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La bella, la bestia e l'umano, Sintesi del corso di Antropologia

Il libro tratta dei tre principali sistemi di oppressione e dominio: Sessismo, razzismo e specismo, andando a descrivere le loro caratteristiche, i punti in cui si incontrano e la relativa intersezionalità tra questi.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 31/01/2022

alice-radighieri
alice-radighieri 🇮🇹

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Scarica La bella, la bestia e l'umano e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia solo su Docsity! CAPITOLO 1 1. La razza e il razzismo Per ottenere una definizione corretta di razzismo è necessario abbandonare il termine razza, il quale rimanda etimologicamente alla credenza che esistano razze umane: a tal proposito sarebbe bene ricordare che suddetto termine, di derivazione zoologica, a partire dal ‘700 viene esteso agli esseri umani con il significato di rango, per poi assumere nel corso dei secoli successivi un significato sempre più biologico. La razza è una categoria infondata ed immaginaria applicata a gruppi di esseri umani reali: è una metafora naturalistica che serve a nominare differenze di potere, di classe, di status e svalorizzare certi gruppi, minoranze e/o popolazioni. In definitiva tutte le razze sono inventate: non c’era nessun pretesto, nemmeno la più debole evidenza somatica che giustificasse l’invenzione della razza ebraica o della razza slava: In questi due casi, come in altri simili, si sono inventate delle differenze per convertirle in contrassegni fisici, ossia in stigmi. Prendiamo ad esempio la stella gialla, stigma per eccellenza: poiché l’ebreo non era distinguibile per tratti somatici che potessero farlo riconoscere come tale al primo sguardo, gli si pose un marchio esteriore che lo rendesse visibile. Possiamo affermare quindi che la stessa percezione dell’evidenza somatica dipende dalla storia, dalla società e dalla cultura: tanto è vero che vi sono state e vi sono società per le quali quei caratteri fenotipici (es. colore della pelle), che solitamente sono stati assunti come criterio di distinzione, non istituiscono differenze tra individui e gruppi; in alcune società occidentali prima della costruzione storica della razza, i tratti che poi furono detti razziali avevano una rilevanza pari a quella della grandezza delle orecchie o dei piedi. Razzismo è un sistema di idee, comportamenti e pratiche sociali che, attribuendo a gruppi umani differenze naturali generalizzate e definitive, giustifica e legittima a loro danno prassi di svalorizzazione, persecuzione o sterminio. Con questa definizione approssimativa di razzismo si intende sottolineare che non tutte le forme di razzismo muovono da dottrine della razza: infatti nel razzismo odierno le classificazioni razziali sono del tutto assenti, per lo più si percepiscono differenze sociali, culturali e religiose. 2. Il neorazzismo nel contesto italiano Per poter soffermarci sulla dimensione sociale del razzismo moderno, dobbiamo notare che esso è anzitutto un sistema di diseguaglianze giuridiche, economiche e sociali. Esso si costituisce e si rafforza tramite una pluralità di strategie quali: • Esclusione; • Espulsione o segregazione permanente; • Inclusione differenziata. Oggi si parla di razzismo istituzionale-> leggi e norme di un paese non fanno altro che legittimare la creazione di categorie sociali e promuovono la stratificazione di diseguaglianze in termini di accesso alle risorse. A costituire il “sistema-razzismo” oggi è soprattutto la dimensione comunicativa: mass media, propaganda e leggende contribuiscono a costruire e a diffondere cliché, stereotipi e pregiudizi sui gruppi alterizzati. Nella situazione italiana, in aggiunta alla lista appena fatta, abbiamo altri fattori come la crisi economica e democratica e, direi soprattutto, la debolezza dello spirito civico-> cultura individualista e consumismo senza relazioni basate sulla reciprocità. Tutto ciò è aggravato dal fatto che le politiche italiane, dette “d’integrazione”, hanno la caratteristica di riassumere il peggio dei modelli tipici di altri paesi europei: • vetero-tedesco: le persone immigrate sono considerate e trattate al pari di lavoratori ospiti, forza lavoro temporanea e, di conseguenza, ricattabili e sfruttabili; • assimilazioniste: pretesa che le persone immigrate aderiscano al sistema culturale e valoriale italiano, senza ovviamente conferire loro i diritti di cittadinanza; • multiculturaliste: perlopiù tendono a etnicizzare (considerare secondo le origini) le minoranze di origine immigrata. Non va assolutamente dimenticato che il razzismo italiano attuale è anche frutto del mito degli italiani brava gente, che è servito a coprire un passato vergognoso segnato dall’antigiudaismo cattolico e dall’antisemitismo fascista. Il razzismo non serve solamente a creare dominanti-dominati ma serve a unire i dominati, un esempio in merito ce lo offre la Lega Nord; in una società razzista il pregiudizio ha conquistato le classi popolari (o viceversa), abbiamo una saldatura tra razzismo istituzionale e razzismo popolare-> masse popolari sfogano il rancore che provano per svariati motivi su un capro espiatorio. 