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LA CELESTINA - Fernando De Rojas (testo italiano completo), Dispense di Letteratura Spagnola

LA CELESTINA testo italiano completo

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 08/10/2019

luciimagr
luciimagr 🇮🇹

4.5

(67)

34 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica LA CELESTINA - Fernando De Rojas (testo italiano completo) e più Dispense in PDF di Letteratura Spagnola solo su Docsity! Fernando de Rojas La Celestina L'autore a un suo amico Coloro che si trovano a vivere lontani dalla loro terra sogliono considerare di che il paese da cui sono partiti abbia maggior penuria o soffra la mancanza, per farne dono ai conterranei dai quali a suo tempo ottennero segnalati benefici. Per questa ragione, vedendo che un giusto obbligo mi induceva a fare altrettanto per ripagarvi delle molte grazie ricevute dalla vostra franca liberalità, sovente, ritirato nella mia camera e col viso appoggiato alla mano, lasciando correre a briglia sciolta i miei pensieri, rammentavo non solo la necessità che la nostra patria comune ha della presente opera per il gran numero di giovani galanti e innamorati che vivono in essa, ma anche e in particolare il caso vostro, la cui gioventù ricordo d'aver visto preda d'amore e da esso crudamente ferita mancando di difese per resistere ai suoi fuochi. Armi che ho trovato scolpite in queste carte: non forgiate nelle grandi fonderie di Milano, ma concepite dai preclari ingegni di dotti uomini di Castiglia. E come ne ammirai la perfezione, l'artificio sottile, il forte e puro metallo, il modo e la maniera dell'arte, l'eleganza dello stile, mai visto né udito prima nella nostra lingua castigliana, lessi il libro tre o quattro volte. E più lo leggevo tanta più necessità avevo di ritornarvi. E mi piaceva sempre di più, e nelle sue pagine coglievo sempre nuove sentenze. M'avvidi così che non solo la sua storia o finzione principale presa nel suo insieme dava diletto. Ma che da alcune sue particolarità trasparivano spunti di filosofia assai profittevoli; da altre, gradevoli arguzie; da altre ancora, avvertimenti e consigli contro adulatori, servi malfidi e false fattucchiere. Vidi che non vi era firma d'autore: ‹il quale secondo alcuni fu Juan de Mena, secondo altri Rodrigo Cota›. Ma chiunque egli sia, par degno di imperitura memoria, per la sottile immaginazione e per la gran copia di elaborate sentenze che egli offre sotto lo schermo dei motti piacevoli. Gran filosofo era! E poiché per timore dei detrattori e delle malelingue, più pronte a criticare che a fare, ‹volle celare e tener occulto› il suo nome, non me ne vogliate se non rivelerò il mio che reputo di tanto più vile. A maggior ragione essendo io uomo di legge, questa, benché opera degna, molto si discosta dalle mie cure. Se lo si venisse a sapere si direbbe che non ho composto il libro presente per dar tregua alle fatiche dei miei studi, dei quali in verità vado assai fiero; ma piuttosto per distrarmene con nuova occupazione, accantonando codici e pandette. Il che, ancorché falso, sarebbe comunque giusto scotto per la mia audacia. Allo stesso modo si potrebbe pensare che per terminarlo abbia impiegato non già i quindici giorni d'una vacanza che mi presi mentre i miei soci se ne stavano al loro paese, ma molto più tempo. Tempo che avrei fatto meglio a impiegare altrimenti. Per scusarmi di tutto ciò, offro non solo a voi ma a tutti coloro che lo leggeranno i seguenti versi. E perché si sappia dove hanno inizio i miei ragionamenti sconnessi, ‹ho creduto bene che quello che appartiene all'antico autore fosse contenuto senza alcuna divisione in un solo atto o scena fino al secondo, là dove dice: "Fratelli miei... ecc.".› Vale L'autore chiede comprensione per i difetti dell'opera sua argomenta contro se stesso e compara Il silenzio fa scudo e suole coprire la mancanza d'ingegno e la lingua ‹impacciata›. Moltiplicar le parole, di contro, rivela il difetto di ‹chi› molto dice senza riflettere. Come la formica che smette di andare indugiando per terra con la sua provvista, si vantò delle ali della sua perdizione; che la librarono in volo, né sa dove andare. Prosegue Ebbra dell'aria sconosciuta e malfida è fatta preda degli uccelli che volano. Più forti di lei, qual esca la portano. Nelle ali novelle consisteva il suo male. Ragione vuole che alla mia applichi quest'inganno, non ‹spregiando› coloro che ‹mi› rimprovereranno; i quali le mie ali fiacche e nebbiose e appena spuntate distruggeranno. Prosegue Che se quella pensava di godere del volo, e se io m'illudevo d'illustrarmi ‹scrivendo›, dall'uno e dall'altre ne avenno disdoro: lei fu mangiata; io fui bersaglio di rimbrotti e rampogne e accuse. Non tacer fu il mio fallo. E ora ‹affronto, remando›, un mare d'invidie, di danni e calunnie. E i porti sicuri mi lascio alle spalle quanto più nel mare m'inoltro. Prosegue E se ‹volete sapere› l'onesto mio scopo e a quale io miri tra questi due estremi, e se volete sapere chi è che l'assiste e dirige i suoi remi se ‹Apollo o Diana o il fiero Cupido› cercate nella fine di quei di cui scrivo, e quindi agli esordi, l'argomento scorrete. Amanti, se vi par dolce la storia, leggete e vedrete che v'è indicata la strada per uscire da tale servitù. Comparazione Come l'infermo che sdegna e rifiuta ‹la› pillola amara e non può trangugiarla se non commista a un dolce confetto. Che migliora il suo gusto e dà guarigione: alla stessa maniera, la mia penna è indecisa. Se imporre detti lascivi, e festivi, adescando gli orecchi di coloro che soffrono che di buon grado intendano la dolce lezione e si emendino. Torna al suo proposito ‹Di dubbi e› da voglie ‹mi trovo accerchiato›, composi la fine che scioglie il principio. Decisi d'indorare con foglia d'oro sottile, la più fine ‹coppella› che videro ‹i miei› occhi, e su un tappeto di rose seminai mille cardi. Supplico i saggi che emendino il mio errore; e supplico la gente dappoco che ne colga il messaggio e dinanzi a un'opera sì alta vedano, tacciano e non ne offuschino il pregio. Prosegue, precisando i motivi che l'hanno spinto a terminare l'opera A Salamanca dimorando, trovai questo scritto, mi decisi a finirlo per le ragioni seguenti: dapprima, va detto che ero in vacanza. Fu la seconda ragione che l'opera ‹si deve a persona prudente,› e l'ultima infine, veder tanta gente invischiata nei vizi d'amore. La storia di questi amanti l'inviteran a temere delle ruffiane gli inganni e dei ‹malfidi› serventi. Fu così che quest'opera, ‹di svolgimento› sì breve, eppur sì sottile, è ricca di più di duemila sentenze: piacevole opera ammantata di grazie. No, ‹sono certo› che Dedalo mai avrebbe potuto fare bassorilievo più delicato che ‹Cota o Mena›, se avessero dato fine a quest'opera singolare ‹con il loro grande sapere.› Mai [io] ‹vidi in lingua latina›, dacché mi ricordo, né persona la vide, opera di sì alto stile, e ricercato ‹nella lingua toscana, greca e› castigliana. Che non ‹v'è› in essa sentenza dalla qual non promani gloria al suo autore e eterna memoria, il qual Gesucristo riceva nella sua gloria, per la sua santa passione che tutti risana. Rivolge un monito agli amanti affinché servano Dio e tralascino i rii pensieri e i vizi di amore E voi, amanti, seguite dunque l'esempio, e questa armatura vestite contro i rischi d'amore. Afferrate le redini, ché non v'accada di perdervi; lodate sempre Dio visitando il suo tempio; e poi meditate, non seguite l'esempio di tanti morti e vivi, tutti colpevoli. Abitate questo mondo e al contempo giacete sepolti. Grande dolore sento quando questo contemplo. Fine ‹Dame, matrone, garzoni, sposati, tenete a memoria la vita che costoro menarono; tenete in conto la fine che ebbero. Ad altro e non all'amore rivolgete i vostri pensieri. I peccatori acciecati, si nettino gli occhi, spargano fior di virtù castamente vivendo; e rifuggite dal troppo tramestìo mondano, che Cupido non vi scagli il suo dardo dorato.› PROLOGO ‹Dice Eraclito, gran saggio, come tutte le cose siano state create a guisa di contesa o battaglia, in questa maniera: "Omnia secundum litem fiunt". Sentenza, a mio avviso, degna di perpetua memoria. E se, come si dice, ogni parola dell'uomo sapiente è ricca di significato, di codesta si potrà aggiungere che ne è così gonfia e piena, che pare voglia scoppiare, facendo germogliare dal suo tronco rami e foglie tali, che dal minimo suo rampollo s'otterrebbe abbondante alimento per genti discrete. Ma, dato che per il mio poco sapere non posso far altro che rodere la secca corteccia dei detti di coloro che, per altezza d'ingegno, meritarono d'esser tanto lodati, col poco che ne saprò trarre soddisferò il proposito che mi ha dettato questo brevissimo prologo. Trovai tale sentenza corroborata dal grande oratore e poeta laureato Francesco Petrarca, il quale dice: "Sine lite atque offensione nihil genuit natura parens", ossia: "Senza lite né offesa, nulla generò natura, madre di ogni cosa". E più avanti, ancora: "Sic est enim, et sic propemodum universa testantur: rapido stellae obviant firmamento; contraria invicem elementa confligunt; terrae tremunt; maria fluctuant; aer quatitur; crepant flammae; bellum inmortale venti gerunt; tempora temporibus concertant; secum singula, nobiscum omnia". Il che vuol dire: "E così è, invero. E tutte le cose ne dànno testimonianza: le stelle s'incontrano nel tempestoso firmamento del cielo; gli avversi elementi entrano in lotta gli uni con gli altri; tremano le terre; ribollono i mari; si sollevano i venti; crepitano le fiamme; le masse d'aria si fanno perpetua guerra. Le stagioni contendono e litigano con le stagioni, le une contro le altre, e tutte insieme coalizzate contro di noi". L'estate ci affligge col troppo calore; l'inverno col suo freddo pungente: e così, tutto ciò che a noi sembra il corso regolare delle stagioni, tutto ciò che ci sostenta, ci nutre, ci mantiene in vita non è altro che guerra, se solo eccede i limiti consueti. Quanto questo sia da temere lo si vede dai grandi terremoti, dai turbini, dai naufragi, dagli incendi, dalla forza delle tempeste, dallo schianto dei tuoni, dal pauroso fragore della folgore, dall'andare e venir delle nubi. La causa segreta dei cui visibili movimenti ha provocato più dispute fra i filosofi nelle loro scuole che quelle tra le onde nel mare. Ma anche fra gli animali, nessuna specie è dispensata dalle guerre: pesci, fiere, uccelli, beatifica di Dio, non provano gaudio maggiore di me che ora ti contemplo. Ma, me sventurato, proprio in ciò noi differiamo: che essi si beano in piena letizia, senza tema d'esser privati della sublime visione, mentre in me la letizia è temperata dal presentimento del supplizio terribile della tua assenza. MELIBEA E ti par questo grande conforto, Calisto? CALISTO Così grande, in verità, che se Dio mi desse nel firmamento lo scanno più alto fra i suoi Santi, lo terrei da meno di questa felicità. MELIBEA E più alta ricompensa ti darò io, se continui. CALISTO Oh, orecchie mie beate che, indegne, avete udito tante sublimi parole. MELIBEA Infelici ti parranno piuttosto, dopo che avrai finito di ascoltarmi. Ché riceverai mercede, quale merita la tua follia temeraria. L'insidia che si cela sotto le tue parole [Calisto] è degna d'un uomo della tua risma: hai osato esibire la tua audacia per perderti insieme con la virtù d'una donna mia pari. Vattene. Via di qui, infame! Troppo hai sfidato la mia pazienza concependo, nel tuo animo, l'idea di spartire con me il piacere d'un amore illecito. CALISTO Me ne vado, signora. Come colui sul quale l'avversa fortuna infierisce con odio crudele. * * * CALISTO Sempronio, Sempronio, Sempronio! Dove s'è cacciato quel maledetto? SEMPRONIO Son qui, signore: a governare questi cavalli. CALISTO Com'è allora che esci dalla stanza? SEMPRONIO Era caduto giù il girfalco e son venuto a rimetterlo sul trespolo. CALISTO Che il diavolo ti porti! Tu possa schiattare d'un colpo, possa tu consumarti nel più grande e interminabile dei tormenti e tale che di mol‹to› ecceda l'acerba e infausta morte che m'attende. Sù, spicciati, infame, apri la stanza e preparami il letto! SEMPRONIO Sarà fatto in men che non si dica, signore. CALISTO Chiudi la finestra e lascia che il buio e la cecità siano compagni alla mia tristezza. Non son degni del giorno i miei funesti pensieri. Beata quella morte che giunge sospirata agli afflitti. Oh medici ‹Crato e Galeno›, se mai poteste accorrere qui sapreste ben diagnosticare il mio male! Oh pietà ‹celeste›, spira nel pleberico petto; fa' che la mia anima smarrita, priva ormai d'ogni speranza di salvezza, non debba divider la sorte dello sciagurato Piramo e dell'infelicissima Tisbe. SEMPRONIO Che?! CALISTO Vattene, fuori di qui! E taci, se non vuoi che con le mie stesse mani ti tolga la vita anzitempo, e di una morte violenta. SEMPRONIO E sia. Me ne andrò, se proprio vuoi restartene da solo a scontare le tue pene. CALISTO Che il diavolo ti porti! SEMPRONIO Che il diavolo mi porti? Difficile, a quel ch'io penso, visto che è già tanto occupato con te! (Oh sventura! Oh sciagura improvvisa! Qual evento funesto ha potuto spegnere l'allegria in quest'uomo e, quel ch'è peggio, il senno con essa? Lo lascerò da solo, o non sarà meglio entrare là dentro? Se lo lascio solo si uccide; se entro, ucciderà me. Che stia; non me ne importa. Meglio che muoia chi è stanco di vivere, che non chi, come me, se la spassa. Avessi cara la vita anche solo per seguitar a vedere la mia Elicia, mi converrebbe guardarmi dai pericoli. Ma... e se quello s'ammazza senza testimoni, non sarò poi chiamato a render conto della sua vita? Meglio che entri. Ma, una volta che sarò dentro, accetterà poi conforto o consiglio? Sintomo mortale il non voler guarire! Ad ogni buon conto, che cuocia un po' nel suo brodo, lasciamo che giunga a puntino. Che ho sentito dire che è pericoloso aprire o spremere anzitempo le posteme dure, se non si vuole che s'irritino di più. Se ne stia un po' da solo. Lasciamo piangere chi pena: che le lacrime e i sospiri sono un ottimo balsamo per il cuore dell'afflitto. E poi, se mi ha davanti agli occhi, s'infiammerà ancor di più. Il sole è più ardente dove può riverberare; e se s'infiacchisce la vista che non s'affissi in qualcosa, s'aguzza quanto più è prossimo il suo oggetto. Mi conviene pazientare un pochino; e se nel frattempo s'ammazza, che schiatti pure! Chissà che non mi riesca di arraffar di nascosto qualcosa, con cui rifarmi il pelo. Certo, so bene che è male sperar salvezza dalla morte altrui, ma non è il diavolo in persona che mi tenta? D'altronde se muore, m'uccideranno, e la corda correrà dietro al secchio. E ancora: è opinione dei saggi che agli afflitti sia di grande conforto aver qualcuno con cui piangere le proprie pene; e che sono le piaghe nascoste a fare più male. Così, indeciso fra questi due estremi come sono, sarà miglior partito entrare, pazientare e consolarlo. Che se pure è possibile guarire senz'arte e senza strumenti, riuscirà tutto più facile con l'uno e con gli altri.) * * * CALISTO Sempronio! SEMPRONIO Signore? CALISTO Porgimi il liuto. SEMPRONIO A voi, signore. CALISTO Qual dolore sarà tale che si eguagli col mio male? SEMPRONIO Questo liuto è scordato. CALISTO E come potrebbe accordarlo chi non sa accordare se stesso? Come potrà aver orecchio per l'armonia chi con se stesso è a tal segno