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La Celestina - Fernando de Rojas, Appunti di Letteratura Spagnola

Riassunto e analisi in italiano de La Celestina

Tipologia: Appunti

2020/2021
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Caricato il 15/03/2021

sararom99
sararom99 🇮🇹

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Anteprima parziale del testo

Scarica La Celestina - Fernando de Rojas e più Appunti in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! LA CELESTINA LETRA A UN SU AMIGO Precede il prologo e la troviamo per la prima volta nell’edizione della commedia stampata a Toledo nel 1500. In essa discute brevemente del ritrovamento del manoscritto originale e afferma di averlo letto e riletto più volte, di avervi visto una dolcezza particolare, non solo nella storia o finzione principale, ma anche alcune “fonticelle” di filosofia, di piacevolezze, di avvertimenti e consigli contro adulatori, servi malvagi e fattucchiere. Prosegue poi con una piccola discussione sul possibile autore, che nella stesura si era mantenuto anonimo. Dice “vidi che mancava la firma dell’autore, secondo alcuni fu Juan de Mena, secondo altri Rodrigo Cola” e poi afferma di non nutrire grande interesse per scoprire chi fosse in realtà, lodandone le capacità espressive. Successivamente afferma di volersi mantenere nell’anonimato a sua volta, principalmente perché non voleva che questa sua attività concorresse o influisse sulla sua figura in quanto uomo di legge e specifica che in realtà la scrittura di quest’opera la esercitò nei momenti vuoti tra gli studi di diritto. Per discolparsi dell’anonimato, lascia invece dei versi. Questi versi sono delle ottave importantissime, chiamate acrostiche, dato che leggendo in successione la prima lettera di ogni verso ci da informazioni sul continuatore della tragicommedia: “El bachiller Fernando de Rojas acabò la Comedia de Calysto y Melibea y fue nascido en la Puebla de Montalvan”. PROLOGO Lo troviamo già nella traduzione italiana del 1506 ed è preso quasi nella sua totalità dalla Praefatio al libro II di Petrarca, il De Remediis utisque fortunae. (Petrarca è inoltre il poeta più citato nella Celestina). In apertura cita una frase di Eraclito: “Tutte le cose sono create a guisa di contesa o battaglia”. L’autore cita questa frase riferendosi all’uomo, ma poi allarga lo sguardo a tutti gli elementi della natura, snocciolando una lunga lista di animali, notando come questo contrasto si ripeta nelle varie situazioni. Infine lo trasporta all’umanità, parlando di come quella sua stessa opera fosse percepita e giudicata in maniera sempre differente dai lettori. Si tratta dello stesso contrasto che l’autore è consapevole nascerà dalla sua opera. Parla della contesa che è innegabile possa nascere tra chi ascolta l’opera, criticando prima l’intervento inutile degli stampatori che hanno aggiunto rubriche e sommari all’inizio di ogni atto (solo l’edizione di Saragozza del 1507 non ha gli argumentos) e poi discutendo il nome da dare all’opera. Alcuni discutevano infatti che dovesse essere chiamata tragedia dato che la fine era triste, però Rojas dice che in realtà quel primo autore aveva voluto nominare la sua opera incompiuta commedia dato il principio lieto. Scontrandosi con le critiche del pubblico, Rojas decide di tagliare la questione a mezzo e dic chiamarla tragicommedia. Rojas da ascolto al pubblico anche riguardo una seconda questione, che prevede l’inserimento di cinque atti al centro dell’azione drammatica: essi volevano infatti che la narrazione dei piaceri fosse più lunga. Sebbene controvoglia, dice lo stesso, si impegna per creare la nuova aggiunta sottraendo persino del tempo ai suoi studi principali. I ATTO (presentazione generale personaggi) Calisto entra in un giardino per inseguire il suo falcone e incontra Melibea. Nel vedere la bellezza della ragazza, egli arriva ad affermare che in lei si concentra la