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La Celestina di Fernando de Rojas, Traduzioni di Letteratura Spagnola

Traduzione in italiano dell'opera di Fernando de Rojas.

Cosa imparerai

  • Che cosa accade tra Sempronio e Elicia?
  • Che cosa fa Celestina per aiutare Calisto a conquistare Melibea?
  • Chi sono i personaggi principali del documento?
  • Che cosa dice Sempronio a Celestina?
  • Che argomento discutono Calisto e Melibea?

Tipologia: Traduzioni

2018/2019
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Caricato il 01/04/2019

josie8
josie8 🇮🇹

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8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La Celestina di Fernando de Rojas e più Traduzioni in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! (ca Celestina FERNANDO DE ROJAS Fernando de rojas La celestina Ebbra dell'aria sconosciuta e malfida è fatta preda degli uccelli che volano. Più forti di lei, qual esca la portano. Nelle ali novelle consisteva il suo male. Ragione vuole che alla mia applichi quest'inganno, non ‹spregiando› coloro che ‹mi› rimprovereranno; i quali le mie ali fiacche e nebbiose e appena spuntate distruggeranno. Prosegue Che se quella pensava di godere del volo, e se io m'illudevo d'illustrarmi ‹scrivendo›, dall'uno e dall'altre ne avenno disdoro: lei fu mangiata; io fui bersaglio di rimbrotti e rampogne e accuse. Non tacer fu il mio fallo. E ora ‹affronto, remando›, un mare d'invidie, di danni e calunnie. E i porti sicuri mi lascio alle spalle quanto più nel mare m'inoltro. Prosegue E se ‹volete sapere› l'onesto mio scopo e a quale io miri tra questi due estremi, e se volete sapere chi è che l'assiste e dirige i suoi remi se ‹Apollo o Diana o il fiero Cupido› cercate nella fine di quei di cui scrivo, e quindi agli esordi, l'argomento scorrete. Amanti, se vi par dolce la storia, leggete e vedrete che v'è indicata la strada per uscire da tale servitù. Comparazione Come l'infermo che sdegna e rifiuta ‹la› pillola amara e non può trangugiarla se non commista a un dolce confetto. Che migliora il suo gusto e dà guarigione: alla stessa maniera, la mia penna è indecisa. Se imporre detti lascivi, e festivi, adescando gli orecchi di coloro che soffrono che di buon grado intendano la dolce lezione e si emendino. Torna al suo proposito ‹Di dubbi e› da voglie ‹mi trovo accerchiato›, composi la fine che scioglie il principio. Decisi d'indorare con foglia d'oro sottile, la più fine ‹coppella› che videro ‹i miei› occhi, e su un tappeto di rose seminai mille cardi. Supplico i saggi che emendino il mio errore; e supplico la gente dappoco che ne colga il messaggio e dinanzi a un'opera sì alta vedano, tacciano e non ne offuschino il pregio. Prosegue, precisando i motivi che l'hanno spinto a terminare l'opera A Salamanca dimorando, trovai questo scritto, mi decisi a finirlo per le ragioni seguenti: dapprima, va detto che ero in vacanza. Fu la seconda ragione che l'opera ‹si deve a persona prudente,› e l'ultima infine, veder tanta gente invischiata nei vizi d'amore. La storia di questi amanti l'inviteran a temere delle ruffiane gli inganni e dei ‹malfidi› serventi. Fu così che quest'opera, ‹di svolgimento› sì breve, eppur sì sottile, è ricca di più di duemila sentenze: piacevole opera ammantata di grazie. No, ‹sono certo› che Dedalo mai avrebbe potuto fare bassorilievo più delicato che ‹Cota o Mena›, se avessero dato fine a quest'opera singolare ‹con il loro grande sapere.› Mai [io] ‹vidi in lingua latina›, dacché mi ricordo, né persona la vide, opera di sì alto stile, e ricercato ‹nella lingua toscana, greca e› castigliana. Che non ‹v'è› in essa sentenza dalla qual non promani gloria al suo autore e eterna memoria, il qual Gesucristo riceva nella sua gloria, per la sua santa passione che tutti risana. Rivolge un monito agli amanti affinché servano Dio e tralascino i rii pensieri e i vizi di amore E voi, amanti, seguite dunque l'esempio, e questa armatura vestite contro i rischi d'amore. Afferrate le redini, ché non v'accada di perdervi; lodate sempre Dio visitando il suo tempio; e poi meditate, non seguite l'esempio di tanti morti e vivi, tutti colpevoli. Abitate questo mondo e al contempo giacete sepolti. Grande dolore sento quando questo contemplo. Fine ‹Dame, matrone, garzoni, sposati, tenete a memoria la vita che costoro menarono; tenete in conto la fine che ebbero. Ad altro e non all'amore rivolgete i vostri pensieri. I peccatori acciecati, si nettino gli occhi, spargano fior di virtù castamente vivendo; e rifuggite dal troppo tramestìo mondano, che Cupido non vi scagli il suo dardo dorato.› PROLOGO contrasto l'uno con l'altro, a causa del difforme giudizio che ciascuno ne ha dato. A detta d'alcuni era prolissa. A detta di altri, breve. Per certuni, gradevole; per altri ancora, oscura. Di modo che, solo Dio potrebbe tagliarla a misura di tante e così diverse opinioni. A maggior ragione quindi, codesta come ogni altra cosa al mondo, è soggetta all'insegna della nobile sentenza che segue: "La vita stessa degli uomini, se ben guardiamo, è battaglia, dalla prima fino alla più tarda età". I bambini mimano lotte con i loro giochi, i ragazzi con i libri, i giovani con i piaceri, i vecchi con mille specie di infermità; e queste carte, infine, con tutte le età. La prima età le cancella e le straccia, la seconda non le sa leggere bene, la terza, che è l'allegra giovinezza disposta all'amore, discorda da esse. Gli uni rivedono le pulci al libro, dicendo che difetta di pregi e che la storia è condotta tutta d'un fiato: talché senza gustarne i dettagli ne fanno un racconto da leggere in viaggio. Altri ne piluccano le arguzie, i proverbi comuni, troppo impegnati a lodarli per cogliere ciò che più utilmente farebbe al caso loro. Ma coloro per i quali tutto ciò è autentico piacere, disdegnano la storia narrata, ne traggono quanto più si confà al loro vantaggio, ridono di quel che è piacevole e serbano nella memoria le sentenze e i detti dei filosofi per usarli poi ove conviene ai loro atti e propositi. Sicché, quando dieci persone che abbiano, come suole accadere, opinioni a tal punto discordi, si riunissero per ascoltare questa commedia, chi potrebbe dire che non vi sian divergenze rispetto a una cosa che può essere intesa in tante diverse maniere? Anche gli stampatori hanno voluto lasciarvi il loro segno, ponendo rubriche o argomenti al principio d'ogni atto, i quali argomenti raccontano in breve ciò che si contiene dentro ciascuno: cosa del tutto inutile, stando all'esempio degli antichi scrittori. Altri ancora non si sono trovati d'accordo sul titolo, dicendo che non "Commedia" si doveva chiamare, dal momento che finiva in tristezza, ma "Tragedia". Il primo autore risolse di denominarla secondo il suo principio, che è lieto: e la chiamò "Commedia". Io, vedendo siffatte discordie fra i due estremi, troncai a mezzo la contesa, chiamandola "Tragicommedia". Così, di fronte a questi diverbi, a detti giudizi diversi e dissonanti, badai a dove inclina il maggior numero dei lettori e scoprii che i più volevano si prolungasse la narrazione delle ore felici dei due amanti: cosa che mi maldispose non poco. Per cui, decisi, sebbene contro la mia volontà, di metter mano per la seconda volta ad un lavoro così singolare e così lontano dalle mie occupazioni consuete, rubando qualche istante al mio impegno principale e dedicandovi altre ore destinate al mio lavoro e impiegandone altre al riposo. E ciò nonostante non mancheranno di certo detrattori a queste ultime aggiunte.› LA COMMEDIA ‹O TRAGICOMMEDIA› DI CALISTO E MELIBEA scritta ad ammonimento dei folli innamorati che, vinti dal loro smodato appetito, invocano come dee le proprie amanti e tali le reputano. Egualmente compost‹a› a monito contro gli inganni delle mezzane e dei servitori perfidi e lusingatori. Argomento Fu Calisto giovane di illustre lignaggio, di spirito vivace, d'aspetto gentile, di educazione squisita e dotato di molto garbo, di non mediocre condizione. Fu preso d'amore per Melibea, fanciulla di animo gentile, di eccellente e serenissima discendenza, elevata per nascita a prospero stato, unica erede di suo padre Pleberio, amatissima dalla madre Alisa. La casta ritrosia di lei fu vinta dalle suppliche dell'innamorato Calisto complici gli artifici di Celestina, donna malvagia e scaltra, in combutta con due dei servi dell'ammaliato Calisto, da lei raggirati e resi sleali per esser stata la loro fedeltà presa all'amo della cupidigia e del piacere. I due amanti e coloro che gli ressero bordone vennero a un epilogo triste e calamitoso. Per dar cominciamento a questa triste storia la ria sorte dispose un luogo opportuno ove la desiderata Melibea si presentò agli occhi di Calisto. PERSONAGGI Appaiono in questa tragicommedia i seguenti personaggi: CALISTO, giovane innamorato MELIBEA, figlia di Pleberio PLEBERIO, padre di Melibea ALISA, madre di Melibea CELESTINA, mezzana PÁRMENO, servo di Calisto SEMPRONIO, servo di Calisto TRISTÁN, servo di Calisto CRITONE, puttaniere LUCREZIA, serva di Pleberio ELICIA, sgualdrina AREÚSA, sgualdrina CENTURIONE, ruffiano ATTO I Argomento ‹Entrato Calisto in un giardino all'inseguimento d'un suo falcone, vi trova Melibea e, acceso d'amore per lei, inizia a parlarle. Fieramente respinto, torna alla sua dimora assai corrucciato. Là, conversa con un suo famiglio di nome Sempronio il quale, dopo un lungo ragionare, lo indirizza alla casa di una vecchia chiamata Celestina, nella cui Sempronio, Sempronio, Sempronio! Dove s'è cacciato quel maledetto? SEMPRONIO Son qui, signore: a governare questi cavalli. CALISTO Com'è allora che esci dalla stanza? SEMPRONIO Era caduto giù il girfalco e son venuto a rimetterlo sul trespolo. CALISTO Che il diavolo ti porti! Tu possa schiattare d'un colpo, possa tu consumarti nel più grande e