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La bella e la bestia. Il tipo umano nell'antropologia liberale, Sintesi del corso di Sociologia

riassunto breve, concetti basilari.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 27/12/2023

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adele-zampella-1 🇮🇹

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Scarica La bella e la bestia. Il tipo umano nell'antropologia liberale e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia solo su Docsity! LA BELLA E LA BESTIA Il tipo umano nell’antropologia liberale Il tipo umano: I testi presentati costituiscono quattro variazioni anomale sul tema della bella e la bestia. Anomale perché tendono in modo eccessivo la struttura dell'omonima fiaba, nel quale viene conservata solo la dinamica di contrapposizione fra una bellezza positiva e una bestialità negativa. Il topos del racconto tradizionale rientra nella classificazione delle fiabe- Aarne Thompson- un catalogo numerato che raccoglie le trame standard. In base a un indice dei tipi. Questa corrisponde al tipo 425, ovvero la ricerca del marito perduto, nella variante del sottotipo A, in cui il nucleo è dato dalle nozze della bella protagonista con un marito dalle sembianze mostruose. La fiaba in realtà è una storia di storie, il cui primo antecedente è in Amore e Psiche di Apuleio. Il canone moderno della favola è stato fissato alla fine del diciassettesimo secolo e la metà del diciottesimo, da tre narratrici francesi. • Contes des Fees di madame d’Aulnoy del 1698, con una visione più cruda e animalesca della storia. • Madame de Villeneuve del 1740, dove segna il punto di passaggio fra la storia di Apuleio e il prototipo della fiaba moderna nella raccolta La Jeune Americaine et les contes marins. • Il testo più conosciuto e diffuso è quello di Madame de Beaumont che nel 1756 inserisce una versione pudicamente edulcorata della sua antologia per ragazzi, Le Magasin des enfants, da allora la favola non ha smesso di essere riscritta in infiniti adattamenti letterari, cinematografici e televisivi. Le fiabe si compongono di una parte variabile che conserva pressoché lo schema principale in cui si combinano e si alternano elementi secondari. Per rendersi conto del tasso di variazione dell'immagine e dei caratteri dei protagonisti basta ripercorrere la loro rappresentazione e si noterà subito che della bella e detto sempre molto poco, viene ribadita la sua bellezza fisica e morale, in cui rappresenta essenzialmente un contrasto alla bestia. Ma anche la bestia presenta delle origini indefinite. Marina Warner in una ricostruzione della bestia scrive che: I narratori delle prime versioni della bella e la bestia spesso evitano di dare indicazioni precise sulle sembianze della bestia e descrivono l'aspetto in termini vaghi. In tutti i racconti, anche nei quattro tomi delle tre narratrici francesi, non vi è una descrizione fisica accurata. La natura inferiore della bestia viene rivelata nel suo mutismo, nella sua goffaggine e dalla incapacità di confrontarsi con la bella, in una posizione socialmente e intellettualmente non paritaria. La bestia nei confronti della bella risulta noiosa in quanto non in grado di parlare adeguatamente, questo rappresenta un primo tratto dell'aspetto sociale, ovvero il linguaggio. Negli anni gli illustratori hanno dato forma all'immaginario della bestia, rappresentandola in vari modi: Maiale, rospo lucertola, in alcune occasioni ritorna anche l'iconografia cristiana del diavolo. Ma la bestia si dà soprattutto come orso, re delle bestie e perciò simbolo di forza e di potere. L'orso è una belva credibile che si confronta con l’umano in una mediazione fra un mondo fantastico e mondo reale. Ricordando l'emblema del forestiero, del selvaggio, dello straniero. La sua capacità di camminare in posizione eretta e di essere addomesticato lo porta fino a danzare in catene o in una miniatura pelosa e