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la camera chiara riassunto, Sintesi del corso di fotografia

libro la camera chiara riassunto

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 08/01/2018

ElisaPi91
ElisaPi91 🇮🇹

4.6

(79)

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Scarica la camera chiara riassunto e più Sintesi del corso in PDF di fotografia solo su Docsity! LA CAMERA CHIARA È un saggio che Roland Barthes scrisse nel 1979, a pochi mesi dalla morte. Il saggio si divide in due parti. Nella prima. B. muove da un desiderio “ontologico”, perché vuole sapere a ogni costo, cos’è <in sé> la fotografia, e compie delle riflessioni che in definitiva gli permettono di definire solo come procede il suo desiderio. Barthes finisce dunque la prima parte del suo saggio senza avere in mano la natura (l’eidos) della Fotografia. La seconda parte del libro continua la ricerca ma, invece di farsi concettoso e denso, il discorso si espande al lirismo più tenero e personale. Barthes parla della morte di sua madre e di una foto, una sola tra le tante guardate, che lo riporta alla sua vera essenza. I PARTE 1. Di fronte a una foto del fratello di Napoleone, Barthes non può far altro che esclamare <Sto vedendo gli occhi che hanno visto l’Imperatore> . Il suo è uno stupore incompreso dagli altri, quindi dimenticato. Da qui l’interesse per la fotografia assume in lui una coloritura culturale. Decreta di amare la fotografia in opposizione al cinema, dal quale tutta via non riesce a separarla. Inoltre, Muove da un desiderio “ontologico”, perché vuole sapere a ogni costo, cos’è <in sé> la fotografia, cosa la distingue dalle vasta comunità delle immagini, per comprendere se in essa vi fosse un vero e proprio genio. 2- 3 Le prime caratteristiche che Barthes rinviene nella sua analisi sono: • INCLASSIFICABILITÀ: La fotografia per sua natura si sottrae alle classificazioni; tutte le possibili ripartizioni - empiriche (dilettanti/ professionisti), retoriche (paesaggi/nudi/ritratti) o estetiche (realismo/ pittorialismo) – si estraniano dall’ oggetto non hanno rapporto con la sua essenza. Essenza che non può essere che il Nuovo. Queste classificazioni potrebbero invece applicarsi all’antico. • RIPRODUCIBILITÀ: infinita di ciò che è avvenuto solo una volta. La fotografia ripete meccanicamente ciò che non potrà mai ripetersi esistenzialmente. • CONTINGENZA ASSOLUTA: essa dice: questo, è proprio questo, è esattamente così! Ma non dice nient’altro, non trascende l’accadimento. È il Tale (la tale foto, e non la Foto) • REFERENZIALITÀ: la foto per sua natura ha qualcosa di tautologico (nella foto la pipa è sempre una pipa), porta sempre con sé il suo referente (ciò che rappresenta) in una dualità inseparabile e insanabile. La fotografia appartiene, infatti, a quella classe di oggetti fatti di strati sottili, impossibili da separare senza distruggerli. Dato che il referente aderisce e rende difficoltoso mettere a fuoco la Fotografia, ciò che essa è in sé. E che i libri che parlano di fotografia sono vittima di questa difficoltà e, tra l’altro (tecnici, storici o sociologici) non parlano delle foto che interessano Barthes, delle foto che ama; l’autore, restio alla classificazione entro un sistema riduttivo, decide di assumere come punto di partenza solo poche foto, considerate <vere ed esistenti per lui>, tentando un approccio dal personale all’universale. Una Mathesis singularis (non universalis). 