discorde? Quello la cui volontà più non obbedisce alla ragione? Chi porta nel cuore aculei, pace, guerra, tregua, amore, inimicizia, ingiurie, peccati, sospetti, e tutto in forza di un'unica cagione? Suvvia suona, e canta la canzone più mesta che sai. SEMPRONIO Guarda Nerone da Tarpea Roma tutta come ardeva; fanciulli e vecchi mandan gridi, e lui di nulla si doleva. CALISTO Più grande è il mio fuoco e minore la pietà di chi adesso dirò. SEMPRONIO (Non mi sbaglio davvero, il mio padrone è proprio pazzo.) CALISTO Che vai bisbigliando Sempronio? SEMPRONIO Nulla. CALISTO Ripeti quel che dicevi, non aver paura. SEMPRONIO Mi chiedevo come un fuoco che tormenta un cristiano possa esser più grande di quello che mandò in cenere una siffatta città e così tanta gente. CALISTO Come? Te lo dirò io. Maggiore è la fiamma che dura ottant'anni di quella che si consuma in un sol giorno, e maggiore quella che arde un'anima di quella che bruci‹ò› centomila corpi. Tra la realtà e l'apparenza, tra il vero e il falso, fra il vivo oggetto e la sua pittura, v'è altrettanta differenza che tra il fuoco di cui parli e quello che mi tormenta. E certo, se il fuoco del Purgatorio è di tal fatta, vorrei piuttosto che il mio spirito dividesse la sorte degli animali privi di ragione, piuttosto che per mezzo di esso assurgere alla gloria dei santi. SEMPRONIO (Lo dicevo io! E la cosa minaccia di non fermarsi qui: non solo è pazzo, è pure eretico.) CALISTO Non t'ho detto di non farfugliare, quando parli? Che vai dicendo? SEMPRONIO Dicevo: "Che Iddio non voglia... che quel che hai detto or ora mi sa tanto d'eresia". CALISTO E perché mai? SEMPRONIO Per la buona ragione che quel che dici contraddice la religione cristiana. CALISTO E che mi importa? SEMPRONIO Non sei forse cristiano? CALISTO Cristiano io? Melibeo sono, Melibea adoro, in Melibea credo e Melibea amo. SEMPRONIO Tu lo dici. Melibea è così grossa che non ci sta proprio nel cuore del mio padrone, e così gli esce dalla bocca a fiotti! Non una parola di più. So ben io da che piede zoppichi; e come fare per guarirti! CALISTO Prometti cose incredibili. SEMPRONIO Facili, direi piuttosto, perché conoscere la natura del male è già un po' guarire. CALISTO Ma qual consiglio potrà mai guidare quello che in sé non ha né ordine né consiglio? SEMPRONIO (Ah, ah, ah! Tutto qui il fuoco di Calisto?! Son queste le sue angosce? Come se l'amore scoccasse i suoi dardi solo contro di lui! Oh Dio onnipotente, quanto insondabili sono i tuoi disegni! E quanta veemenza hai posto nell'amore se è causa di un simile turbamento in chi ama! Tu hai disposto che la follia d'amore non conoscesse limiti. All'innamorato par sempre di rimanere indietro. Tutti si agitano, fremono, corrono di qua e di là come torelli aizzati a colpi di picca che superano d'un balzo gli steccati. Hai ingiunto all'uomo di lasciare il padre e la madre per la sua donna; ma questo par poco ad essi. I quali, al pari di Calisto, rinnegano Te e la Tua legge. Né di ciò mi stupisco che, a causa dell'amore, pure i savi, i santi, e i profeti ti han voltato le spalle.) CALISTO Sempronio! SEMPRONIO Signore? CALISTO Non lasciarmi solo. SEMPRONIO (Questa è già tutt'altra musica.) CALISTO Che te ne pare del mio male? SEMPRONIO Che ami Melibea. CALISTO E nient'altro? SEMPRONIO Che aver la volontà prigioniera in una sola prigione è male non da poco. CALISTO La costanza non è davvero il tuo forte. SEMPRONIO Perseverare nel male non è costanza; al mio paese la chiamano piuttosto pertinacia od ostinazione. Voialtri filosofi di Cupido battezzatela pure come vi pare. CALISTO Suona male la menzogna in bocca di chi presume d'insegnare agli altri; tu stesso non fai che tessere le lodi della tua amica Elicia. SEMPRONIO Fa' quel che dico e non fare quello che faccio. CALISTO Di che mi rimproveri? SEMPRONIO Di piegare la tua dignità d'uomo all'imperfezione di una fragile femmina. CALISTO Femmina? Ma senti lo zotico! Dio, vorrai dire, Dio! SEMPRONIO Lo credi davvero o ti prendi gioco di me? CALISTO Che? Dio la credo, e per Dio la professo e credo non vi sia altro sovrano nel cielo, quantunque lei viva fra noi. SEMPRONIO (Ah, ah, ah! Avete sentito che razza di bestemmie? E che cecità!) CALISTO Ma di che ridi? SEMPRONIO Rido perché non pensavo si potessero concepire peccati più nefandi di quello di Sodoma. CALISTO Come sarebbe a dire? SEMPRONIO Ché quelli cercavano un abominevole commercio con angeli sconosciuti, e tu con quella che professi per tuo Dio. CALISTO Il diavolo ti porti! M'hai fatto ridere: cosa che avrei detto poco meno che impossibile. CALISTO Le mani piccole, nella giusta misura e non troppo scarne; le dita affusolate; le unghie lunghe e rosse tanto che paiono rubini incastonati fra perle. Quanto all'armonia della figura, pur celata ai miei occhi, non esito a giudicarla più perfetta, per ciò che lascia indovinare, di quella di colei che Paride giudicò la più bella fra le tre dee. SEMPRONIO Hai finito? CALISTO Quanto più in breve ho potuto. SEMPRONIO Anche ammettendo che tutto ciò sia vero, tu, per il solo fatto d'esser uomo, sei più degno. CALISTO E in che cosa, di grazia? SEMPRONIO Nel fatto che Melibea è imperfetta; e che tale essendo desidera e brama te, e magari persino un altro a te inferiore. Non hai letto il filosofo, là dove dice: "Come la materia ambisce alla forma, così la donna al maschio"? CALISTO Oh, me sventurato! E accadrà mai tal cosa tra me e Melibea? SEMPRONIO È possibile; come è possibile che tu giunga a odiarla quanto ora la ami. Ma questo non prima che tu l'abbia ottenuta e che tu riesca finalmente a vederla con altri occhi, liberi dall'errore che adesso ti fa velo. CALISTO Con quali occhi? SEMPRONIO Con occhi chiari. CALISTO E ora, con che la vedo? SEMPRONIO Con occhi che ingrandiscono, che fanno apparir molto il poco e grande ciò che è piccolo. E affinché tu non disperi, voglio assumermi io il compito di soddisfare il tuo desiderio. CALISTO Oh, che Dio ti dia quel che desideri! E che gioia mi dà l'ascoltarti, anche se dispero che tu mantenga. SEMPRONIO Non dubitare. Che sarò di parola. CALISTO Iddio te ne rimeriti! Quel giubbetto di broccato che indossavo ieri, Sempronio, prendilo, è tuo! SEMPRONIO Il Signore ti rimuneri per questo. (E per il molto che ancora mi darai. Dell'affare mi tocca la parte migliore. E, comunque, se continua a spronarmi con questi argomenti, gliela farò trovare nel suo letto. La faccenda è ben avviata davvero. Merito di quel che m'ha allungato il padrone; perché senza mercede è impossibile far le cose per bene.) CALISTO Non far lo svogliato proprio ora. SEMPRONIO Non farlo tu, piuttosto, che a padrone pigro non s'accompagna servo diligente. CALISTO Che pensi di fare per rendermi quest'opera di bene? SEMPRONIO Ascolta. È da molto tempo che conosco una vecchia barbuta che si chiama Celestina e dimora fuori mano: scaltra fattucchiera, e maestra d'ogni sorta di raggiro. A quel che mi risulta son più di cinquemila le verginità che si son fatte e disfatte per opera sua in questo paese. E se solo volesse, sarebbe capace di smuovere e istigare alla lussuria persino le pietre. CALISTO Le potrei parlare? SEMPRONIO La porterò io da te. Preparati e mostrati cortese e generoso con lei. E intanto ch'io vado, studia il modo di dirle la tua pena con la stessa precisione con cui lei ti indicherà il rimedio. CALISTO E che aspetti? SEMPRONIO Vado di corsa. Che Dio sia con te! CALISTO E con te. CALISTO (da solo) O Dio onnipotente ed eterno! Tu che sei guida a chi si è smarrito; tu che conducesti a Betlemme i re d'Oriente inviando loro la stella a indicargli il cammino e poi li riaccompagnasti in patria, umilmente ti prego d'esser guida pure al mio Sempronio, di modo che converta la mia pena e la mia tristezza in letizia, e me, indegno, conduca al sospirato fine. * * * CELESTINA Statti allegra, Elicia! Sempronio è qui! ELICIA Pss! Zitta! Zitta! CELESTINA Che c'è? ELICIA Critone. Critone è qui con me. CELESTINA Mettilo nello stanzino delle scope, presto! Digli che sta per arrivare un tuo cugino nonché mio conoscente! ELICIA Critone, nasconditi qui! Dài! Che viene mio cugino, oh Dio, son perduta! CRITONE D'accordo. Ma smettila di agitarti così!) SEMPRONIO Madre mia benedetta! Che voglia di vederti! Ringrazio Iddio che mi t'ha fatto trovare. CELESTINA Figlio mio, mio re, son tutta turbata! Non riesco a dir parola. Vien qua, dài. Stringimi ancora. Come hai potuto star tre giorni senza venirci a trovare? Elicia, Elicia, guarda chi c'è. ELICIA Chi, madre mia? CELESTINA Sempronio! ELICIA Oh povera me! Ho il cuore in gola! Alla buonora! CELESTINA Dài, non far la scontrosa! Devo abbracciarmelo io, visto che tu non ci pensi? ELICIA Ah, che tu sia stramaledetto! Traditore! Che tu possa schiattare di postema e di cancro, morire per mano dei tuoi nemici, incappare nel giudice più inflessibile che ti accolli delitti degni di una morte crudele. Ohimè! Ohimè!! SEMPRONIO Ah, ah, ah! Che ti succede, Elicia mia? Di che ti crucci? ELICIA Sono ormai tre giorni che non ti degni di venirmi a trovare. Che Dio abbia altrettanta cura di te. Così ti dia conforto e ti visiti! Me infelice che in te ho riposto ogni speranza e il fine d'ogni mio bene! SEMPRONIO Taci, signora mia! Tu pensi che la distanza che ci separa abbia il potere di smorzare l'amore profondo che sento per te, il fuoco che mi arde nel petto? Dovunque io vada, tu vieni con me, tu sei con me. Non t'affliggere e non mi tormentare più di quanto già non abbia sofferto. Piuttosto, dì, cos'è questo rumore di passi qui sopra? ELICIA E me lo chiedi? Un mio amante. SEMPRONIO Non stento a crederlo! ELICIA In fede mia, è così. Sali e lo vedrai da te. SEMPRONIO Vado. CELESTINA Dài, dài! Lascia perdere questa pazza, che le ha dato di volta il cervello. È così sconvolta per la tua assenza che minaccia di uscir di testa e di dire una marea di sciocchezze. Avvicinati e parliamo. Che chi ha tempo non aspetti tempo. SEMPRONIO Allora, si può sapere chi c'è di sopra? CELESTINA Lo vuoi proprio sapere? SEMPRONIO Certo che sì. CELESTINA C'è una fanciulla che m'è stata affidata da un frate. SEMPRONIO Un frate? E chi? CELESTINA Non far troppo il curioso! SEMPRONIO Per l'anima mia, madre, che frate? CELESTINA Insisti, eh? Il priore, il grassone. SEMPRONIO Ohi, ohi! Che soma la aspetta! CELESTINA A ciascuna il suo fardello. E poi, questo è un basto che non lascia segni! SEMPRONIO Certo, non sulle spalle. Ma molti sul ventre. CELESTINA Senti tu che lingua! SEMPRONIO Lascia stare la mia lingua. Fammi vedere piuttosto la ragazza. ELICIA Ah, il signor mascalzone! La vuoi vedere eh? Che ti possano schizzar gli occhi dalle orbite! Non s'accontenta mica di una, il signorino! Va', guardatela bene... e lasciami in pace una volta per tutte. SEMPRONIO E taci una buona volta, per Dio! Se ti sei arrabbiata!! Non m'importa di veder lei né nessun'altra donna al mondo. Quel che voglio è parlar con mia madre. E tu, va' con Dio! ELICIA Ma sì! Vattene via, ingrato! E sta' pure altri tre anni senza venirmi a trovare! SEMPRONIO Madre mia, fidati di me. Non credere che ti voglia prendere per il naso. Sù, metti il tuo mantello e affrettati: strada facendo saprai ogni cosa. Che se mi dilungassi a dirtene qui, ne andrebbe del tuo profitto e del mio. CELESTINA Andiamo. Elicia, resta con Dio e chiudi bene la porta. Ciao, ciao, casetta mia. * * * SEMPRONIO Oh, madre mia! Lascia perdere ogni altra faccenda, prestami orecchio e non ti distrarre. Non lasciar correre a briglia sciolta il tuo pensiero che chi lo tiene occupato in diversi luoghi, non l'ha in nessuno; e se l'azzecca è solo per caso. Voglio che tu sappia ciò che ancora non ho avuto agio di dirti: e cioè che da quando ho riposto in te tutta la mia fiducia, mai ho desiderato alcunché di cui non ti toccasse una parte. CELESTINA E che Dio faccia lo stesso con te, figlio mio, che non sarà senza ragione, non fosse che per la pietà che hai di questa vecchia peccatrice. Parla una buona volta! Non farla tanto lunga! Ché l'amicizia che ci lega può ben fare a meno di preamboli, di codicilli e non c'è bisogno di tante storie per volersi bene. Al dunque: che è vano dire con molte parole ciò che con poche può essere inteso. SEMPRONIO L'hai detto. Calisto arde d'amore per Melibea; ha bisogno tanto di me quanto di te; e dato che gli siamo necessari entrambi, entrambi ne trarremo profitto! Ché il segreto della prosperità è riconoscere l'occasione e coglierla al volo. CELESTINA Ben detto, ho capito perfettamente. Con me basta e avanza uno strizzar d'occhi. E ti dico che mi rallegro di queste nuove, come il cerusico di una testa rotta. Ché, come lui sul principio immalignisce la piaga per far poi cadere da più in alto la promessa di guarigione, così intendo far io con Calisto. Gli tirerò in lungo la certezza del rimedio, che, come si suol dire, speranza protratta fa piccolo il cuore; e quanto più la perderà, tanto più gli sarò larga di promesse. Tu mi capisci, vero? SEMPRONIO Zitti ora, che siamo vicini alla porta e, come si dice, anche i muri hanno orecchie. CELESTINA Sì, bussa. SEMPRONIO Toc, toc, toc. * * * CALISTO Pármeno! PÁRMENO Signore? CALISTO Non hai sentito, maledetto sordo? PÁRMENO Che cosa, signore? Non avertene a male. E non dubitare: che le tue buone maniere e la tua educazione sono tali ai miei occhi da farti preferire a tutti coloro che sono al mio servizio. Ma poiché in caso tanto delicato, e dal quale dipende tutto il mio bene e la mia stessa vita è bene stare all'erta, permettimi di non abbassare la guardia. Tanto più che il tuo essere ammodo fiorisce su un buon naturale, e un buon naturale può indurre in tentazione. Ma ora basta, e andiamo piuttosto incontro a colei che è la mia salvezza. * * * CELESTINA (Sento dei passi. Scendono. Sempronio, fa' mostra di non sentirli! Stattene zitto. Lascia dire a me ciò che conviene a entrambi. SEMPRONIO Intesi.) CELESTINA Ehi tu! Non mi seccare, ché stare addosso all'ansioso, è come dar di sprone a una bestia sfinita. Da come ti duoli della pena del tuo padrone Calisto si direbbe che siate la stessa persona e che i tormenti dell'uno siano i tormenti dell'altro. Sta' pur sicuro che se sono venuta fin qui non è certo per lasciare a mezzo questa faccenda ma per risolverla; dovesse costarmi la vita. CALISTO Fermati, Pármeno! Sta' a sentire quel che dicono costoro. Vediamo a che mani ci siamo affidati. Oh, donna ineguagliabile! Oh, ricchezze di questo mondo, indegne d'esser possedute da un così nobile cuore! Oh, Sempronio, servo devoto e sincero! Hai visto, Pármeno mio? Hai sentito? Non avevo forse ragione? Che mi dici adesso, custode dei miei segreti, d'ogni mio bene, della stessa anima mia? PÁRMENO Al primo sospetto, protesto la mia innocenza, obbedisco alla fedeltà che ti devo e, poiché me ne dai facoltà, parlerò. Ascoltami, dunque, e voglia il cielo che l'amore non ti faccia sordo, né t'acciechi la brama del piacere. Moderati, non precipitare le cose; ché molti, per la smania di colpir nel segno, mancano il bersaglio. Son giovane, eppure, quante ne ho viste! Il buon senso e l'attenta osservazione mettono in chiaro il senso delle cose; che se quei due dicono ad alta voce quel che hai udito è perché t'han visto o t'hanno sentito scendere dalle scale. E il loro scopo è che tu riponga nelle loro menzogne il fine ultimo della tua speranza. SEMPRONIO (Celestina, quel che dice Pármeno, non mi suona