rassicurante di un animale da compagnia. La bestia si coprirà di tante altre maschere a seconda del mutamento storico delle paure. L'orso è un soggetto di mediazione fra la bestialità che si trova nell'umano e l'umanità che si trova nella bestialità. In un simbolo che rappresenta le paure sociali che mutano nel tempo, paure che l'uomo cerca di combattere addomesticandole. Il cambiamento da orso come bestia a orso come sicurezza rappresenta il cambiamento della società e delle paure sociali. Proprio come nel cartoon di Disney, in cui la bestia è un incrocio fra un Minotauro e un bisonte americano, animale erbivoro e simbolo di innocenza. Il bisonte americano rappresenta l'animale vittima della furia predatoria dell'uomo bianco. La bella e la bestia parla di una crisi matrimoniale, anni in cui la società entrò in crisi a causa dei matrimoni combinati, dei pregiudizi di genere e della frenetica voglia di assicurarsi un posto in società. Nel 1700 le donne iniziarono-poco- ad imporsi e questo portò i matrimoni ad andare in crisi. Un altro accenno alla storia e il passaggio da una dipendenza all'altra da parte della donna che passa dalla dipendenza del padre a quella del marito, spesso violento. Parla appunto della violenza domestica e dello spaesamento quando si conosce un qualcosa di ignoto e diverso. Inoltre, racconta le paure di una questione economica, in cui le donne nelle favole sono belle e non hanno capitale, dote ma investono sul capitale estetico con la cura del vestito e delle scarpe. Questo capitale estetico non è deciso dalla ricchezza ma è un capitale distribuito a casaccio che dipende da una decisione della società e dalla loro distinzione. Un'altra cosa che va a sottolineare questo periodo è la crisi dell'emancipazione femminile, per la presa di potere nei periodi di guerra e post-guerra. Dunque, il modificarsi continuo del paesaggio storico e delle paure muta la percezione e l'immagine della bestia. Ma nonostante questo modificarsi resta comunque intrinseca nella società l'esigenza sociale di una bella e di una bestia, di un qualcosa di bello e di un qualcosa di brutto. Anche per questo che comunemente nelle favole personaggi non hanno un nome proprio. In questa chiave la favola è un luogo simbolico di rappresentazione dei processi sociali. L'identità appropriata è ciò che resta di una serie di decisioni sociali, di separazione, di taglio e rifiuto, che dividono il positivo dal negativo. Il carattere pedagogico lo si trova nella morale della favola. Che intuisce il confine fra il bello e il brutto, fra il buono e il cattivo, del giusto e dell'ingiusto. Il punto è che la fantasia della letteratura fiabesca non è altro che un realismo magico. Le finzioni della favola sono cronache di una città reale, possibile e attuale. Perché la favola è un racconto di crisi e tensione sociale, nel quale offre strumenti di comprensione e controllo. L’anti-Tipo La bella e la bestia è ancora una favola d’ancien regime. L'età moderna, però, progressivamente converte molte delle tradizioni affiancando un'ampia serie di nuove narrazioni di scienza e di nuovi saperi che si adopereranno a casellare il prototipo dell'umano. Ed è in questo tempo che si cercherà senza limiti di far emergere per contrasto, la figura del tipo umano legittimo. Questo insistente tentativo produrrà sterminate bibliografie e iconografie della normalità e della devianza, della bella e della bestia. Secondo, articolate e confuse gerarchie del tipico e dell'atipico. MEDIOCRAZIA. DISEGNO PREPARATORIO PER UN’INCHIESTA SUI FUNERALI DI STATO. - Funerali di Napoleone Il primo caso preso in analisi riguarda il ritorno in Francia delle ceneri di Napoleone, acconsentito nel 1840, dopo ben 20 anni di richieste al governo britannico (morto nel 1821 a Sant' Elena, territorio d'oltremare britannico). L'allora Ministro dell'Interno francese presenta un progetto di legge alla Camera, in cui chiede un credito speciale di un milione