interminabile dei tormenti e tale che di mol‹to› ecceda l'acerba e infausta morte che m'attende. Sù, spicciati, infame, apri la stanza e preparami il letto! SEMPRONIO Sarà fatto in men che non si dica, signore. CALISTO Chiudi la finestra e lascia che il buio e la cecità siano compagni alla mia tristezza. Non son degni del giorno i miei funesti pensieri. Beata quella morte che giunge sospirata agli afflitti. Oh medici ‹Crato e Galeno›, se mai poteste accorrere qui sapreste ben diagnosticare il mio male! Oh pietà ‹celeste›, spira nel pleberico petto; fa' che la mia anima smarrita, priva ormai d'ogni speranza di salvezza, non debba divider la sorte dello sciagurato Piramo e dell'infelicissima Tisbe. SEMPRONIO Che?! CALISTO Vattene, fuori di qui! E taci, se non vuoi che con le mie stesse mani ti tolga la vita anzitempo, e di una morte violenta. SEMPRONIO E sia. Me ne andrò, se proprio vuoi restartene da solo a scontare le tue pene. CALISTO Che il diavolo ti porti! SEMPRONIO Che il diavolo mi porti? Difficile, a quel ch'io penso, visto che è già tanto occupato con te! (Oh sventura! Oh sciagura improvvisa! Qual evento funesto ha potuto spegnere l'allegria in quest'uomo e, quel ch'è peggio, il senno con essa? Lo lascerò da solo, o non sarà meglio entrare là dentro? Se lo lascio solo si uccide; se entro, ucciderà me. Che stia; non me ne importa. Meglio che muoia chi è stanco di vivere, che non chi, come me, se la spassa. Avessi cara la vita anche solo per seguitar a vedere la mia Elicia, mi converrebbe guardarmi dai pericoli. Ma... e se quello s'ammazza senza testimoni, non sarò poi chiamato a render conto della sua vita? Meglio che entri. Ma, una volta che sarò dentro, accetterà poi conforto o consiglio? Sintomo mortale il non voler guarire! Ad ogni buon conto, che cuocia un po' nel suo brodo, lasciamo che giunga a puntino. Che ho sentito dire che è pericoloso aprire o spremere anzitempo le posteme dure, se non si vuole che s'irritino di più. Se ne stia un po' da solo. Lasciamo piangere chi pena: che le lacrime e i sospiri sono un ottimo balsamo per il cuore dell'afflitto. E poi, se mi ha davanti agli occhi, s'infiammerà ancor di più. Il sole è più ardente dove può riverberare; e se s'infiacchisce la vista che non s'affissi in qualcosa, s'aguzza quanto più è prossimo il suo oggetto. Mi conviene pazientare un pochino; e se nel frattempo s'ammazza, che schiatti pure! Chissà che non mi riesca di arraffar di nascosto qualcosa, con cui rifarmi il pelo. Certo, so bene che è male sperar salvezza dalla morte altrui, ma non è il diavolo in persona che mi tenta? D'altronde se muore, m'uccideranno, e la corda correrà dietro al secchio. E ancora: è opinione dei saggi che agli afflitti sia di grande conforto aver qualcuno con cui piangere le proprie pene; e che sono le piaghe nascoste a fare più male. Così, indeciso fra questi due estremi come sono, sarà miglior partito entrare, pazientare e consolarlo. Che se pure è possibile guarire senz'arte e senza strumenti, riuscirà tutto più facile con l'uno e con gli altri.) * * * CALISTO Sempronio! SEMPRONIO Signore? CALISTO Porgimi il liuto. SEMPRONIO A voi, signore. CALISTO Qual dolore sarà tale che si eguagli col mio male? CALISTO E perché mai? SEMPRONIO Per la buona ragione che quel che dici contraddice la religione cristiana. CALISTO E che mi importa? SEMPRONIO Non sei forse cristiano? CALISTO Cristiano io? Melibeo sono, Melibea adoro, in Melibea credo e Melibea amo. SEMPRONIO Tu lo dici. Melibea è così grossa che non ci sta proprio nel cuore del mio padrone, e così gli esce dalla bocca a fiotti! Non una parola di più. So ben io da che piede zoppichi; e come fare per guarirti! CALISTO Prometti cose incredibili. SEMPRONIO Facili, direi piuttosto, perché conoscere la natura del male è già un po' guarire. CALISTO Ma qual consiglio potrà mai guidare quello che in sé non ha né ordine né consiglio? SEMPRONIO (Ah, ah, ah! Tutto qui il fuoco di Calisto?! Son queste le sue angosce? Come se l'amore scoccasse i suoi dardi solo contro di lui! Oh Dio onnipotente, quanto insondabili sono i tuoi disegni! E quanta veemenza hai posto nell'amore se è causa di un simile turbamento in chi ama! Tu hai disposto che la follia d'amore non conoscesse limiti. All'innamorato par sempre di rimanere indietro. Tutti si agitano, fremono, corrono di qua e di là come torelli aizzati a colpi di picca che superano d'un balzo gli steccati. Hai ingiunto all'uomo di lasciare il padre e la madre per la sua donna; ma questo par poco ad essi. I quali, al pari di Calisto, rinnegano Te e la Tua legge. Né di ciò mi stupisco che, a causa dell'amore, pure i savi, i santi, e i profeti ti han voltato le spalle.) CALISTO Sempronio! SEMPRONIO Signore? CALISTO Non lasciarmi solo. SEMPRONIO (Questa è già tutt'altra musica.) CALISTO Che te ne pare del mio male? SEMPRONIO Che ami Melibea. CALISTO E nient'altro? SEMPRONIO Che aver la volontà prigioniera in una sola prigione è male non da poco. CALISTO La costanza non è davvero il tuo forte. SEMPRONIO Perseverare nel male non è costanza; al mio paese la chiamano piuttosto pertinacia od ostinazione. Voialtri filosofi di Cupido battezzatela pure come vi pare. CALISTO Suona male la menzogna in bocca di chi presume d'insegnare agli altri; tu stesso non fai che tessere le lodi della tua amica Elicia. SEMPRONIO Fa' quel che dico e non fare quello che faccio. CALISTO CALISTO Non mi pare di aver inteso quello che hai detto. Ripetilo, prima di continuare. SEMPRONIO Stupivo che tu, che hai più coraggio di Nembrot e Alessandro, disperassi di conquistare una donna; eppure molte di esse, e di nobile lignaggio, si sottomisero volentieri alle voglie e ai fiati puzzolenti di vili mulattieri; per non dire di quelle che copularono con bruti animali. Non hai letto la storia di Pasifae col toro, e di Minerva con il cane? CALISTO Non ci credo. Favole. SEMPRONIO E quella di tua nonna con lo scimmione? Una favola anche quella? Non la pensò così il coltello di tuo nonno. CALISTO Maledetto imbecille! Senti che po' po' di scempiaggini va dicendo! SEMPRONIO Ti brucia, eh!? Leggi gli storici, studia i filosofi, non trascurare i poeti. I libri son pieni dei vili e malvagi esempi delle donne, e della rovina di coloro che, come te, le tennero in qualche stima. Ascolta Salomone là dove dice che le donne e il vino conducono all'abiura gli uomini. Consulta Seneca, e vedrai in quale concetto le tiene. Porgi orecchio ad Aristotele; e a Bernardo. Gentili, giudei, cristiani e mori, in questo tutti concordano. Ma quel che ti ho detto e potrei dirti ancora non deve indurti a metterle tutte in un fascio: molte ve ne furono e molte ve ne sono di sante, virtuose e degne, la cui risplendente corona riscatta il generale vituperio. Ma quanto alle altre, chi potrebbe mai darti conto delle loro menzogne, degli intrighi, dell'incostanza, della leggerezza, delle lacrimucce, dei turbamenti e della loro impudenza? Che tutto quel che vien loro in mente osano senza riflettere. E le ipocrisie, le maldicenze, gli inganni, l'oblio, l'indifferenza, l'ingratitudine, l'incostanza, il loro molto promettere e l'altrettanto negare, i continui voltafaccia, la presunzione, la vanagloria, la tristezza, la follia, il disprezzo, la superbia, la ritrosia, la gola, la lussuria, le sconcezze, la paura, la sfrontatezza, i sortilegi, i raggiri, gli scherni, le calunnie, l'impudicizia, la ruffianeria? Considera bene che sorta di cervellini si celano sotto quelle grandi e delicatissime cuffie! E che pensieri sotto quelle arricciate gorgiere, sotto tutto quel fasto, e quelle vesti lunghe e austere! Quali mutilazioni e che marciume si celano al riparo di quei sepolcri imbiancati! Per loro s'è detto: "Armi del demonio, testa del peccato, rovina del Paradiso". Non hai mai letto nel libro delle orazioni, alla festa di S. Giovanni: ["Le donne e il vino fanno apostatare gli uomini" e] "Questa è la donna, l'antica malizia che fu causa ad Adamo d'esser privato delle delizie del Paradiso; colei che spalancò all'uomo le porte dell'inferno e che fu oggetto di spregio del profeta Elia" ecc.? CALISTO Dimmi allora: come mai Adamo, Salomone, Davide, Aristotele, Virgilio, tutti quelli insomma di cui hai parlato, com'è che proprio ad esse si sottomisero? Son forse io da più di loro? SEMPRONIO Come vorrei che imitassi quelli che le vinsero, e non quelli che ne furono sconfitti. Fuggi dai loro inganni. Sai tu che fanno? Cose ben difficili da capire. Non hanno ritegno, né fan uso di ragione, né hanno fermi propositi. Quando han deciso di concedersi iniziano col mostrarsi sdegnose! E per via sbeffeggiano coloro che poi si mettono di nascosto in casa. Irretiscono, allontanano, chiamano a sé, e infine respingono; mostrano amore e poi vi professano odio, di un niente s'infuriano e subito dopo s'acquietano. Vorrebbero che s'indovinassero i loro desideri! Che noia! Che tormento! Che strazio avere a che far con loro per più di quel brevissimo tempo in cui son disposte al piacere. CALISTO Bada, che quante più me ne dici, quanti più difetti mi metti innanzi, e più io l'amo. Non so darmene una ragione. SEMPRONIO Non son cose queste da lasciare al giudizio dei giovani, i quali a quel che vedo mal sopportano i lacci della ragione né si sanno governare. Miserevole cosa è credersi maestri senz'esser mai stati discepoli. CALISTO E tu che ne sai? Chi t'ha insegnato queste cose? SEMPRONIO Chi? Loro! Perché una volta scoperte, perdono a tal punto ogni pudore da manifestare questo e altro ancora agli uomini. Attèggiati, dunque, secondo la misura del tuo onore, tienti per più degno di quanto tu ti reputi; ché certo è assai peggior estremo deprimersi al di sotto dei propri meriti che collocarsi più in alto del dovuto. CALISTO E chi son io per questo? SEMPRONIO Chi sei? Prima di tutto sei uomo, e di chiaro ingegno. Di più, la natura