4. In una prima fondamentale distinzione, una foto può essere l’oggetto di tre pratiche (o intenzioni): fare, subire, guardare. Da qui la conseguente distinzione tra: • Operator: fotografo • Spectator: tutti noi che compulsiamo e godiamo del prodotto fotografico • Spectrum: colui o ciò che è fotografato, il bersaglio, il referente. (Sorta di simulacro emesso dall’oggetto. La scelta del termine non è casuale, dato che attraverso la sua radice questa parola mantiene un rapporto con lo “spettacolo” aggiungendovi qualcosa di vagamente spaventoso, il “ritorno del morto”). Secondariamente, in una definizione di ordine tecnico, la Fotografia è vista come incontro di due procedimenti distinti: • chimico (l’azione della luce su determinate sostanze) • fisico (la formazione dell'immagine attraverso un dispositivo ottico). Barthes sottolinea come sembri che la Fotografia (l’essenza della fotografia) dello Spectator abbia origine dalla rivelazione chimica dell'oggetto, e come viceversa la Fotografia dell'Operator sia legata alla visione delimitata dal buco della serratura della camera oscura. Barthes attua la sua analisi dal punto di vista del soggetto guardato/guardante, non dell’operator. 5. Secondo la sua esperienza personale B. afferma che, colui che è fotografato (lo SPECTRUM) nell'atto in cui è fotografato tende ad avere un atteggiamento di "posa", cioè, a trasformarsi anticipatamente in un immagine; questa trasformazione è attiva: la fotografia crea, o mortifica il nostro corpo. Il fotografo, metaforicamente parlando, "ci dà la vita". Allo stesso tempo, però, il fotografato vive l’angoscia di una fissazione incerta (come sarò??, sembrerò in gamba? Bello? di cui non era consapevole. Ne consegue una serie di "sorprese" fotografiche: 1. LA SORPRESA DEL RARO: la rarità del referente, osservata con ammirazione 2. IL NUMEN: l’azione istantanea. Immobilizzare una scena rapida nel suo momento decisivo. 3. LA PRODEZZA: ad es. una foto scattata al milionesimo di secondo (la goccia di latte che cade di D. Edgerton) 4. CHE VIENE DALLE CONTORSIONI DELLA TECNICA: cioè da sfocatura, sovraimpressioni, inquadratura fuori centro. 5. LA TROVATA • SIGNIFICARE: essendo la fotografia contingente, può significare solo assumendo una maschera (per Calvino: ciò che fa di un volto il prodotto di una società e della sua storia). La maschera tuttavia è la regione difficile della fotografia, perché la società non accetta un senso puro, lo accetta solo se circondato da un “rumore” che lo renda meno acuto. Così la foto il cui senso è troppo impressivo viene spesso travisata e dunque desta preoccupazione per costituire una critica sociale efficace. Ma, in fondo, la fotografia è sovversiva non quando spaventa o sconvolge, ma quando è pensosa, quando parla, induce a pensare. • INVOGLIARE: Barthes afferma che una foto lo commuove, perché in lui nasce il desiderio verso ciò che osserva (es. Alhambra - Clifford: vorrebbe vivere là). 17. Barthes afferma che lo STUDIUM m dà vita a un genere di foto molto diffuso (il più diffuso): la fotografia unaria. È la fotografia che trasforma enfaticamente la realtà senza sdoppiarla, cioè la enfatizza senza nessun duale, nessuna interferenza, nella coesione- unità. Esempi di foto unitaria sono: • Reportage: in queste immagini il punctum è assente, v'è shock ma non turbamento; sono recepite d'un sol colpo e basta, c’è interesse nei loro confronti ma non amore. • Foto pornografica: è una foto senza secondi fini, è completamente costituita dall' ostensione del Sesso, in essa non vi è mai un oggetto secondo (diversa è la foto erotica: non fa del sesso un oggetto centrale, può benissimo non farlo vedere, trascina lo spettatore fuori dalla cornice, ha un punctum perché fa del sesso un particolare fuoricampo, non il fulcro di tutto) 18-20 In questo spazio quasi sempre unitario, un particolare talvolta attrae l'attenzione. È il PUNCTUM. Non è possibile fissare una regola di connessione tra studium e punctum. Quest’ultimo (quando è presente) co-esiste con lo studium: si tratta dunque di una co-presenza. Dal punto di vista della realtà, la presenza del “particolare” è spiegata da tutta una casualità (es. Nicaragua: le suore sono infermiere e come tali hanno permesso di circolare), ma dal punto di vista dello Spectator , il punctum viene fornito per caso e senza scopo, per coglierlo nessuna analisi sarebbe utile (forse il ricordo) è sufficiente riceverlo in pieno. Il punctum è dunque spesso un “particolare”, cioè un oggetto parziale. Per quanto folgorante sia, però, ha una forza di espansione, che è spesso metonimica. • A volte