grandezza di Dio. Melibea però respinge la sua confessione e gli ordina di andare via. Per questo Calisto torna a casa molto angosciato, subito chiama il suo servo Sempronio e gli ordina di chiudere le finestre e di lasciarlo solo nelle tenebre. Sempronio capisce che il suo padrone è afflitto dal male d’amore e quindi va via. In un primo momento pensa di lasciarlo persino morire, se lo volesse, però poi decide di aiutarlo. In quel momento Calisto lo chiama e comincia quasi a delirare, pronunciando versi e intensificando Melibea con Dio, al punto da rispondere alla domanda “Tu non sei cristiano?” Con “Io sono Melibeo, Melibea adoro e in Melibea credo e Melibea amo”. Sempronio resta sbalordito e ride, perché pensa che il peccato del suo signore sia simile a quello di Sodoma, facendo questo paragone fa ridere anche Calisto, che tutto avrebbe pensato di fare nella sua disperazione tranne che quello. A questo punto Calisto comincia ad elencare al servo le doti della sua amata: la nobiltà e l’antichità della sua stirpe, la grazia, la bellezza, i capelli lunghi simili a oro, gli occhi verdi e a mandorla, le ciglia lunghe, il naso regolare, i denti minuti e bianchi, la bocca rossa e carnosa, la pelle liscia, il colorito bianco, le mani piccole e le dita affusolate, il corpo perfetto di una dea. È una descrizione tipica del luoghi comuni della tradizione cortese. Sempronio, stanco, decide di cercare un rimedio. Dice al suo signore di conoscere una vecchia chiamata Celestina, presso la quale dimora la donna di cui egli stesso è innamorato, Elicia. Questa vecchia potrebbe risolvere i suoi problemi. Sempronio quindi si reca a casa della mezzana, la sua visita però mette in agitazione Elicia che nasconde un altro uomo, Crito. Mentre il servo parla con Celestina, Calisto parla con Parmeno, un altro suo servitore. Quando Parmeno vede Celestina non perde occasione di esprimere a Calisto il suo disaccordo per quanto riguardava la sua collaborazione, si perde infatti in una descrizione per nulla gentile dei mestieri della mezzana. Parmeno, infatti, le aveva fatto da servitore e aveva avuto modo di constatare che tutti quei lavori erano solo coperture per la sua attività di mezzana di fanciulle che vendevano il loro corpo. Calisto non lo ascolta e desideroso di conoscere i rimedi, incontra la vecchia. Celestina si mostra subito per quello che è realmente, avida di denaro. Parmendo continua sottovoce a pronunciare parole di pena per il suo padrone, caduto nelle sue grinfie. Celestina, risponde a tono a Parmeno non appena le sente. Comincia infatti a raccontare del suo rapporto con la madre di Parmeno, che in punto di morte aveva raccomandato il figlio proprio a lei. Dice che lo aveva trattato come un figlio e che fosse felice che fosse al servizio di un gentiluomo come Calisto, pur raccomandandogli di non fidarsi mai dei signori. Prova a portarlo dalla sua parte menzionando Areusa. Quando però Callisto e Sempronio si avvicinano ai due, Celestina smette di parlare e consiglia a Parmeno di unirsi a Sempronio per riuscire nella loro impresa. I due servi poi parlano tra loro, Sempronio rivela a Parmeno che il loro signore aveva dato cento monete d’oro a Celestina e sbeffeggiano così il loro signore. Nella prima scena, Calisto e Melibea si trovano nel giardino di lei. Non è un’informazione da dare per scontato. La domanda che ci poniamo è: come ha fatto Calisto ad entrare nel giardino? Melibea infatti è una gentildonna sorvegliata da guardie e sentinelle, infatti nei capitoli finali si parla di un muro altissimo che impedisce l’ingresso, tanto che Calisto dovrà usare una scala per entrare nelle sue stanze, con l’aiuto dei suoi servi. È evidente che l’autore vuole farci capire che in realtà i due già si conoscessero. Idea confermata fin da subito dal fatto che si chiamano per nome a vicenda. I due appartengono infatti alla stessa classe sociale e frequentavano gli stessi posti. Calisto, per