ti è stata larga delle doti più ambite. Di bellezza e di grazia, di prestanza e di forza, di agilità. Oltre a ciò, la fortuna discreta spartì con te il suo, e in misura tale che le tue qualità interiori risplendono specchiandosi in quelle di fuori. Giacché, senza i beni esteriori, dei quali è signora la sorte, a nessuno è dato d'esser felice in questa vita. Aggiungi che la tua buona stella ha voluto che fossi amato da tutti. CALISTO Gli occhi verdi, a forma di mandorla; le ciglia lunghe; le sopracciglia sottili e arcuate; il naso regolare; piccola la bocca e i denti minuti e candidi; le labbra rosse e carnose; il contorno del viso ovale piuttosto che tondo; il petto alto. La rotondità e la forma dei seni chi te le saprà descrivere? Non v'è uomo che non ne sia catturato al solo vederli! La carnagione liscia e tersa; la pelle tale da far sembrar scura la neve; un incarnato del quale si direbbe abbia scelto e dosato lei stessa i colori. SEMPRONIO (Non demorde lo sciocco!) CALISTO Le mani piccole, nella giusta misura e non troppo scarne; le dita affusolate; le unghie lunghe e rosse tanto che paiono rubini incastonati fra perle. Quanto all'armonia della figura, pur celata ai miei occhi, non esito a giudicarla più perfetta, per ciò che lascia indovinare, di quella di colei che Paride giudicò la più bella fra le tre dee. SEMPRONIO Hai finito? CALISTO Quanto più in breve ho potuto. SEMPRONIO Anche ammettendo che tutto ciò sia vero, tu, per il solo fatto d'esser uomo, sei più degno. CALISTO E in che cosa, di grazia? SEMPRONIO Nel fatto che Melibea è imperfetta; e che tale essendo desidera e brama te, e magari persino un altro a te inferiore. Non hai letto il filosofo, là dove dice: "Come la materia ambisce alla forma, così la donna al maschio"? CALISTO Oh, me sventurato! E accadrà mai tal cosa tra me e Melibea? SEMPRONIO È possibile; come è possibile che tu giunga a odiarla quanto ora la ami. Ma questo non prima che tu l'abbia ottenuta e che tu riesca finalmente a vederla con altri occhi, liberi dall'errore che adesso ti fa velo. CALISTO Con quali occhi? SEMPRONIO Con occhi chiari. CALISTO E ora, con che la vedo? SEMPRONIO Con occhi che ingrandiscono, che fanno apparir molto il poco e grande ciò che è piccolo. E affinché tu non disperi, voglio assumermi io il compito di soddisfare il tuo desiderio. CALISTO Oh, che Dio ti dia quel che desideri! E che gioia mi dà l'ascoltarti, anche se dispero che tu mantenga. SEMPRONIO Non dubitare. Che sarò di parola. CALISTO Iddio te ne rimeriti! Quel giubbetto di broccato che indossavo ieri, Sempronio, prendilo, è tuo! SEMPRONIO Il Signore ti rimuneri per questo. (E per il molto che ancora mi darai. Dell'affare mi tocca la parte migliore. E, comunque, se continua a spronarmi con questi argomenti, gliela farò trovare nel suo letto. La faccenda è ben avviata davvero. Merito di quel che m'ha allungato il padrone; perché senza mercede è impossibile far le cose per bene.) CALISTO Non far lo svogliato proprio ora. SEMPRONIO Non farlo tu, piuttosto, che a padrone pigro non s'accompagna servo diligente. CRITONE D'accordo. Ma smettila di agitarti così!) SEMPRONIO Madre mia benedetta! Che voglia di vederti! Ringrazio Iddio che mi t'ha fatto trovare. CELESTINA Figlio mio, mio re, son tutta turbata! Non riesco a dir parola. Vien qua, dài. Stringimi ancora. Come hai potuto star tre giorni senza venirci a trovare? Elicia, Elicia, guarda chi c'è. ELICIA Chi, madre mia? CELESTINA Sempronio! ELICIA Oh povera me! Ho il cuore in gola! Alla buonora! CELESTINA Dài, non far la scontrosa! Devo abbracciarmelo io, visto che tu non ci pensi? ELICIA Ah, che tu sia stramaledetto! Traditore! Che tu possa schiattare di postema e di cancro, morire per mano dei tuoi nemici, incappare nel giudice più inflessibile che ti accolli delitti degni di una morte crudele. Ohimè! Ohimè!! SEMPRONIO Ah, ah, ah! Che ti succede, Elicia mia? Di che ti crucci? ELICIA Sono ormai tre giorni che non ti degni di venirmi a trovare. Che Dio abbia altrettanta cura di te. Così ti dia conforto e ti visiti! Me infelice che in te ho riposto ogni speranza e il fine d'ogni mio bene! SEMPRONIO Taci, signora mia! Tu pensi che la distanza che ci separa abbia il potere di smorzare l'amore profondo che sento per te, il fuoco che mi arde nel petto? Dovunque io vada, tu vieni con me, tu sei con me. Non t'affliggere e non mi tormentare più di quanto già non abbia sofferto. Piuttosto, dì, cos'è questo rumore di passi qui sopra? ELICIA E me lo chiedi? Un mio amante. SEMPRONIO Non stento a crederlo! ELICIA In fede mia, è così. Sali e lo vedrai da te. SEMPRONIO Vado. CELESTINA Dài, dài! Lascia perdere questa pazza, che le ha dato di volta il cervello. È così sconvolta per la tua assenza che minaccia di uscir di testa e di dire una marea di sciocchezze. Avvicinati e parliamo. Che chi ha tempo non aspetti tempo. SEMPRONIO Allora, si può sapere chi c'è di sopra? CELESTINA Lo vuoi proprio sapere? SEMPRONIO Certo che sì. CELESTINA C'è una fanciulla che m'è stata affidata da un frate. SEMPRONIO Un frate? E chi? CELESTINA Non far troppo il curioso! tanto lunga! Ché l'amicizia che ci lega può ben fare a meno di preamboli, di codicilli e non c'è bisogno di tante storie per volersi bene. Al dunque: che è vano dire con molte parole ciò che con poche può essere inteso. SEMPRONIO L'hai detto. Calisto arde d'amore per Melibea; ha bisogno tanto di me quanto di te; e dato che gli siamo necessari entrambi, entrambi ne trarremo profitto! Ché il segreto della prosperità è riconoscere l'occasione e coglierla al volo. CELESTINA Ben detto, ho capito perfettamente. Con me basta e avanza uno strizzar d'occhi. E ti dico che mi rallegro di queste nuove, come il cerusico di una testa rotta. Ché, come lui sul principio immalignisce la piaga per far poi cadere da più in alto la promessa di guarigione, così intendo far io con Calisto. Gli tirerò in lungo la certezza del rimedio, che, come si suol dire, speranza protratta fa piccolo il cuore; e quanto più la perderà, tanto più gli sarò larga di promesse. Tu mi capisci, vero? SEMPRONIO Zitti ora, che siamo vicini alla porta e, come si dice, anche i muri hanno orecchie. CELESTINA Sì, bussa. SEMPRONIO Toc, toc, toc. * * * CALISTO Pármeno! PÁRMENO Signore? CALISTO Non hai sentito, maledetto sordo? PÁRMENO Che cosa, signore? CALISTO Bussano alla porta. Corri. PÁRMENO Chi è? SEMPRONIO Apri: son io, Sempronio. E questa signora che viene con me. PÁRMENO Signore, sono Sempronio e una vecchia baldracca imbellettata a bussare alla porta. CALISTO Come ti permetti, canaglia, quella è mia zia. Corri, corri, va' ad aprire. Sempre la stessa solfa. Si cerca di scansar un pericolo e ci si va a cacciare in un altro di gran lunga peggiore. Per tener nascosta tutta questa faccenda a Pármeno, che amore, fedeltà o timore sarebbero bastati a tenere a freno, sono incappato nell'ira di costei, che non ha minor potere di Dio sulla mia vita. PÁRMENO Perché, signor mio, ti tormenti? Perché tutta questa angoscia? Pensi forse che il nome con cui l'ho chiamata suoni biasimevole alle sue orecchie? Niente di più falso. Lei se ne compiace non diversamente da te quando ti senti dire: "valente cavaliere davvero è quel Calisto". Per giunta, tutti la chiamano e la conoscono per tale. Se si trova in mezzo a cento donne e uno prorompe in un "vecchia puttana!", è lei, senz'ombra di imbarazzo, che volta subito la testa, e annuisce tutta goduta. Nei banchetti, nelle feste, nei matrimoni, nelle confraternite, ai funerali e insomma in quanti crocchi si formino, è lei argomento di conversazione. Se passa tra i cani, per strada, si sente latrare quel nome; al vederla, gli uccelli non cinguettano altro; se sta presso un gregge, è quel titolo che le pecore bandiscono belando; se passa tra gli asini, anch'essi tra i ragli confermano "vecchia puttana!". Le rane dei pantani non fanno che ripeterlo gracchiando. Se va tra i fabbri, i martelli scandiscono quel nome; carpentieri e armaioli, maniscalchi, calderai, battilana: ogni artigiano insomma lo fa risuonar per l'aria col suo arnese. Inneggiano a lei i falegnami, la cardano lanaiuoli e tessitori; i contadini negli orti, nei campi, nelle vigne, al tempo della mietitura, alleviano grazie a lei la fatica quotidiana. Perdono al gioco? e subito echeggian le sue lodi. Tutto ciò che ha voce, dovunque ella si trovi, ripete quel nome. Ah, ne mandava giù di uova sode suo marito! Che altro vuoi che ti dica se persino da due pietre che cozzin tra loro, s'alza nitido il suono "vecchia puttana"? CALISTO E tu, come lo sai; e come la conosci? PÁRMENO Ora ti dico. Molti anni or sono, mia madre, spiantata in canna, abitava nel quartiere di questa Celestina; e così, su sua preghiera, mi mise al servizio della vecchia. E se non male e i filtri per farsi voler bene. Aveva ossa di cuore di cervo, lingue di vipera, teste di quaglia, cervelli d'asino, membrane di cavallo, placente di parti recenti, fava moresca, ciottoli di mare, corda d'impiccato, fiori d'edera, spine di riccio, zampe di tasso, semi di felce, pietre di nido d'aquila e mill'altre diavolerie. Venivano da lei uomini e donne a frotte: a questi chiedeva un tozzo di pane morso dall'amante disamorato; ad altri un lembo del mantello; ad altri ancora una ciocca di capelli. Ad alcuni poi dipingeva sul palmo della mano certe lettere con polvere di zafferano o con vermiglione; ad altri consegnava certi cuori di cera, trafitti d'aghi spezzati, e altri oggetti ancora fatti d'argilla e di piombo: cose tutte di pessimo vedere. China a terra, dipingeva figure e pronunciava sortilegi e parole. Chi mai potrebbe raccontarti tutto quel che ordiva questa vecchia? E non eran che burle e menzogne! CALISTO Sta' bene, Pármeno. Ma lasciane un pezzo per dopo. M'hai messo in guardia quanto basta, e te ne sono grato. Ma ora, bando agli indugi, che