3. Il sessismo Il termine sessismo ha una storia piuttosto recente, infatti è stato coniato e definito nel corso degli anni Settanta nell’ambito del movimento studentesco nordamericano; il concetto e il termine sono stati modellati per analogia con il razzismo: come il Razzista è colui che proclama e giustifica la supremazia di una razza su un’altra, così è Sessista chi proclama e giustifica la supremazia di un sesso sull’altro. Partendo da questo assunto, la definizione di sessismo quindi potrebbe essere l’insieme di idee, stereotipi e pregiudizi, norme giuridiche e pratiche sociali che concorrono a legittimare la gerarchia e la disuguaglianza tra i sessi. Necessario a questo punto è parlare della distinzione tra la categoria biologica di sesso e quella storico culturale di genere: la categorizzazione binaria maschile/femminile deve essere gerarchizzata e la gerarchizzazione discende NON dalle differenze sessuate, ma dai processi di appropriazione delle donne, finalizzati in primo luogo a controllarne la funzione riproduttiva. Alcune femministe ritengono che le differenze tra i generi non siano tutte frutto di un processo storico e di una costruzione culturale: alcune tendono ad esaltare le particolarità della donna e a individuare “l’essenza della femminilità” nel simbolo della maternità o nella propensione naturale alla cura. Quanto appena detto è una posizione che rischia di annullare la storicità dei rapporti sociali perché postula che il sistema gerarchico di relazione si basi sulla natura stessa della differenza. Le pratiche e il linguaggio danno per scontato che il “noi”, il “normale” e quindi l’universale sia il maschio bianco eterno, gli “altri” sono il particolare: questo significa che il maschio bianco si fa misura di tutte le cose. Sessismo: • Sistema di dominio complesso; • Dispositivo ideologico che naturalizza la gerarchia formatasi. Noi rifiutiamo il naturalismo1 perché non ci sono le basi scientifiche per dire che sia lecito a categorizzazione binaria e, in fondo, la motivazione non si fonda sulla differenza biologica (basta veder il sessismo verso i gay o verso gli etero considerati “poco virili”, in merito la loro inferiorizzazione viene descritta tramite una sorta di “infemminizzazione”), la motivazione si trova soprattutto nel voler controllare la donna e la sua attività riproduttiva: la donna infatti viene vista come una risorsa di proprietà maschile perché permette loro di riprodursi. Sotto certi aspetti andare a richiudersi in un sistema egualitario non è conveniente: se a livello puramente teorico sarebbe un principio di per sé giusto, applicato va ad evidenziare i danni nei confronti delle lavoratrici le quali, già costantemente discriminate sul mercato del lavoro e con paghe decisamente inferiori agli uomini, si ritrovano nel modello familistico non solo a lavorare fuori casa tot ore, ma con anche una gran mole di lavoro domestico da svolgere e dei figli da allevare2. L’obbiettivo non è l’emancipazione delle donne, ma la loro liberazione. 1 Ruota intorno alla categoria biologica di sesso e intorno a quella storica di genere. 2 In merito si veda Il punto zero della rivoluzione di Silvia Federici. CAPITOLO 25 1. Specismo, sessismo e razzismo: un legame genealogico? Per entrare nello specifico, occorre precisare che pur non essendo, sessismo e razzismo, sovrapponibili, sono comunque legati da un rapporto di analogia. Le due categorie presentano numerose parentele morfologiche: • Razza: i tratti istituiti come razziali sono adoperati come marchi intesi come manifestazione dell’essenza o della sostanza di una categoria globalizzante, alla quale gli individui apparterrebbero a tal punto da non essere considerati più veri e propri individui, ma tipi rappresentanti di una categoria; • Genere: il segno distintivo scelto è il carattere sessuale (caratteristica biologica) al punto che non si ha più questo o quel sesso ma si è quel sesso, in quanto esso va a determinare la nostra identità. In sintesi, si può dire che nella nostra cultura, come in altre, l’identità di genere è concepita e istituita come: • Oggettiva: perché radicata nella biologia (ossia nel sesso); • Attribuita alla nascita una volta per sempre; • Prevalente: rispetto ad altri indicatori dell’identità; • Esclusiva: i caratteri attribuiti a un genere non lo sono all’altro. In molte società la differenziazione dei sessi dà luogo alla costruzione della gerarchia tra i generi: il genere femminile viene istituito come parzialità e particolarità mentre il genere maschile viene identificato con l’umanità e la generalità. Inutile precisare