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La Celestina: Analisi approfondita dell' opera di Rojas, Appunti di Letteratura Spagnola

Analisi approfondita dell' analisi della Celestina di Rojas, descrizione personaggi e schema approfondito delle varie edizioni dell' opera.

Tipologia: Appunti

2019/2020

In vendita dal 15/04/2020

Nichilism1990
Nichilism1990 🇮🇹

4.4

(23)

23 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La Celestina: Analisi approfondita dell' opera di Rojas e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! La Celestina: analisi generale dell’ opera La Celestina o meglio la Comedia o Tragicomedia de Calisto y Melibea, in quanto Il titolo Celestina, si è imposto negli anni grazie ad una sorta di tacito accordo tra lettori, critici ed editori del tempo, che videro nella vecchia un ruolo centrale e di rilievo per lo svolgimento della trama, facendo addirittura passare in secondo piano i due nobili amanti Calisto e Melibea è l’ opera conosciutissima della letteratura spagnola di Rojas, tuttavia emergono alcune perplessità riguardo la paternità dell’ opera e le sue varie versioni. La Celestina è la prima opera moderna nella quale comincia a prendere corpo il tòpos della riflessione interiore e piscologica dei personaggi, che poi culminerà nelle opere, ad esempio, di Shakespeare. La Celestina, in effetti, è fuori da ogni definizione di genere ricordato, contiene i temi della commedia, come la materia comica e le storie di persone di basso rango sociale, ma il funesto colpo di scena finale e il comportamento poco esemplare del nobile Calisto ci indirizzano al finale tragico. Il segreto della fortuna di questo libro è sicuramente l’ambivalenza, la dualità, ma è anche la possibilità del lettore di immergersi in un mondo vero, tangibile e di avere un ruolo attivo nella stesso. I personaggi vivono fino in fondo. Sono eroi o anti-eroi fragili ingolfati nelle piccole ansie della vita quotidiana, sempre preoccupati a soddisfare sé stessi. Non è la storia a guidarli ma è il loro essere, non ci sono personaggi buoni o personaggi cattivi ognuno è confuso ognuno è in lotta con qualcosa e Rojas non ci dimostra mai da che parte decide di stare. Quest’opera è stata scritta a cavallo tra due epoche, Medioevo e Rinascimento. Tutti i personaggi sono il prodotto di questo nuovo mondo, sono vittime di questa società in crisi di valori, che provoca negli uomini insicurezza e pessimismo. In questo preciso contesto sociale si mescolano elementi tipicamente medievali come ad esempio la magia o il timore religioso ad aspetti specificatamente rinascimentali come l’individualismo, l’amore senza limiti, l’ambizione per il danaro. Rojas vuole dipingerci tutto questo, vuole mostrarci questa spaccatura e disfacimento. In un mondo dove domina il denaro e l’individualismo, dove l’amore è solo passione carnale e follia, Celestina rappresenta qualcosa di più, rispetto alla semplice “antagonista” di un libro. In lei vive una forte amarezza e una grande voglia di stabilità. Rimpiange i vecchi tempi in cui il prestigio e l’onore erano saldamente riconosciuti, in confronto a una società nuova in cui bisogna lavorare e sudare per guadagnarsi da vivere. Anche se quest’onore decantato da Celestina è chiaramente ironico e parodico poiché tale prosperità è data da una cerchia di ragazzine che si prostituiscono, per lei significava avere una protezione e una sicurezza per il futuro che adesso non possiede più. Certamente questo non la spaventa, lotterà per i propri interessi e non si nasconderà da un mondo che sta cambiando, al contrario degli altri personaggi. Anche se impaurita e stanca per l’età che avanza è pronta, sono gli altri a non esserlo. Nel medioevo si credeva che la fortuna potesse scegliere e amministrare le vite di tutti a suo piacimento invece, Celestina, non è in balia del suo destino e non permette che queste forze prendano possesso di lei e della sua mente. Il mondo sta cambiando? Nessun problema, Celestina è una donna in gamba, le sue scelte nascono da macchinazioni ben pensate, nessuno decide per lei, sa cosa deve fare e lo fa senza indugio. È cinica ma anche realista, è la testimone di un mondo che mescola le carte in tavole e rimette in gioco tutto e tutti. Anche l’amore è solo cieca passione e semplice interesse. Calisto e Melibea sono la parodia dell’amor cortese. Calisto vede Melibea, se ne innamora a prima vista. Contempla la sua bellezza, la idolatra e ci presenta quindi immagini chiare della società cortese. Rojas, però, non