sedurre la donna che dice di amare, usa il codice cavalleresco. Egli si comporta come un cavaliere medievale, fa riferimento al dolore perché lui vive l’innamoramento come un uomo tipico del medioevo. Questo non viene capito da Melibea che reputa il tutto un’esagerazione, ella è una donna del ‘500 e si rifiuta di essere trattata come donna del ‘400. Melibea lo caccia perché vede in Calisto un uomo che si mostra per quello che in realtà non è. Mentre se ne va, fa riferimento alla fortuna, al destino nelle cui mani essendo un uomo del medioevo, non può che rimettersi. Durante la narrazione c’è un tratto ambiguo col quale veniamo a contatto: prima siamo nel giardino di Melibea e poi, tutt’un tratto, Callisto dice a Sempronio di chiudere le finestre e preparare il letto. dalle maledizione di Parmeno che, stanco di non essere creduto, pensa che il male derivi sempre dalla sua lealtà. III ATTO: Sempronio va a casa di Celestina, la sgrida per la sua lentezza ma la donna non si stupisce perché sa che l’impazienza è tipica degli amanti. Insieme studiano il comportamento da adottare riguardo la faccenda di Calisto e Melibea. La mezzana rivela al servo che conosce la ragazza da quando è nata, dato che era molto amica della madre. Innanzitutto capiscono come portare Parmeno dalla loro parte, usando Areusa come esca e poi Celestina dice al servo che troverà anche il modo per far innamorare Melibea di Calisto. Intanto arriva Elicia, felice e stupita di vedere Sempronio lì per la seconda volta, tanto che lo prende con sé e lascia la mezzana da sola dopo averle portato il necessario per preparare il suo intruglio. Incantesimo: Celestina deve fare un filtro d’amore. Pre realizzarlo, nel 400, occorrevano degli elementi essenziali. Il primo era un qualcosa di liquido, soprattutto sangue (umano o animale, nel caso analizzato è di caprone) e il secondo era solito (peli della barba) mentre il terzo era gassoso, ottenuto facendo bollire il liquido. Un altro elemento importante è la solitudine di chi lavora. Come spesso accade, chi effettua un incantesimo deve inoltre rivolgersi a delle entità: Celestina si rivolge a Plutone, dio del male e sovrano dell’ade, che può essere tradotto come inferno. Questo elemento agisce in due direzioni, assecondando l’idea della magia ma rispolverando allo stesso tempo storie della mitologia. Non a caso il rinascimento è l’epoca in cui al centro del mondo viene posto l’uomo, un uomo però vicino al mondo classico, interessato alle storie antiche della mitologia. Dopo aver trovato un destinatario, bisogna prendere tutto il suo potere e presentarsi (Yo, Celestina). Nella formula pronunciata dalla Celestina all’entità mitologica, vi è anche un accenno di minaccia, del tipo “Se non lo fai presto mi avrai come nemica e illuminerò le tue carceri oscure, farò in modo che nel mondo degli uomini non ci sia più il tuo culto”. Celestina quindi si rivolge a Plutone e gli intima di fare ciò che gli chiede, lei che ha il potere fra gli uomini. Prende poi dell’olio e lo cosparge su un hilado, una stoffa che ha in mano e che indica che Melibea è vittima dell’incantamento amoroso, la Philocaptio, una pratica di stregoneria mediante la quale si provocava una violenta passione nella mente della vittima. Importantissimo è però che Melibea si fidi di Celestina, dato che costituisce ella il tramite per arrivare a Calisto ed è lei che Melibea cercherà. IV ATTO: Celestina cammina per strada parlando tra sé e valutando i profitti e i rischi della sua impresa. Giunge alla porta della casa di Melibea e pensa sia di buon auspicio trovarvi Lucrecia, la cugina di Elicia, che sicuramente non le sarà ostile. Alisa, madre di Melibea, la sente parlare e chiede alla sua serva chi sia. Lucrezia non ha buone parole nei suoi confronti, tanto da far ridere la signora la quale le ordina di far salire la mezzana. Parlano brevemente, ma Alisa va via lasciando poi Melibea a far gli onori di casa. Poco