che non in tutte le società è così, le categorie di genere e la ripartizione dei compiti per come le conosciamo non sono fenomeni a valore universale ma sono costruzioni culturali. Prendiamo due esempi geograficamente molto distanzi tra di loro: • Inuit: per loro ogni essere umano è la reincarnazione di un individuo vissuto in precedenza, dal quale ogni nuovo nato riceve il nome, l’identità sessuata, la personalità sociale e le relazioni parentali dell’antenato morto. I bambini saranno allevati secondo il sesso dell’antenato fino al momento della pubertà, quando dovranno cominciare ad agire secondo il sesso in cui sono nati, pur conservando le caratteristiche dell’antenato per tutta la vita. • Nuer: questa popolazione del Sudan meridionale concepiva la paternità come una prerogativa che apparteneva alla persona che versava il compenso matrimoniale alla famiglia della sposa. Di conseguenza una donna sterile che non poteva trovare un partner di sesso maschile, poteva sposarsi con un'altra donna e quindi essere riconosciuta come padre dei figli che avrebbe avuto da partner maschili. Riprendendo il filo del discorso sui legami fra sessismo e razzismo conviene aggiungere che, ben oltre il rapporto di analogia, ve n’è uno di interconnessione: i processi verso gli “estranei” di inferiorizzazione e di razzializzazione appartengono a un sistema storico costituito da forme complementari di esclusione e dominio. Come scrive il filosofo francese Etienne Balibar un’ipotesi plausibile è che la comunità razzista e la comunità dei maschi siano una sola comunità, se è vero che tutte le categorie dell’immaginario razzista sono sovradeterminate sessualmente; tutto questo si riflette nei processi di categorizzazione e nel linguaggio. A proposito del noi maschile maggioritario, la Guillaumin osserva che, anche quando la categoria “uomo” è usata per identificare il maschile, allude sempre alla specie umana e alla sua totalità; al contrario “donna” identifica automaticamente la categoria sessuale femmina e NON la generalità umana. Da qualche decennio in alcuni paesi occidentali è in corso una “correzione del linguaggio in senso non sessista. Ovviamente questo discorso non interessa l’Italia e non c’è nemmeno da meravigliarsi: in un paese dove i politici e la comunicazione umilia la donna, come potrebbe esserci un parlare politicamente corretto? In un paese dove esiste la “filosofia” del celodurismo e dove il capo del governo in occasioni pubbliche fa battute squallide e maschiliste, come potrebbe essere altrimenti? 5 Il riferimento è alla natura, la riduzione è alla merce. Infine, sessismo e razzismo sono legati da un certo rapporto di continuità, nel senso che probabilmente le varie forme di razzismo hanno imitato l’esperienza e il modello della relazione asimmetrica e/o di dominio fra i generi. Si può ipotizzare infine che sessismo e razzismo siano a loro volta in rapporto con lo specismo, cioè l’ideologia della centralità e della superiorità della specie umana su tutte le altre, l’azione addomesticatrice di animali e non-umani porta alla distinzione tra cultura e natura. Le tre forme di dominio su citate hanno in comune un obbiettivo: L’ANNULLAMENTO DELL’ALTRO DA SE’ 2. La metafora zoologica Si pensa che il dominio sulla natura abbia innescato il processo di svalutazione degli altri esseri viventi e del genere femminile, in effetti in tutti e tre i sistemi non mancano riferimenti alla natura ostile da soggiogare e fecondare. Come spiega Balibar la questione è una sola-> la differenza tra umanità e animalità. Il neorazzismo fa finta di abbandonare i riferimenti alla biologia parlando di cultura, etnia, eredità e via discorrendo, è un abbandono finto però perché sono processi che vengono sottratti alla storia e quindi naturalizzati. Nella semantica occidentale dei rapporti di dominio, il ricorso alla metafora dell’animalità è una tendenza costante: per inferiorizzare gli altri e il genere femminile si usano spesso le figure metaforiche dell’infra-umanità o, peggio, della sub-umanità, elaborate sulla base del riferimento alla bestialità, alla parte più oscura, pericolosa e negativa attribuita agli animali. Nei razzismi biologici dell’Ottocento, la donna è rappresentata come portatrice di caratteristiche simili al mondo animale: in merito Lombroso diceva che in una donna c’è un uomo arrestato nel suo sviluppo, una donna normale è quindi una semicriminaloide innocua; quanto al razzismo coloniale, esso colloca il genere femminile al culmine della scala della bestialità delle “razze negre”. Tanto il sessismo quanto il razzismo presentano vari esempi di stereotipi e immagini degradanti, in particolare di metafore zoologiche: si pensi a quanto sia consueta e diffusa l’immagine della donna come “cagna”, cioè come essere dalla sessualità animalesca ed indomabile, o Oriana Fallaci che paragona i musulmani a dei topi, immagine poi ripresa da Salvini. A istituire