la necessità mal sopporta ritardi. Ascolta: quella donna vien qua pregata da me, e sta aspettando più del dovuto. Sbrighiamoci dunque, che non abbia a irritarsi. Ho una gran paura e la paura, si sa, raccorcia la memoria e aguzza l'ingegno. Andiamo, sù, e provvediamo. Ma te ne prego, Pármeno: raffrena l'invidia che porti a Sempronio, che tanto bene mi serve e m'asseconda in questa circostanza: che non sia d'impedimento al rimedio che sogno per la mia vita; che se per lui c'è stato un giubbetto, a te non mancherà un saio. E non credere ch'io tenga in minor conto i tuoi consigli e i tuoi avvertimenti, dei servigi e dell'opera sua. So bene quanto lo spirito la vinca sul corpo. E neppure mi sfugge che le bestie, che faticano e sudano tanto più degli uomini, e che per questo ne sono alimentate e curate, nessuno si sogna di farsele amiche. Questa, a quel ch'io penso, è la differenza, che mi ti fa più caro di Sempronio. E, sotto il sigillo del segreto, questa è l'amicizia che ti offro, senza riguardo al fatto che ti sono padrone e tu mi sei servo. PÁRMENO Nelle tue promesse e nei tuoi rimbrotti, ‹signor,› [Calisto] ti vedo dubitare della mia fedeltà e del mio zelo: e ciò mi spiace. Quando mai mi hai visto invidioso, quando mi hai visto trascurare il tuo bene per interesse o per dolo? CALISTO Non avertene a male. E non dubitare: che le tue buone maniere e la tua educazione sono tali ai miei occhi da farti preferire a tutti coloro che sono al mio servizio. Ma poiché in caso tanto delicato, e dal quale dipende tutto il mio bene e la mia stessa vita è bene stare all'erta, permettimi di non abbassare la guardia. Tanto più che il tuo essere ammodo fiorisce su un buon naturale, e un buon naturale può indurre in tentazione. Ma ora basta, e andiamo piuttosto incontro a colei che è la mia salvezza. * * * CELESTINA (Sento dei passi. Scendono. Sempronio, fa' mostra di non sentirli! Stattene zitto. Lascia dire a me ciò che conviene a entrambi. SEMPRONIO Intesi.) CELESTINA Ehi tu! Non mi seccare, ché stare addosso all'ansioso, è come dar di sprone a una bestia sfinita. Da come ti duoli della pena del tuo padrone Calisto si direbbe che siate la stessa persona e che i tormenti dell'uno siano i tormenti dell'altro. Sta' pur sicuro che se sono venuta fin qui non è certo per lasciare a mezzo questa faccenda ma per risolverla; dovesse costarmi la vita. CALISTO Fermati, Pármeno! Sta' a sentire quel che dicono costoro. Vediamo a che mani ci siamo affidati. Oh, donna ineguagliabile! Oh, ricchezze di questo mondo, indegne d'esser possedute da un così nobile cuore! Oh, Sempronio, servo devoto e sincero! Hai visto, Pármeno mio? Hai sentito? Non avevo forse ragione? Che mi dici adesso, custode dei miei segreti, d'ogni mio bene, della stessa anima mia? PÁRMENO Al primo sospetto, protesto la mia innocenza, obbedisco alla fedeltà che ti devo e, poiché me ne dai facoltà, parlerò. Ascoltami, dunque, e voglia il cielo che l'amore non ti faccia sordo, né t'acciechi la brama del piacere. Moderati, non precipitare le cose; ché molti, per la smania di colpir nel segno, mancano il bersaglio. Son giovane, eppure, quante ne ho viste! Il buon senso e l'attenta osservazione mettono in chiaro il senso delle cose; che se quei due dicono ad alta voce quel che hai udito è perché t'han visto o t'hanno sentito scendere dalle scale. E il loro scopo è che tu riponga nelle loro menzogne il fine ultimo della tua speranza. SEMPRONIO (Celestina, quel che dice Pármeno, non mi suona affatto bene. CELESTINA Taci! Che per questo santo segno di croce dove è venuto l'asino terrà dietro il basto. Di Pármeno lascia che mi occupi io: ti prometto che sarà dei nostri; gli daremo parte di quel che riusciremo ad arraffare, che i beni, se non son condivisi, non son beni, no? Prendiamo tutti il nostro guadagno, spartiamo fra tutti, spassiamocela insieme. Te lo porterò io, buono buono, a becchettarti il pane sul palmo della mano. Che di due contro due che siamo, saremo allora in tre a metter in mezzo l'allocco.) * * * CALISTO Sempronio! SEMPRONIO Signore? rettili. Persino nel regno vegetale vi sono piante che obbediscono a regola siffatta. Che, se stanno a breve distanza l'una dall'altra, e senza che cosa s'interponga fra esse, s'atteggiano in guisa tale da far supporre a agricoltori e erboristi che si dividano in maschi e femmine. Che ne dici, Pármeno? Sciocchino mio, pazzerello, angioletto, tesoruccio, sempliciotto! E che sono tutte quelle smorfiette sul tuo faccino? Vien qua, puttanella mia, che non sai nulla del mondo tu, e delle sue delizie. Che mi venga una fotta, vecchia come sono, se non mi verrebbe voglia di farmiti sotto. Stai mettendo su un vocione, ti sta spuntando la barba e devi avere la punta della trippa un poco agitatella, eh? PÁRMENO Come coda di scorpione! CELESTINA E anche peggio: ché quella morde senza gonfiare, e la tua gonfia per nove mesi. PÁRMENO Ah, ah, ah! CELESTINA Ridi, eh, carognetta d'un ragazzo! PÁRMENO Sta' zitta madre, e non mi gettar la croce che, se son corto d'anni, non mi fa difetto il giudizio! Amo Calisto: perché gli devo fedeltà e mi sfama, mi colma di favori; e poi mi vuol bene e mi tratta con ogni riguardo: ed è questa la catena più forte che lega il servo al signore. È in un mare di guai, ché non v'è cosa peggiore che correre dietro a un desiderio senza speranza. Tanto più che s'illude di porre rimedio a una situazione tanto intricata e difficile grazie ai vani consigli e alle sciocche ragioni di quel bruto di Sempronio, che è come voler cavar pedicelli con zappa e pala. Non riesco proprio a mandarla giù. Mi vien da piangere solo a pensarci! CELESTINA Ma non vedi, Pármeno mio, che è da sciocchi piangere per una cosa che non è con le lacrime che si può rimediare? PÁRMENO È ben per questo che piango. Ché se le mie lacrime potessero dare sollievo al mio padrone, trarrei tanto piacere da tale speranza che riuscirei a tenere il ciglio asciutto. Posto che questo non è, mi viene il magone e non mi resta che sciogliermi in lacrime. CELESTINA E piange[ra]i per niente; per una cosa che non potrai né impedire né sanare a furia di lamenti; togliti dalla testa di poterlo guarire in questo modo! Non è forse già successa ad altri la stessa cosa, Pármeno? PÁRMENO Sì; e tuttavia per nessuna cosa al mondo vorrei veder soffrire così il mio padrone. CELESTINA Tranquillo, che non soffre; ma se anche così fosse, potrebbe sempre guarire, no? PÁRMENO Non mi convince affatto quel che dici. In fatto di beni, val meglio l'atto della potenza. Nei mali, al contrario, la potenza più dell'atto. E dunque è di gran lunga preferibile essere sano che poterlo essere ed essere malato in potenza che esserlo in atto. Ne consegue che avere il male in potenza è preferibile che averlo in atto. CELESTINA Ah, briccone! E come diavolo parli che non ti si riesce a capire? Allora, ti spiace o non ti spiace del suo male? E che hai detto fino ad ora? Di che ti lamenti? Ma sia che tu scherzi o che tu spacci il falso per vero, credi pure quel che ti pare: il tuo padrone è malato in atto e la potenza della sua sanagione sta nelle mani di questa povera vecchia. PÁRMENO Dì pure "di questa povera vecchia puttana!". CELESTINA E puttanissimi i giorni che ti restano da vivere, screanzato! Come ti permetti? PÁRMENO Eh, ti conosco bene io! CELESTINA Ma si può sapere chi sei? PÁRMENO Chi sono? Pármeno, il figliolo del tuo compare Alberto. Sono stato in casa tua ‹un mese,› ricordi? Mi ti aveva affidato mia madre quando abitavi lungo il fiume, vicino alle concerie. CELESTINA Gesù, Gesù mio! E tu così saresti Pármeno, il figlio della Claudina? presenta un'occasione da cui tutti noi possiamo trarre profitto, e tu avere quel che ti serve per sistemarti. Quanto al resto che t'ho detto, l'avrai al momento opportuno. E molto ti gioverà farti amico di Sempronio. PÁRMENO Celestina, le tue parole mi fanno tremare come una foglia. Non so che fare, sono perplesso. Da una parte, ti ho in conto di madre; dall'altra, Calisto è il mio padrone. Essere ricco? Eccome se lo vorrei. Ma chi sale in alto senza far caso ai mezzi, più in fretta precipita. Quel che non voglio, insomma, son le ricchezze mal guadagnate. CELESTINA E io sì, invece! A torto o a diritto, la nostra casa fino al soffitto. PÁRMENO Eppure, io non saprei vivere contento con quel denaro, mi pare di gran lunga più dignitosa una onesta povertà. E ti dirò di più: son poveri non quelli che hanno poco, ma quelli che molto desiderano. Risparmiati dunque il fiato, che su questo punto non mi persuadi. Quel che vorrei è trascorrer la mia vita senza invidie, la solitudine e l'asprezza del cammino senza patemi, avere un sonno sgombro d'affanni; e avere una risposta alle ingiurie, fronteggiar la violenza senza danni, resistere alle prove più dure. CELESTINA Ah!, figliolo! È proprio vero quel che si dice, che la prudenza è appannaggio dei vecchi... e tu sei quasi un bambino. PÁRMENO Niente è più sicuro di una dolce povertà. CELESTINA Dì piuttosto che qualcosa di più sicuro c'è. La fortuna aiuta gli audaci. E, a parte questo, ‹c'è› forse qualcuno che, avendo del suo, preferisca viver senza amici nel consorzio degli uomini? Ebbene, grazie a Dio a te non fan difetto sostanze. E non sai che hai bisogno di amici per conservartele? Non t'illudere che la dimestichezza con il tuo padrone ti metta al riparo. Ché anzi, più grande è la fortuna e tanto più è precaria. Per cui è dagli amici che verrà il rimedio nelle avversità. E dove potrai procacciarti un amico fidato se non là dove concorrono i tre modi dell'amicizia, che sono il bene, il profitto e il piacere? In quanto al bene, considera la volontà di Sempronio sempre conforme alla tua, e la gran somiglianza nella vostra condizione virtuosa. Quanto al profitto, lo terrete stretto tra le mani solo se andrete d'accordo. Circa il piacere, poca differenza