dopo Melibea riconosce Celestina e dato che si trattava di un’amica di famiglia, è disposta ad ascoltarla. La mezzana allora comincia a parlare di un giovane malato, di nome Calisto. Al solo sentirlo nominare Melibea va su tutte le furie, ordina a Lucrecia di cacciare Celestina perché non vuole assolutamente che se ne parli. Tuttavia la mezzana, pronta per una situazione del genere, la prega di aiutarla a dare sollievo al giovane per un mal di denti che lo stava abbattendo. Le chiede di donare il suo cordone, che aveva la fama di aver toccato tutte le reliquie di Roma e Gerusalemme. Commossa, Melibea decide di accettare pentendosi di aver reagito con tanta durezza. Quando Celestina si reca a casa di Melibea, ha facile accesso. Questo risulta ambiguo, perché una fattucchiera come lei non dovrebbe poter entrare così facilmente. Dalla conversazione tra Celestina e Melibea si capisce perfettamente quanto la mezzana sia brava nel persuadere: le si rivolge con epiteti cortesi ed espressioni come “principessa dalla bellezza folgorante”. Appena si pronuncia il nome di Calisto ella rifiuta qualsiasi riferimento all’uomo, ma questo semplicemente perché nel codice nobiliare, il rifiuto dell’uomo è prassi. Celestina però capisce che non sarà facile convincerla, allora decide di far leva sulla sua Pietas. infatti, se c’è qualcosa che un nobile del 400 è tenuto a fare è aiutare i deboli e i sofferenti, qualcosa di cui Celestina è evidentemente ben consapevole. La mezzana fa quindi riferimento a un dolore di denti che affligge il povero Calisto, una tecnica che Celestina usa come espediente diegetico/narrativo. È un po’ come se dicesse “Non amarlo, so che ancora è presto, ma almeno ama il suo dente”, dove questo dente è solo un mezzo per giungere a Calisto. Il potere amoroso viene trasferito all’oggetto. Più avanti Capito sembra amara l’oggetto che appartiene a Melibea più della ragazza stessa. Celestina, oltre alla preghiera, abbiamo visto che chiede un oggetto a Melibea, il cordone, con la scusa che avrebbe giovato al dolore del giovane. V ATTO: Congedata da Melibea, Celestina si avvia verso casa. Parla con sé e scongiura di aver corso un gran pericolo a causa dell’improvvisa ira della ragazza. Giunta a casa, trova Sempronio. Insieme si avviano da Calisto, che viene avvertito da Parmeno una volta che li vede arrivare. Calisto però lo rimprovera e gli dice di correre per aprir loro la porta. VI ATTO: Calisto chiede subito a Celestina come sia andato l’incontro con Melibea, ella gli dice che è riuscita a convertire la durezza iniziale in dolcezza, il suo impeto di rabbia in pacatezza, tanto da convincersi che tutto quell’astio iniziale fosse in realtà solo sintomo di amore trattenuto. Dice poi che è ciò che distingue fanciulle come lei da donne da strada, come se stessa. Allora Calisto si calma e sale sopra con Celestina per farsi spiegare i dettagli dell’incontro. La mezzana racconta la scusa del mal di denti, della richiesta del cordone. Per proseguire il racconto chiede a Calisto un mantello in cambio. Il giovane, disposto a tutto pur di avere Melibea, ordina a Parmeno di andare a chiamare il sarto. Celestina allora tira fuori il cordone e Calisto subito vi si accanisce, carezzandolo come fosse sacro. La mezzana si congeda e lascia la casa. Celestina possiede il cordone di Melibea, che Calisto farebbe qualsiasi cosa per avere. Infatti, quando la mezzana gli commissiona un mantello in cambio, egli non perde tempo a far chiamare addirittura il sarto. Questo perché, avere quel cordone rappresenta per lui il primo avvicinamento fisico a Melibea. Se avesse voluto seguire il codice cavalleresco, il motivo del suo desiderio di possedere il cordone avrebbe dovuto limitarsi al fatto che esso avesse “toccato molte reliquie sacre” il che lo rende un oggetto magico. La richiesta del mantello è, da parte di Celestina, un fattore economico, dell’affare, del commercio. Ad un certo