analogia e continuità tra specismo, razzismo e sessismo, vi è un altro dispositivo comune: la tendenza a negare a coloro che appartengono a gruppi alterizzati ogni individualità, singolarità, soggettività: chi è oggetto di categorizzazioni omologanti e/o squalificanti non è percepito in quanto individuo singolare e soggetto, viene creato un mega gruppo omogeneo per poi contrapporlo al Noi. Colette Guillaumin e Jacques Derrida spiegano che l’animalità o l’animale (categorie che includono specie non umane) si contrappongono alla specie umana-> medesimo dispositivo che sta alla base del sessismo e del razzismo: noi (maschi bianchi occidentali dominanti) opposti a tutti gli altri. Necessario a questo punto è mostrare la parzialità di questo pensiero occidentale e moderno che si basa sulla polarità tra soggetto umano e oggetto animale (natura e cultura) e nega a questi il fatto di essere soggetti sensibili. Vorrei anche ribadire che per culture non occidentali questa affermazione è un’emerita baggianata, deducendo quindi che non è una universalità, ma una particolarità tra tante. 3. Reificazione e mercificazione Il concetto di REIFICAZIONE è indispensabile per comprendere meglio i dispositivi sessisti e razzisti: la reificazione è una disposizione e una pratica sociale routinaria che conduce a trattare soggetti diversi da noi come oggetti inerti o addirittura come cose o merci. Il filosofo Alex Honneth osserva che esiste un legame molto stretto tra reificazione e razzismo: la pratica sociale che consiste nell’osservare in maniera distanziata e nel cogliere in modo strumentale altre persone si rafforza nel momento in cui trova un sostegno cognitivo in tipizzazioni reificanti-> in tal modo si costituisce un sistema di comportamento che permette di trattare come “cose” i membri di determinati gruppi di persone. Secondo Gyorgy Lukàcs man mano che il capitalismo si produce e si riproduce economicamente a un livello sempre più elevato, la reificazione si insedia sempre più profondamente nella coscienza umana, diventando quasi una seconda natura. È innegabile che il sistema capitalistico abbia portato la reificazione alle conseguenze estreme della mercificazione dei viventi Si pensi alla crescente mercificazione del corpo femminile che si produce tramite la pubblicità, la tv e altri media, in poche parole tramite lo spettacolo oppure ai processi di mercificazione che investono gli animali, in particolare quelli da reddito, sono totali al punto che le industrie di sfruttamento dei “non umani” non parlano più soltanto di riproduzione ma di produzione dell’animale. La tendenza a reificare i viventi è all’opera nello sfruttamento della forza lavoro di certe categorie di migranti clandestinizzati (non sono umani ma braccia da lavoro, mezzi transitori). Come in passato il potere maschile è un potere senza autorità, nel senso che è sempre stato obbligato a creare nuovi dispositivi e linguaggi per simulare l’autorevolezza maschile e occultare l’eventuale femminile- > anche nelle società più segregazioniste le donne hanno autorità in certi ambiti, ed è un’autorità taciuta nella sfera pubblica. Abbiamo ai giorni nostri anche una crisi della sessualità maschile, data dal crollo della barriera fra i ruoli sessuali e dai nuovi modelli (anche di sessualità) dati dalla società dello spettacolo: oggi la narrazione della virilità è divenuta meno credibile rispetto al passato e oggi, più di prima, l’uomo è spaventato dall’immagine dell’intraprendenza delle donne più che da una loro autonomia effettiva, che in Italia è infruttuosa in quanto non si riesce a tradurre in un’azione politica effettiva. Per concludere potremmo dire che se in Italia il fenomeno della donna-tangente è tanto evidente e diffuso è anche a causa della scandalosa mortificazione del ruolo, del corpo e dell’immagine della donna. CAPITOLO 37 1. Il trattamento simbolico e biotipico: una tipologia Il corpo del/della migrante è il luogo geometrico di tutti gli stigmi imposti dalla società come prodotto sociale; un corpo che è tormentato, controllato, educato e che porta con sé un’identità sociale oggettivata dallo sguardo altrui e per questo dominata-> il corpo non è mai neutro=corpo sociale. di seguito faremo un elenco di alcune tipologie di modi in cui sono percepiti e rappresentati i corpi delle persone migranti: I. Invisibilizzazione/iper-visibilizzazione dei corpi: la prima tipologia oscilla tra queste varianti, un esempio di questa tendenza è l’abitudine delle forze dell’ordine italiane di costringere ragazze o donne rom, sospettate di nascondere droga, a denudarsi per strada. Altri esempi li vediamo con le persone immigrate che, nei cantieri o nelle fabbriche, sono occultate dal velo del disconoscimento e dell’insignificanza, o dalle donne straniere che svolgono lavori di cura nelle case private, il cui lavoro raramente viene riconosciuto per quello che è, tranne quando viene reso visibile