mentre l’Italia aveva già all’interno dei suoi confini il proprio concetto identitario; si immagini il rapporto con il Meridione dove per anni gli abitanti sono stati ritenuti barbari, degenerati e dai costumi arcaici. Durante il periodo fascista, il fenomeno delle etno- esposizioni continuò, visto che il regime aveva investito nell’avventura coloniale e doveva mettere a tacere le critiche mosse dai disfattisti nazionali. In occasione del primo anniversario dell’impero tra 8 e 9 maggio 1937 venne organizzata a Roma una sfilata di soldati neri delle colonie italiane. A Napoli il 9 maggio 1940 venne organizzata la prima Mostra Triennale delle Terre d’Oltremare che mostravano alle persone prodotti provenienti dall’africa e mettendo a tacere coloro che criticavano il Regime di parlare di colonie senza portare in Italia testimonianze tangibili della conquista. L’esposizione di Napoli rappresentò una Celebrazione della gloria dell’impero italiano nell’Africa del Nord e nel Mediterraneo. Il fascismo aveva capito che non avrebbe potuto parlare di oltremare e presentare se stesso come impero, senza mostrarlo.
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