per la traslazione dei resti dell'imperatore in modo da "riceverlo degnamente" su terra francese. Il Ministro accenna anche allo schema cerimoniale previsto il 15 dicembre 1840: l'arrivo dei resti dell'imperatore sulla nave "Belle-Poule", guidata da marinai francesi all'imbocco della Senna. Un bastimento condurrà, con una cerimonia solenne, i resti a Parigi, depositati in attesa che venga edificata la tomba, realizzata da Louis Visconti, che ne accoglierà i resti solo nel 1861. La ricca iconografia e i resoconti dell'evento ci confermano che il programma annunciato fu sostanzialmente rispettato. contrasto delle criminalità organizzate (caduti per l'esercizio delle proprie funzioni o mettendo in luce la necessità di un "di più" rispetto al compimento del proprio dovere). Per la prima volta però appare lo stato di "vittima non designata" come individuo a cui attribuire i funerali di Stato, vi è il riconoscimento legale della figura di un "eroe passivo", figura simbolica che trova fondamento in un riconoscimento di uno stato di tensione tra il cittadino e lo Stato, che "poteva fare di più". Un'altra figura non formalmente tipizzata, determinata negli anni, è la vittima di eventi o catastrofi naturali, o vittima incidentale (es. le vitte del terremoto in Abruzzo, dodici studenti morti per un areo militare precipitato su una scuola ccc). Lo Stato così cerca di "gestire" le emozioni della popolazione sui drammi collettivi che hanno in quel momento "sconvolto” la società. Non si richiede dunque che questi individui abbiano fatto qualcosa per lo Stato, piuttosto è lo Stato a trovarsi nella posizione di non aver fatto il possibile per evitare la catastrofe, adotta così quella che diventa "una prassi" in grado di produrre un'estensione vittimaria (quel funerale di Stato, per quella catastrofe, che fa da tributo a tutti i morti incidentali). Tuttavia, quando a Lampedusa (ottobre2013) approda un barcone carico di persone migranti, dei quali furono rinvenuti 366 corpi, il presidente del Consiglio (Enrico Letta) annuncia, in conferenza-stampa, il lutto nazionale e i Funerali di Stato, ponendo però attenzione sulla grandezza della tragedia e riconoscimento di una colpa pubblica. Nei giorni a venire però, quelli che dovevano essere funerali di Stato, si trasformano prima in esequie solenni e poi in "sentita commemorazione”. Tale progressivo declassamento e infatti probabilmente dovuto ad un ristabilimento, da parte della legislazione italiana, dei privilegi per lo status di "vittima". PARTE II SPA. IL CAPITALE ESTETICO "Il corpo parla di te, anche se non vuoi" è il titolo di un articolo che annuncia la scoperta scientifica secondo la quale per capire cosa sta provando una persona bisogna guardare esteriormente il suo atteggiamento. Un conoscere profondamente se stessi per arrivare a capire cosa si ha dentro, dai movimenti che si hanno fuori. La cura estetica è comunque diventata un qualcosa di comune, dato dal rapporto di benessere esteriore/interiore e viceversa. I dati di fatturato delle palestre, l'aumento dei centri benessere, la vendita di cosmetici esponenziale etc. mostrano come l'attenzione per l'aspetto estetico sia via via diventato un fenomeno comune nella vita della persona media. Da sempre intatti, si è visto come si sia socialmente evoluta la concezione di bellezza estetica, sulla base proprio dei canoni dei diversi periodi storici. Oggi però questa assume una centralità inedita, anche nel campo lavorativo. Questo potrebbe essere spiegato guardando le modificazioni che hanno interessato la bellezza fisica nel corso della storia. In primo luogo, c'è l'estensione delle parti del corpo che concorrono alla bellezza: dal colorito della pelle, ai fianchi, poi alle gambe etc. fino ad arrivare alla considerazione dell'immagine di un corpo dinamico, energico, autonomo. Questo nuovo paradigma della bellezza riflette anche sul lavoro. Una ricca letteratura ha dimostrato che avere un