punto, poi, Sempronio afferma “Signore, a furia di trastullarti col cordone, finirà che non t’andrà più di godere di Melibea” e cerca di far capire a Calisto che, andando avanti così, perderà il suo interesse. Qualcuno la considera una sorta di profezia, dato che davvero ad un certo punto pare che Calisto perda interesse. VII ATTO: Celestina parla con Parmeno e gli chiede di diventare amico di Sempronio, gli dice che per lui è un figlio dato che era stata amica della madre e aveva fatto tutto con lei: era stata accusata e perfino arrestata insieme a quella. Continua poi che per il bene che gli vuole è arrivata persino a chiedere una mantella a Calisto. Il servo però le ricorda che aveva promesso di fargli avere Areusa. Allora Celestina sale nella stanza della ragazza e lodando la sua bellezza, le suggerisce di concedersi a Parmeno. Ella rifiuta per imbarazzo. Il servo intanto è già salito in camera e la mezzana decide di lasciarli soli. L’atto si chiude con Celestina che ritorna ed Areusa che va ad aprirle, adirata per il suo ritardo. Parmeno cambia totalmente, non è più lui. Dal servitore che si preoccupava di entrare nella stanza della fanciulla, passiamo ad un Parmeno capace di tutto pur di avere Areusa, addirittura disposto a pagare la Celestina. Alla fine egli promette che sarà amico di Sempronio e che li asseconderà nella faccenda di Melibea. Celestina cerca subito di realizzare il desiderio di Parmeno di avere Areusa, donna dai caratteri tipicamente spagnoli. La scena che si prospetta qui è intensamente erotica: Areusa è nuda (non si direbbe che ha solo quindici anni). Ella è stanca e vorrebbe dormire, ma Celestina furbamente la elogia con complimenti, modificando anche il modo di parlare in base all’occasione. Vi è il riferimento ad un proverbio: “No seas el perro de ortolano” ovvero, non essere il cane del contadino, che non mangia e non fa mangiare nemmeno il contadino. Ovvero, se non vuoi godere del tuo corpo lascia almeno che lo facciano gli altri. È una frase tremendamente materiale e pratica. Areusa dice di avere questo dolore e Celestina spiega di conoscerlo bene, che vi sono diverse cure ma il migliore n’è uno solo. Celestina vuole convincerla che il rimedio è il male stesso, perché è funzionale a se stesso. Infatti Areusa dice “Calma, ho capito dove vuoi arrivare”. Quando Parmeno sta per salire su invito di Celestina, Areusa si mostra imbarazzata. La mezzana le dice di non preoccuparsi perché ci sarà lei durante l’incontro. Notiamo come i due si innamorino velocemente, quasi come se si trattasse di una versione più materiale e volgare dell’incontro tra Calisto e Melibea, perché i due non sono nobili. La Celestina assiste alla scena. Notiamo quasi una sorta di godimento fisico, nonostante sia vecchia e questo si riduca al semplice atto del guardare. Ella trae piacere nell’osservare relazioni e rapporti perché il suo corpo non può più ma i suoi occhi continuano ad essere attivi come un tempo: voyeurismo. VIII ATTO Viene il mattino e Parmeno si sveglia, si congeda da Areusa e si avvia da Calisto. A casa di questo trova Sempronio, al quale racconta la sua passione con la ragazza e stringe un patto di amicizia, così come gli era stato raccomandato da celestina. I due entrano insieme nella stanza di Calisto e lo trovano che parla da solo, perso nel tempo (non sa se è giorno o notte). Egli si alza poi per andare in chiesa. IX ATTO: Sempronio e Parmeno vanno a casa di Celestina, dove vi trovano Elicia e Areusa. Si mettono tutti a tavola e durante il banchetto scoppia un litigio tra Elicia e Sempronio, quest’ultimo si era rivolto a Melibea descrivendola come avvenente (graziosa). Interviene Celestina a mettere pace e Sempronio rimedia, dicendo che non era sua intenzione fare paragoni. Mentre discorrono arriva Lucrezia, ancella di Melibea, che chiede a Celestina di recarsi dalla sua signora per riavere il cordone e per parlarle. Il banchetto è un motivo ricorrente