affatto bene. CELESTINA Taci! Che per questo santo segno di croce dove è venuto l'asino terrà dietro il basto. Di Pármeno lascia che mi occupi io: ti prometto che sarà dei nostri; gli daremo parte di quel che riusciremo ad arraffare, che i beni, se non son condivisi, non son beni, no? Prendiamo tutti il nostro guadagno, spartiamo fra tutti, spassiamocela insieme. Te lo porterò io, buono buono, a becchettarti il pane sul palmo della mano. Che di due contro due che siamo, saremo allora in tre a metter in mezzo l'allocco.) * * * CALISTO Sempronio! SEMPRONIO Signore? CALISTO Che fai, chiave della mia vita? Apri! Oh Pármeno, eccola che viene, la vedo! Son salvo! Mi sento rinato! Guarda che reverenda persona e che portamento! Il più delle volte è dalla fisionomia che traspaiono le doti dell'anima. Oh, virtuosa vecchiaia! Oh, virtù carica d'anni! Oh, speranza gloriosa del mio agognato fine! Oh, fine della mia agognata speranza! Oh, salvezza della mia passione, panacea del mio tormento, rigenerazione del mio spirito esangue, oh ravvivamento della mia vita, resurrezione della mia morte! Toccarti voglio, bramo baciare queste tue provvide mani. Il sapermi indegno me ne trattiene. Da qui, pertanto, mi prostro sulla terra che calpesti e la bacio in segno di omaggio. CELESTINA (Amato Sempronio, in fede mia non è davvero di codeste cose che campo! Quello sciocco del tuo padrone crede di darmi da rosicchiare gli ossi che ho già spolpato! Ma a me ben altro mi preme! Alla cottura ne proverà il sapore! Digli che si cucia la bocca e cominci piuttosto ad aprire la borsa, perché io già mi fido poco dei fatti, figurarsi delle parole! Vieni, vieni, che ci penso io a strigliarti, asina zoppa! Avresti dovuto svegliarti prima!! PÁRMENO Povere le mie orecchie. Cosa gli tocca sentire! Chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Oh, sventurato Calisto, eccoti avvilito, cieco, in ginocchio, ad adorare la terra più decrepita [e] baldracca, quella che le spalle di costei han raccattato in tutti i bordelli a furia di ruzzoli e capriole. Eccoti affranto, vinto e scoraggiato. Preda dello sconforto, sordo ai buoni consigli, rassegnato.) CALISTO Che dice la vecchia? Se ho capito bene, ha paura che io le voglia offrir parole in luogo del compenso. SEMPRONIO Così è parso anche a me. CALISTO Séguimi, allora! E porta le chiavi che mi proverò a dissipare i suoi dubbi. SEMPRONIO E farai bene. Affrettiamoci dunque, che non si deve dar tempo all'erba di crescere in mezzo al grano, e al sospetto d'insinuarsi nel cuore degli amici; che anzi, bisogna estirparla subito col sarchio delle opere buone. CALISTO Parli da persona avveduta. Avanti, andiamo e bando agli indugi! * * * CELESTINA Sono contenta, Pármeno, che ci sia data l'opportunità di farti conoscere l'amore che ti porto e la parte che senza merito tu occupi nel mio cuore. E dico senza merito, per quella malignità che m'è parso di sentire, e alla quale non voglio far caso. La virtù ci esorta a resistere alle tentazioni e a non ripagare male con male, specie quando a tentarci è un giovane poco esperto delle cose del mondo, che per un malinteso senso di lealtà perde se stesso e il proprio padrone, come hai appena fatto tu con Calisto. T'ho sentito bene: non credere che gli anni m'abbiano fatto perdere l'udito e gli altri sensi; ché non solo vedo, ascolto e conosco, ma con gli occhi dello spirito riesco a penetrare anche i pensieri più segreti. Devi sapere, Pármeno, che Calisto si strugge d'amore. Non giudicarlo debole per questo, ché l'amore ostinato trionfa su ogni cosa. E sappi, se ancor non l'hai inteso, che vi sono due verità che non temono smentita: la prima, che l'uomo è tenuto ad amar la donna e la donna l'uomo; la seconda, che colui che veramente ama non può sottrarsi alla dolcezza del sovrano deliquio che il Fattore di tutte le cose ha voluto al fine ‹di› perpetuare la specie e impedirne l'estinzione. E questo, non solo nell'uomo, ma anche nei pesci, e nelle bestie, e tra gli uccelli, e i rettili. Persino nel regno vegetale vi sono piante che obbediscono a regola siffatta. Che, se stanno a breve distanza l'una dall'altra, e senza che cosa s'interponga fra esse, s'atteggiano in guisa tale da far supporre a agricoltori e erboristi che si dividano in maschi e femmine. Che ne dici, Pármeno? Sciocchino mio, pazzerello, angioletto, tesoruccio, sempliciotto! E che sono tutte quelle smorfiette sul tuo faccino? Vien qua, puttanella mia, che non sai nulla del mondo tu, e delle sue delizie. Che mi venga una fotta, vecchia come sono, se non mi verrebbe voglia di farmiti sotto. Stai mettendo su un vocione, ti sta spuntando la barba e devi avere la punta della trippa un poco agitatella, eh? PÁRMENO Come coda di scorpione! CELESTINA E anche peggio: ché quella morde senza gonfiare, e la tua gonfia per nove mesi. PÁRMENO Ah, ah, ah! CELESTINA Ridi, eh, carognetta d'un ragazzo! PÁRMENO Sta' zitta madre, e non mi gettar la croce che, se son corto d'anni, non mi fa difetto il giudizio! Amo Calisto: perché gli devo fedeltà e mi sfama, mi colma di favori; e poi mi vuol bene e mi tratta con ogni riguardo: ed è questa la catena più forte che lega il servo al signore. È in un mare di guai, ché non v'è cosa peggiore che correre dietro a un desiderio senza speranza. Tanto più che s'illude di porre rimedio a una situazione tanto intricata e difficile grazie ai vani consigli e alle sciocche ragioni di quel bruto di Sempronio, che è come voler cavar pedicelli con zappa e pala. Non riesco proprio a mandarla giù. Mi vien da piangere solo a pensarci! CELESTINA Ma non vedi, Pármeno mio, che è da sciocchi piangere per una cosa che non è con le lacrime che si può rimediare? PÁRMENO È ben per questo che piango. Ché se le mie lacrime potessero dare sollievo al mio padrone, trarrei tanto piacere da tale speranza che riuscirei a tenere il ciglio asciutto. Posto che questo non è, mi viene il magone e non mi resta che sciogliermi in lacrime. CELESTINA E piange[ra]i per niente; per una cosa che non potrai né impedire né sanare a furia di lamenti; togliti dalla testa di poterlo guarire in questo modo! Non è forse già successa ad altri la stessa cosa, Pármeno? PÁRMENO Sì; e tuttavia per nessuna cosa al mondo vorrei veder soffrire così il mio padrone. CELESTINA Tranquillo, che non soffre; ma se anche così fosse, potrebbe sempre guarire, no? PÁRMENO Non mi convince affatto quel che dici. In fatto di beni, val meglio l'atto della potenza. Nei mali, al contrario, la potenza più dell'atto. E dunque è di gran lunga preferibile essere sano che poterlo essere ed essere malato in potenza che esserlo in atto. Ne consegue che avere il male in potenza è preferibile che averlo in atto. CELESTINA Ah, briccone! E come diavolo parli che non ti si riesce a capire? Allora, ti spiace o non ti spiace del suo male? E che hai detto fino ad ora? Di che ti lamenti? Ma sia che tu scherzi o che tu spacci il falso per vero, credi pure quel che ti pare: il tuo padrone è malato in atto e la potenza della sua sanagione sta nelle mani di questa povera vecchia. PÁRMENO Dì pure "di questa povera vecchia puttana!". CELESTINA E puttanissimi i giorni che ti restano da vivere, screanzato! Come ti permetti? PÁRMENO Eh, ti conosco bene io! CELESTINA Ma si può sapere chi sei? PÁRMENO Chi sono? Pármeno, il figliolo del tuo compare Alberto. Sono stato in casa tua ‹un mese,› ricordi? Mi ti aveva affidato mia madre quando abitavi lungo il fiume, vicino alle concerie. CELESTINA Gesù, Gesù mio! E tu così saresti Pármeno, il figlio della Claudina? PÁRMENO Sissignora, in persona! CELESTINA Che tu possa bruciare nel fuoco dell'inferno. Tua madre era una vecchia puttana non meno di me. Perché m'hai preso di mira, Pármeno mio? Ma sì, è lui, è proprio lui, per tutti i santi del Cielo! Avvicinati, vien qua, che in vita mia t'avrò rifilato mille frustate e schiaffoni, ma non ti ho lesinato altrettante carezze. Ti ricordi di quando dormivi ai miei piedi, pazzerello? PÁRMENO Eccome se me ne ricordo! E non mi sono scordato nemmeno di quando, nonostante fossi ancora un bambino, mi tiravi su sul guanciale e mi stringevi forte; e io me la svignavo, perché puzzavi di vecchia. CELESTINA Ti venisse un cancaro! E come te la butta lì lo svergognato! Ma bando alle fisime e alle facezie e stammi bene a sentire, figliolo. Allora. È vero: mi hanno chiamata per un certo motivo. Ma io in realtà sono qui per un altro. Ho fatto finta di non avere la minima idea di chi fossi, ma sono venuta esclusivamente per te. Figliolo, sai bene come tua madre, che Dio l'abbia in gloria, ti affidò a me quando era ancora vivo tuo padre. Il quale, dopo che tu mi lasciasti, morì di crepacuore tanto era il cruccio che aveva per il tuo futuro. Fu a causa della tua assenza, che visse nell'angoscia gli ultimi anni della sua vita. Al momento del trapasso mi mandò a chiamare. In gran segreto ti raccomandò a me e, senz'altro testimone che Colui che scruta ogni nostra opera e pensiero, e che legge nel profondo dei cuori, mi chiese di cercarti, e di non perderti di vista un momento e di proteggerti; poi aggiunse che, quando tu avessi avuto l'età giusta per governarti nella vita, ti rivelassi dove aveva nascosto una quantità d'oro e d'argento tale da assicurarti una rendita maggiore del salario che ti passa il tuo padrone Calisto. Glielo promisi, e lui con la mia promessa si sentì rincuorato. E, posto che alla parola data s'ha da tener fede coi morti più che coi vivi, che quelli nulla posson più fare che torni a loro vantaggio, ho speso gran tempo e denaro a seguir le tue tracce e a cercarti fino al momento in cui Colui che si fa carico d'ogni pena, ascolta ed esaudisce le giuste suppliche e istrada alle opere di misericordia, dispose che infine ti trovassi qui, dove so che da soli tre giorni dimori. Molto mi pesa, stanne pur certo, che tu abbia vagato e peregrinato per tanti luoghi diversi, senza ricarvarne profitto, o conforto di parenti o di amici. Che, come dice Seneca, pochi amici si fa chi sempre passa da un luogo all'altro, il poco tempo [non] consentendogli di stringere saldi legami con persona. E ancora, colui che sta in molti posti [non] dimora in nessuno. Né giova al corpo il cibo di cui ci si ingozza e che subito si vomita, né v'è cosa più nociva del continuo variare e alternare dei cibi. Non ha tempo di rinvigorire la pianta che troppo spesso vien trapiantata, né di cicatrizzarsi la piaga su cui il medico s'accanisce con un eccesso di cure. Né v'è cosa di tanto giovamento che dia profitto appena sperimentata. Perciò, figlio mio, lascia da parte gli impeti di gioventù e rinsavisci, fidando nella dottrina di chi ha più esperienza di te. Acquiètati. Pòsati in qualche luogo. E dove meglio che su chi, come me, ti vuol bene, sull'animo mio, sulla saggezza di (Mia madre è fuori di sé; i suoi consigli mi lasciano perplesso. Che certo è sbagliato non credere mai, ma è colpa ben più grave credere a tutto. Umano è dare fiducia. Specie in chi, come costei, non lesina promesse di guadagno e in sovrappiù di amore. E poi, non si dice forse che è bene prestar orecchio ai consigli dei propri vecchi? E a che mi esorta costei? A vivere in pace con Sempronio. E la pace, si sa, non la si deve negare a nessuno: beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. E neppure è bene rifuggire dall'amore: né lesinare carità ai propri fratelli. Quanto al tornaconto, pochi son quelli che vi rinunciano. Mi va di compiacerla: la starò ad ascoltare.) Madre mia, il maestro non deve inquietarsi per la pochezza del discepolo, altrimenti la scienza, comunicabile per natura, rare volte e in pochi luoghi potrebbe essere somministrata. Perdonami, pertanto, e parlami, che mi son risolto non soltanto ad ascoltarti e a darti fiducia, ma pure a far tesoro del tuo consiglio qual dono singolare. E non me ne ringraziare: che lode e gratitudine per una buona azione ridondano più a chi la fa che a chi la riceve. Ordina dunque, che mi troverai obbediente al tuo comando. CELESTINA Errare è umano. Da bestie incaponirsi. Che gioia mi hai dato, Pármeno, sollevando il pesante velo che oscurava i tuoi occhi e corrispondendo al buon discernimento, alla discrezione e al sottile ingegno di tuo padre, la cui persona, che ora rivive nella mia memoria, intenerisce i miei occhi pietosi, dai quali mi vedi versare lacrime tanto copiose. Anche lui, talora, caparbio s'arroccava, non diversamente da te, ma poi tornava a più meditati consigli. Ti giuro sul nome di Dio e sull'anima mia, che nel vedere or ora come tu t'ostinavi per poi lasciarti ricondurre a ragione, m'è parso di rivedermelo innanzi in carne e ossa. Ah, che uomo! Che pienezza di vita! E qual venerabile aspetto! Ma zitti, ora, che sento avvicinarsi Calisto col tuo nuovo amico Sempronio. A poi il mettervi d'accordo. Che due persone che vivono d'un sol cuore e in tutto concordi san meglio fare e intendere. CALISTO Tale è la mia sventura, madre mia, che ho dubitato di trovarti ancora in vita. E così forte è il mio desiderio, che stupisco d'esser vivo. Accetta il misero dono di chi, insieme con esso, t'offre la vita. CELESTINA Come nell'oro più fino lavorato dalla mano dell'orafo sapiente, l'opera la vince in valore sulla materia. Egualmente il tuo munifico dono è superato in grazia e forma dalla tua amabile liberalità. E, non dubitarne, chi dona presto dona due volte. E il dono che si fa desiderare mostra che si vuol ritirare la promessa e che ci si pente d'averlo accordato. PÁRMENO (Che cosa le ha dato, Sempronio? SEMPRONIO Cento monete d'oro. PÁRMENO Ah, ah, ah! SEMPRONIO T'ha parlato la madre? PÁRMENO Certo che sì! SEMPRONIO Beh, come siamo rimasti allora? PÁRMENO Come tu vorrai; a dire il vero, io son qui che muoio di paura. SEMPRONIO Taci, che te ne farò provar io due volte tanta! PÁRMENO Santo Iddio! Non c'è guaio peggiore d'un nemico in casa, per metterti i bastoni tra le ruote.) CALISTO Va' ora, madre. Porta conforto alla tua casa; poi torna che metterai pace nella mia. CELESTINA Che Dio sia con te. CALISTO E che t'accompagni per la mia salvezza. * * * ATTO II Argomento ‹Celestina si congeda da Calisto, per tornarsene a casa. Questi rimane a parlare con Sempronio, suo servo. A Calisto, come a chi coltivi una speranza, par tutto un indugio. Manda così Sempronio a sollecitare Celestina in merito all'esecuzione del piano. Frattanto Calisto e Pármeno s'attardano a ragionare fra loro.