bell'aspetto estetico, è una delle chiavi per accedere ai livelli retributivi più alti; ma il motivo per cui alcune aziende scelgono il proprio personale in base alla bellezza estetica, e non solo alla professionalità sta non tanto in una maggiore produttività dei belli, ma in una vera e propria pratica discriminatoria a danno dei brutti. Le persone brutte guadagnano di meno delle bellezze medie, che a loro volto guadagnano di meno dei belli. Avere un aspetto non avveniente è come entrare in matrimonio senza carte da giocare, senza una dote. È stato dimostrato anche che i curricula di donne e uomini attraenti hanno più possibilità di poter essere presi in considerazione in un eventuale assunzione lavorativa. La bellezza è quindi un valore, un capitale da poter investire. L'investimento di questo capitale estetico consentirebbe infatti la possibilità di poter raggiungere la posizioni di classi predominanti. Secondo la teoria di Bourdieu è possibile tracciare le posizioni assunte da alcuni individui che si relazionano in più campi sociali e che dispongono di capitale estetico. I campi sociali sono lo spazio in cui gli individui si dispongono in base al capitale posseduto e i capitali rappresentano la risorsa di ciascun individuo che viene sfruttata per affermarsi nel campo. Avere quote sul capitale, significa avere potere sul campo, e quindi il controllo delle regole di quest'ultimo. Il capitale e quindi il potere, è un qualcosa che tutti vorrebbero avere e che è distribuita a pochi ed in modo non uniforme. Tutti i tipi di capitale posseggono delle proprietà: possono essere trasferiti secondo logiche di conflitto e rapporti di forza, non secondo una relazione di domanda-offerta. Le relazioni nel campo dei capitali dunque sono le seguenti: sono dominanti su coloro che non possiedono capitale, ma comunque si trovano male nell'appropriazione del potere; sono dominanti rispetto a coloro che non fanno proprio parte del loro campo, e peggio ancora se sono a corto di capitale estetico sono penalizzati o in casi gravi, completamente esclusi dalla lotta mentre sono dominati rispetto a coloro che fanno parte di più campi (ad esempio quello economico) e che posseggono più capitali, poiché hanno più potere e risorse. La concezione di bellezza diventa così un indicatore per le strategie da seguire dall'individui per mantenere o raggiungere posizioni rilevanti. Ci sono due forme di capitale estetico: il capitale incorporato (attitudine, conoscenze, qualità interiori, abilità di riconoscere il bello dominante etc.) e il capitale oggettivo (il corredo di modifiche da apportare al proprio corpo per raggiungere il modello predominante, abbigliamento, accessori, trucchi etc.). Quindi il capitale estetico è altrettanto convertibile in altri capitali: se si ottiene una posizione lavorativa superiore attraverso questo, vi è una conversione in capitale economico. Il capitale estetico (chirurgia plastica, vestiti alla moda, accessori costosi) spesso possono essere indice di appartenenza a determinati status proprio per la ricercatezza di quest'ultimo. Esso fornisce spesso anche indicazioni riguardo gli obbiettivi sociali di ciascuno e quindi ha funzione di riconoscimento e distinzione all'interno dei campi dominanti. Ecco che la bellezza diventa uno schema di pensiero assodato, un principio che muove gli individui in modo che questi interpretino le situazioni di dominio non come arbitrarie ma naturali. Si crea così un'opposizione da parte di chi non possiede i capitali e da parte di chi è regolato da contratti atipici che poco tutelano il lavoratore e che compongono una società sì piena di attività ma vuota di dignità. I non proprietari sono individui che tentano sempre e ogni giorno di migliorare la propria posizione e che si trovano difronte a una doppia trappola: da una parte vivono le condizioni del proprietario, che vede il corpo come unica via per sperare di migliorare le proprie condizioni, dall'altra