nella letteratura, il momento in cui i personaggi mangiano insieme, si rilassano, abbassano le loro difese e viene fuori la loro vera realtà. Molti scrittori lo usano per aumentare la profondità psicologica dei personaggi ed esaltare il riso, la barzelletta e la battuta. Porta i personaggi a rilassarsi e significa anche un patto. In questo atto, torna il tema del tempus fugit, il tempo effimero: i giovani devono godere della loro gioventù perché, una volta persa, è troppo tardi. Il fatto che a parlare sia Celestina è sorprendente: nonostante le sue esperienze c’è qualcosa che rimpiange, un’insoddisfazione cronica. L’invito di Celestina è “cogli l’attimo per godere del tuo corpo”. Calisto dice “Mia signora e mia gloria, ti ho tra le braccia e non lo credo. Fa che questo piacere duri”. Il godimento molto spesso sta nel ricordo del momento, perché non si è capaci di tenerlo a lungo tra le mani. Il Calisto cortese che non aveva neanche preso in considerazione di vedere Melibea adesso scompare completamente, notiamo invece un personaggio materialista, impaziente che incarna pienamente l’uomo rinascimentale. Punto fondamentale: “Perdona, señora, a mis desvergonzadas manos, que jamas pensaron de tocar tu ropa con su indignidad y poco merecer; ahora gozan de llegar a tu gentil cuerpo y lindas y delicadas carnes”. (Le mie mani mai pensarono di toccare i tuoi vestiti … ora godono di arrivare al tuo gentil corpo e alla tua delicata carne). A questo punto Melibea dice “Allontanati, Lucrezia!”. La sua ancella era lì e Melibea probabilmente capisce che anche lei vorrebbe questo tipo di piacere, ma vuole rispettare comunque la discrezione del proprio rapporto. Calisto invece risponde “Perché? Mi va benissimo che ci siano testimoni della mia gloria”. Siamo davanti una scena estremamente lussuriosa in cui compare anche il narcisismo di Calisto, il quale gode del fatto che qualcuno sappia che ha conquistato Melibea. Ella non voleva però testimoni del suo peccato e inizia successivamente a maledirsi per aver perso la verginità (ma non si capisce se lo faccia davvero o se stia solo seguendo un codice). D’improvviso si sente Sosia che parla sussurrando e si riferisce a Melibea, dicendo cose del tipo “Avresti dovuto pensarci prima”. I servi sono misogini, odiano il mondo femminile perché non devono fare i cortesi per avere le donne: nel livello più basso della società, l’incontro amoroso non prevede certi canoni ma solo l’incontro carnale, come nel caso di Elicia e Sempronio o Parmeno e Areusa. Bisogna poi aggiungere che Calisto, una volta avuta Melibea, inizierà a snobbarla. È un sensore del fatto che cercava solo appagamento sessuale. XV ATTO: Elicia entra in casa mentre Auresa litiga con un certo Centurio, accusandolo di essere un ruffiano che le ha portato via tutto. Racconta poi all’amica il motivo della morte dei loro amanti: l’amore tra Melibea e Calisto.Nel ricordare la fine dei due decidono di usare Sosia, il nuovo servo, per avere notizie e Centurio per vendicarsi su Calisto. Elicia e Auresa si ritrovano d’un tratto orfane di ciò che muove le cose in quest’opera: orfane di desiderio da soddisfare e un obbiettivo, quindi sopraggiunge in loro la vendetta. Le due sentono il bisogno di vendicare le morti con una vendetta contro coloro che hanno iniziato tutto. Ad un certo punto Auresa dice “è colpa di Calisto” perché è stato lui ad innamorarsi e ad essere voluto andare a casa di lei e ad alimentare questo affare con la sua impazienza. Le due individuano il colpevole (elemento moderno perché prima si affibbiava tutto al volere di Dio) e decidono di sfruttare l’aiuto di Sosia: decidono di andare a casa di Melibea e combinare un incidente per provocare la morte di Calisto. XVI ATTO: I genitori di Melibea discutono su un possibile matrimonio per la figlia, pensando fosse ancora vergine. Il discorso trattato mette in imbarazzo Melibea, incuriosendo invece Lucrezia. Ad un certo punto