dal “particolare” con un’operazione prustiana si coglie il referente: es. Violinista tzigano - Kertesz: la strada sterrata dà la certezza di essere in Europac centrale, B. riconosce i borghi che ha attraversato in occasione dei viaggi in Ungheria e Romania. • Altre, pur restando un "particolare", il punctum può addirittura riempire l'intera fotografia: es. Michals fotografa Warhol che si nasconde il volto con entrambe le mani, ma per lo Spectator Warhol non nasconde nulla, dà a leggere le sue mani apertamente, il punctum non è il gesto ma la materia un po’ ripugante di quelle unghie, insieme tenere e annerite. Certi particolari non pungono perché il fotografo li ha messi lì intenzionalmente, il contrasto voluto (per non dire caricato) semmai infastidisce. Il “particolare” che punge, dunque, dal punto di vista dell’Operator, non è intenzionale, anzi deve essere del tutto non voluto. Esso si trova nel campo della fotografia come un supplemento che è al tempo stesso inevitabile, dice solo che il fotografo era lì o che non poteva che fotografare al contempo l’oggetto parziale e totale. La veggenza del fotografo, dunque, non consiste tanto nel “vedere” quanto nel trovarsi là. 21. La foto in cui vi è il punctum, a questo punto, non è più una foto qualunque, un dettaglio l’ha fatta andare in tilt. La lettura di questo dettaglio è spedita e attiva, a differenza della lettura delle foto dotate di semplice studium, che è un gesto pigro (sfogliare, guardare in fretta e svogliatamente). Si dice "sviluppare una foto" ma in realtà, l'azione chimica sviluppa l’insviluppabile, che può solo ripetersi in forma di sguardo insistente. Si dovrebbe parlare di una “immobilità viva”: collegata a un detonatore (il punctum) un’esplosione provoca una piccola incrinatura nel vetro della foto. 22-23 In definitiva lo studium è sempre codificato (culturalmente possiamo identificare ciò che ci mostra la foto), mentre il punctum non è mai codificato. Una spia del punctum è dunque, forse, l’impossibilità di definire quel “particolare” (es. Brazza - Nadar: codifico che la mano del marinaio sulla coscia di Brazza ha qualcosa di “strambo”, il punctum allora sono le braccia conserte dell’altro mozzo). Inoltre il punctum, per quanto immediato sia, può manifestarsi in un secondo momento, quando la foto è ormai lontana dallo sguardo e si ripensa ad essa. Quasi che la visione diretta orientasse il linguaggio su una falsa pista. Da qui B. comprende che, per quanto immediato, il punctum può adattarsi a una certa qual latenza (mai a un esame). In fondo dunque per vedere bene una foto è meglio alzare la testa o chiudere gli occhi, lasciare che il particolare risalga alla coscienza affettiva (es. Ritratto di famiglia – Van der Zee: in un primo momento a B. il punctum sembra l’abbigliamento a festa della negretta, ma a distanza di tempo, la foto ha lavorato in lui, il punctum si è rivelato la collana al suo collo che ricorda una zia nubile per cui ha sempre provato pena). Per concludere il punctum è un supplemento: è quello che io aggiungo alla foto ma che tuttavia è già nella foto. Quando si definisce la foto come un immagine immobile, non si vuol solo dire che i personaggi all'interno della foto non si muovono, ma si intende dire che non escono fuori. Tuttavia, quando vi è punctum subito si presagisce un “campo cieco”: io animo la foto e lei mi anima (es. la negretta, a causa della sua collana, ha avuto per B. tutta una vita non legata al suo ritratto fotografico). Il punctum è quindi una specie di fuoricampo, come se l'immagine proiettasse il desiderio al di là di ciò che fa vedere. II PARTE 25-29 Barthes pone al centro della sua Mathesis singularis una foto che “esiste” solo per lui (questo è il motivo della scelta di non mostrarla) e la pone come guida della sua ricerca. Si tratta della foto del Giardino d’Inverno, che ritrae la madre bambina. In quella foto, e soltanto in quella, B. ritrova la madre. Prima di scovare questa foto, ne aveva sfogliate innumerevoli altre, nelle quali aveva