invece c'è l'idea del successo che innesca il desiderio di ottenere una posizione lavorativa-economica-sociale migliore. Belli Dentro: Prendersi cura di sé è dunque una pratica che non coinvolge soltanto l'aspetto esteriore, ma anche quella interiore. L'idea che cambiando il corpo, si possa migliorare la propria vita, è un'idea comune. "operarsi il corpo" infatti è sinonimo di capacità delle donne di operare una scelta. Si è imposta negli anni una sorta di dittatura della bellezza nella quale le industrie farmaceutiche e cosmetiche, stilisti etc. hanno creato uno standard del corpo umano in cui la donna è vista magra, alta, parti del corpo gonfiate dal silicone, occhi grandi; l'uomo è alto, muscoloso, palestrato, con i tratti del volto molto accentuati; entrambi sempre giovani e desiderabili, sexy. Il culto estetico ha tra i propri templi la palestra che è l'unico luogo dove ci si mette alla prova e che non rappresenta semplice sudore, ma è la dimostrazione di un’aderenza ai valori della società. Ma anche il corpo di chi fa sport e lo pratica per mestiere non è più finalizzato alla preparazione agonistica ma diviene spettacolo. La palestra associata all'alimentazione sana ed equilibrata contribuisce a perseguire un "corretto stile di vita"; avere una forma fisica tonica e un aspetto curato sono divenuti sinonimi di salute. Con l'avvento della chirurgia la bellezza smette di essere un dono e diventa un progetto. Si ha una guarigione estetica, per raggiungere un'immagine fantastica di sé finalmente liberata dall'invecchiamento. I chirurghi sono così una nuova casta di specialisti sociali che riparano i corpi e si assicurano l'adeguamento agli stereotipi sociali. Attraverso la chirurgia si cura anche se stessi perché con "un corpo più bello e un viso più piacevole portano ad un maggiore benessere psicologico". Spesso l'intervento estetico è dato da chi non si sente a proprio agio con il proprio corpo, e ci sono appunto programmi televisivi sull'argomento dove i protagonisti sentono un senso di frustrazione enorme per il proprio aspetto esteriore; a seguito dell'intervento, mostrato nei minimi dettagli, i protagonisti si sentono come "rinascere". Di fianco a questi format esistono anche programmi dedicati in maniera specifica al dimagrimento delle persone grasse o obese, tramite esercizio fisico e controllo dell'alimentazione. Le persone grasse, infatti, si distanziano molto dai canoni di bellezza sociali e infatti ad essi si sono sviluppati una serie di stereotipi che li vedono come stupidi, pigri e incapaci di rapportarsi col cibo. Così gli stili di vita che vanno contro le prescrizioni per conservare la propria salute, vengono condannati e non solo dai medici, dai commerciali etc. ma anche dagli individui stessi che controllano sé tessi. Queste dinamiche però non sono del tutto nuove: nel 1774 con la Storia dell'arte antica, Winckelmann getta le basi per un "razzismo estetico": un insieme di teorie discrimina popolazioni sulla base di strumenti "scientifici", ossia misurazioni facciali e craniche messe confronto con i canoni estetici giungendo alla conclusione che un corpo mal fatto e tratti non occidentali bastino a individuare un individuo con scarsa intelligenza e moralità ridotta. Sulla stessa base c'è San Tommaso secondo il quale la bellezza del corpo e la bellezza morale coincidono. Un meccanismo non lontano dal processo che ancora oggi esiste di razzizzazione. Gli individui con tratti fisici conformi al modello dominante si contrappongono a coloro che si discostano dal modello steso. La razzizzazione è inoltre individuabile in un processo di naturalizzazione. La chirurgia estetica, infatti, cerca di occultare nel miglior modo possibile le modifiche apportate, e di rendere il corpo come se questo fosse naturale. Molte persone che si sono sottoposte ad intervento lo negano. Una nuova guerra di razze è scoppiata: belli vs brutti. PARTE II L'IMPROPRIO III. LA