› Personaggi: Calisto, Pármeno, Sempronio. CALISTO Ho dato cento monete alla madre, fratelli miei. Ho fatto bene? SEMPRONIO Ottimamente. Che oltre a esserti assicurato un rimedio per il tuo caso, ti sei guadagnato grandissimo onore. A che giova infatti una fortuna prospera e propizia se non la si impiega a mantener alto l'onore, il più grande fra tutti i beni del mondo? È l'onore, infatti, premio e ricompensa alla virtù: ed è per questo che l'offriamo a Dio, non avendo noi nulla di più prezioso da darGli. E in cosa consiste l'onore se non soprattutto in larghezza e prodigalità? Per questo, quei tesori che ci è duro condividere lo appannano e lo guastano, e viceversa lo accresce e sublima l'uso di munificenza e liberalità. A che giova possedere ciò da cui si rifugge di trarre profitto? Ti dico che è assai meglio usare delle ricchezze che non possederle. Oh, quanto è nobile il dare, e come vile il ricevere! E come è preferibile l'uso al possesso, così è più nobile chi dà di chi riceve. Più attivo fra tutti gli elementi è il fuoco, che per questo è il più nobile e in più nobil luogo è posto nelle sfere. E se vi è chi sostiene che la nobiltà è lustro che discende dai meriti e dall'antichità dei padri, io ribatto che la luce altrui non potrà mai farti più chiaro se tu a tua volta non ne irradi. Pertanto, non presumere di te in base alla nobiltà di tuo padre, che fu per certo uomo di molta magnificenza, ma in base alla tua. Che è così che ci si guadagna l'onore, il bene più grande fra quelli che l'uomo si acquista. Per la qual cosa non il malvagio, ma l'uomo retto par tuo, è degno d'esser perfetto nella virtù. Ma lasciami dire [ancora] che non sempre la virtù perfetta ottiene il meritato onore. Rallègrati, quindi, d'esser stato generoso e munifico. E ora segui il mio consiglio. Tornatene in camera tua e sta' tranquillo, ché la tua faccenda è in mani sicure: e se è stato buono il principio, migliore sarà la fine. Ma ora andiamo, che di questo caso avremo modo di discutere con agio più tardi. CALISTO Non mi par giusto, Sempronio, che tu resti in mia compagnia mentre colei che è intenta a cercar rimedio al mio male se ne sta sola soletta. Meglio che tu la raggiunga e la metta alle strette. Sai bene quanto la mia salvezza dipende dal suo zelo, il mio tormento dai suoi indugi, la mia disperazione dalla sua trascuratezza. Non ignori come vanno le cose del mondo, ti so fedele, e ti considero leale servitore: fa' in modo che, al solo vederti, comprenda costei la pena che m'attanaglia e il fuoco che mi tormenta; il cui ardore è tale che non ho potuto mostrarle nemmeno la terza parte di questa mia segreta afflizione, tanto m'ha intorpidito la lingua e i sensi, e tanto me li ha consumati. Tu che non soffri di siffatte passioni, potrai parlarle senza impacci. SEMPRONIO Signore, vorrei andare per eseguire i tuoi ordini, e nondimeno restare per alleviare le tue angosce. Le tue paure mi sono di sprone; la tua solitudine mi trattiene. Prenderò pertanto quel partito cui mi obbliga l'obbedienza: andrò e metterò alle strette la vecchia. E tuttavia come posso lasciarti, se non appena ti vedi solo, tracimi spropositi, e sospiri, gemi, intoni lacrimose canzoni, ti crogioli al buio, invochi la solitudine, e cerchi sempre nuove ragioni per torturarti il cervello? Che se non ci metti un freno, non ne uscirai che morto o pazzo finito, a meno che tu non abbia sempre vicino chi sappia procurarti svaghi, narrarti facezie, intonarti arie festose, cantarti romanze, dirti storielle, dipingere stemmi, improvvisarti novelle, giocare alle carte, sfidarti agli scacchi. E insomma chi sappia inventarsi sempre nuove occasioni di svago che distolgano il tuo pensiero dai vaneggiamenti crudeli dei quali sei stato preda fin dal primo momento del tuo amore per quella signora. CALISTO Che dici, sciocco? Non sai che piangerne la causa allevia la pena? Non sai quanto è dolce all'infelice dolersi della propria passione? Non sai quanto conforto diano i rotti sospiri? Quanto leniscano e attenuino il dolore i lacrimosi gemiti? Non altro dicono coloro che scrissero intorno alla consolazione. SEMPRONIO Ma leggi più innanzi, volta la pagina: troverai scritto come fidare nelle cose di questo mondo e cercarsi occasioni di tristezza è l'altra faccia della follia. E il famoso Macías, idolo degli amanti, si lagnava perfino dell'oblio, perché s'obliava di lui. Pensare sempre all'amore: ecco il vero tormento. E distrarsene il solo conforto. Smettila dunque di dar di testa contro l'ostacolo. Fingi sollievo e finirai per goderne davvero. Non di rado è l'opinione a sforzar le cose nella direzione da essa voluta. E non perché possa mutar la sostanza; ma piuttosto perché agisce sui nostri sensi e guida il nostro giudizio. CALISTO Sempronio, amico mio, poiché tanto ti pesa che io resti solo, chiama Pármeno, che sarà lui a farmi compagnia. Di qui innanzi siimi leale come lo sei stato finora, ché la fedeltà del servitore è la ricompensa del signore. PÁRMENO Son qui, signore. CALISTO Non così posso dire di me, quando non ti ho accanto. E mi raccomando, Sempronio, non la perder di vista un momento. Va' con Dio, e non trascurare quel che sai! CALISTO Dì un po' Pármeno, che te ne pare di quel che è successo oggi? La mia pena è grande. Melibea altera e scostante. Ma Celestina è tanto sagace maestra in queste faccende che mi pare impossibile fallire. Con tutta la tua ostilità, tu stesso me ne hai dato la prova; e io ti credo. È così grande la forza della verità da piegare persino le lingue dei suoi nemici. Ora, se Celestina è quella che è, son meglio spese cento monete date a lei che cinque ad un'altra. PÁRMENO (Come, già [ci] rimugini sopra? Ahi ahi, son dolori, che tutte queste liberalità ci toccherà scontarle in casa digiunando!) CALISTO Su, Pármeno, che ti ho chiesto un parere. Fammi il piacere, non abbassare la testa quando rispondi. Ma essendo l'invidia triste e la tristezza muta, posson su di te più del timore che t'ispira il tuo padrone. Cos'hai detto, seccatore? PÁRMENO Dicevo, signore, che la tua liberalità sarebbe assai meglio impiegata in doni e servigi a Melibea, piuttosto che nel dar quattrini a quella vecchiaccia che io ben conosco. E, quel che è peggio, nel fartene schiavo! CALISTO Che dici, pazzo? Suo schiavo? PÁRMENO Proprio così. Che tu ti fai schiavo di colui cui confidi il tuo segreto! CALISTO Però, non dice male lo sciocco! Ma voglio che tu sappia che, quando c'è molta distanza tra chi prega e chi è pregato, vuoi per vincolo d'obbedienza, per dignità di condizione o per la ritrosia che è propria delle fanciulle, come tra questa signora e me, è d'uopo ricorrere ai servigi di un intercessore o intermediario che, grado a grado, sollevi la mia supplica fino alle orecchie di colei cui ritengo impossibile poter parlare una seconda volta. E, alla luce di quel che t'ho detto, dimmi se approvi quel che s'è fatto. PÁRMENO (Che lo approvi il diavolo piuttosto!) CALISTO Che dici? PÁRMENO Dicevo, signore, che un errore non vien mai da solo e che un inconveniente se ne porta dietro una caterva, ai quali spiana la strada. CALISTO Approvo la sentenza, anche se non vedo a qual proposito venga. PÁRMENO L'altro giorno s'è perso il tuo falcone, signore; l'andare a cercarlo fu motivo che tu entrassi nel giardino di Melibea, l'entrarvi ti permise di vederla e di parlarle, parlarle ingenerò amore, l'amore partorì la tua pena, la pena sarà causa della rovina del tuo corpo, de[ll]'anima tua e dei tuoi averi. E quel che più mi duole in tutta questa storia è che tu sia finito tra le grinfie di quella trottaconventi, già tre volte impeciata e impiumata. CALISTO Benissimo, Pármeno, rincara pure la dose, che mi fai contento! Ma sappi che più me ne dici sul suo conto e più mi va a genio. Lascia che prima mantenga la promessa che mi ha fatto, e poi l'impiumino pure una quarta volta. Ma tu sei un insensibile. Parli così perché non sai cosa voglia dire soffrire. Perché non ti duole dove duole a me, Pármeno. PÁRMENO Preferisco, signore, che rabbioso mi rimproveri d'averti fatto adirare piuttosto che mi condanni, pentito, per non averti saputo consigliare. Tu hai perduto il nome di uomo libero quando hai fatto schiava altrui la tua volontà. CALISTO Questa canaglia va in cerca di legnate! Dì un po', screanzato, perché mai sparli così di quella che adoro? E che ne sai dell'onore? Che cos'è per te l'amore? Che sai tu di buona creanza, tu che ti spacci per discreto? Non sai forse che presumersi saggio è il primo gradino della follia? Ah, se solo provassi il mio dolore, di ben altra acqua aspergeresti l'ardente piaga che m'ha inferto l'impietosa freccia di Cupido. Che quanto sollievo mi procura Sempronio col suo piede solerte, tanto me ne togli tu con la tua linguaccia e le tue vane parole! Ti fingi fedele, ma non sei che una gerla di lusinghe, un vaso di malizie, stessissima dimora e locanda dell'invidia. Ché diffamando a torto o a ragione la vecchia insinui il dubbio nei miei amori. Eppure lo ‹sai› bene che questa mia pena, questo mio straziante dolore rifuggono la ragione, mal sopportano ammonimenti, hanno in uggia i consigli. Che non vi è consiglio che me ne potrebbe distogliere senza insieme strapparmi le viscere. Sempronio mal sopportava d'andarsene, per non lasciarmi solo con te. Ma io che cogli quando è tempo, mille ne falci che sono ancora teneri virgulti! Oh se lei fosse viva, non sarei qui a muovere in solitudine questi miei passi. Che le sia lieve la terra, per quanto mi fu sempre leale amica e fedele compagna. ‹Finché ci fu, mai lasciava che me la sbrigassi da sola. Io portavo il pane? Lei procurava la carne. Se io mettevo la tovaglia, lei si curava del resto. Per nulla scriteriata, né frivola né presuntuosa come va di moda oggigiorno. Sull'anima mia, ti giuro che se se ne andava a viso scoperto, con la sua brocca in mano fino all'altro capo della città, il peggio che potesse sentirsi dire per strada era "signora Claudina". E certo non c'era nessuna che s'intendesse di vino e di qualsiasi altra mercanzia quanto lei. Non la pensavo ancora arrivata, che era già di ritorno. L'invitavano dappertutto, tant'era la simpatia che in tutti ispirava, e non tornava mai senza aver piluccato otto o dieci assaggi a dir poco, una pinta nella brocca e altrettanto in corpo. Non di rado le davano a credito due o tre staia come niente, su un piatto d'argento. La sua parola valeva oro nelle bettole del circondario. Quando per strada ci coglieva la sete, dovunque ci trovassimo, entravamo nella prima taverna e lei subito ne ordinava un litro, tanto per bagnarsi la bocca. E ti assicuro che non c'era volta che le chiedessero in pegno la cuffia: una tacca più sulla sua tavoletta, e via alla prossima.› Ah, se ‹solo› suo figlio le somigliasse un pochino, sta' pur certo che al tuo padrone non rimarrebbe una penna che è una e a noialtri un solo motivo di lagnanza. Ma se Dio mi dà vita, me lo lavorerò ben bene fino a farlo diventar uno dei miei. SEMPRONIO E come pensi di riuscirci, se quello è un traditore? CELESTINA A un traditor due furfanti! Gli offrirò su un piatto d'argento Areúsa. E sarà dei nostri, vedrai! Ci darà lui il modo di tendere le nostre reti perché ci restino impigliate le doppie di Calisto. SEMPRONIO Pensi di riuscire a ottenere qualcosa da Melibea? Cos'è che te lo fa credere? CELESTINA Non c'è cerusico al mondo che alla prima cura sappia giudicar la ferita. Ma lascia che ti dica quel che vedo al momento. Melibea è bella, Calisto folle e liberale; né a lui peserà spendere né a me trottare. Che i quattrini gli brucin tra le dita, e che l'affare duri quel che deve! A tutto può il denaro: manda in frantumi la roccia più dura e a piede asciutto ti fa guadare i fiumi. Né c'è sito così alto cui non arrivi un asino carico d'oro. Tanto è sventato e tanto ardente di cuore che spero lui si perda e noi si tragga il nostro profitto. Questo è quel che ho intuito, questo m'è parso d'aver inteso, questo è quel che so di lei e di lui; e questo è quello che ce ne farà tirar partito. E adesso, a casa di Pleberio. Tu statti con Dio. Che per quanto Melibea faccia la ritrosa, non sarà la prima cui con l'aiuto di Dio ho fatto abbassare la cresta. Tutte schizzinose sulle prime: ma una volta che han provata la sella sulla schiena, non c'è modo che si stanchino di cavalcare. Vogliono il campo tutto per loro: morte piuttosto, ma mai satolle. Se trottan di notte, per niente al mondo vorrebbero veder l'alba. Maledicono i galli perché annunciano il giorno; hanno in uggia l'orologio perché incalza senza tregua. ‹Son tutte uno scrutare l'Orsa e la stella polare, al modo delle astrologhe; ma quando poi vedon spuntare l'astro del mattino, si direbbe che esalino l'ultimo respiro tanto la sua luce ottenebra il loro cuore.› È questa una strada, figliolo, che mai m'è parso d'aver battuta a sufficienza. Mai che me ne sia stancata. E anche ora, vecchia come sono, Dio solo sa con quanta voglia mi rimetterei in cammino. Figùrati queste che bollono senza che gli si appicchi il fuoco! Al primo abbraccio sono belle che andate, eccole ai piedi di chi le implorava, si struggono per chi prima penava per loro, si fanno schiave di colui di cui erano signore, cedono il bastone e si lasciano comandare. Sfondano muri, spalancano finestre, si fingono malate, oliano le bandelle delle porte perché s'aprano e si chiudano senza cigolare. Non saprei dirti quanto possa su di loro la dolcezza che ancor gli resta dei primi baci del loro amante. E insomma, [nessuna] ha in uggia come loro le mezze misure pronta com'è a passare da un estremo all'altro. SEMPRONIO Cosa intendi con questo, madre mia? Proprio non ti capisco. CELESTINA Voglio dire che la donna o smania per chi la corteggia, o lo odia di un odio mortale. È per questo che, quando smetton d'amare, non riescono a tenere a freno il rancore. E son tanto convinta di questo, che me ne vado a casa di Melibea più rincuorata che se già la tenessi in pugno. So bene che per quanto adesso la preghi, sarà lei poi a supplicarmi; e che per quanto ora mi minacci, alla fine bacerà la terra dove cammino. Ho qui in questa mia tasca una matassina di filo e certe altre cosette che mi porto sempre appresso, allo scopo di mettere il naso per la prima volta in casa di chi non mi conosce: che son gorgiere, cuffie fatte a uncinetto, frange, sciarpine, pinzette, belletti, bianchetto, sublimato, [e poi] aghi e spilli, una cosa per ogni esigenza. Che non accada che mi chiamino e non sia pronta a gettar l'esca e a mirar dritta allo scopo. SEMPRONIO Madre mia, sta' bene attenta a quel che fai; che chi mal inizia peggio finisce. Pensa a suo padre, nobiluomo e valente; pensa a sua madre, donna diffidente e di carattere. E considera che tu sei tale da destare più d'un sospetto. Melibea è la loro unica figlia: se la perdono, non gli resta più nulla. Tremo solo a pensarci. C'è il rischio che tu vada per lana e torni tosata. CELESTINA Spiumata io, figliolo? SEMPRONIO O forse impiumata, il che è anche peggio! CELESTINA In fede mia, mi mancava solo un compagno par tuo. E così ti sei messo in testa d'insegnare a Celestina il suo mestiere? Sappi che non eri neanche nato che io già masticavo il pane con tanto di crosta! Bel capitano sei, con tutti i tuoi cattivi presagi e le tue paure! SEMPRONIO Non stupirti, madre, delle mie paure, che è proprio dell'uomo disperar che si avveri quel che più brama; tanto più che in questo caso quello che mi spaventa è il castigo che ce ne potrebbe venire. Certo, mi alletta l'idea di trarne profitto. E se tanto mi preme che questa faccenda vada a buon fine è più per salvarmi dalla miseria che per affrancare il mio padrone dalle sue pene. È per questo che prevedo più guai io con la mia poca esperienza che non tu con tutta la tua maestria. ELICIA Lascia che mi segni, Sempronio, che m'è piovuta manna dal cielo. Che novità è questa? Tu qui, due volte in un giorno solo? CELESTINA Zitta, sciocchina, che abbiamo ben altro cui pensare! Dimmi piuttosto: c'è qualcuno in casa? Se n'è andata la ragazza che aspettava il prete? ELICIA E ne è venuta un'altra. E se ne è andata anche lei. CELESTINA Spero non sia stato per niente, eh? ELICIA No davvero! Dio non l'avrebbe permesso. Ché per tardi che sia venuto... aiutati che Dio t'aiuta. CELESTINA Poche chiacchiere. Svelta, fa' un salto in solaio e prendi il barattolo d'olio serpentino che troverai appeso col pezzo di corda che ho portato dalla campagna l'altra notte, quando pioveva ed era buio pesto. Apri la cassa dei licci e a man dritta vedrai un foglio scritto con sangue di pipistrello, sotto quell'ala del dragone cui ieri abbiamo strappato gli artigli. E sta' bene attenta a non versare l'acqua di maggio che m'hanno dato da preparare. ELICIA Guarda, che non sta dove dici tu, madre. Non ti ricordi mai dove tie‹ni› le cose. CELESTINA Non mortificarmi, Elicia. E non mi maltrattare, per l'amor di Dio, un po' di rispetto per una vecchia. E non ti dar tante arie perché c'è qua il tuo Sempronio, e dàtti una calmata, che lui preferisce me come consigliera a te come amica, per quanto bene tu gli vuoi. Entra nello stanzino dove tengo gli unguenti e la troverai avvolta nella pelle del gatto nero, dove t'ho detto di mettere gli occhi della lupa. Ah! E non dimenticare il sangue del caprone e qualche pelo della barba che gli hai tagliato. ELICIA Prendi, madre. Ecco qui. Che io salgo in camera con Sempronio. CELESTINA Io ti scongiuro, triste Plutone, signore degli abissi infernali, imperatore della corte dannata, superbo capitano degli angeli caduti, signore delle fiamme sulfuree che eruttano i ribollenti monti etnei, governatore e intendente delle pene e dei torturatori delle anime dannate, ‹reggitore delle tre Furie, Tesifone, Megera e Aletto, amministratore di tutte le cose occulte del regno di Stige e di Dite, con tutte le sue lagune e ombre infernali e l'inestricabile Caos, protettore delle Arpie e di tutta la schiera delle Idre spaventose e terrifiche.