al fine di essere insultato (in merito si veda Calderoli)-> pilastro che tiene su il welfare state italiano. Anche ciò che viene considerato “tipicamente italiano” (padroni a casa nostra) è il risultato del lavoro delle persone migranti, un lavoro inutile dirlo non in regola e malpagato. Quando si tratta di stranieri, la cronaca è sempre attenta ad etichettare i presunti autori o autrici di reati con l’indicazione della nazionalità mentre è solita evitare questa informazione quando lo straniero è la vittima. Nei casi poi di stupri e femminicidi, il sistema dell’informazione di solito tende a enfatizzare quelli commessi da stranieri, talvolta facendone oggetto di campagne allarmistiche. Abbiamo quindi casi in cui ci sono vittime e carnefici perfetti, altri invece che non sono idonei e che passano in sordina; II. Stereotipizzazione: i corpi reali scompaiono in favore di corpi immaginati e immaginari, costruiti appunto sulla base degli stereotipi. Il genere plurale o il nome collettivo cedono il posto al genere singolare, il più delle volte non si tratta altro che di tipi, se non maschere, irrigiditi da cliché e stereotipi che riguardano anche, e soprattutto, la rappresentazione dei corpi: alcuni esempi possono essere l’immigrato stupratore e la zingara rapitrice di bambini; III. Indistinzione-magmatizzazione: la cronaca, quando si occupa degli altri, spesso ci propone immagini che rimandano a un corpo collettivo, a un indistinto magma corporeo, dal quale sono cancellati i confini individuali-> esempio delle imbarcazioni gremite di “feccia” umana”; IV. Distinzione-marchiatura: sono tutte quelle procedure simboliche e amministrative di tipo biopolitico8 che incidono ed estraggono lo stigma sui/dai corpi altrui, nella forma della marchiatura vera e propria come il numero impresso sulle braccia dei clandestini a Lampedusa. In Italia vediamo la vicenda dei rilievi dattiloscopici riservati a rom, profughi e migranti. Il confinamento nei lager di stato è il miglior esempio che rappresenta questa tipologia. 7 I corpi altri: rappresentazioni, stigmi, violazioni 8 Implicazione diretta e immediata tra la dimensione della politica e quella della vita intesa nella sua caratterizzazione biologica-> agire politico si è sempre rapportato alla vita e reciprocamente la vita ha sempre costituito il quadro di riferimento delle dinamiche socio-politiche. 2. Corpi femminili violati Vi sono ambiti e condizioni storiche in cui si possono cogliere analogie e connessioni concettuali fra sesso e razzismo. Per fare un esempio storico, l’intreccio tra sessismo e razzismo si è palesato nella guerra civile in Jugoslavia con lo stupro delle donne della parte avversa, la cui cosa nasconde un desiderio o una volontà di annientamento dell’identità e dell’integrità femminile. Quel che è accaduto in Bosnia è successo anche in Kosovo, in Algeria, in Ruanda, in Somalia e in altri paesi africani in cui l’invenzione dell’ivorianité aveva lo scopo di escludere dalla vita politica del paese alcuni gruppi di popolazione, portando a terribili violenze contro i “falsi ivoriani” e a stupri di massa-> Lo stupro è finalizzato a colpire le potenziali generatrici di futuri nemici, a contaminarlo con il proprio seme, costringendole a generare figli “bastardi” oltre che a umiliare e piegare gli uomini della parte nemica; lo stupro non è una conseguenza della guerra ma è un’arma che affianca le operazioni belliche. Il corpo di una donna violentata diventa un campo di battaglia rituale. L’atto compiuto su di lei è un messaggio trasmesso da uomini ad altri uomini; lo stupro inoltre è anche un mezzo per alterizzare il gruppo rivale e confermare/ristabilire la propria identità. La violenza razzista e sessista si può ben vedere nelle imprese coloniali, le donne africane ad esempio furono vittime di una triplice violenza che le stigmatizzata per sesso, razza e classe. I meccanismi che guidano gli stupri di massa possono sembrare arcaici, basta pensare all’Iliade dove la razzia di donne faceva parte del bottino di guerra o al famoso ratto delle Sabine, ma il fatto che queste cose sono arrivate fino a oggi ci fa pensare che il sadismo e la volontà di annientare le donne siano all’opera dentro la nostra stessa società, in forme più o meno latenti. Forme di tale violenza ha come vittime anche i maschi e ne sono la prova le orribili immagini delle atrocità commesse dagli americani ad Abu Ghraib (Iraq), dove abbiamo purtroppo un catalogo di de-umanizzazione e bestializzazione degli altri che arriva fino alla profanazione dei cadaveri. Protagoniste di questo inferno furono anche donne soldato americane, condannate poi per tortura e crimini di guerra. 