STRATEGIA DELLA LUMACA APPUNTI SULLA DIMISSIONE DEGLI OSPEDALI PSCHIATRICI GIUDIZIARI L'ultimo sfratto italiano è quello degli ospedali psichiatrici giudiziari, nonché già manicomi giudiziari, nonché manicomi criminali. L'immobile deve essere sgomberato entro il febbraio 2013 come è prassi in Italia, senza proroghe. Il titolo esecutivo e dato dall'articolo 3 della legge n. 9 del 17 febbraio 2012 che recita: "Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari"; il quarto comma invece dispone che a decorrere dal 31 marzo 2013, le misure di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura in custodia siano esclusivamente all'interno delle apposite strutture sanitarie, e dunque il relativo trasferimento delle funzioni della sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale. Infatti, quando nel 1978 la legge n.833 istituisce il sistema sanitario nazionale, la sanità penitenziaria era stata lasciata all'amministrazione della Giustizia. Solo nel 1998 la legge n. 419 di razionalizzazione del Servizio sanitario Nazionale, all’art. 5, delega il Governo al riordino della medicina penitenziaria attraverso il progressivo inserimento di servizi di assistenza ai detenuti: il conseguente decreto legislativo n.230 del 22 giugno 2009 definisce le modalità di inserimento della medicina penitenziaria nel sistema sanitario nazionale. Infine, la legge finanziaria del 2008 segna il passaggio di funzioni, personale, beni e risorse della medicina penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. I principi del passaggio sono inseriti nell'allegato C che contiene le "Linee di indirizzo per gli interventi negli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) e nelle case di cura e custodia". Nella sezione finale dell'allegato compare esplicito il programma di "superamento graduale degli OPG" che ci rimanda inequivocabilmente alla legge del 2012 della quale l'articolo 3 è frutto di un emendamento proposto in Senato nella conversione in legge del decreto La costruzione dell'altro, con la sua relativa sottomissione e inferiorizzazione, comprendeva, oltre alle minoranze etniche, anche tutti coloro considerati "anormali", dal punto di vista fisico e mentale. Tra questi, uomini, donne e bambini, venivano mostrati per i loro costumi considerati "bizzarri", i loro rituali considerati "selvaggi" e i loro corpi che suscitavano allo stesso tempo meraviglia, paura ed attrazione. Veniva chiesto loro di mostrarsi come "cannibali" quando in realtà non lo erano, potremmo infatti dire che veniva chiesto loro di fare del "cinema", il cui compito principale consisteva nel "farsi guardare". Questa realtà ha dunque rappresentato la parte più visibile di questo sbilanciamento tra i due mondi: quello occidentale, considerato "civile" (e dunque la parte buona, legittima, propria), e quello colonizzato, considerato "selvaggio" (c dunque la parte cattiva, illegittima e impropria di tutte le forme umane), una rappresentazione cioè della "differenza razziale". Cosa molto importante è inoltre che: queste esposizioni hanno definitivamente segnato il passaggio da: un razzismo prima fondamentalmente scientifico, ad un razzismo popolare, ordinario (società intere che condividono gli stessi codici culturali diffusi da giornali, riviste, manifesti, ecc.). Possiamo infatti dire che la società ha così costruito dei tipi umani, o meglio: un tipo, a cui è contrapposto per esclusione un anti-tipo. Interi gruppi umani venivano costantemente posti sullo stesso piano di animali e piante, lo stesso termine "Zoo umano" rende bene l'idea di una "modalità di organizzazione dello spazio" che si realizza attraverso gabbie, recinti e palizzate, che separa l’altro" e lo "animalizza"; oltre che a ricondurre ad un'idea di "addomesticazione". L'aggravante è che, per di più, le condizioni di vita delle popolazioni esposte si presentano come: "disumane". Non pochi furono infatti i casi di morte dovuta a tali condizioni, o