può esservi tra voi, che l'età vi fa inclini a ogni sorta di godimento; e in questo i giovani assai più dei vecchi amano riunirsi per giocare, agghindarsi, dar la baia, mangiare, bere e questionar di cose d'amore, tutti insieme, in brigata. Ah, se solo volessi, Pármeno, come ce la potremmo spassare! Sempronio ama Elicia, cugina di Areúsa. PÁRMENO Di Areúsa? CELESTINA Di Areúsa. PÁRMENO Dici Areúsa, la figlia di Eliso? CELESTINA Areúsa in persona, la figlia di Eliso. PÁRMENO Sicuro? CELESTINA Sicuro. PÁRMENO Ma è meraviglioso! CELESTINA Dunque ti garba, eh? PÁRMENO Non riesco a pensar niente di meglio. CELESTINA Bene. Poiché così ha disposto la tua buona stella, eccoti chi te la darà. PÁRMENO In fede mia, madre, non me la sento di dar fiducia a nessuno. CELESTINA Fidar di tutti è eccessivo, ma non va bene neppure diffidare di tutti. PÁRMENO Vorrei poterlo fare. Ma non m'azzardo. Lasciami in pace! E poi, non si dice forse che è bene prestar orecchio ai consigli dei propri vecchi? E a che mi esorta costei? A vivere in pace con Sempronio. E la pace, si sa, non la si deve negare a nessuno: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. E neppure è bene rifuggire dall'amore: né lesinare carità ai propri fratelli. Quanto al tornaconto, pochi son quelli che vi rinunciano. Mi va di compiacerla: la starò ad ascoltare.) Madre mia, il maestro non deve inquietarsi per la pochezza del discepolo, altrimenti la scienza, comunicabile per natura, rare volte e in pochi luoghi potrebbe essere somministrata. Perdonami, pertanto, e parlami, che mi son risolto non soltanto ad ascoltarti e a darti fiducia, ma pure a far tesoro del tuo consiglio qual dono singolare. E non me ne ringraziare: che lode e gratitudine per una buona azione ridondano più a chi la fa che a chi la riceve. Ordina dunque, che mi troverai obbediente al tuo comando. CELESTINA Errare è umano. Da bestie incaponirsi. Che gioia mi hai dato, Pármeno, sollevando il pesante velo che oscurava i tuoi occhi e corrispondendo al buon discernimento, alla discrezione e al sottile ingegno di tuo padre, la cui persona, che ora rivive nella mia memoria, intenerisce i miei occhi pietosi, dai quali mi vedi versare lacrime tanto copiose. Anche lui, talora, caparbio s'arroccava, non diversamente da te, ma poi tornava a più meditati consigli. Ti giuro sul nome di Dio e sull'anima mia, che nel vedere or ora come tu t'ostinavi per poi lasciarti ricondurre a ragione, m'è parso di rivedermelo innanzi in carne e ossa. Ah, che uomo! Che pienezza di vita! E qual venerabile aspetto! Ma zitti, ora, che sento avvicinarsi Calisto col tuo nuovo amico Sempronio. A poi il mettervi d'accordo. Che due persone che vivono d'un sol cuore e in tutto concordi san meglio fare e intendere. CALISTO Tale è la mia sventura, madre mia, che ho dubitato di trovarti ancora in vita. E così forte è il mio desiderio, che stupisco d'esser vivo. Accetta il misero dono di chi, insieme con esso, t'offre la vita. CELESTINA Come nell'oro più fino lavorato dalla mano dell'orafo sapiente, l'opera la vince in valore sulla materia. Egualmente il tuo munifico dono è superato in grazia e forma dalla tua amabile liberalità. E, non dubitarne, chi dona presto dona due volte. E il dono che si fa desiderare mostra che si vuol ritirare la promessa e che ci si pente d'averlo accordato. PÁRMENO (Che cosa le ha dato, Sempronio? SEMPRONIO Cento monete d'oro. PÁRMENO Ah, ah, ah! SEMPRONIO T'ha parlato la madre? PÁRMENO Certo che sì! SEMPRONIO Beh, come siamo rimasti allora? PÁRMENO Come tu vorrai; a dire il vero, io son qui che muoio di paura. SEMPRONIO Taci, che te ne farò provar io due volte tanta! PÁRMENO Santo Iddio! Non c'è guaio peggiore d'un nemico in casa, per metterti i bastoni tra le ruote.) CALISTO Va' ora, madre. Porta conforto alla tua casa; poi torna che metterai pace nella mia. CELESTINA Che Dio sia con te. CALISTO E che t'accompagni per la mia salvezza. * * * ATTO II Argomento Ma leggi più innanzi, volta la pagina: troverai scritto come fidare nelle cose di questo mondo e cercarsi occasioni di tristezza è l'altra faccia della follia. E il famoso Macías, idolo degli amanti, si lagnava perfino dell'oblio, perché s'obliava di lui. Pensare sempre all'amore: ecco il vero tormento. E distrarsene il solo conforto. Smettila dunque di dar di testa contro l'ostacolo. Fingi sollievo e finirai per goderne davvero. Non di rado è l'opinione a sforzar le cose nella direzione da essa voluta. E non perché possa mutar la sostanza; ma piuttosto perché agisce sui nostri sensi e guida il nostro giudizio. CALISTO Sempronio, amico mio, poiché tanto ti pesa che io resti solo, chiama Pármeno, che sarà lui a farmi compagnia. Di qui innanzi siimi leale come lo sei stato finora, ché la fedeltà del servitore è la ricompensa del signore. PÁRMENO Son qui, signore. CALISTO Non così posso dire di me, quando non ti ho accanto. E mi raccomando, Sempronio, non la perder di vista un momento. Va' con Dio, e non trascurare quel che sai! CALISTO Dì un po' Pármeno, che te ne pare di quel che è successo oggi? La mia pena è grande. Melibea altera e scostante. Ma Celestina è tanto sagace maestra in queste faccende che mi pare impossibile fallire. Con tutta la tua ostilità, tu stesso me ne hai dato la prova; e io ti credo. È così grande la forza della verità da piegare persino le lingue dei suoi nemici. Ora, se Celestina è quella che è, son meglio spese cento monete date a lei che cinque ad un'altra. PÁRMENO (Come, già [ci] rimugini sopra? Ahi ahi, son dolori, che tutte queste liberalità ci toccherà scontarle in casa digiunando!) CALISTO Su, Pármeno, che ti ho chiesto un parere. Fammi il piacere, non abbassare la testa quando rispondi. Ma essendo l'invidia triste e la tristezza muta, posson su di te più del timore che t'ispira il tuo padrone. Cos'hai detto, seccatore? PÁRMENO Dicevo, signore, che la tua liberalità sarebbe assai meglio impiegata in doni e servigi a Melibea, piuttosto che nel dar quattrini a quella vecchiaccia che io ben conosco. E, quel che è peggio, nel fartene schiavo! CALISTO Che dici, pazzo? Suo schiavo? PÁRMENO Proprio così. Che tu ti fai schiavo di colui cui confidi il tuo segreto! CALISTO Però, non dice male lo sciocco! Ma voglio che tu sappia che, quando c'è molta distanza tra chi prega e chi è pregato, vuoi per vincolo d'obbedienza, per dignità di condizione o per la ritrosia che è propria delle fanciulle, come tra questa signora e me, è d'uopo ricorrere ai servigi di un intercessore o intermediario che, grado a grado, sollevi la mia supplica fino alle orecchie di colei cui ritengo impossibile poter parlare una seconda volta. E, alla luce di quel che t'ho detto, dimmi se approvi quel che s'è fatto. PÁRMENO (Che lo approvi il diavolo piuttosto!) CALISTO Che dici? PÁRMENO Dicevo, signore, che un errore non vien mai da solo e che un inconveniente se ne porta dietro una caterva, ai quali spiana la strada. CALISTO Approvo la sentenza, anche se non vedo a qual proposito venga. PÁRMENO L'altro giorno s'è perso il tuo falcone, signore; l'andare a cercarlo fu motivo che tu entrassi nel giardino di Melibea, l'entrarvi ti permise di vederla e di parlarle, parlarle ingenerò amore, l'amore partorì la tua pena, la pena sarà causa della rovina del tuo corpo, de[ll]'anima tua e dei tuoi averi. E quel che più mi duole in tutta questa storia è che tu sia finito tra le grinfie di quella trottaconventi, già tre volte impeciata e impiumata. CALISTO Benissimo, Pármeno, rincara pure la dose, che mi fai contento! Ma sappi che più me ne dici sul suo conto e più mi va a genio. Lascia che prima mantenga la promessa che mi ha fatto, e poi l'impiumino pure una quarta volta. Ma tu sei un insensibile. Parli così perché non sai cosa voglia dire soffrire. Perché non ti duole dove duole a me, Pármeno. PÁRMENO corda senza fiatare. E se poi vorrà fare un falò di tutte le sue cose, andrò io stesso a procurargli il fuoco. Distrugga pure, rompa, faccia sfracelli, mandi in malora, si dissangui con le ruffiane, che qualcosa prima o poi me ne verrà. Se è vero quel che si dice che "nell'acqua torbida, i pescatori ingrassano". Che chi s'è scottato ha paura anche dell'acqua tiepida! ATTO III Argomento ‹Sempronio va a casa di Celestina e le rimprovera il suo tergiversare. Quindi, discutono su come procedere nella faccenda di Calisto e Melibea. Sopraggiunge, infine, Elicia. Celestina va a casa di Pleberio. Sempronio ed Elicia rimangono in casa della vecchia.