riconosciuto la madre sempre e solo “a pezzi”. Immagini parzialmente vere (per lui) e perciò totalmente false. Quelle foto, appartenenti alla Storia, cioè a quel tempo in cui non era ancora nato, apparivano inafferrabili, sfuggenti. Ma finalmente B. scopre la fotografia del Giardino d’Inverno: una foto molto vecchia, con gli angoli smangiucchiati, di colore seppia, in cui la madre aveva 5 anni. La postura, lo sguardo, il viso di quella bambina, tutto formava l'immagine d'una innocenza assoluta; in questa foto B. rivede la bontà (innocenza=io non so nuocere) della madre, predominante del suo carattere. Di fatto la fotografia (per la prima volta) gli dà una sensazione sicura. Rivede la madre e allo della madre B. vedeva delle maschere, solo in quella del Giardino d’Inverno, improvvisamente la maschera scompariva e restava l’anima. L'aria è, dunque, l'ombra luminosa che accompagna il corpo, e se la foto non riesce a palesare quest’aria, allora il corpo perde l’ombra e resta un corpo sterile. È per mezzo di questo sottile cordone ombelicale che il fotografo dà vita, e se, per mancanza di talento o per disavventura, non riesce a dare all’anima trasparente la sua ombra chiara, il soggetto muore per sempre. 46- 48 B. conclude: la fotografia ha la capacità di guardarmi dritto negli occhi. Lo sguardo fotografico ha qualcosa di particolare, che a volte ritroviamo nella vita: guarda ma non è sicuro che veda. È al tempo stesso effetto di verità e di follia. Dunque la fotografia, facendo credere, di aver trovato <la vera fotografia totale> crea l’inconcepibile confusione tra realtà (ciò che è stato) e verità (è esattamente questo) e si avvicina in ciò alla follia. Il legame tra fotografia e follia risiede nella pietà: attraverso le fotografie, infatti, B. sostiene di andare oltre l'irrealtà della cosa raffigurata, entrare nell'immagine, cingendo ciò che era morto, ciò che sta per morire. In questo contesto, la società si adopera per far rinsavire la fotografia, e ha a disposizione due mezzi: (1) fare della fotografia un'arte, ma privandola della sua follia (in questo modo il noema è dimenticato); (2) generalizzare, banalizzare la fotografia, al punto che non esiste nessuna altra immagine rispetto alla quale essa possa affermare la sua specialità, la sua follia. Questo è ciò che accade nella nostra società in cui la fotografia schiaccia con la sua tirannia le altre immagini. NOTA SUL CINEMA All’inizio del saggio B. sostiene di amare la fotografia in opposizione al cinema da cui, comunque, non riesce a separarla. Più avanti, infatti, il cinema fa capolino più volte, a confronto con la fotografia. Quando B. definisce il punctum un supplemento (ciò che lo spectator aggiunge alla foto ma è già nella foto), specifica che al cinema lo spectator non aggiunge nulla all’immagine perché, se per vedere meglio è necessario “chiudere gli occhi”, lasciare che il particolare risalga alla coscienza affettiva, al cinema ciò è impossibile per la voracità continua delle immagini. Tutto questo si ricollega alla “posa” come essenza della fotografia: noema che si altera quando quella fotografia si anima e diventa cinema. La posa, infatti, viene travolta e negata dal continuo susseguirsi delle immagini (Nella foto qualcosa si è posto dinanzi al piccolo foro e vi è rimasto per sempre, nel cinema qualcosa è passato davanti a quello stesso piccolo foro) Il cinema però, a differenza della fotografia, ha il potere del “fuori campo”, il personaggio continua a vivere al di là dello schermo. Ma esiste un’eccezione: la foto dotata di punctum (quando vi è punctum subito si presagisce un “campo cieco”: io animo la foto e lei mi anima. Il punctum è quindi una specie di fuoricampo). Infine il cinema partecipa all’addomesticamento della fotografia, per lo meno con i film di finzione. Tenta di fare della fotografia un’arte privandola della sua follia. Infatti il film può essere pazzo per artificio, ma non lo è mai per natura: è semplicemente illusione.
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