di suicidi avvenuti durante le tournée (o ancora: di ritorno al loro paese d'origine). Vivevano e dormivano negli stessi luoghi in cui erano tenuti gli animali e i metodi di reclutamento talvolta consistevano in delle vere e proprie deportazioni. Le esposizioni rappresentarono, inoltre, la possibilità per la scienza di disporre di persone in carne e ossa da sottoporre a misurazioni che permettessero così di definire le tipologie umane su base gerarchizzante e razzista. Non poche furono infatti le teorie elaborate in quegli anni: sulla connessione fra livello estetico e livello psichico, bellezza e intelligenza; teorie secondo il quale la diversità di organizzazione celebrale era differente a seconda della forma del cranio, su cui si basavano le scoperte di "inferiorità morale e intellettuale" di alcune razze rispetto ad altre; ecc. Ritratti, fotografie (come quelle del fotografo Ronald Bonaparte) vennero impiegati per catalogare ed organizzare, in poco tempo, le popolazioni del mondo per etnie e quindi per caratteristiche fisiche. Le immagini furono infatti fondamentali nella costruzione del racconto di ciò che è stato il fenomeno degli zoo umani. Le tecniche espositive prevedevano inoltre la riproduzione su piccola scala di villaggi, abitazioni e paesaggi, da cui erano originari i gruppi umani esposti. Il merito per la prima "esposizione esotica" del mondo "civilizzato" è attribuito a Hagenbeck, famoso proprietario di circhi in Europa. Questa avvenne nel 1874, in sostanza, mostrava ad un pubblico pagante, un gruppo familiare di lapponi assieme a delle renne, all'interno di un giardino. Dal successo di questa esposizione ne seguirono poi molte altre: Parigi (1877), Amsterdam (1889), ecc. Momento particolarmente importante nella storia degli zoo umani è rappresentato dall'esposizione universale di Parigi del 1889, questa fu infatti la prima volta in cui un'esposizione non apparve più su piccola scala, con una riproduzione di villaggi o abitazioni, ma resta invece l'illusione di visitare la "strada del Cairo", con tutti i suoi habitat ricostruiti e con all'interno 225 egiziani che li popolavano. Ben 30 milioni di visitatori accorsero all'evento e dopo l'enorme successo riscosso le "strade del Cairo" vennero costruite nelle esposizioni di Chicago (1893), Anversa (1894) e Saint Louis (1904). Esempi: • Uno dei casi più esemplare della storia degli zoo umani è quello della Venere ottentotta: una giovane donna proveniente dal Sud Africa che è stata condotta in Europa, nel 1810, dalla famiglia presso la quale era schiava. Essa fu esposta in fiere e spettacoli fra Londra e Parigi. Nello specifico, ciò che faceva di lei un'attrazione senza precedenti era il suo aspetto fisico, o meglio, la conformazione di due parti del suo corpo: le natiche, sporgenti e alzate, e i genitali particolarmente sviluppati. La sua esibizione consisteva nell'apparire nuda con una catena al collo, o posta in una gabbia, ringhiare come un'animale feroce e camminare a quattro zampe. La donna mori giovane, dopo 5 anni di permanenza in Europa, per una malattia infiammatoria. Il suo corpo venne sezionato e analizzato ed alcune parti dei suoi resti furono esposti in un museo a Parigi sino al 2002, anno in cui il Parlamento francese acconsenti al rientro dei resti in Sud Africa. La fama della donna fu smisurata. • Ricordiamo Ota Benga, un ragazzo pigmeo del Congo, esposto a Saint Louis nel 1904. Una delle caratteristiche più curiose era la forma a punta dei suoi denti, che faceva pensare fosse un cannibale, ma in realtà non lo era (affilare i denti era infatti una pratica molto diffusa in Congo). Ota Benga viene poi portato a New York nel 1906 e finisce in uno zoo nel Bronx, in cui veniva esposto nella gabbia delle scimmie e gli veniva chiesto di usare arco e frecce per sembrare più "selvaggio". Quest'abuso viene descritto come uno scandalo dalla stampa americana, dato che rappresenta tutto il contrario di