› Personaggi: Sempronio, Celestina, Elicia. SEMPRONIO Se la prende comoda la vecchia barbuta! Per venir qua mica muoveva i piedi con tanta calma però! Denaro pagato, braccio svogliato! Toh, ecco la signora Celestina, non l'hai davvero sfiancata la mula, eh? CELESTINA Qual vento ti porta figliolo? SEMPRONIO Il nostro ammalato non si dà pace! È tutto un lamento. Non c'è chi ne faccia dritta una. Smania, teme che tu lo trascuri, stramaledice la sua avarizia e la sua tirchieria per averti allungato così poco denaro. CELESTINA Non c'è cosa più naturale dell'impazienza in chi ama. Ogni indugio è un tormento. Aborriscono ogni minimo rinvio, e in un amen vorrebbero mandare a effetto tutto quel che gli frulla per il capo, e avrebbero caro che la fine venisse prima dell'inizio. E questo vale soprattutto con quegli ‹amanti› novizi che, senza pensarci due volte, corrono dietro ad ogni richiamo, indifferenti al danno che l'esca del desiderio arreca a loro stessi e alle manovre dei loro servitori per secondarne le voglie. SEMPRONIO Che hai da dire sui servi? A sentirti, si direbbe che non possano venirci che guai da tutta questa faccenda, e che ci si possa solo scottare con le scintille del fuoco di Calisto. Manderei volentieri al diavolo i suoi amori! Alla prima che va storta, giuro che passo armi e bagagli sotto nuovo padrone! Meglio perdere il posto che lasciarci le penne per la paga. Il tempo mi suggerirà il da farsi. Non resta che sperare che prima che tutto vada a carte quarantotto dia almeno un segno, come fa la casa che sta per crollare. Se sei d'accordo, madre, a me pare che ci si debba guardare dai pericoli... e poi succeda quel che deve. Se sarà sua entro quest'anno, bene; se no, sarà per l'anno che viene; e se non sarà, bene lo stesso. Perché non c'è cosa tanto dura da sopportare sulle prime che il tempo poi non lenisca e non renda tollerabile. E non c'è piaga per dolorosa che sia che il passar del tempo non abbia rimarginato; né così intenso piacere che l'età non abbia fatto scemare. Il male e il bene, la prosperità e l'avversa fortuna, la gioia e la pena, tutto, insomma, perde, col tempo, la forza del suo travolgente inizio. E quelle cose mirabili che tanto abbiamo desiderato si dimenticano più tosto che non sian trascorse del tutto. Ogni giorno vediamo e ascoltiamo cose nuove e stupefacenti, ma passiamo oltre e ce le lasciamo alle spalle: il tempo le sminuisce e ce le rende familiari. Se anche ti dicessero "la terra ha tremato" o qualcosa del genere, certo ne stupiresti ma non per questo tarderesti a dimenticartene. O se qualcuno soggiungesse "il fiume è gelato; il cieco ha riacquistato la vista, tuo padre è morto, è caduto un fulmine, è stata presa Granada, è atteso per oggi l'arrivo del re, il turco è stato finalmente sconfitto, domani ci sarà l'eclissi, il ponte è stato travolto dalla piena, il tale l'han fatto vescovo, han ripulito Pietro, Inés s'è impiccata" [Cristóval era ubriaco], che avresti da dire? Se non che son fatti che passati tre giorni o visti per la seconda volta non stupiranno nessuno? Così va il mondo, tutto passa in questo modo e tutto vien dimenticato. Tutto ce lo lasciamo per via. Non farà eccezione l'amore del mio signore: quanto più procederà, tanto più scemerà. ‹Ché una lunga consuetudine lenisce i dolori, sminuisce e annulla i piaceri, smorza la meraviglia.› Cerchiamo di trarne profitto dunque finché dura la contesa. E se possiamo procurargli rimedio senza alcun rischio per noi, tanto meglio; se no, un poco alla volta si cercherà di fargli digerire lo spregio e il disamore di Melibea. Che, ad ogni buon conto, mille volte meglio un padrone in pena che un servo alla catena. CELESTINA Ben detto. D'accordo, fino all'ultima sillaba: mi sei proprio piaciuto. Siamo sulla buona strada. E tuttavia, figlio mio, bisogna che il buon avvocato ci metta di suo qualche argomento convincente e qualche sofistica azione, come l'andare e il venire dal tribunale. E poco importa se dal giudice non riceve che male parole: quel che conta è farsi notare, ché non si dica che si guadagna il salario a ufo. E così tutti gli chiederanno il patrocinio e a Celestina la cura dei loro amori. SEMPRONIO Fa' come vuoi, non sarà certo questo il primo incarico che ti sei accollata. CELESTINA Il primo, figliolo? Poche vergini, ringraziando Iddio, hai visto aprir bottega in questa città, di cui io non sia stata sensale del primo filato. Appena nasce una creatura, la iscrivo d'ufficio sul mio registro, e ‹questo› per ‹aver contezza› di quante me ne sfuggano dalla rete. Che ti credevi, ‹Sempronio?› Che mi nutrissi di vento io? Ti risulta che abbia ereditato qualcosa? Ho forse altra casa o vigna che questa? O altra rendita oltre a questo mestiere? Come campo? Di che mi vesto e che mi metto ai piedi? Nata in questa città, in essa allevata, mantenendovi alto il mio onore, come sanno anche le pietre, non son dovunque conosciuta? A tal punto che chi non sa come mi chiamo e dove abito lo potrai tener tranquillamente per forestiero. casa di Pleberio. Tu statti con Dio. Che per quanto Melibea faccia la ritrosa, non sarà la prima cui con l'aiuto di Dio ho fatto abbassare la cresta. Tutte schizzinose sulle prime: ma una volta che han provata la sella sulla schiena, non c'è modo che si stanchino di cavalcare. Vogliono il campo tutto per loro: morte piuttosto, ma mai satolle. Se trottan di notte, per niente al mondo vorrebbero veder l'alba. Maledicono i galli perché annunciano il giorno; hanno in uggia l'orologio perché incalza senza tregua. ‹Son tutte uno scrutare l'Orsa e la stella polare, al modo delle astrologhe; ma quando poi vedon spuntare l'astro del mattino, si direbbe che esalino l'ultimo respiro tanto la sua luce ottenebra il loro cuore.› È questa una strada, figliolo, che mai m'è parso d'aver battuta a sufficienza. Mai che me ne sia stancata. E anche ora, vecchia come sono, Dio solo sa con quanta voglia mi rimetterei in cammino. Figùrati queste che bollono senza che gli si appicchi il fuoco! Al primo abbraccio sono belle che andate, eccole ai piedi di chi le implorava, si struggono per chi prima penava per loro, si fanno schiave di colui di cui erano signore, cedono il bastone e si lasciano comandare. Sfondano muri, spalancano finestre, si fingono malate, oliano le bandelle delle porte perché s'aprano e si chiudano senza cigolare. Non saprei dirti quanto possa su di loro la dolcezza che ancor gli resta dei primi baci del loro amante. E insomma, [nessuna] ha in uggia come loro le mezze misure pronta com'è a passare da un estremo all'altro. SEMPRONIO Cosa intendi con questo, madre mia? Proprio non ti capisco. CELESTINA Voglio dire che la donna o smania per chi la corteggia, o lo odia di un odio mortale. È per questo che, quando smetton d'amare, non riescono a tenere a freno il rancore. E son tanto convinta di questo, che me ne vado a casa di Melibea più rincuorata che se già la tenessi in pugno. So bene che per quanto adesso la preghi, sarà lei poi a supplicarmi; e che per quanto ora mi minacci, alla fine bacerà la terra dove cammino. Ho qui in questa mia tasca una matassina di filo e certe altre cosette che mi porto sempre appresso, allo scopo di mettere il naso per la prima volta in casa di chi non mi conosce: che son gorgiere, cuffie fatte a uncinetto, frange, sciarpine, pinzette, belletti, bianchetto, sublimato, [e poi] aghi e spilli, una cosa per ogni esigenza. Che non accada che mi chiamino e non sia pronta a gettar l'esca e a mirar dritta allo scopo. SEMPRONIO Madre mia, sta' bene attenta a quel che fai; che chi mal inizia peggio finisce. Pensa a suo padre, nobiluomo e valente; pensa a sua madre, donna diffidente e di carattere. E considera che tu sei tale da destare più d'un sospetto. Melibea è la loro unica figlia: se la perdono, non gli resta più nulla. Tremo solo a pensarci. C'è il rischio che tu vada per lana e torni tosata. CELESTINA Spiumata io, figliolo? SEMPRONIO O forse impiumata, il che è anche peggio! CELESTINA In fede mia, mi mancava solo un compagno par tuo. E così ti sei messo in testa d'insegnare a Celestina il suo mestiere? Sappi che non eri neanche nato che io già masticavo il pane con tanto di crosta! Bel capitano sei, con tutti i tuoi cattivi presagi e le tue paure! SEMPRONIO Non stupirti, madre, delle mie paure, che è proprio dell'uomo disperar che si avveri quel che più brama; tanto più che in questo caso quello che mi spaventa è il castigo che ce ne potrebbe venire. Certo, mi alletta l'idea di trarne profitto. E se tanto mi preme che questa faccenda vada a buon fine è più per salvarmi dalla miseria che per affrancare il mio padrone dalle sue pene. È per questo che prevedo più guai io con la mia poca esperienza che non tu con tutta la tua maestria. ELICIA Lascia che mi segni, Sempronio, che m'è piovuta manna dal cielo. Che novità è questa? Tu qui, due volte in un giorno solo? CELESTINA Zitta, sciocchina, che abbiamo ben altro cui pensare! Dimmi piuttosto: c'è qualcuno in casa? Se n'è andata la ragazza che aspettava il prete? ELICIA E ne è venuta un'altra. E se ne è andata anche lei. CELESTINA Spero non sia stato per niente, eh? ELICIA No davvero! Dio non l'avrebbe permesso. Ché per tardi che sia venuto... aiutati che Dio t'aiuta. CELESTINA Poche chiacchiere. Svelta, fa' un salto in solaio e prendi il barattolo d'olio serpentino che troverai appeso col pezzo di corda che ho portato dalla campagna l'altra notte, quando pioveva ed era buio pesto. Apri la cassa dei licci e a man dritta vedrai un foglio scritto con sangue di pipistrello, sotto quell'ala del dragone cui ieri abbiamo strappato gli artigli. E sta' bene attenta a non versare l'acqua di maggio che m'hanno dato da preparare. ELICIA Guarda, che non sta dove dici tu, madre. Non ti ricordi mai dove tie‹ni› le cose. Celestina?! Il suo sapere, il suo coraggio, la proverbiale scaltrezza, la sua dedizione, l'astuzia, la perseveranza? E Calisto, il suo signore? Cosa dirà? Che farà? Che penserà? Che tutto questo tramestio di passi e di maneggi non era che fumo negli occhi; che io, maestra solo di cavilli e sofismi, fiutata l'insidia, non ho trovato di meglio che voltar gabbana, per aumentare il profitto. E se anche non arriverà a pensare infamie di tale fatta, si metterà comunque a strillare più di un pazzo. Mi getterà in faccia le ingiurie più abiette. E m'elencherà i mille inconvenienti che il mio cambiar bandiera gli ha causato, dicendo: "Tu, vecchia puttana, perché hai voluto render più aspro il mio tormento a furia di promesse? Brutta ruffiana falsa più di Giuda, hai piedi per tutti, per me soltanto lingua; per gli altri fatti, per me parole; un rimedio per ciascuno, per me pene; a tutti dai coraggio, di quello che nel caso mio t'è mancato; a tutti la luce, a me le tenebre. E allora, vecchia traditora, perché ti sei fatta avanti? Le tue promesse mi han dato speranza; la speranza m'ha ritardato la morte, m'ha tenuto in vita e m'ha fatto tenere per uomo felice. Ebbene, il tuo fallimento, se a me riserverà disperazione e scorno a te guadagnerà un esemplare castigo". Me sventurata, allora! Guai a destra, guai a sinistra! Guai dappertutto! Quando fra due estremi non v'è giusto mezzo, saggezza vuole ci s'acconci al men rischioso. Meglio vituperare Pleberio che far infuriare Calisto! E dunque via, bando agli indugi. Ché l'onta di passare per vile mi pesa assai più del castigo che rischio mandando a effetto la mia temeraria promessa: mai la fortuna abbando‹na› gli audaci. Vedo laggiù la sua porta. Ben altre prove ho dovute affrontare! Coraggio, coraggio Celestina! Non ti perdere d'animo! Che non mancano mai intercessori a mitigare le pene. E poi tutti i presagi si mostrano favorevoli, o io non capisco più un'acca di quest'arte! Di quattro uomini in cui mi sono imbattuta, tre fan Juan e due son becchi. La prima parola che ho udita per strada è pene d'amore. E poi non ho inciampato una volta che è una. ‹Le pietre sembra si faccian da parte per lasciarmi passare; le sottane non mi sono d'impaccio, e dopo tanto camminare son fresca come una rosa; non c'è cristiano che non mi saluti.