tarda a presentarci la vera natura di Calisto. Non è un più il classico cavaliere-amante ma un uomo disposto a tutto pur di possedere Melibea. Egli è sicuramente il protagonista di un amore profondo incentrato ancora verso il mondo cortese ma, il suo loco amor e il delirio di possesso della donna che ama, faranno scattare perversi affari e cadere la maschera di una nobiltà in decadenza. Melibea, dal canto suo, nel primo atto è l’eroina dell’amor cortese, ma negli atti successivi, ci si presenta di fronte, una donna che vuole emanciparsi, trasgredire divieti sociali e morali e, per questo, il suicidio altro non è che il finale preannunciato.108 I due ragazzi usano forti parole d’amore. Rispecchiano il mondo cavalleresco, in cui l’onore è tutto ma, ciò che realmente accade, è che Calisto ha bisogni incalzanti e crede che l’unico modo di arrivare al traguardo, sia pagare una donna per incantare Melibea. Il desiderio violento convertirà Calisto da carnefice a vittima del suo folle amore. Con il suo personaggio quindi, l’identificazione è più difficile; in lui non esistono tentennamenti, la parte più oscura del suo carattere si scatena in maniera “violenta”. Lui senza saperlo indossa la maschera da cavaliere cortese e da grand’uomo, quando in realtà è un meschino, vittima delle sue pulsioni sessuali. Calisto preferisce di gran lunga addossare le colpe del suo destino a una maga prima di incolpare se stesso. L’immedesimazione con Celestina è immediata, è la protagonista indiscussa perché, in lei, rivediamo i nostri istinti più cupi in perenne lotta. Celestina fa il male e niente può giustificare i suoi misfatti compiuti solo per mero interesse personale però, è innegabile, che qualcosa ci attira e ci porta all’identificazione. Scatta questa forma di empatia, riscontriamo in noi stessi inquietanti inclinazioni che abitano anche in lei. originale, con interventi più o meno consistenti. La prima Tragicomedia spagnola, invece, è quella di Saragozza del 1507, nella quale sembra mancare (per perdita accidentale) i primi 4 fogli, con i materiali preliminari. quest’edizione è anche l’unica a non possedere l’argomento riguardante ogni atto. Lettera a un amico Nell’edizione della commedia, stampata a Toledo nel 1500 Fernando de Rojas scrive nella sua “lettera a un amico”: L’essere lontano o comunque assente dalla propria terra, non è da interpretarsi come un qualcosa di meramente fisico, e cioè vivere la propria esistenza in un paese che non è il tuo, ma è concepito come un concetto più profondo. Rojas si sta chiedendo che contributo potrebbe dare, da intellettuale, ad un paese nel quale la cultura difetta. Rojas sostiene che la Celestina sia socialmente utile, che fornisca armi per lottare contro gli ardori amorosi, vuole richiamare l’attenzione di corteggiatori e di giovani innamorati, offuscati dai piaceri, in modo da poterli mettere in guardia dalle trappole postagli dal loco amor. Probabilmente Rojas usa la scusa del presunto manoscritto, contenente il primo atto della Celestina, rinvenuto anonimo, come mediatore per lodarsi ed elogiare smaccatamente il suo lavoro. Ne descrive lo stile elegante, la raffinatezza mai vista prima e la dolcezza della storia. Quest’ultimo passo però ci risulta ambiguo. Se decidiamo di credere a Rojas e quindi accettiamo la tesi del ritrovamento di un primo atto anonimo, di quale dolcezza della storia sta parlando? Il manoscritto era solo abbozzato, l’anonimo ha dato solo inizio alla vicenda, la vera storia d’amore e di morte è stata concepita dalla mente di Rojas stesso. Rojas quindi può magnificare in modo così esplicito l’opera perché, di fatto, la presenta come non sua, lui è solo il continuatore, che per sua ammissione, non è neanche all’altezza dell’originale. Molto probabilmente questo è semplicemente un artificio retorico, un uso a proprio vantaggio del topos della modestia, sottolineando, senza mostrarsi vanaglorioso, le qualità e l’originalità dell’opera. Rojas è conscio del fatto che la letteratura può colmare il deficit di cultura del suo tempo e dei suoi contemporanei ma sa anche che questo processo non può essere indolore, anzi la lotta contro i pregiudizi è inevitabile. Rojas concluce cercando di distanziare l’opera da sé, il testo si deve bastare, èpoggiato solo su stesso senza prendere in considerazione chi l’ha scritto come è stato scritto o perché è stato scritto. In più il fatto che l’opera sia stata conclusa in soli 15 giorni sembra poco credibile. Prima di tutto la tempistica è troppo breve e in secondo