› Io, Celestina, tua più illustre seguace, ancora ti scongiuro per la virtù e la forza di queste lettere vermiglie; per il sangue dell'uccello notturno con cui furono vergate; per la gravità dei nomi e dei segni in essa carta tracciati; per l'acre veleno delle vipere da cui quest'olio fu cavato e col quale ungo il mio filo, accorri senza indugio, obbedisci alla mia volontà, avvolgiti in esso e non separartene fino a che Melibea abbia agio, presentandosene l'occasione, d'acquistarlo; e ne rimanga irretita in tal guisa che, quanto più lo guarderà, tanto più s'addolcirà e accederà alla mia supplica. Che le si apra il cuore, che venga trafitto da schietto e ardente amore per Calisto, talché, deposto ogni pudore, mi si confidi e mi ricompensi dei tanti passi andati e dei tanti messaggi recati. Ciò fatto, disponi di me come meglio ti piaccia. Ma se non ti mostrerai sollecito alle mie preghiere, m'avrai tua mortale nemica: percuoterò di luce le tue carceri tristi e buie; senza tregua propalerò il cumulo delle tue menzogne; e con aspre parole maledirò il tuo orribile nome. Odi pertanto, non mostrarti sordo al mio scongiuro. Così, confidando nel mio alto potere, m'avvio alla volta della casa di Melibea col mio filato, avviluppato nel quale confido tu sia. ATTO IV Argomento ‹Strada facendo, Celestina parlotta fra sé, finché arriva alla porta di Pleberio: vi trova Lucrecia, sua serva. Si mette a discutere con lei. Alisa, madre di Melibea, le sente e, riconosciutala per Celestina, la fa entrare in casa. Arriva poi un messaggero a chiamare Alisa. Celestina resta sola con Melibea e le rivela il motivo della sua visita.› Personaggi: Lucrecia, Celestina, Alisa, Melibea. CELESTINA Adesso che son sola, voglio ponderar bene i timori di Sempronio su questa mia impresa. Che le cose non ben soppesate, quantunque coronate a volte da successo, sortiscono di norma gli effetti più impensati. Per questo un'attenta riflessione non manca mai di dare buoni frutti. Certo, con Sempronio son stata sulle mie. E tuttavia se si venisse a sapere di questi traffici con Melibea ne pagherei il fio con non meno che la vita. E se anche non arrivassero proprio a impiccarmi, mal me ne incoglierebbe lo stesso che mi metterebbero alla berlina o mi segnerebbero la schiena a colpi di scudiscio. Amare mi tornerebbero, allora, queste cento monete! Ahi povera me. In che trappola mi sono andata a cacciare! Per mostrarmi sollecita e decisa, va a finire che ci lascio le penne. E adesso? Ohi ohi, me meschina. Sventurata. Se desisto, lascio per strada ogni profitto; se persevero, rischio della grossa. Andare avanti, o battere in ritirata? Oh, dubbio crudele. Oh, bivio senza uscita. Non so da che parte sbattere la testa. Se oso, non è da dire a che rischio mi metto; se mi dimostro vile, ci perdo la faccia e in più rimedio una bruciante sconfitta. Serve ancora a qualcosa il bue che rifiuta l'aratro? Sull'una e sull'altra strada vedo crepacci, insidie. Se mi prendono con le mani nel sacco, finisco impiccata o, se proprio me la sfango, con la mitera in capo. E cosa penserà Sempronio se me la batto? Tutte qui, mi par di sentirlo, le vanterie di Celestina?! Il suo sapere, il suo coraggio, la proverbiale scaltrezza, la sua dedizione, l'astuzia, la perseveranza? E Calisto, il suo signore? Cosa dirà? Che farà? Che penserà? Che tutto questo tramestio di passi e di maneggi non era che fumo negli occhi; che io, maestra solo di cavilli e sofismi, fiutata l'insidia, non ho trovato di meglio che voltar gabbana, per aumentare il profitto. E se anche non arriverà a pensare infamie di tale fatta, si metterà comunque a strillare più di un pazzo. Mi getterà in faccia le ingiurie più abiette. E m'elencherà i mille inconvenienti che il mio cambiar bandiera gli ha causato, dicendo: "Tu, vecchia puttana, perché hai voluto render più aspro il mio tormento a furia di promesse? Brutta ruffiana falsa più di Giuda, hai piedi per tutti, per me soltanto lingua; per gli altri fatti, per me parole; un rimedio per ciascuno, per me pene; a tutti dai coraggio, di quello che nel caso mio t'è mancato; a tutti la luce, a me le tenebre. E allora, vecchia traditora, perché ti sei fatta avanti? Le tue promesse mi han dato speranza; la speranza m'ha ritardato la morte, m'ha tenuto in vita e m'ha fatto tenere per uomo felice. Ebbene, il tuo fallimento, se a me riserverà disperazione e scorno a te guadagnerà un esemplare castigo". Me sventurata, allora! Guai a destra, guai a sinistra! Guai dappertutto! Quando fra due estremi non v'è giusto mezzo, saggezza vuole ci s'acconci al men rischioso. Meglio vituperare Pleberio che far infuriare Calisto! E dunque via, bando agli indugi. Ché l'onta di passare per vile mi pesa assai più del castigo che rischio mandando a effetto la mia temeraria promessa: mai la fortuna abbando‹na› gli audaci. Vedo laggiù la sua porta. Ben altre prove ho dovute affrontare! Coraggio, coraggio Celestina! Non ti perdere d'animo! Che non mancano mai intercessori a mitigare le pene. E poi tutti i presagi si mostrano favorevoli, o io non capisco più un'acca di quest'arte! Di quattro uomini in cui mi sono imbattuta, tre fan Juan e due son becchi. La prima parola che ho udita per strada è pene d'amore. E poi non ho inciampato una volta che è una. ‹Le pietre sembra si faccian da parte per lasciarmi passare; le sottane non mi sono d'impaccio, e dopo tanto camminare son fresca come una rosa; non c'è cristiano che non mi saluti.› Né un cane che m'abbia abbaiato dietro, né m'è capitato di veder volare un uccellaccio nero, o un tordo, un corvo o un altro che porti male. E, ciliegina sulla torta, vedo Lucrecia all'uscio di Melibea. È cugina di Elicia, non sarà certo lei a mettermi i bastoni tra le ruote. LUCRECIA Chi è quella vecchia che se ne vien sgonnellando? CELESTINA Che la pace sia in questa casa. LUCRECIA Celestina, madre mia, che tu sia la benvenuta. Qual buon vento ti porta? È un secolo che non ti si vede. CELESTINA detto il vero, che gli parlano con le lusinghe più dolci al suo palato, ed è invidiato da tutti. A fatica troverai tra i ricchi chi non vorrebbe piuttosto uno stato mediano o una decorosa povertà. Non ricchi fan le ricchezze, ma preoccupati, piuttosto. Non signore vi rendono, semmai maggiordomo. E sono più coloro che ne sono posseduti, che non quelli che le possiedono. A molti hanno arrecato la morte, a tutti han tolto il piacere, e non v'è nulla più di esse contrario ai buoni costumi. Non hai mai sentito quel detto: "dormirono gli uomini ricchi sonni tranquilli ma al loro risveglio non si ritrovarono nulla tra le mani"? Ognuno di loro ha una dozzina di figli e nipoti, tutti a recitare una sola preghiera e tutti con un'unica supplica da rivolgere a Dio: che glielo levi di torno una volta per tutte. Non vedono l'ora di aver lui sotto terra e tutti i suoi beni fra le mani: per pagargli poi con minima spesa l'ultimo viaggio e l'‹eterna dimora.› MELIBEA [Se così stanno le cose,] madre, chissà quanti rimpianti per la verde età perduta. Dimmi, vorresti tornare indietro? CELESTINA Folle sarebbe, signora mia, quel viandante che, spossato dalle fatiche della giornata, volesse ricominciar tutto da capo per ritrovarsi alla fine nel medesimo punto. Perché le cose men desiderate conviene averle già piuttosto che vedersele venire. Tanto è più prossima la fine quanto più ne è lontano l'inizio. Non v'è cosa più dolce e più grata della locanda per il viaggiatore affaticato. È per questo che, quantunque la giovinezza sia un'età spensierata, il vecchio saggio non la brama, e soltanto chi è privo di senno e di ragione insegue quel che ha perduto. MELIBEA Non fosse che per vivere di più, mi parrebbe naturale desiderarla. CELESTINA Ah, signora mia, tanto minacciosa incombe la morte all'agnello che al montone. Nessuno è tanto vecchio da non poter vivere un anno ancora e nessuno è giovane a tal punto da non poter morire oggi stesso. In questo, poco vantaggio avete su noi poveri vecchi! MELIBEA M'hai turbata con le tue parole! E quel che mi dici mi fa venire il sospetto d'averti già veduta. Dimmi, madre: non sei tu la famosa Celestina, quella che una volta abitava alle concerie, vicino al fiume? CELESTINA In persona, [signora]. Finché Dio vorrà tenermi in vita! MELIBEA Se sei invecchiata! È proprio vero quel che si dice, che i giorni non passano invano. Sull'anima mia, non t'avrei riconosciuta, non fosse per quella cicatrice che ti attraversa la faccia. Dovevi essere bella un tempo! Adesso sembri un'altra persona tanto sei cambiata. LUCRECIA (Ah, ah! Cambiata davvero, 'sto tizzone d'inferno! Eh sì, doveva essere proprio la fine del mondo con quel "Dio ti salvi" che le fende a mezzo la faccia!) MELIBEA Che stai borbottando, pazza? Che dici? E perché te la ridi? LUCRECIA Rido perché non riconoscevi la madre, [nonostante sia passato così poco tempo! MELIBEA Ti sembrano pochi, due anni? E poi, ha il viso che è tutto una ruga.] CELESTINA Ah, signora mia, ferma tu il tempo se ne sei capace, che quanto alla mia faccia ci penso io a rabberciarla. Non hai tu letto: "verrà il giorno che non ti riconoscerai più allo specchio?". Certo, non nego d'essere sbiancata anzitempo. Certo, dimostro il doppio degli anni che ho. Ma, possa io godere di quest'anima peccatrice quanto tu del tuo bel corpicino, se non è vero che, di quattro figlie che partorì mia madre, io ero la più piccola. Vedi, dunque, non sono poi così vecchia come si crede! MELIBEA Celestina, amica mia: è stata davvero una gioia vederti e stare un po' insieme; e che piacere far quattro chiacchiere con te! Ecco, prendi il tuo denaro e va' con Dio, ché mi sa che non hai ancora mangiato. CELESTINA Oh, angelica immagine! O perla preziosa. Con quale grazia lo dici! Che delizia sentirti parlare! Ma non sai che fu detto dalla bocca di Dio contro il tentatore infernale: "non di solo pane vive l'uomo?". Ed io lo confermo: che non basta il cibo da solo. Soprattutto per me che passo uno o anche due giorni digiuna, e solo per occuparmi degli affari degli altri, pronta sempre a far del bene ai buoni e magari a rischiar la vita per loro. Questo ho sempre avuto a cuore: dannarmi l'anima per il prossimo piuttosto che starmene in panciolle a fare il mio comodo. Così, se mi consenti, ti dirò il motivo della mia venuta, che non ha niente a che vedere con quello che hai creduto finora, ed è tale che tutti ci rimetteremmo del nostro se solo dovessi tornare indietro senza avertelo rivelato: che sarebbe come aver tanto penato per niente. MELIBEA Parla, madre; dimmi pure quel che ti preme, che se potrò provvedervi lo farò volentieri. Che non per niente ci si conosce da tanto tempo e siamo state vicine di casa. CELESTINA Quel che mi preme, signora mia? Quel che preme ad altri, vorrai dire. Che, quanto a me, provvedo io, in casa mia, senza farne parte a nessuno, mangiando se posso, bevendo quando ne ho. Che da quando son rimasta vedova, con tutta la mia povertà, grazie a Dio, non m'è mai mancata una moneta per il pane e quattro per il vino. E prima non toccava certo a me darmi da fare per la cantina: che in casa c'erano sempre due otri, uno pieno e l'altro vuoto. Non mi son mai coricata senza aver prima inzuppato una crosta di pane nel vino e senza averla accompagnata da almeno due dozzine di sorsi, buona usanza per i mali della madre. Ora che debbo sfangarmela da sola me lo portano in un boccaletto mal impeciato che non terrà due litri. ‹Sei volte al giorno, per i miei peccati, mi tocca trascinare i capelli bianchi fino in taverna per i rimbocchi del caso. Voglia il Cielo tenermi in vita fino a quando non me ne vedrò in casa un orcio o un otre. Che dice bene il proverbio: "pane e vino fan buon cammino... e più di un garzone robusto".› Ma è anche vero che in quella casa dove non c'è chi porti i calzoni le cose van presto a remengo: "non corre bene il fuso se la barba non va in suso". E tutto questo è venuto a fagiolo con quel che ti dicevo dei bisogni degli altri e dei miei. MELIBEA Chiedi pure quel che vuoi, e sia per chi si sia. CELESTINA Nobile e leggiadra fanciulla, le tue dolci parole, il tuo viso ridente e le molte dimostrazioni di liberalità che hai voluto dare a questa povera vecchia m'infondono coraggio. Devi sapere che or ora ho lasciato un uomo malato in punto di morte. Tiene per articolo di fede che gli basti per guarire una sola parola che esca dalla tua nobile bocca, e ch'io [gli] rechi chiusa nel mio cuore, tanta è la devozione che nutre per la tua cortesia. MELIBEA Rispettabile vecchia, spiegati meglio, che davvero non ti capisco. Per un verso, m'inquieti e mi provochi a sdegno. Dall'altro mi muovi a compassione. Così poco ho inteso delle tue parole che non saprei darti risposta che convenga. Sono molto felice se da una mia parola dipende la salvezza di un cristiano. Far del bene è un po' somigliare a Dio. ‹Di più: chi lo fa lo riceve, se lo indirizza a persona che lo meriti.› Non diversamente si dice che, chi potendo guarire l'infermo non lo fa, l'uccide. Dunque, né imbarazzo né timore ti trattengano dal chiedere. CELESTINA Ogni mio timore l'ho perduto, signora, ammirando la tua bellezza. Non posso credere che Dio abbia disegnato invano lineamenti tanto perfetti e pieni di grazia se non per farne scrigno di virtù, di misericordia, di sollecitudine alle altrui sventure; se non per eleggerli a ministri delle sue grazie e dispensatori dei suoi doni. [E] poiché siam tutti esseri umani, nati per morire, certo non può dirsi nato chi è nato solo per sé. Che in caso contrario sarebbe fatto a somiglianza piuttosto delle fiere senz'anima, per quanto non ne manchino tra esse di capaci di compassione, quali l'unicorno, che si dice si umili dinanzi a una vergine. ‹E che dire del cane che, irruente e feroce qual è, pure è preso da pietà e non morde chi si getta a terra?