3. La superiorità degli inferiori I dispositivi degradanti con i quali i corpi altrui vengono rappresentati sembrano comuni a molte epoche storiche. Volpato ricorda che il colonialismo italiano in Africa fece ricorso a due generi di dispositivi di tal genere: quello che categorizzava i neri come creature subumane quasi animalesche, e quello che mostrificava i meticci collocandoli nella sfera delle creature superumane negative, di natura quasi diabolica. Anche quest’ultima procedura simbolica, che fa dell’altro un mostro, accomuna moltissime società. Di questo razzismo paranoico abbiamo numerosi esempi che ne illustrano la tendenza ad attribuire alle donne, ai selvaggi e ai neri una superiorità abnorme: la fantasia di un potere femminile occulto, ottenuto mediante l’alleanza con il demonio nel caso delle streghe; l’esaltazione illuministica della saggezza del “Buon selvaggio” o ancora l’attribuzione agli ebrei di un’intelligenza superiore-> l’antisemitismo nazista illustra in modo esemplare la tendenza ad attribuire agli alterizzati un potere mostruoso. Come scrive Stefano Levi della Torre, il successo del razzismo sta nel suo appello narcisistico-> potete e dovete sentirvi migliori e più belli degli altri e la paura degli altri, la creazione di capri espiatori, serve a sentirsi vittime esenti da responsabilità per nutrire la tenerezza verso se stessi e, quindi, giustificare la violenza come autodifesa. Casi simili sono rintracciabili in certe forme di razzismo dei giorni nostri (si veda la Lega) e anche in molte espressioni del sessismo: in quanto appartengo al sesso superiore io, sfruttato e umiliato e probabilmente proprio per questo, posso sentirmi superiore a mia moglie, alle mie sorelle e alle mie figlie e quindi posso spadroneggiare ed opprimere. L’alterizzazione può compiersi anche nella forma dell’attribuzione di una superiorità mostruosa: l’antisemitismo in particolare ha sempre fatto ricorso ad un meccanismo vittimario straordinariamente simile a quello del capro espiatorio sperimentato contro le donne con la caccia alle streghe. Quanto alla sessualità femminile, anch’essa ha ispirato molte fantasie e mitologie di tipo paranoide: dal mito arcaico della vagina dentata fino ai miti moderni della donna possessiva e castrante.; tutti questi miti sono l’altra faccia dell’ideologia che riduce il genere femminile a puro sesso. Fra questi miti si può citare un luogo comune dell’immaginario coloniale razzista: l’attribuzione agli altri di una sessualità bestiale e depravata, di una potenza o sfrenatezza sessuale mostruosa e, per questo, di naturale propensione allo stupro. 2. Le gerarchie di genere, classe e status In questo paragrafo cercheremo di definire che cos’è l’intersezionalità. A determinare nella realtà le gerarchie sociali vi è l’interconnessione fra le relazioni di genere, di classe, di status e interetniche-> relazioni che a loro volta si combinano con altre dinamiche di categorizzazione e di strutturazione gerarchica della società come la generazione, l’orientamento sessuale, la nazionalità, l’accesso ai diritti, la specie... Il presupposto alla base dell’approccio detto intersezionale è che le diverse forme di gerarchizzazione e dominio non vanno considerate come separate o addizionali, poiché nelle loro dinamiche come negli effetti reali sono interconnesse e interattive. Quanto detto sta a significare anche che una persona può essere al tempo stesso dominante e dominata, per non essere vittima mi sposto dal lato dell’oppressore-> immigrato che vota lega o gay che vota la Meloni. Da una parte il termine intersezionalità indica il tentativo di mettere a fuoco la questione della posizione dei soggetti all’interno dei sistemi di potere e di dominio in quanto in continua trasformazione a causa di fattori che cambiano, come il sesso, la razza, la classe, l’orientamento sessuale e via dicendo. In parole povere possiamo dire che, nelle dinamiche di intersezionalità, ci sono così tante variabili da considerare che un qualsiasi tipo di generalizzazione sarebbe del tutto controproducente proprio perché NON esiste un soggetto omogeneo. Se si generalizzasse allora verrebbe fuori una dicotomia perfetta dove da una parte abbiamo la maggioranza che discrimina e opprime e, dall’altra, la minoranza oppressa e discriminata: da qui ci si aspetterebbe un gruppo contro l’altro, eppure, nelle reali dinamiche sociali le cose sono ben più intricate di così e lo possiamo vedere nei rapporti di genere-> il sistema patriarcale non si perpetuerebbe se non ci fosse appoggio da una parte del genere femminile: la mercificazione del corpo femminile non ci sarebbe se non ci fosse anche la condiscendenza delle donne, ansiose di raccogliere il consenso e le briciole del potere maschile. Contemporaneamente con intersezionalità ci si riferisce anche ad uno specifico approccio teorico nato dal tentativo di superare i limiti di un’analisi centrata sull’asse prioritario della differenza di genere e in cui il sessismo viene considerato come isolato e/o disgiunto da altri rapporti di dominio. 