› Né un cane che m'abbia abbaiato dietro, né m'è capitato di veder volare un uccellaccio nero, o un tordo, un corvo o un altro che porti male. E, ciliegina sulla torta, vedo Lucrecia all'uscio di Melibea. È cugina di Elicia, non sarà certo lei a mettermi i bastoni tra le ruote. LUCRECIA Chi è quella vecchia che se ne vien sgonnellando? CELESTINA Che la pace sia in questa casa. LUCRECIA Celestina, madre mia, che tu sia la benvenuta. Qual buon vento ti porta? È un secolo che non ti si vede. CELESTINA Figliola, tesoruccio mio, m'ha guidato il desiderio che ho di tutti voi; e poi ti porto i saluti di Elicia e vengo a baciare la mano delle tue padrone: la giovane come la vecchia. Che è da quando mi sono trasferita nell'altro quartiere che manco. LUCRECIA E solo per questo saresti uscita di casa? Stento a crederlo. Non è da te. Non mi risulta che tu faccia un passo se non c'è da guadagnarci qualcosa. CELESTINA Va' va' sciocchina. Pensi ci sia tornaconto più grande che soddisfare i propri desideri? E poi, lo sai bene che in casa delle vecchie il pane non cresce mai, specie a quelle che, come me, si son messe in casa figlie altrui. Così me ne vado in giro a vendere un po' di filato. LUCRECIA Non mi sono sbagliata! Che tu sei di quelle che non dànno un dito senza voler in cambio una mano. A ogni buon conto, la mia vecchia padrona ha cominciato a tessere una tela e ha bisogno di filo, quanto tu di venderlo. Sù, entra e aspetta qua. Vi metterete d'accordo, vedrai. * * * ALISA Con chi stai parlando, Lucrecia? LUCRECIA Con quella vecchia sfregiata, signora; ricordi? quella che una volta viveva vicino alle concerie, in riva al fiume. ALISA Adesso ne so meno di prima. Come vuoi che capisca quel che non so con quel che ignoro: è come pestar acqua in un mortaio. LUCRECIA Gesummaria, signora! Questa vecchia è più conosciuta della ruta. Come fai a non ricordarti di quella tale che misero alla gogna come fattucchiera; che spacciava ragazze agli abati e mandava all'aria mille matrimoni? ALISA E che mestiere fa? Che forse da quello capirò di chi parli. LUCRECIA Profuma le cuffie, signora, e prepara sublimato, e conosce almeno altri trenta mestieri. Sa di erbe, cura bambini, e c'è chi la chiama la vecchia lapidaria. ALISA Con tutte le tue parole, mi raccapezzo meno di prima. Dài, dimmi come si chiama, se lo sai. CELESTINA Ah, (il diavolo ci ha messo la coda. La strada in discesa, il male di quell'altra che peggiora. ‹Forza, buon amico, non mollare! Che ora tocca a me. Dài, tieni duro. Portala da qui a chi so io.›) ALISA Che stai dicendo, amica mia? CELESTINA Che il diavolo sia stramaledetto, signora, e maledetti i miei peccati! Guarda te se il malanno di tua sorella doveva peggiorare proprio ora che stavamo per concludere il nostro affare. A proposito, di che soffre la poverina? ALISA Ha fitte continue a un fianco. E mi dice il ragazzo che è ridotta a tali termini che temo non ne esca viva. Per amor mio, vicina, raccomandala a Dio nelle tue preghiere. CELESTINA Ti prometto, signora, che uscita di qui, non mancherò di passare per certi monasteri, dove professano frati che mi sono assai devoti: girerò anche a loro l'incarico che mi hai appena affidato. Oltre a ciò, prima di colazione, avrò ripassato quattro volte almeno i grani del mio rosario. ALISA Allora, Melibea, accontenta la nostra vicina, e pagale il giusto per il suo filato. E tu, madre mia, perdonami. Che non mancherà occasione per stare assieme un poco più a lungo. CELESTINA Non v'è luogo al perdono, signora mia, dove non c'è traccia di colpa. Ti perdoni Iddio, piuttosto, ché quanto a me, resto in buona compagnia. Voglia il cielo che Melibea possa godere della sua nobile giovinezza e del fiore di quell'età che fra tutte è la più generosa di gioie e dei maggiori diletti. Che, a quel che penso, la vecchiaia altro non è che ostello di malanni e locanda di preoccupazioni, amica di screzi, tormento senza fine e piaga incurabile, onta del passato, pena del presente, malinconica inquietudine del domani, coinquilina della morte, capanna senza frasche, dove piove dappertutto e bastoncello di vimini che si piega sotto il minimo peso. * * * MELIBEA Perché, madre mia, tanto ti accanisci contro ciò che tutti desiderano così intensamente di vedere e godere? CELESTINA E desiderano gran male per sé, e una pena davvero non lieve! Se si vuole arrivare alla vecchiaia è perché, per arrivarci, si vive, e vivere è dolce; ma vivendo s'invecchia. Così, il fanciullo brama diventare ragazzo e il ragazzo vecchio e il vecchio decrepito, anche a prezzo di malanni e dolori. E tutto solamente per vivere; che come si dice "viva la gallina con la sua pipita, purché in vita". Chi potrebbe dirti, signora mia, i guasti dell'età, gli acciacchi, le sue pene, le apprensioni, i malanni, il troppo freddo, il caldo, i malumori, i continui rancori, e i crucci, le rughe che coprono il viso, i capelli che perdono lo smalto dei loro freschi colori, l'udito che s'infiacchisce, la vista che s'annebbia, la bocca che s'infossa e si rincagna, e poi quel franar di denti e la forza che vien meno, lo strascicare i passi per la strada, e quel lento masticare? E se poi a quello che ti ho detto aggiungi la povertà, allora t'accorgerai, signora, che poca cosa sono tutte le altre magagne quando cresce il bisogno e s'assottigliano le scorte. Che non c'è indigestione peggiore che di fame! MELIBEA So ben io come ognuno ‹torni› dalla fiera secondo che ‹gli› è andata. Altra canzone ‹intonerà› chi è ricco! CELESTINA Signora, figlia mia. Non v'è nessuno, a questo mondo, cui non tocchi la sua croce. I ricchi si vedono sfuggir via [la beatitudine] la felicità e la pace per altri condotti, insidiosi perché non appaiono in superficie, lastricati come sono di lusinghe. ‹Ma, bada, è ricco davvero colui che è in armonia con Dio. Meglio essere disprezzati che temuti. E miglior sonno dorme il povero di colui che è costretto a vegliare su quello che ha guadagnato con travaglio e avrà da lasciare con dolore. Dell'amico potrò io fidare; non così il ricco del suo. Io sono amata per me stessa, il ricco per quel che possiede. Mai gli vien detto il vero, che gli parlano con le lusinghe più dolci al suo palato, ed è invidiato da tutti. A fatica troverai tra i ricchi chi non vorrebbe piuttosto uno stato mediano o una decorosa povertà. Non ricchi fan le ricchezze, ma preoccupati, piuttosto. Non signore vi rendono, semmai maggiordomo. E sono più coloro che ne sono posseduti, che non quelli che le possiedono. A molti hanno arrecato la morte, a tutti han tolto il piacere, e non v'è nulla più di esse contrario ai buoni costumi. Non hai mai sentito quel detto: "dormirono gli uomini ricchi sonni tranquilli ma al loro risveglio non si ritrovarono nulla tra le mani"? Ognuno di loro ha una dozzina di figli e nipoti, tutti a recitare una sola preghiera e tutti con un'unica supplica da rivolgere a Dio: che glielo levi di torno una volta per tutte. Non vedono l'ora di aver lui sotto terra e tutti i suoi beni fra le mani: per pagargli poi con minima spesa l'ultimo viaggio e l'‹eterna dimora.› MELIBEA [Se così stanno le cose,] madre, chissà quanti rimpianti per la verde età perduta. Dimmi, vorresti tornare indietro? CELESTINA Folle sarebbe, signora mia, quel viandante che, spossato dalle fatiche della giornata, volesse ricominciar tutto da capo per ritrovarsi alla fine nel medesimo punto. Perché le cose men desiderate conviene averle già piuttosto che vedersele venire. Tanto è più prossima la fine quanto più ne è lontano l'inizio. Non v'è cosa più dolce e più grata infernale: "non di solo pane vive l'uomo?". Ed io lo confermo: che non basta il cibo da solo. Soprattutto per me che passo uno o anche due giorni digiuna, e solo per occuparmi degli affari degli altri, pronta sempre a far del bene ai buoni e magari a rischiar la vita per loro. Questo ho sempre avuto a cuore: dannarmi l'anima per il prossimo piuttosto che starmene in panciolle a fare il mio comodo. Così, se mi consenti, ti dirò il motivo della mia venuta, che non ha niente a che vedere con quello che hai creduto finora, ed è tale che tutti ci rimetteremmo del nostro se solo dovessi tornare indietro senza avertelo rivelato: che sarebbe come aver tanto penato per niente. MELIBEA Parla, madre; dimmi pure quel che ti preme, che se potrò provvedervi lo farò volentieri. Che non per niente ci si conosce da tanto tempo e siamo state vicine di casa. CELESTINA Quel che mi preme, signora mia? Quel che preme ad altri, vorrai dire. Che, quanto a me, provvedo io, in casa mia, senza farne parte a nessuno, mangiando se posso, bevendo quando ne ho. Che da quando son rimasta vedova, con tutta la mia povertà, grazie a Dio, non m'è mai mancata una moneta per il pane e quattro per il vino. E prima non toccava certo a me darmi da fare per la cantina: che in casa c'erano sempre due otri, uno pieno e l'altro vuoto. Non mi son mai coricata senza aver prima inzuppato una crosta di pane nel vino e senza averla accompagnata da almeno due dozzine di sorsi, buona usanza per i mali della madre. Ora che debbo sfangarmela da sola me lo portano in un boccaletto mal impeciato che non terrà due litri. ‹Sei volte al giorno, per i miei peccati, mi tocca trascinare i capelli bianchi fino in taverna per i rimbocchi del caso. Voglia il Cielo tenermi in vita fino a quando non me ne vedrò in casa un orcio o un otre. Che dice bene il proverbio: "pane e vino fan buon cammino... e più di un garzone robusto".