› E degli uccelli? Il gallo non mangia se prima non chiama a spartire il suo e a mangiarne le galline. ‹Il pellicano si squarcia il petto per sfamare i suoi piccoli con le proprie viscere; le cicogne sostentano nel nido i loro vecchi per un tempo eguale a quello in cui, implumi, ne vennero nutrite. Se dunque la natura ha fornito gli animali e gli uccelli di tale capacità d'intendere,› perché mai noi uomini dovremmo essere più crudeli? Perché non dar parte delle nostre sostanze e delle nostre stesse persone al prossimo, specie quand'esso è preda di mali segreti e tali da avere il loro rimedio dove è celata la loro medesima radice? MELIBEA Ma, in nome di Dio, deciditi a dirmi chi è quest'ammalato che soffre di un male tanto strano che la pena e il rimedio gli provengono da una medesima fonte? CELESTINA Avrai sentito parlare, signora, di un giovane cavaliere di questa città; gentiluomo di illustre casato, di nome Calisto. MELIBEA Finalmente al dunque! Non una parola di più, vecchia; non continuare. Tutti quei preamboli, tutti quei giri di parole per questo malato? È lui la causa per cui ti sei venuta a cercar la morte? È lui la causa di tutto il tuo darti daffare, eh svergognata barbuta!? Che cos'ha dunque, quello sciagurato, da farti accorrere qui con tanto zelo? So ben io qual è il suo male: follia bella e buona. Come m'avrebbero piegato le tue suadenti parole, se tu non m'avessi trovato prevenuta contro questo pazzo! Non per niente si dice che è la lingua la parte peggiore d'un uomo e d'una donna malvagi. Potessi salire sul rogo, ruffiana mentitrice, fattucchiera, nemica dell'onestà, cagione di turpi peccati! Gesù, Gesù! Levamela di torno, Lucrecia, che mi sento mancare! Non m'ha lasciato una sola goccia di sangue in corpo! Questo e altro merita chi presta orecchio a gente di tal fatta. Che, se non avessi a cuore il mio onore rendendo pubblica l'audacia di quel temerario, non ci penserei un momento, donna scostumata, a metter fine ai tuoi discorsi e alla tua vita. CELESTINA (M'aspetta un pessimo quarto d'ora davvero se il mio scongiuro non m'assiste! Orsù, dunque: so ben io a chi rivolgermi! ‹Forza, fratello mio, che va tutto in malora.›) MELIBEA E osi ancora parlare fra i denti davanti a me? Vuoi proprio esacerbare la mia collera e raddoppiar la tua pena? E così hai deciso di infangare il mio onore solo per ridar vita a un pazzo? Di condannare me a essere infelice per ridargli la gioia, rimediando la tua parte di profitto dalla mia rovina e ricompensa dal mio errore? Vuoi perdere, distruggere la casa e l'onore di mio padre per goderne i vantaggi, vecchiaccia maledetta? Credi che non abbia capito il tuo gioco? Che non abbia colto il veleno nascosto nelle tue parole? Ebbene, sappi che il solo compenso che te ne verrà, sarà di lasciarci la vita, ché così non potrai offendere ancora nostro Signore. Rispondimi, traditrice, come hai potuto arrivare a tanto? CELESTINA Il timore che m'incuti, signora, inceppa la mia discolpa. Sapermi innocente m'incoraggia, vederti adirata mi turba, e quel che più mi rattrista e mi dà pena è ricevere insulti senza motivo. Per amor di Dio, signora, lascia che finisca il mio discorso e vedrai che né lui merita d'essere incolpato né io maledetta. E che, lungi dal voler perseguire fini men che onesti, tutto è stato fatto per la maggior gloria di Dio. Per ridare la salute all'infermo, non per nuocere alla reputazione del medico. Se solo avessi immaginato, signora, che, senza ragione, avresti potuto nutrire così gravi sospetti, per niente al mondo avrei osato perorare la causa di Calisto o di nessun altro uomo. MELIBEA Gesù! Non debba mai più sentir nominare, pena la vita, quel pazzo. Quel saltafossi, quel fantasma notturno lungo come una cicogna, quel paramento mal dipinto. È lui che l'altro giorno, appena mi vide, cominciò a dir spropositi, parlando a vanvera con aria da galante. Gli dirai, mia buona vecchia, che se per caso s'è messo in testa di avermi, d'esser rimasto padrone del campo solo perché mi son divertita a dargli corda invece di punire come dovevo il suo ardire, s'inganna. Che ho preferito trattarlo da pazzo piuttosto che mettere in piazza la sua [gran] sfrontatezza. Mettilo in guardia. Digli che lasci perdere, che sarà buon per lui! Se non vuole che i suoi deliri gli costino cari. Sappia che è sconfitto solo chi si crede tale; e che se lui se n'è andato pieno di boria, io non ho ceduto d'un passo. È proprio dei pazzi stimar gli altri secondo il proprio metro. E tu, tornatene da dove sei venuta a riferire. Che da me non avrai una parola di più. Inutile pregare chi non può sovvenire. E ringrazia Dio, piuttosto, se puoi lasciar la fiera con le tue gambe. E sì che m'avevan detto chi eri. M'avevan pur messo in guardia dalle tue prodezze! CELESTINA (Più munita era Troia. Di ben più selvagge ne ho ammansite. Non v'è tempesta che presto non s'acquieti.) MELIBEA Che stai dicendo ancora, infame? Parla che possa sentirti. Hai qualche buona scusa che possa placare la mia collera e farti perdonare il tuo fallo e la tua audacia? CELESTINA Finché dura la tua collera, ogni discolpa servirà solo a peggiorar le cose. Tu sei troppo severa. Nessuno stupore del resto: a sangue nuovo poco calore basta per ribollire. MELIBEA Poco calore, dici? E lo puoi ben dire se sei viva a dispetto della tua sfrontatezza! Potevi forse pretendere da me una parola, dico una parola, a vantaggio d'un uomo simile che non mi si ritorcesse contro? Rispondi, dal momento che dici di non avere ancora finito. Chissà che non ti tocchi di pagare per il presente e per il passato! CELESTINA Una preghiera, signora. Gli è stato riferito che ne conosci una a Santa Apollonia, contro il mal di denti. E, insieme con quella, il tuo cordone, che a quanto si dice [non c'è] reliquia a Roma e a Gerusalemme che non abbia toccato. Quel cavaliere di cui t'ho detto ne soffre da morire; solo per questo son venuta da te. Ma poiché, per mia sventura, non ho avuto che parole sdegnose, sopporti pure il suo dolore: che è lo scotto che deve pagare per ‹Che Dio ti conceda una buona vecchiaia! Avevo più bisogno di questa roba che dell'aria che respiro! CELESTINA E allora a che pro tutto questo mormorare, pazzerella? Buona. Chi sa che tu non abbia bisogno di me per cose di maggior conto? Non fare irritare la tua padrona più di quanto non sia. E lasciami andare in pace.›) MELIBEA Che le stai dicendo, madre? CELESTINA Cose nostre, signora. MELIBEA Dai, dimmelo, che proprio non sopporto quando mi si bisbiglia alle spalle! CELESTINA Le raccomandavo, signora, di ricordarti la preghiera, che tu la facessi scrivere. E che, quando ti vede in collera, impari a comportarsi da me che son solita mettere in pratica il detto: "dalla persona adirata discostati per un po', dal nemico, per sempre". Tu, infatti, signora, provavi sdegno per i sospetti che ti causarono le mie parole, non inimicizia. Ma anche se in quelle ci fosse stato quel che pensavi, non era malvagio il fine al quale erano dirette. Ogni giorno si vedono uomini che spasimano per delle fanciulle, e donne che desiderano degli uomini, e tutto ciò lo vuole la natura, e la natura è opera di Dio e Dio non ha fatto cose cattive. Per questo la mia richiesta restava in ogni caso lodevole per sé, per esser tale la sua prima origine ed io immeritevole di castigo. Ma ben altro intorno a ciò potrei dirti, non fosse che l'esser prolissi molesta chi ascolta e non giova a chi parla. MELIBEA In ogni cosa hai mostrato prudenza: parlando poco quand'ero infuriata, come nel saper sopportare. CELESTINA Ho sopportato nel timore, signora, perché con ragione ti eri adirata. Come la folgore è l'ira, quando è congiunta al potere. Per questo ho pazientato sotto i tuoi colpi, finché non hai esaurito le munizioni. MELIBEA Quel cavaliere ti sta proprio a cuore, eh!? CELESTINA Questo e altro si merita, signora. E se con le mie preghiere sono riuscita a procacciargli qualche vantaggio, gli ho nuociuto con la mia assenza. Così adesso, se me ne dai licenza, vorrei andare da lui. MELIBEA Quanto prima me l'avessi chiesta tanto più volentieri l'avresti ottenuta. Va' con Dio, che né il tuo messaggio m'ha arrecato profitto, né potrà nuocermi la tua partenza. ATTO V Argomento ‹Celestina si è congedata da Melibea. Se ne va per la strada, parlando fra i denti, da sola. Arrivata a casa trova Sempronio ad aspettarla. Se ne escono tutti e due discorrendo fino a casa di Calisto. Pármeno li scorge e lo riferisce a Calisto, suo signore, il quale gli ordina di aprire la porta.› Personaggi: Calisto, Pármeno, Sempronio, Celestina. CELESTINA Oh, momento infame! Oh, audace saggezza! E che pazienza m'è toccato avere! Sono stata proprio a un passo dalla morte; e ancor grazie che la mia grande astuzia mi ha fatto ammainare in tempo le vele della mia supplica! E che furia nelle sue minacce! Oh, furibonda verginella! Oh, demonio dei miei scongiuri, che hai mantenuto la promessa ed esaudito le mie richieste! Ti sono debitrice. È grazie ai tuoi poteri che si è ammansita quella femmina crudele. Con l'assenza di sua madre, mi hai dato poi l'occasione migliore di parlarle a mio agio. Ah, vecchia Celestina! Dai che ce l'hai fatta! Non sai che chi ben comincia è a metà dell'opera? Oh, olio serpentino! Oh, bianco filato! Una bella mano davvero la vostra! Che, se avessi fallito, giuro che avrei rotto tutti gli incantesimi, fatti e ancor da fare, e non avrei più creduto a erbe, a pietre, o a parole. Statti allegra, vecchia: ci guadagnerai di più con quest'affare che da quindici vergini rimesse a nuovo. Ah, diavolo d'una sottana che fastidio mi dai! Non fai che intralciarmi, ed io devo arrivare laggiù al più presto, ché s'aspettano mie notizie. Ah, buona sorte che aiuti gli audaci e t'accanisci contro i timidi! Non è con la fuga che il codardo sfugg‹e› alla morte! Chissà quante avrebbero fallito, là dove io l'ho avuta vinta! E che avrebbero fatto quelle sedicenti maestre del mio mestiere in così duro frangente se non dire a Melibea una parola di troppo, che avrebbe fatto perdere loro quel che io ho saputo guadagnar tacendo? È per questo che si dice: "a ciascuno il suo mestiere"; e "meglio il medico di molte cure di uno di molte letture", "l'esperienza e l'esempio fanno gli uomini accorti", ... e aguzzano l'ingegno delle vecchie che, come me, non ci pensan su due volte ad alzarsi le gonne per passare il guado. Ah cordone, cordone mio! Se Iddio mi dà vita, a forza te la farò trascinare, colei che sdegnosa neppur volle rispondermi. SEMPRONIO Ma, ci vedo bene o quella là è Celestina? Diavolo quanto sgonnella! E come se la racconta! CELESTINA Com'è che ti segni, Sempronio? È perché m'hai vista? SEMPRONIO Ora ti spiego. Le cose rare ingenerano stupore. Il quale, concepito negli occhi discende nell'anima, e l'anima è costretta a manifestarlo in segni esteriori. Ti si è mai vista per la strada a testa bassa, cogli occhi fissi al suolo, non facendo caso a nessuno, come adesso? Ti si è vista parlar fra i denti mentre cammini, e con la lingua di fuori come chi va a riscuoter gabelle? Novità sorprendenti davvero per chi ti conosce! Ma, a parte questo, dimmi un po', per Dio, che nuove ci porti? È maschio o femmina? È da quando è scoccata l'una che son qui ad aspettarti. E mai ritardo mi è parso di miglior auspicio. CELESTINA Regola da sciocchi, figlio mio, e tutt'altro che infallibile. Che avrei potuto tardare ancora un'ora e lasciarci il naso laggiù; o altre due ore e lasciarci anche la lingua, sicché più avessi tardato, più caro avrebbe potuto costarmi. SEMPRONIO Per amor mio Celestina, non muoverti da qui senza prima vuotare il sacco. CELESTINA Sempronio, amico mio, non ho tempo di fermarmi, né questo mi sembra il luogo più adatto. Vieni con me e quando saremo davanti a Calisto ne sentirai delle belle. Che sarebbe un po' come sciupar l'effetto della mia ambasciata andarlo a raccontare a questo e a quello. Voglio che dalla mia bocca sappia quel che è stato fatto. Che, se pur ti toccherà una parte di tornaconto, il merito del lavoro lo voglio tutto per me. SEMPRONIO Una parte, Celestina? Il tuo discorso non mi garba per niente. CELESTINA Zitto, pazzerello, che tanto o poco, ti darò tutto quel che vorrai. Quel che è mio è tuo. Godiamocela, profittiamone, che quanto al dividere ci troveremo sempre d'accordo. Sai bene quante più esigenze hanno i vecchi rispetto ai giovani, soprattutto di te che mangi sempre a sbafo. SEMPRONIO Più che di mangiare avrei bisogno di ben altro io! CELESTINA Di grazia, figlio mio? Forse d'una dozzina di stringhe, d'una catenella per il berretto e di un arco per andare di casa in casa a tirare agli uccelli e a puntar le passere alla finestra. ‹Ragazze, dico, idiota, di quelle che non sanno ancora volare, tu mi capisci,vero? Che con loro non c'è miglior ruffiano d'un arco, che con quello si può entrare dappertutto, come gli animali randagi e, come si dice, "una parola tira l'altra...".› Però, Sempronio mio, un po' di pietà per colei che deve tener alto il suo onore ed è sempre più piegata dagli anni! SEMPRONIO (Oh vecchia adescatrice! Oh, vecchiaccia malvagia! Oh, avidissima e insaziabile gola! Che saresti pronta a ingannar anche me, come il mio padrone, pur d'ingrassarti! Ma vedrai che bel guadagno! Non vorrei esser nei tuoi panni! Che chi per salire non va tanto per il sottile, cade in men che non si dica! Oh, quant'è arduo conoscere gli uomini! Proprio vero quel che si dice che non c'è cosa né animale più difficile da capire. Questa vecchia è perfida e bugiarda, e il diavolo mi ci ha immischiato con lei! Meglio avrei fatto a fuggire da questa vipera velenosa, non cercar di prenderla. La colpa è tutta mia! Ma se le riempia pure per benino le tasche che, lo voglia o no, gliela farò mantenere io la promessa.) CELESTINA Che vai dicendo, Sempronio? Con chi parli? Stai per caso tagliandomi i panni addosso? Perché invece non ti spicci? SEMPRONIO Quel che dico, madre ‹Celestina,› è che sei lunatica come tutte del resto: cosa che non mi stupisce peraltro. Non m'avevi detto che questa faccenda l'avresti tirata per le lunghe? Ed ora, invece, non ti dai pace pur di spiattellar tutto a Calisto. Non sai che tanto più si tiene alle cose quanto più a lungo le si è desiderate, e che per ogni giorno in più che lui pena noi si raddoppia il profitto? CELESTINA Il saggio sa mutar parere, solo lo sciocco persevera. A nuovo affare, nuovo consiglio. Non avrei creduto, Sempronio figlio mio, che la mia buona stella mi avrebbe favorito a tal punto. È proprio del buon messaggero comportarsi in base alle circostanze. Si ha un bel barare col tempo, ma non si può tergiversare sulla qualità dei fatti. Tanto più che il tuo padrone, da quel che ho capito, è sì generoso, ma anche un po' capriccioso. E ti concederà di più per un giorno di buone notizie, che per cento che lui passi a soffrire, ed io ad andare avanti e indietro come una trottola. Che i piaceri inattesi e improvvisi provocano turbamento, e l'eccessivo turbamento offusca il giudizio. E allora, a che potrà condurre il bene se non a far del bene, e gli alti lignaggi se non a dare cospicue ricompense? Taci, dunque, sciocco, lascia fare alla vecchia. SEMPRONIO E allora dimmi com'è andata con quella fanciulla. Dimmi qualche parola uscita dalle sue labbra. Che, per Dio, fremo non meno del mio padrone per conoscerla. CELESTINA Zitto, pazzo. Finirai col rimetterci la salute. Ti si legge in faccia che preferiresti sentire il sapore piuttosto che l'odore di questa faccenda. Andiamo su, sbrighiamoci, che il tuo padrone sarà fuori di testa a furia d'aspettare. SEMPRONIO Oh, se è per questo lo è già. PÁRMENO Signore, signore! CALISTO Che vuoi, idiota? PÁRMENO Sempronio e Celestina si stanno avvicinando a casa. Fanno due passi e una sosta ‹e quando son fermi tracciano dei segni per terra con la spada.