la madre pensa non sarà difficile combinare un matrimonio dato che la figlia a suo parere non conosce affatto gli uomini e finirà per accettare chiunque. Queste parole sono troppo per Melibea che ordina alla serva di interrompere il discorso in modo che tacciano. Riflettiamo sul tema del matrimonio: nessuno lo ha mai menzionato. Certo tutto più semplice se i due avessero seguito la strada tradizionale e avessero chiesto il permesso per sposarsi, invece non c’è alcuna mediazione o presenza di un padre/fratello protettore. Si tratta di una storia di orfani: non ci sono genitori e se ci sono non hanno funzione propriamente genitoriale. È una delle grandi violazioni dell’opera: il fatto che si siano quasi dimenticati che esista il matrimonio, dimensione in cui tutto è permesso. Calisto e Melibea potrebbero sposarsi tranquillamente, dato che appartengono alla stessa classe sociale. Rojas poi non dirà mai che i due sono desinati o hanno l’idea di sposarsi in mente. Celestina non pensa mai al matrimonio, ma non è strano dato che lei è un’alcahueta. L’unico che ci pensa è Pleberio. (Pleberio: deriva da Pleberius, nobile con un nome povero. Calisto è un nome nobile, mentre questo è popolare quindi dice del personaggio che è povero d’animo). Lui è preoccupato di avere una figlia vergine, pauroso di non riuscire a collocarla socialmente o trovarle un marito degno. Melibea ha paura di perdere Calisto, se il prescelto del padre non fosse lui dice “Faltandome Calisto, me falde la vita”. Melibea si trasforma: è un soggetto inizialmente amato (tradizione cortese) e ora è soggetto amante (tradizione rinascimentale). Prima rifiuta Calisto per colpa del codice da seguire, poi grazie alla Celestina capisce di amarlo, ma ha bisogna che sia lui ad andare da lui. Dalla parte dell’amata vive gli incontri amori inconsapevolmente per poi, una volta fatta esperienza, cominciare ad amare. Diventa donna che sceglie chi amare, scegliendo comunque Calisto. Ciò ci porta a dire che ella sia più innamorata del giovane, che appare quasi distratto. Le sue frasi sono più brevi, confermando che fosse solo interessato all’aspetto carnale. Qui si realizza la profezia di Sempronio che aveva detto “L’amerai tantissimo tanto è che ti innamori del suo cordone, ma vedrai che appena avrai la sensazione di averla conquistata comincerai a ridimensionarla perché sei un uomo”. Egli stesso rende questo passaggio esplicito, quando passa dal parlare di Melibea come un angelo ad un uccellino. XVII ATTO: Elicia decide di lasciare gli abiti di lutto, si pettina e riveste, dando così inizio al suo piano. Quando Areusa la vede è felicissima, ancor di più quando bussa Sosia che subito lascia solo con lei. Elicia lo accoglie e tra una lusinga e l’altra si fa rivelare i dettagli sull’amore dei protagonisti e sui loro incontri. Sosia le dice che un incontro era previsto per quella sera stessa a mezzanotte nel giardino, che vi sarebbero arrivati percorrendo la strada del vicario grasso. XVIII ATTO: Saputo ciò, le due vanno a casa di Centurio e Elicia finge di voler pacificare lui e Areusa. Come d’accordo, quest’ultima fissa come condizione che lui la vendichi e uccida Calisto. Egli rifiuta inizialmente, ma poi afferma di non potersi tirare indietro (il suo nome viene dal fatto che capitana cento uomini). Appena le due donne vanno via, pensa però ad un modo per tirarsi via dall’impiccio e pensa di far andare a casa di Calisto un certo Traso lo zoppo e due suoi compagni al suo posto. XIX ATTO: Mentre Calisto va con Sosia e Tristano verso il luogo d’incontro, facendo attenzione che nessuna li senta arrivare, posiziona la scala. Melibea intanto è con Lucrezia ad aspettare. Sosia racconta cosa è successo con Areusa. Calisto e Melibea finalmente si incontrano in giardino, ma vengono disturbati dall’arrivo di Traso e gli altri. Calisto decide di uscire e vedere di chi si tatti, nonostante sia Melibea e i servi cerchino di fermarlo. Uscito fuori mette un piede in fallo, precipita e muore. Lucrezia accorre da Melibea per darle la triste notizia e si rivolge a Tristano che non reggendo alla vista di tanto male si era sciolto in lacrime. Torna qui il motivo dell’insoddisfazione. Dopo la morte di Calisto, Melibea si rifà al Gozar (carpe diem): “Perché è durato così poco? Perché non ho saputo goderne a pieno?”