3. Femminismo ed etnocentrismo La genealogia dell’intersezionalità affonda le radici nelle prime manifestazioni del cosiddetto Black Feminism nato fra gli anni Sessanta e Settanta, quando le femministe afroamericane cominciarono a muovere delle critiche verso il White feminism e al suo orientamento “universalista” totalmente inutile in quanto con la sua “filosofia” non poteva includere le condizioni delle donne non bianche, non borghesi e non etero: in questo caso abbiamo il razzismo e l’etnocentrismo attuali che si sommano e vanno a creare dei nuovi processi gerarchizzati. Fra le figure più importanti del Black Feminism vi sono Angela Davis e Bell Hooks, le quali nei loro scritti denunciano come il vissuto delle donne nere, lo sfruttamento e le discriminazioni che subiscono non abbiano trovato posto né nel movimento di liberazione degli afroamericani né in quello femminista. Il Black Feminism fa notare che la critica mossa alla famiglia come luogo di oppressione da parte del neofemminismo, non corrisponde alle esigenze delle donne nere, le quali trovano nella famiglia estesa un rifugio dall’oppressione11 e ancora, il white feminism rivendica il diritto all’aborto mentre il black feminism rivendica il diritto al mettere al mondo dei figli. Bell Hooks sostiene che l’ideologia universalista è in realtà il riflesso di una condizione sociale peculiare, quella di donne bianche appartenenti alla classe media; per andare oltre questo pensiero che contribuisce a rafforzare l’ideologia del dominio e della supremazia, sarebbe necessario esaminare e tener conto dell’intreccio fra le dinamiche del patriarcato e quelle del capitalismo e del razzismo, e soprattutto non separare la lotta contro il sessismo dalla lotta contro lo sfruttamento e il razzismo-> non si possono cancellare queste differenze pretendendo di rifugiarsi sotto un’ipotetica sorellanza universale. Un’altra critica mossa al neofemminismo è l’aver reso le donne del terzo mondo tutte uguali, raggruppate in un unico soggetto monolitico e questa cosa la notiamo con l’affaire del velo in Francia: l’etnocentrismo di alcune tendenze che si definiscono “femministe” sostiene implicitamente che non esista altra forma di 11 Bell Hooks ci dice che le donne nere hanno resistito al dominio suprematista bianco costruendo un focolaio domestico liberazione se non quella mainstream su citata. Il movimento Ni putes, ni soumises ha creato un unico colpevole per le violenze di genere: il maschio arabo dei quartieri popolari, minimizzando il problema delle violenze di genere e vedendo il sessismo come un fenomeno importato! 4. Limiti e ritardi del femminismo italiano In Italia, si sa, l’islamofobia è presente e non accenna a diminuire, mascherandosi come difesa di una laicità fittizia, visto che non vale per i simboli cattolici, che sente il peso della presenza del Vaticano; a capo della battaglia contro i simboli e i luoghi di culto musulmani abbiamo praticamente tutta la destra politica, tra cui esponenti femminili come Daniela Santanché che militava nelle fila di Berlusoni. La Santanchè si è fatta protagonista di diverse azioni islamofobe come l’irruzione alla cerimonia di fine Ramadan e il tentativo di togliere il velo a una ragazza musulmana e poi vari ed eventuali insulti “non nel privato”. Prendiamo in esame l’appena citata battaglia contro il “velo”12: una piccola schiera di femministe ha fatto di questa battaglia una missione civilizzatrice-> svelare le indigene, emancipazione forzata e modernizzazione nelle relazioni di genere è sempre stato il cavallo di battaglia per il consenso delle imprese coloniali e neocoloniali<- visione eurocentrica dell’emancipazione!! Il femminismo italiano non ha ancora indagato l’intreccio che c’è tra razzismo e sessismo e probabilmente è a causa del retaggio della sinistra degli anni Settanta che, nel bene e nel male, decontestualizzava e generalizzava la storia, abbracciando tutte le ragioni delle lotte di liberazione senza distinzione, cancellando le specificità storico e culturali delle esperienze. Il neofemminismo italiano non ha mai tenuto in considerazione più di tanto il razzismo di casa propria, si è ispirato al movimento di liberazione afroamericano per quanto riguarda simboli e metafore (Donna=Nero) ma non ha mai messo in campo la lezione politica che esso impartiva, non ha mai di fatto analizzato l’intreccio tra razzismo, sessismo e classe in Italia-> non ha ricavato insegnamenti dai movimenti internazionali per indagare il peso che ha avuto il colonialismo e il riemergere della xenofobia in Italia. Questa tendenza è stata facilitata probabilmente anche dall’affermarsi del pensiero della differenza13, il quale non permette di comprendere l’intreccio tra razzismo e sessismo e possiamo trovarlo come principio in varie retoriche leghiste14 e arriviamo anche alla proposta di un razzismo compatibile!! In Italia sembrano essere precipitati i freni inibitori perché abbiamo una classe politica che si permette di dar voce ai peggio pensieri e luoghi comuni razzisti, arrivando addirittura ad incitare i pogrom. Una risposta politica importante a questa tendenza che, tra le altre cose, etnicizza lo stupro, fu la manifestazione nazionale femminista all’indomani dell’omicidio Reggiani, avvenuto il 30 ottobre 2007 a Roma: quel femminicidio, attribuito a un rom di nazionalità rumena, fu oggetto di una campagna politica e mediatica forsennata che vide fra le iniziative istituzionali la distruzione dell’accampamento in cui viveva il presunto omicida e la convocazione urgente e straordinaria di un Consiglio dei ministri. 