luogo nei versi acrostici viene specificato che il testo è stato trovato a Salamanca dove Rojas frequentava l’università, e non in un luogo di vacanza. Prologo Veniamo adesso al Prologo della tragicommedia, trovato già nella traduzione italiana del 1506. È definito da molti alquanto prolisso ma Rojas non ha perso la sua scioltezza nello scrivere, anzi, sta semplicemente continuando il suo gioco, seguita a distanziarsi dal testo, e di conseguenza ci scaraventa in un mondo parodico. Per Rojas questo scritto preliminare ha una funzione di autogiustificazione e risposta alle critiche ricevute. E’ diviso in due parti, nella prima si traduce un frammento del prologo del secondo libro De remediis utriusque fortunae di Petrarca. Ci descrive la discordia e la battaglia che esiste in tutte le cose. Nella seconda parte si applica questo pensiero di lotta continua a un caso particolare, e cioè si fa riferimento alla polemica che nacque sul genere letterario della Celestina. Ciò che afferma Rojas, nella prima parte del prologo, è che tutte le cose sono create a guisa di contesa o battaglia, quindi ad una concezione di un mondo (probabilmente quello dei detrattori) ordinato ed equilibrato si oppone una visione complessa e disordinata della realtà. Il conflitto non dipende dalle scelte, dal libero arbitrio o dall’immoralità ma dalla natura stessa del mondo. Ci vuole dire che l’essere in disaccordo è normale, anzi inevitabile. In questo prologo Rojas insiste nel dirci che c’è coerenza tra il mondo che ci circonda e la sua opera. Il conflitto e la lotta sono sempre intorno a no e in ogni momento, non solo nelle questioni più importanti della vita ma quando anche semplicemente ci gustiamo un buon libro. Ciascuno interpreta la lettura nel modo che preferisce, si è sempre portati a dare più attenzione ad una frase piuttosto che un’altra, o a concentrarsi su una citazione trascurando il resto. Nasce cosi un conflitto: il conflitto delle interpretazioni, perché usando il proprio criterio di valutazione, la visuale si riduce e si parzializza. Il criterio del lettore non è lo stesso che l’opera richiede e sul quale si fonda. La seconda parte del prologo, come già ho specificato, vuole spiegarci la disputa sul genere letterario della Celestina. La questione non era assolutamente futile, anzi appartenere ad un genere piuttosto che ad un altro, dava una chiave di lettura del testo, donava ai lettori una chiara via interpretativa del testo stesso. Anche per quanto concerne il titolo, Rojas, crea lo scontro interpretativo di cui parlavamo in precedenza. Sia chi sosteneva fosse una commedia sia chi sosteneva fosse una tragedia, aveva ragione ma solo in parte, altrimenti il cambio del titolo nell’ibrido tragicommedia non avrebbe avuto motivo di essere. Rojas semplicemente, decide nuovamente di non schierarsi e addirittura di porsi su un altro livello. Creando quest’ibrido piega la teoria dei generi letterari a suo piacimento. La Celestina non è solo commedia o solo tragedia è entrambe, ma comunque questo non le vieta di essere assolutamente unitaria. Siamo di fronte ad una concordia in una discordia di base. Rojas, in ultimo, scrive che la decisione di aggiungere 5 nuovi atti è stata presa perché soggetto a pressioni esterne: E’ sicuramente plausibile che il manoscritto sia stato allungato perché gli è stato esplicitamente richiesto, ma la motivazione, non è tanto perché volesse (o volessero i lettori) che si allungasse la pena d’amore dei due amanti, ma perché il finale era stato troppo brusco rispetto a tutto il resto dell’opera, e Rojas se ne rendeva conto. La morte ci si presentava come un deus ex machina, che colpisce tutti e fa una strage anche poco motivata. La critica quindi non era esterna all’opera, ma interna, doveva essere sistemato l’intreccio e le sue tempistiche. Tutto ciò poteva essere tranquillamente risolto con l’inserimento di atti che la completassero e la facessero diventare la splendida opera che è. Chiaramente la modifica non poteva andare contro a ciò che aveva scritto nella lettera a un amico. Scrivere non era il suo mestiere, l’aveva fatto occasionalmente durante una vacanza. Doveva dare una giustificazione a ogni aggiunta immessa nel testo, ma non solo doveva mostrarsi importunato e quasi costretto contro la sua volontà a riscrivere. Ci rendiamo conto che le loro parole sono un vero e proprio tentativo di spiegare la complessità della vita e della realtà che li circonda, attraverso la letteratura.
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