› Che vorrà dire? CALISTO Guarda tu l'allocco! Su, svelto! Arrivano? Perché, allora, non scendi ad aprirgli? Oh, Dio onnipotente! Oh, divinità sovrana! Chissà che cosa li porta! E cosa avranno da dirmi? Han tardato ‹così a lungo› che il loro arrivo mi premeva più del rimedio per il mio male. Oh, le mie povere orecchie! Preparatevi al peggio, che il conforto o la pena per il mio cuore son riposti nella bocca di Celestina. Ah, potessi passare nel sonno il poco tempo che mi separa dal principio e dalla fine del suo discorso! Soltanto ora capisco quanto sia più straziante per il reo attendere la sentenza capitale che l'esecuzione della pena che già conosce. Pármeno, hai finito di gingillarti? Vuoi sbrigarti? Presto, fa' scorrere questo catenaccio, che quella degnissima signora possa finalmente entrare: la mia vita pende dalle sue labbra. CELESTINA L'hai sentito, Sempronio? Il nostro padrone sembra già di tutt'altro umore. E che differenza fra i discorsi di adesso e quelli che abbiam sentito fare fra lui e Pármeno la prima volta che venimmo qui. Mi pare che si metta bene. Non c'è parola di quelle che dice che non frutterà alla vecchia Celestina almeno una sottana. SEMPRONIO Mi raccomando, quando entri fa' finta di non accorgerti di Calisto, e dimmi qualcosa di carino. CELESTINA Taci, Sempronio. Ché, se pure ho messo a rischio la mia vita, ben altro merita Calisto. E così le sue preghiere e le tue, e ben altro m'aspetto io da lui. ATTO VI Argomento ‹Entrata Celestina in casa di Calisto, questi con ansia e trepidazione le domanda del suo incontro con Melibea. Mentre i due ragionano fra loro, Pármeno rivolto a Sempronio chiosa ogni frase della vecchia con un motteggio: cosa, questa, censurata da Sempronio. Alla fine, la vecchia Celestina rivela ogni cosa a Calisto e gli consegna il cordone di Melibea. Si congeda quindi dal giovane e se ne va a casa sua insieme con Pármeno.› Personaggi: Calisto, Celestina, Pármeno, Sempronio. CALISTO Che mi dici, signora e madre mia? CELESTINA Oh, Calisto, signor mio! Eccoti finalmente! Oh, il mio nuovo amante della bellissima Melibea, e con quanta ragione! Come ripagherai questa vecchia che proprio oggi ha messo a repentaglio la vita al tuo servizio? Si è mai vista una donna che abbia rischiato tanto? Solo a pensarci mi sento sbiancare e mi par mi si svuotino di sangue tutte le vene del corpo! Ma avrei dato volentieri la vita, e per un compenso ancor più miserello di questo vecchio scialle malconcio e tutto liso. PÁRMENO (Fa incetta per il suo convento. Tira l'acqua al suo mulino, la vecchia. Dài, che hai salito il primo gradino: t'aspetto al varco solo un passo più sù, quando chiederai la sottana. Tutto per te; e soprattutto niente che si possa spartire. Rifarsi le piume vuole la vecchia. Vedrai se non ho ragione e se il padrone non è un babbeo fatto e finito. Non perderti una parola, Sempronio: l'ultima cosa cui pensa è chieder denaro, che quello si può dividere. SEMPRONIO Taci, sciagurato. Che se Calisto ti sente, t'accoppa.) CALISTO Che succede, servi!? Io qui ad ascoltar cose da cui va della mia vita, e voi al solito a bisbigliare, per farmi uscir di senno e mandare a monte l'affare! Per amor mio, un po' di silenzio, che anche voi avrete gusto a sentire dello zelo di questa signora. Ma dimmi, madre: che hai fatto quando ti sei trovata faccia a faccia con lei? CELESTINA Ho provato un così intenso piacere, che chi m'avesse vista in quell'istante, me l'avrebbe certo letto in faccia. CALISTO Lo stesso che io provo adesso; figurarsi tu che hai avuto la fortuna di contemplare la sua immagine. Certo, sarai rimasta senza parole dinanzi a così ineffabile visione! CELESTINA Tutto il contrario. Che il fatto di trovarmi sola con lei m'ha dato maggior ardimento per dirle quel che importava. Le ho aperto il mio cuore, le ho svelato il motivo della mia ambasciata: che tu soffrivi di un grande dolore, e che pendevi dalla sua bocca in attesa di una sola parola che t'avrebbe restituita la salute. Lei mi guardava sorpresa, tutta stupita per l'inatteso messaggio, ansiosa di sapere chi potesse struggersi a tal punto, e soltanto per un suo muover di labbra; e chi la sua lingua poteva guarire. Non appena ebbi pronunciato il tuo nome, mi interruppe di colpo. Aveva gli occhi sbarrati, come chi avesse sentito qualcosa di spaventoso. M'intimò di tacere e di levarmi di torno, se non volevo che i suoi servi divenissero i miei spietati carnefici. ‹Maledisse la mia sfrontatezza, chiamandomi fattucchiera, mezzana, vecchia falsaria, barbuta, malfattrice e non so con quant'altre ingiurie sanguinose, di quelle che fan strillare i fantolini in fasce. Seguirono a ruota smanie a non finire, deliqui, eccessi e strida, che sembrava avesse la mente sconvolta, e disarticolate le membra: s'agitava come un'ossessa, come trafitta da quella freccia d'oro che l'aveva colpita com'ebbi pronunciato il tuo nome, contorcendosi tutta, le mani intrecciate con tanta forza che sembrava fossero sul punto di spezzarsi, volgendo gli occhi da una parte e dall'altra, trapestando come una pazza sulla nuda terra. A tutto ciò, io me ne stavo nel mio angolino, zitta zitta, per nulla dispiaciuta di quel suo dar di matto. Più delirava e più ne ero contenta, che quello mi pareva essere indizio della prossima resa e della sua capitolazione. Ma mentre quel deposito di bile schiumava le sue riserve di rabbia, io non tenevo distratto e ozioso il mio pensiero, talché ebbi il tempo di architettare ragioni e scuse per quel che le avevo detto.› CALISTO Proprio questo volevo sapere, madre e signora mia. Che mentre t'ascoltavo ho rimuginato a lungo senza trovare uno straccio di scusa che fosse buona a coprire o dissimulare i tuoi propositi, che valesse a diradar dalle tue suppliche l'ombra di un terribile sospetto. Parla, che possa aver conferma di quella tua grande saggezza che in ogni tuo gesto mi ti fa apparire più che donna. Avevi provveduto per tempo alla replica, avendo per tempo prevista la sua risposta. Avrebbe forse potuto fare di meglio la toscana Adeletta, della cui fama, te in vita, si sarebbe perduta memoria? Colei che, tre giorni prima della sua morte, predisse la fine del suo vecchio marito e dei suoi due figlioli. Ora ho la prova che ‹non erra quel detto:› ai pronti rimedi può assai più dell'uomo la fragile natura delle donne. CELESTINA Vuoi sapere cosa le ho detto, signore? Le ho detto che soffrivi di mal di denti e che quello che si voleva da lei era una certa preghiera che ben conosceva, assai efficace per quel malanno. CALISTO Oh mirabile astuzia! Oh donna unica nella sua arte; oh femmina sagace! Oh sollecita medicina! Oh impareggiabile messaggera! Chi altri avrebbe saputo escogitare un espediente altrettanto efficace per trarsi d'impaccio? Penso proprio che se gli antichi Enea e Didone fossero vissuti in questo nostro tempo, Venere certo non avrebbe dovuto penar tanto per guadagnare al proprio figliolo l'amore di Elisa, né avrebbe dovuto ingannarla facendo assumere a Cupido l'aspetto di Ascanio, potendo con maggior profitto sceglier te qual mediatrice. Quanto a me, volentieri affido la mia vita stessa nelle tue mani sapienti e nel caso il mio desiderio non ottenga l'effetto sperato terrò per certo che non si sarebbe umanamente potuto fare di più per la mia salvezza. Che ve ne pare, servi? Si può forse sperar di meglio? Vi è al mondo donna più fidata di costei? CELESTINA Non interrompermi ogni momento, signore; lasciami dire che si va facendo notte. Sai bene quanto i malfattori imperversino al buio. Non vorrei che, tornando a casa, mi capitasse di fare qualche brutto incontro. CALISTO Come, come? E non abbiamo fiaccole per rischiararti la via e paggi per farti da scorta? PÁRMENO (Già già. Che non la violentino, la piccina indifesa! Sempronio, andrai tu con lei; che non prenda paura dei grilli che cantan la notte.) CALISTO Dicevi, Pármeno, figlio mio? PÁRMENO Dicevo, signore, che sarà bene che io e Sempronio la si accompagni fin sull'uscio di casa. Che è buio pesto. CALISTO Ben detto. Ma non ora. Continua pure il tuo racconto, Celestina, e dimmi che cos'altro le hai detto. E lei come ha risposto alla richiesta della preghiera? CELESTINA Che l'avrebbe detta volentieri. CALISTO Volentieri, dici? [Oh] Dio, che magnifico dono! CELESTINA Le ho chiesto di più. CALISTO Che cosa, degnissima vecchia? CELESTINA Un cordone che usa portare stretto alla vita. Con la scusa che t'avrebbe giovato contro il tuo male, avendo toccato molte reliquie. CALISTO E lei che ti ha risposto? CELESTINA Prima apri la borsa che poi io aprirò la bocca! CALISTO Oh, per l'amor di Dio! Prenditi la mia casa con tutto quel che c'è dentro, ma parla. E se non basta chiedimi pure dell'altro. CELESTINA Per un mantello che vorrai dare a questa povera vecchia, riceverai in cambio il cordone che Melibea portava stretto alla vita. CALISTO Un mantello!? Il mantello, e poi la sottana e qualunque altra cosa che ho. CELESTINA Ho bisogno d'un mantello e con questo basta e avanza. Non promettere senza ritegno. E non gettare un'ombra di sospetto sulla mia richiesta. Lo sai che si dice che "offrire molto a chi poco chiede è un po' come dire di no". CALISTO Corri, Pármeno! Sù, fa' venire il mio sarto! Digli di tagliare un mantello e una gonna da quel panno di Contray che s'è preso per accotonarlo. PÁRMENO (Bene, bene! Tutto alla vecchiaccia, che sa presentarsi gonfia di bugie più di un'ape; e che io possa crepare! È tutto il giorno che ci gira intorno a questo benedetto mantello la vecchia.) CALISTO Guarda te la voglia che ci mette questo demonio! Son davvero ben messo con questi servi che ho intorno; mi tocca mantenermeli pigri, brontoloni e nemici d'ogni mio bene. Che stai farfugliando, birbone? Che dici, invidioso? Parla più chiaro. Va' subito dove t'ho detto, e non farmi andare su tutte le furie, che a sfinirmi basta e avanza la mia angoscia. Che da quella pezza ci scapperà un giubbone anche per te. PÁRMENO Dicevo soltanto, signore, che è un po' tardi per chiamare il sarto. CALISTO Non dicevo io che ti piace menare il can per l'aia!? E sia. Sarà per domani allora. E tu, signora, per amor mio, pazienta qualche ora, che cosa rinviata non per questo è perduta. E mostrami quel cordone benedetto, degno di cingere così nobili membra. Ne godranno i miei occhi e insieme con essi tutti gli altri miei sensi. Perché tutti insieme son stati catturati da lei. E ne godrà il mio cuore straziato, che non ha avuto un attimo di tregua da quando ha conosciuto quella signora. Da tutti i miei sensi son partiti strali contro di lui, tutti vi hanno versato il loro carico di pene. Tutti l'hanno ferito quanto più han potuto: gli occhi al vederla, le orecchie nel sentirla, le mani nel toccarla. CELESTINA Hai detto toccarla? La cosa mi sorprende. CALISTO Intendevo dire in sogno. CELESTINA In sogno? CALISTO Quasi ogni notte la vedo in sogno, e temo m'accada come ad Alcibiade [o a Socrate], il quale [l'uno] sognò di vedersi avvolto nel mantello della sua amata. E il giorno dopo fu ucciso, e non si trovò chi lo sollevasse da terra e lo coprisse, se non lei con il suo mantello [l'altro previde che lo chiamavano per nome e morì di lì a tre giorni]. Ma insomma, vivo o morto, assai dolce mi sarebbe indossare le sue vesti. CELESTINA Ohi ohi! Davvero infinite sono le tue pene. Che quando gli altri riposano nei loro letti, tu ti procuri le angosce per il giorno che viene. Coraggio, signore; Dio non ha mai abbandonato nessuno dei suoi figli. Dai tregua al tuo desiderio. Prendi questo cordone che, se Dio mi dà vita, non mancherò di darti anche la sua padrona. CALISTO Ah, mio nuovo ospite! Ah, beato cordone che avesti così gran potere e merito di cingere quel corpo che io non sono neppur degno di servire! Ah, nodi della mia passione, che avete avvinto l'oggetto del mio desiderio. Ditemi: vi siete trovati presenti alla crudele risposta di colei che servite e che io adoro? Che, per quanto giorno e notte mi strugga, non prova un briciolo di pietà per me né mi soccorre. CELESTINA Dice un vecchio proverbio: "Chi troppo vuole nulla stringe". Ma la mia sollecitudine ti guadagnerà ciò che perderesti per negligenza. Abbi fede, signore, che Zamora non fu espugnata in un'ora, e non per questo gli assedianti si persero d'animo. CALISTO Ah, me infelice! Le città sono cinte da pietre, e le pietre sono sbrecciate da pietre, ma questa mia signora ha il cuore d'acciaio. Non v'è metallo che la vinca con esso, né colpo che l'intacchi. Accostate pure scale ai suoi bastioni; lei ha occhi che lanciano saette, una lingua [che rovescia] contumelie e disprezzo. E inoltre è sita in luogo tale che neppure [da] mezza lega la si può stringer d'assedio. CELESTINA Taci, di grazia, signor mio: che bastò l'ardire d'un sol uomo a prendere Troia. E non disperare, che una donna può ben vincere le resistenze di un'altra. Hai bazzicato troppo poco per casa mia: non sai di cosa sono capace. CALISTO Dato che mi hai procurato una simile gemma, presterò fede a tutto quel che mi dirai. Oh, felice cintura che hai stretto così angelica vita! Ti vedo, e non credo ai miei occhi. Oh, cordone, cordone mio! Mi sei stato forse nemico? Confessa, non aver paura. Che non ti farò mancare il mio perdono. Perché è proprio dei buoni rimetter le colpe dei peccatori. Ma non lo credo: ché se tu m'avessi osteggiato, non saresti venuto così presto in mio potere. A meno che tu non sia venuto per discolparti. Rispondimi, ti scongiuro, in virtù dell'infinito potere che quella signora ha su di me. CELESTINA Metti un freno, signore, a questi deliri. Ché ‹me m'›hai sfinita con questa alluvione di parole, e il cordone l'hai consumato a furia di tormentarlo. CALISTO Ah, me meschino! Oh se il cielo avesse disposto che non di seta fossi fatto e intessuto ma delle stesse mie braccia che, col rispetto che a lei è dovuto, godrebbero di cingere quel corpo che tu, indifferente a tanta delizia, inconsapevolmente avvinci. Quali segreti t'avrà disvelato quell'eletta figura! CELESTINA Ben altri ne avrai tu svelati, e con maggior parte dei sensi, se tu non li perderai a furia di vomitar sciocchezze! CALISTO Taci, signora, che lui ed io ben ci intendiamo. Oh, occhi miei! Ricordate che voi foste la causa e la porta attraverso cui fu straziato il mio cuore. Ricordate che chi ha visto commettere il male dovrà renderne ragione. Ricordate che siete debitori della mia guarigione. Contemplate dunque il rimedio che v'è stato portato fino a casa. SEMPRONIO A furia di trastullarti col cordone, signore, finirà che non t'andrà più di godere di Melibea. CALISTO Che dici? Pazzo, insensato, importuno! Che dici? SEMPRONIO Che a forza di sproloqui ucciderai te stesso e quelli che ti stanno a sentire. Ci perderai la vita o la ragione. E, nell'uno e nell'altro caso, sarai preda delle tenebre. Taci, di grazia e lascia parlare Celestina! CALISTO Ti sto davvero annoiando, madre mia, o questo sciocco ha alzato troppo il gomito e vaneggia? CELESTINA Lascia perdere, signore; e smettila di parlare. Basta con tutti questi lamenti. E poi: tratta il cordone per quel che è: che non t'accada di andare in confusione quando ti troverai alla presenza di Melibea. La tua lingua sappia discernere tra l'abito e la persona. CALISTO prima dimora quando giungesti in questa città. Ma voi giovani poco vi curate dei vecchi. Dall'istinto vi lasciate piuttosto guidare. E mai v'accade di pensare quanto avete e soprattutto avrete bisogno di loro. E men che meno pensate ai malanni che incalzano. E credete che questo fiore di gioventù non abbia mai a venirvi a mancare. Ma bada, amico mio, che per bisogni come questi una vecchia che si conosce bene, che ci sia amica, madre e più che madre, è quel che ci vuole: meglio di un tetto per riposare quando si è sani, d'un buon ospedale per guarire quando siamo malati, d'una buona borsa nei tempi grami, e d'uno scrigno per il denaro quando ci avanza; meglio di un buon fuoco contornato di spiedi in inverno, di un'ombra fresca d'estate, meglio d'una buona taverna per mangiare e per bere. Che mi rispondi, eh, pazzerello? Lo so bene che ora arrossisci per quel che hai detto oggi, e questo mi basta. Che il Signore al peccatore non chiede che di pentirsi e di emendarsi. Guarda Sempronio: dopo Dio, io e solo io ne ho fatto quell'uomo che è. Vorrei tanto che foste come fratelli! Se andassi d'accordo con lui andresti d'accordo col tuo padrone, e con tutti. Non vedi com'è benvoluto, diligente, cortese, servizievole, garbato. Vorrebbe esserti amico, e certo il vostro profitto non potrebbe che aumentare se vi deste la mano l'un l'altro. [Nessuno potrebbe insidiarvi il posto che avete nel cuore del vostro padrone]. Sappi, dunque, che devi amare se vuoi essere amato e che è difficile far la frittata senza prima... E poi Sempronio mica è obbligato a volerti bene. E non è una sciocchezza rifiutarsi di amare e sperare ‹d'essere amato?