quello che dovrebbe fare un paese civilizzato. Viene dunque raggiunto un accordo e Ota Benga viene mandato in un orfanotrofio grazie al quale riceve un'educazione cristiana e occidentale, impara a leggere e scrivere e negli anni inizia anche a lavorare, con la speranza di potersi, un giorno, integrare. Ma per un pigmeo del Congo è impossibile adattarsi nel paese del Ku Klux Klan (organizzazione americana politica e terroristica dell'800, che promulgava la superiorità della razza bianca). Con lo scoppio della Prima guerra mondiale diventa impossibile per Ota Benga tornare in Congo e decide di togliersi la vita dopo 12 anni trascorsi in America. I suoi resti non furono mai reclamati. • I casi riguardanti l'Italia, invece, si verificano nel periodo post-unitario (1870-80), ed in epoca fascista (1930-45). • Negli anni 70 e 80 dell'Ottocento ci furono circa una dozzina di esposizioni che riguardavano gruppi africani provenienti dalle colonie, il cui obiettivo era quello di promuovere l'espansione italiana e dimostrare una possibile pacifica convivenza con la nuova colonia. Tra queste: l'Esposizione Italiana di Torino, dedicata al villaggio degli Assabesi, che dopo il successo riscosso venne allestito anche all'Esposizione nazionale di Palermo. Esse prevedevano la messa in mostra dello loro caratteristiche culturali e artistiche come: i costumi quotidiani e le abilità artigianali Durante il periodo fascista invece, il regime aveva investito nell'avvenuta coloniale e per mettere a tacere coloro che lo criticavano sulla base del fatto che non portassero in Italia delle testimonianze tangibili delle conquiste, il fenomeno delle etno-esposizioni continuò Nel corso del Novecento però, l'alterità inizio ad essere mostrata come "normale". Questa dinamica era a dimostrazione del fatto che perfino i popoli più arretrati potevano evolversi sotto la spinta civilizzatrice dell'Europa. Lo scoppio della Prima guerra mondiale segna una svolta nel modo di vedere i due mondi. Le grandi potenze di Francia ed Inghilterra, infatti, scelsero per opportunismo di arruolare i loro popoli coloniali, considerati ormai civilizzati e utili, al contrario di Italia e Germania che invece rifiutano l'idea. Si vedono impiegati nella guerra oltre un milione di coloniali e quello che prima era considerato "selvaggio" si trasforma ora in un bravo combattente e lavoratore. Le esposizioni coloniali post-belliche cambiano, non sono più incentrate a mostrare i "selvaggi" ma, mostrano i popoli in via di civilizzazione sotto il potere occidentale. Il sistema cambia ma, l'obiettivo rimane lo stesso: mostrare che in alto c'è il padrone bianco e in basso gli indigeni. La gerarchizzazione della razza continua. Dopo la Seconda guerra mondiale il fenomeno degli zoo umani sembra del tutto scomparso. Alcune notizie testimoniano però che: nel 2002, in un parco faunistico in Belgio, abitavano otto pigmei Baka che danzavano e cantavano (così diceva il dépliant): In India nel 2012 vennero organizzati dei "safari umani", mentre in Cina è stato costruito un parco a tema in cui vivono e lavorano più di 100 nani. Inoltre, oggigiorno non è necessario allontanarsi troppo per vedere andare in scena l'alterità. Un programma televisivo come "Lo Show dei Record", per esempio, espone abitualmente persone che vengono considerate "anomale", improprie, illegittime. Lontane dai canoni di "normalità" vigenti in quel momento, in quella cultura: l'uomo più alto del mondo, più basso del mondo, più grasso del mondo, la persona più rifatta del mondo, ecc. E la televisione dei non-talenti, in cui l'unica abilità consiste nel lasciarsi guardare. Altri programmi sono per esempio "Ciao Darwin, "Avanti un altro", in cui la costruzione identitaria si compie per affinità con dei tipi umani identificati in dei personaggi, lo si nota al momento della presentazione dei partecipanti che avviene per "etichette".
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