. Qualcuno si chiederebbe se volesse godere di più di quanto non abbia già fatto e, in effetti, è proprio perché il motivo dell’opera è proprio l’insoddisfazione, il senso di frustrazione di non poter godere mai a pieno delle cose. Calisto: la frase “Hanno messo la scala, hanno bisogno del mio aiuto” non l’avrebbe mai detta prima perché sarebbe stato troppo preso e coinvolto nel rapporto amoroso mentre ora si distrae facilmente, anche solo per un rumore. XX ATTO: Lucrezia va da Pleberio e gli dice di recarsi dalla figlia Melibea che ha bisogno di lui. Giunto nella camera della figlia, lei gli dice di avere male al cuore e lui le consiglia di uscire e prendere aria. Melibea chiede a Lucrezia di accompagnarla sulla torre più alta e al padre di andarle a prendere uno strumento per alleviare la sua pena. Salita, Melibea ordina a Lucrezia di andare dal padre e farlo mettere ai piedi della torre perché aveva qualcosa da dirgli. Rimasta sulla torre pronuncia una sorta di congedo, chiude la porta e chiede al padre di non interromperla. Gli rivela quindi il suo amore per Calisto, la passione vissuta con lui, il fatto che aveva lasciato che violasse le sue mura e le sue grazie e infine che d’improvviso era morto. Lei non poteva accettare che la morte li separasse ed era pronta a seguirlo. Chiede al padre quindi di accettare questa sua tragica fine, dettata da una sua decisione e di consolare invece la madre. Grande dolore prova Melibea sia per sé che per i suoi genitori ma, vittima della follia, si getta dalla torre e precipita ai piedi del padre. Pleberio va a prendere gli strumenti di musica, così come Calisto si fece prendere il liuto, strumento che accompagna il mal di cuore. Nel momento in cui si allontana, Melibea sale e poi manda via anche Lucrezia: inizia il monologo, la sua confessione. “Muchos dias son pasados, padre mio, que penaba por amor un caballero que se llamaba Calisto, el cual tu bien conociste” è un’altra prova che i due già si conoscevano. Tutta una scuola di critica femminista ha voluto vedere nella Celestina il primo romanzo femminista della letteratura spagnola: grazie a Celestina Melibea è riuscita ad esprimere l’amore che teneva celato nel petto e che non riusciva a mostrare, le ha fatto vedere il mondo con altri occhi, comprendendo l’amore per Calisto e dandole la forza per emanciparsi, scegliere chi amare e non essere scelta. Grazie alla mezzana, che in questo contesto si rivela personaggio buono, capisce chi doveva amare. Per causa della morte di questo si lancia però dalla torre. XXI ATTO: A Pleberio, tornato nelle sue stanze, la moglie chiede il motivo di tanta sofferenza e lui le racconta la fine della figlia, mostrandole persino il corpo. Si lascia andare ad un ultimo compianto, insieme alla moglie. Richiama alla memoria tutti i padri della storia che hanno perso i propri figli: Paolo Emilio che, avendone persi due in una settimana, fu lui da conforto al popolo romano; Pericle e Senofonte che persero i figli lontani dalle loro patrie e sentirono il loro stesso strazio; Anassagora che reagì alla morte del figlio con fermezza, pensando che fosse nella natura umana. Nessuno di quesi uomini aveva sofferto come lui, dato che la figlia si era uccisa di sua volontà e sotto i suoi stessi occhi. Piangendo cerca di trovare una risposta al dolore e da la colpa all’amore funesto che ha ucciso molti amanti: Paride, Elena, Egisto, Saffo, Arianna, Leandro. Si rivolge poi alla defunta figlia e dichiara finiti i suoi giorni felici.
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