12 Velo come simbolo e strumento di oppressione delle donne 13 C’è una differenza principale che subordina tutte le altre 14 Vedi nota a p. 136 giravano per strade con usi e costumi che i locali trovavano orribili CAPITOLO 5 1. Andare oltre l’universalismo particolare Il pensiero femminista, seppure negli anni più recenti abbia rivendicato la piena applicazione dei pensieri liberali e universalisti dove gli occidentali (noi) sono i portatori della civiltà, della modernità e hanno un ruolo pedagogico sugli altri, è arrivato a criticare il principio dell’universalismo particolare secondo cui l’umanità è bianca, maschile, europea. In Francia, dopo la faccenda mediatica del “velo” islamico e l’approvazione della legge abolizionista, il femminismo sembra aver assunto un’inclinazione differenzialista, che pur non esprimendo giudizi di valore, superiorità di una popolazione o di una minoranza sulle altre sostiene l’incomunicabilità fra le diverse culture, portando a chiusura, discriminazione ed esclusione<- differenzialismo ben accolto dalle destre, ci fa capire che ora più che mai è necessario articolare in modo diverso uguaglianza e differenza. Questo tema a sua volta rimanda alla questione dei cosiddetti modelli di integrazione. Il modello multiculturalista all’anglosassone, detto anche d’integrazione collettiva, riconosce alle minoranze diritti collettivi a differenza del modello alla francese che riconosce solo diritti individuali. Il pensiero femminista dovrebbe tendere al superamento tanto del modello universalista quanto di quello differenzialista. Il principio basilare per poter convivere tra uguali e diversi e per riuscire ad instaurare un confronto e il dialogo, è quello di decentrarsi e mettere in discussione i propri usi e costumi, assumendo una postura critica e relativista. 2. Le modificazioni genitali femminili: una controversia esemplare Per cercare di capire meglio cosa sia la postura critica e relativista, la Rivera ci propone la questione che ruota intorno alle Modificazioni Genitali Femminili-> per prima cosa bisogna tentare di rendere comprensibile un sistema simbolico e gli usi e costumi a noi totalmente sconosciuti. Questo non significa accettarli ma cercare di capirne le logiche concettuali e ricostruirne il contesto!! Il superamento della pratica non potrà mai avvenire “grazie” alla pretesa pedagogica elaborata in occidente e nemmeno grazie a norme repressive che non ammettono alcun dialogo: come detto pocanzi è necessario un lavoro di “traduzione” dei codici, mediazione e dialogo per poter capirne la complessità sociale e culturale e, sicuramente, gli stereotipi e i toni allarmistici sono la cosa più lontana e inutile dalla comprensione e dal suo eventuale abbandono. Le MGF sono delle pratiche permanenti di modificazioni del corpo per accentuare la differenza di genere e, allo stesso tempo, valgono come marchi identitari; i gruppi sociali in cui si praticano sono attraversati, come tutti i gruppi d’altronde, da disuguaglianze e conflitti e queste pratiche comprendono un’area vasta ed eterogenea, almeno 40 paesi in cui ogni anno 3 milioni di bambine si aggiungono alla schiera di ragazze e donne che hanno già subito qualche forma di modificazione dei genitali. Sotto la formula “Mutilazioni genitali femminili” l’Organizzazione mondiale della sanità comprende quattro pratiche, dalla meno alla più invasiva: • puntura al prepuzio clitoride; • resezione del clitoride; • circoncisione “faraonica”: consiste nella escissione parziale o totale dei genitali esterni; • cucitura della vulva: lascia aperto solo un foro per l’urina e sangue mestruale. Sono praticati in tempi diversi e spesso, l’anticipo di queste pratiche, cancella il significato di rito di passaggio facendolo diventare sempre di più un marchio distintivo di genere. Anche la nostra società con piercing, scarnificazioni e chirurgia estetica pratica delle modificazioni corporali perenni ma sono ormai assimilate nella nostra cultura e, quindi, accettate e “normali”. Chiamarle mutilazioni si cade nell’etichetta frutto di una valutazione etnocentrica in quanto “analizza” e prende la pratica fuori dal suo contesto culturale: le Mgf erano parte di un rito di rimodellamento del corpo femminile secondo un canone di bellezza e purezza socialmente accettato e condiviso.
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