› Ma è anche vero che in quella casa dove non c'è chi porti i calzoni le cose van presto a remengo: "non corre bene il fuso se la barba non va in suso". E tutto questo è venuto a fagiolo con quel che ti dicevo dei bisogni degli altri e dei miei. MELIBEA Chiedi pure quel che vuoi, e sia per chi si sia. CELESTINA Nobile e leggiadra fanciulla, le tue dolci parole, il tuo viso ridente e le molte dimostrazioni di liberalità che hai voluto dare a questa povera vecchia m'infondono coraggio. Devi sapere che or ora ho lasciato un uomo malato in punto di morte. Tiene per articolo di fede che gli basti per guarire una sola parola che esca dalla tua nobile bocca, e ch'io [gli] rechi chiusa nel mio cuore, tanta è la devozione che nutre per la tua cortesia. MELIBEA Rispettabile vecchia, spiegati meglio, che davvero non ti capisco. Per un verso, m'inquieti e mi provochi a sdegno. Dall'altro mi muovi a compassione. Così poco ho inteso delle tue parole che non saprei darti risposta che convenga. Sono molto felice se da una mia parola dipende la salvezza di un cristiano. Far del bene è un po' somigliare a Dio. ‹Di più: chi lo fa lo riceve, se lo indirizza a persona che lo meriti.› Non diversamente si dice che, chi potendo guarire l'infermo non lo fa, l'uccide. Dunque, né imbarazzo né timore ti trattengano dal chiedere. CELESTINA Ogni mio timore l'ho perduto, signora, ammirando la tua bellezza. Non posso credere che Dio abbia disegnato invano lineamenti tanto perfetti e pieni di grazia se non per farne scrigno di virtù, di misericordia, di sollecitudine alle altrui sventure; se non per eleggerli a ministri delle sue grazie e dispensatori dei suoi doni. [E] poiché siam tutti esseri umani, nati per morire, certo non può dirsi nato chi è nato solo per sé. Che in caso contrario sarebbe fatto a somiglianza piuttosto delle fiere senz'anima, per quanto non ne manchino tra esse di capaci di compassione, quali l'unicorno, che si dice si umili dinanzi a una vergine. ‹E che dire del cane che, irruente e feroce qual è, pure è preso da pietà e non morde chi si getta a terra?› E degli uccelli? Il gallo non mangia se prima non chiama a spartire il suo e a mangiarne le galline. ‹Il pellicano si squarcia il petto per sfamare i suoi piccoli con le proprie viscere; le cicogne sostentano nel nido i loro vecchi per un tempo eguale a quello in cui, implumi, ne vennero nutrite. Se dunque la natura ha fornito gli animali e gli uccelli di tale capacità d'intendere,› perché mai noi uomini dovremmo essere più crudeli? Perché non dar parte delle nostre sostanze e delle nostre stesse persone al prossimo, specie quand'esso è preda di mali segreti e tali da avere il loro rimedio dove è celata la loro medesima radice? MELIBEA Ma, in nome di Dio, deciditi a dirmi chi è quest'ammalato che soffre di un male tanto strano che la pena e il rimedio gli provengono da una medesima fonte? CELESTINA Avrai sentito parlare, signora, di un giovane cavaliere di questa città; gentiluomo di illustre casato, di nome Calisto. MELIBEA Finalmente al dunque! Non una parola di più, vecchia; non continuare. Tutti quei preamboli, tutti quei giri di parole per questo malato? È lui la causa per cui ti sei venuta a cercar la morte? È lui la causa di tutto il tuo darti daffare, eh svergognata barbuta!? Che cos'ha dunque, quello sciagurato, da farti accorrere qui con tanto zelo? So ben io qual è il suo male: follia bella e buona. Come m'avrebbero piegato le tue suadenti parole, se tu non m'avessi trovato prevenuta contro questo pazzo! Non per niente si dice che è la lingua la parte peggiore d'un uomo e d'una donna malvagi. Potessi salire sul rogo, ruffiana mentitrice, fattucchiera, nemica dell'onestà, cagione di turpi peccati! Gesù, Gesù! Levamela di torno, Lucrecia, che mi sento mancare! Non m'ha lasciato una sola goccia di sangue in corpo! Questo e altro merita chi presta orecchio a gente di tal fatta. Che, se non avessi a cuore il mio onore rendendo pubblica l'audacia di quel temerario, non ci penserei un momento, donna scostumata, a metter fine ai tuoi discorsi e alla tua vita. CELESTINA (M'aspetta un pessimo quarto d'ora davvero se il mio scongiuro non m'assiste! Orsù, dunque: so ben io a chi rivolgermi! ‹Forza, fratello mio, che va tutto in malora.›) non ho trovato pietà in una fanciulla generosa quale tu sei, certo non troverei acqua s'egli mi mandasse a cercarla nel mare. ‹Ma tu sai bene che se il gusto della vendetta non dura che un istante, quello della misericordia persiste per sempre.› MELIBEA Se era questo che volevi, perché non me l'hai detto subito, senza gettare al vento ‹tante› parole? CELESTINA La purezza delle mie intenzioni mi ha fatto ritenere, signora, che ‹qual che fosse il modo› di dirtene, non avresti potuto sospettare niente di male. E, se è mancato il debito preambolo, è perché la verità rifugge gli orpelli. La pietà per il dolore di lui, la fiducia nella tua generosità spensero ‹sul nascere› le parole che dovevano spiegartene il motivo. E posto che sai, signora, quanto il dolore sconcerti, e lo sconcerto renda impertinente e sciolta la lingua, che dovrebbe viceversa essere sottoposta alla ragione, non gettarmi la croce, signora mia. E se d'altri è la colpa, che il castigo non ricada su me, che son stata solo messaggera del reo. Non accada che la corda si spezzi nel suo punto più sottile. Non ‹esser› come la tela del ragno che mostra la sua forza solo sugli insetti indifesi. Che il giusto non paghi per il peccatore. Imita piuttosto la giustizia divina, quando afferma: "soltanto perisca quell'anima che ha peccato". E quella degli uomini, secondo la quale non debbono ricadere sui figli le colpe dei padri. Non sia che la sua audacia causi la mia rovina. Anche se sono così grandi i suoi meriti, che poco mi peserebbe che essendo lui il colpevole a me toccasse di pagarne il fio. Che a me solo preme servire i miei simili: di questo io vivo e con questo m'acconcio. Mai ho avuto intenzione di irritare gli uni per compiacere gli altri, qualunque cosa t'abbian mormorato alle mie spalle le malelingue. Che infine, signora, il vento del volgo non vale a piegare l'albero della verità. ‹Sono unica in queste oneste faccende. E son pochi, in tutta la città, quelli che ho scontentati. E non manco mai di soddisfare quelli che mi richiedono qualche servigio come se avessi venti piedi e altrettante mani. MELIBEA Non mi sorprende che si dica che "un solo maestro d'iniquità basta per corrompere un intero paese".› E in verità ‹tali› e tante son le lodi delle tue ‹false› astuzie che davvero non so se devo crederti riguardo la preghiera che m'hai chiesto. CELESTINA Ch'io possa mai più recitarla e, se mai lo facessi, che non venga esaudita! Se mi strapperai una parola di più, a costo di mille tormenti. MELIBEA La collera di poco fa m'impedisce di ridere delle tue scuse. So bene che nessun giuramento, nessun tratto di corda ti ‹farebbero› dire la verità: tanto la cosa ti ripugna. CELESTINA Sei la mia signora. A me tocca solo tacere. Io devo servirti e tu comandarmi. Le male parole saranno preludio di una sottana. MELIBEA L'hai meritata davvero. CELESTINA Se non me la sono guadagnata con la lingua, certo non me l'ha fatta perdere la mia intenzione. MELIBEA Insisti talmente sulla tua buona fede da farmi dubitare. Voglio così sospendere il giudizio sulla tua dubbiosa discolpa e non decidere affrettatamente circa quel che mi hai chiesto. Non far troppo caso alla mia indignazione di prima e non te ne stupire. Due cose si sono sommate nel tuo discorso, ognuna delle quali sarebbe bastata da sola a farmi uscire di senno: in primo luogo, m'hai nominato quel tuo cavaliere che ebbe l'ardire di rivolgermi la parola; quindi m'hai domandato, senza un motivo plausibile, una parola per lui, da cui non poteva non derivar che danno al mio onore. Ma, poiché tutto è stato fatto a buon fine, si perdoni il passato. Sia come sia, mi sento il cuore più leggero: che è opera santa e devota guarire gli afflitti e gli infermi. CELESTINA E che infermo, signora! Se lo conoscessi meglio, quanto è vero Iddio, non ti saresti mostrata tanto irata e ben diverso sarebbe il tuo giudizio su di lui. Su Dio e sull'anima mia, garantisco del suo cuore aperto e gentile; quanto a pregi, poi non gliene manca nessuno; per liberalità è un Alessandro, un Ettore per coraggio. La sua figura è quella di un re; è spiritoso e affabile, in lui non alberga mai la tristezza. È di nobile stirpe, come ben sai. E gran giostratore: armato di tutto punto, pare un San Giorgio. Forza e valentìa quante e più di Ercole. L'armonia della sua figura, l'aspetto, la spigliatezza e la grazia, altra lingua che non la mia occorrerebbe a dirne. Tutto in lui è come di un angelo del cielo. In fede mia tengo per certo non fosse così bello quel gentil Narciso che s'invaghì della propria immagine riflessa nelle acque della fonte. Ma ora, signora, è bastato a prostrarlo un solo dente, e a tal punto che non smette mai [di] lamentarsi. MELIBEA Da quanto è che...? CELESTINA Avrà a un dipresso ventitré anni, signora, e proprio quella Celestina che ti parla l'ha visto nascere e l'ha raccolto ai piedi di sua madre. MELIBEA Non t'ho chiesto questo, né m'importa di sapere la sua età; quel che volevo chiederti è da quanto tempo è afflitto da questo malanno. CELESTINA
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