› Non è una follia ripagar amicizia con l'odio? PÁRMENO Confesso d'aver mancato di nuovo, madre. E spero che mentre perdoni quel che è stato, vorrai disporre per il futuro. Ma con Sempronio mi pare impossibile andare d'accordo. Che se lui è lunatico, io sono insofferente. Davvero un'impresa mettere d'accordo due amici simili! CELESTINA Una volta però mica eri così! PÁRMENO In fede mia, col passar degli anni, ho finito per perder la pazienza che avevo da piccolo. E poi Sempronio non mi garba per nulla. CELESTINA Il vero amico lo si riconosce nel bisogno e nelle sventure. Che è proprio allora che si fa più assiduo e premuroso e visita la casa disertata dalla prospera fortuna. Che altro posso dirti, figliolo, intorno ai pregi di un buon amico? Non vi è cosa più grata e più rara al contempo. Né vi è peso o gravame cui si sottragga. E poi, voi due siete uguali: e la parità dei costumi e la somiglianza dei cuori non potranno che rafforzare la vostra amicizia. E non dimenticare neppure figliolo che quel che possiedi è in buone mani. Sappi guadagnare di più, ché quello che hai te lo sei trovato su un piatto d'argento! Eterna vita a tuo padre che se lo sudò. Quanto a me, non te lo potrò consegnare finché non metterai giudizio e non avrai raggiunto la maggior età. PÁRMENO Metter giudizio. Cosa intendi dire con ciò, zia? CELESTINA Ad esempio, vivere per conto tuo, figliolo, e non in casa d'altri. Cosa che seguiterai a fare finché non imparerai a trar profitto dal tuo servizio. Che se oggi, come hai visto, ho chiesto un mantello a Calisto è solo per la pena che m'hai fatto al vederti conciato come uno straccione. Che non è stato tanto per il mantello, ma perché, trovandosi il sarto in casa e tu lì davanti a Calisto senza giubbetto, te ne regalasse uno. Quindi non al mio vantaggio ho pensato, come t'ho sentito malignare, ma al tuo. Che se te ne stai in panciolle ad aspettare il soldo di codesti gentiluomini, vedrai che quel che avrai messo insieme in dieci anni lo potrai chiudere tutto in un sacco. Datti il buon tempo finché l'età ti soccorre. Goditi le belle giornate, le belle nottate, il buon mangiare e il meglio bere. Che quando le puoi avere, queste cose, è un delitto lasciarsele sfuggire. E in malora, quel che non ti riuscirà d'ottenere! E non star lì a lesinare sulle sostanze che ha ereditato il tuo padrone. Che son cose che non valgono che per il tempo che ci è dato di vivere, e nessuno se le è mai portate nella tomba. Ah, Pármeno, figlio mio! E Dio solo sa se ti posso chiamare figliolo, per tutto il tempo che t'ho tenuto con me. Accetta il mio consiglio che è dettato dal desiderio sincero di vederti a posto con onore. Ah, che felicità se tu e Sempronio andaste d'accordo, se foste buoni amici e fratelli in tutto; che gusto avrei di vedervi venire alla mia povera casa per spassarvela, magari per farmi visita, ma soprattutto per dimenticare le pene con una ragazza ciascuno. PÁRMENO Ragazze, madre mia? CELESTINA E che, sennò! Ragazze dico, che in quanto a vecchie, io basto e avanzo! Ragazze, come quella che si gode Sempronio, e tra l'altro senza neanche aver fatto granché per meritarla. E senza che gli voglia la metà del bene che ti porto. E sappi che quel che ti dico mi vien proprio dal cuore. PÁRMENO Non è che mi vuoi prendere per il naso, signora? CELESTINA Per il naso io? Va' là va' là! Quel che faccio è per l'amor di Dio, e poi perché ti vedo solo in un paese che non conosci, e ancor più per le ossa di colui che mi t'affidò. Ma sarai presto un uomo e vedrai le cose [con altri occhi] e dirai: eh, la vecchia Celestina, lei sì che mi dava buoni consigli! PÁRMENO Se è per questo, l'ho capito fin d'ora, giovane come sono. Che anche quando mi sentivi dire certe cose, non era perché m'irritasse quello che facevi, quanto il fatto che io mi sforzavo di dare dei buoni consigli a Calisto e lui mi faceva la faccia feroce. Ma d'ora in avanti non gli daremo tregua. Tu punta diritto allo scopo, che io non fiaterò. Che già una volta ho preso un abbaglio in questa faccenda, ed è stato quando non ho voluto darti retta. CELESTINA In questa come in altre rischierai di ruzzolare e di romperti il collo se non seguirai i miei consigli, che son quelli d'una vera amica. PÁRMENO Adesso sì che mi rendo conto d'aver ben speso il tempo che da bambino ho passato al tuo servizio. Ora ne vedo i frutti. E pregherò Iddio per l'anima di mio padre, che mi lasciò una simile tutrice, e per quella di mia madre che mi affidò a una donna par tuo. CELESTINA Non starmela a nominare, figliolo, in nome di Dio, che mi si riempiono gli occhi di lacrime. Ho mai avuto a questo mondo un'amica come lei, una compagna sua pari, un'altra che sapesse alleviare le mie fatiche e le mie pene? Chi rimediava ai miei errori? Chi conosceva ogni mio segreto? A chi aprivo il mio cuore? Chi era la mia gioia e il mio riposo, chi? Se non tua madre, per me più che sorella e comare? Oh, che garbo e che finezza le sue! E com'era spigliata, schietta, virile! Bisognava vederla a mezzanotte andarsene in giro per cimiteri, senza paura, a fare incetta di strumenti per il nostro mestiere, come se fosse stato pieno giorno. Non si lasciava scappare cristiano, moro o giudeo di cui prima non visitasse la tomba. Li adocchiava di giorno per disseppellirli la notte. Tanto le garbavano le tenebre quanto a te la luce del giorno. E diceva che la notte era il manto dei peccatori. E che dire della sua destrezza, prima e maggiore delle sue tante qualità! Una cosa sola voglio dirti, perché ti renda conto di quale madre hai perduto, anche se forse sarebbe meglio tacerla. Ma a che pro tenerti celato qualcosa? Sette denti cavò a un impiccato con una pinzetta per sopracciglia, mentr'io gli sfilavo le scarpe. E quanto poi a entrar in un cerchio... oh se sapeva farlo meglio di me, e con più coraggio! E sì che in questo godevo d'una buona fama; assai più di adesso, che dopo la sua morte ho perso l'esercizio. Che vuoi che ti dica ancora? I demoni stessi ne avevano paura. Che li agghiacciava con le sue urla disumane. Ed era conosciuta da loro non meno di te in casa tua. Non li aveva ancora invocati, che essi accorrevano tutti, rotolando gli uni sugli altri. E non s'azzardavano a dirle bugie, tant'era la forza con cui li incalzava. Dopo che l'ho perduta non c'è stato verso di fargli dire quello che è! PÁRMENO (Che Iddio non sia largo di grazie alla vecchia più di quanto non diano gioia a me le sue parole e le sue lodi.) CELESTINA Che vai dicendo, mio buon Pármeno, figlio e più che figlio per me? PÁRMENO Mi domandavo: come avrà fatto mia madre ad avere tanto vantaggio su di te, se le parole che pronunciavate eran le stesse? CELESTINA E te ne stupisci? Non conosci quel proverbio che ammonisce a non far di tutt'erba un fascio? Che, quanto ai pregi della mia comare, non tutte ‹ne› eravamo in pari grado dotate. E d'altronde, anche nelle arti minori, non hai notato che se certuni fan bene, altri fan meglio? Questa era tua madre, che Iddio l'abbia in gloria: la prima nel nostro mestiere. E come tale era conosciuta e amata da tutti, da cavalieri come ‹da› chierici, da sposati e da vecchi, da giovani e bambini. E le ragazze e le fanciulle, poi? Pregavano Dio per la sua vita, come per quella dei loro stessi vecchi. Con tutti aveva un maneggio. Si fermava a parlare con tutti. E tutti quelli che incontravamo per strada erano figliocci suoi, che per sedici anni il suo primo mestiere fu quello di levatrice. È per questo che è venuto il momento, ora che lei è morta e tu ti sei fatto uomo, che conosca tutti i suoi segreti, che t'eran stati tenuti nascosti a causa della tua tenera età. PÁRMENO E allora dimmi, signora, quando la giustizia ti fece arrestare e io vivevo a casa tua, vi frequentavate molto? CELESTINA Se ci frequentavamo? E me lo chiedi? Insieme si era tramata la cosa, insieme ci scoprirono, insieme ci acciuffarono e insieme salimmo sul banco degli imputati. E insieme c'inflissero la pena: la prima, credo, che condividemmo. Ma tu eri molto piccolo, allora. E mi sorprende che te ne ricordi ancora. Che è cosa morta e sepolta ormai in città. Così vanno le faccende quaggiù. E ti capiterà ogni giorno di incontrar gente che prima pecca e poi la sconta in questa fiera del mondo. PÁRMENO È vero; ma ciò che è peggio nel peccato è perseverare. Che come il primo movimento non è in mano dell'uomo, lo stesso varrà per il primo fallo: per cui si dice che "chi pecca e si emenda...". CELESTINA (Vuoi proprio provocarmi, eh, pazzerello? Me le tiri proprio fuori di bocca! Bene. Abbi un po' di pazienza, che ti tocco sul vivo, e la vedrai.) PÁRMENO Che dici, madre? CELESTINA Dico, figliolo, che senza contar quella volta, tua madre, che Iddio l'abbia in gloria, fu poi arrestata altre quattro, e da sola. E una di quelle l'accusarono nientemeno che di stregoneria, perché fu sorpresa di notte, con una lanterna cieca, a raccogliere terra in un crocicchio. E la lasciarono per ben mezza giornata issata su di un palco, nel bel mezzo della piazza con tanto di mitera in capo. Quanto a lei [sono cose che succedono], ‹non fece una piega!› Che si deve pur soffrire in questo mondo se si voglion mantener alti la vita e ‹l'onore.› E aveva tanto buon senso, e così poco caso ne fece, che non per questo smise d'esercitare il suo mestiere. Che anzi, da allora in poi, ci si dedicò di più e meglio di prima. E questo t'ho detto solo per rispondere a quel tuo motto sul perseverare quando si ha già sbagliato una volta. E che garbo, il suo, in ogni cosa! Issata su quella specie di patibolo, ti giuro su Dio e sull'anima mia, si sarebbe detto, tant'era solenne il suo portamento e tanto era prestante, che non facesse il minimo caso di quelli che stavano di sotto. Ecco perché quelli della sua condizione, quelli che sanno e che valgono qualcosa sono anche i primi a cadere in fallo. Sai bene che grand'uomo fu Virgilio e se era sapiente; ma avrai certo sentito dire di come fu messo in un cesto e appeso poi ad una torre, sotto gli occhi di tutta Roma. Non per questo lo si onorò di meno, o perse il nome di Virgilio. PÁRMENO Quel che dici è vero, ma nel suo caso non fu per mano della giustizia. CELESTINA Zitto, sciocco! Che poco sai di queste cose! Se ignominia ha da essere, meglio che venga per il braccio della legge! Cosa che non sfuggiva al curato che venne a darle conforto: che Iddio l'abbia in gloria. Sosteneva che la Sacra Scrittura proclama beati coloro che soffrono persecuzione per mano della giustizia, ché di essi è il regno dei cieli. Giudica tu se non val la pena di soffrire in questo mondo per poter poi godere della beatitudine nell'altro. Tanto più che, a detta di tutti, quella volta, le fecero confessare d'esser quel che non era, e tutto mediante orribili torture e testimonianze estorte con la forza. Ma grazie al suo coraggio, e poiché il cuore abituato a soffrire fa le cose più sopportabili di quel che sono, passò oltre come se nulla fosse. Mille volte le ho sentito dire: non tutti i mali vengon per nuocere, ché adesso son più conosciuta di prima. E da questo capirai quante ne ha dovute passare quella buona donna di tua madre, tante che ci soccorre la speranza - se dobbiamo credere al nostro curato - che Dio non le lesinerà la ricompensa nel cielo. E allora, siimi, al pari di lei, un amico sincero, sforzati di esser buono, ché il modello non ti manca. E sta' tranquillo, che quel che ‹t›'ha lasciato tuo padre, è in buone mani. PÁRMENO Non ne dubito, madre; ma almeno vorrei sapere quant'è. CELESTINA Abbi pazienza. Ogni cosa a suo tempo! PÁRMENO Ma adesso bando ai morti e all'eredità, [ché, se poco mi han lasciato, poco troverò] e parliamo piuttosto degli affari che premono, che, certo, ne trarremo maggior vantaggio che a richiamare alla memoria quelli passati. Non ti sei dimenticata, vero?, della tua promessa di farmi avere Areúsa, quando a casa mia ti dissi che mi struggevo d'amore per lei. CELESTINA Ogni promessa è debito. E non credere che cogli anni abbia perso anche la memoria. Che, se proprio vuoi saperlo, mi sono ingegnata a darle scacco più di tre volte, in tua assenza. Che credo che ormai sia bell'e matura. Dirigiamoci verso casa, che stavolta, vedrai, le si darà scacco matto. È il meno ch'io possa fare per te! PÁRMENO Ormai disperavo di poterla ottenere. Che non sono mai riuscito a cavare un ragno dal buco con lei, né m'è riuscito di tenerla buona. Che, se è vero quel che si dice, che è brutto segno in amore voltar le spalle e fuggire, io avevo perso ogni speranza. CELESTINA Ma io non dico per questa notte, ma per le molte che verranno. CELESTINA Come, come? Di quelle sei? È così che ti prendi cura di te? Ma così facendo non riuscirai mai ad aver dei beni al sole. Se hai tutta 'sta paura ora che il tuo ganzo non c'è, cosa faresti se fosse rimasto in città? È la mia dannazione, quella di dar consigli agli sciocchi, e non manca mai chi prende lucciole per lanterne. Ma c'è da stupirne? Il mondo è grande, e son pochi quelli che han pratica delle sue cose. Eh, figlia mia, vedessi tua cugina come ci sa fare, e come ha saputo trar profitto dall'educazione e dai consigli che le ho dato. Ne sa una più del diavolo! Dio, se ha saputo far tesoro delle mie ripetizioni! Che si vanta d'averne uno nel letto, un altro alla porta e un terzo che sospira per lei a casa sua. E li fa tutti contenti, e a tutti mostra buon viso. E così tutti s'illudono d'esser molto amati, e anzi credono non vi sia posto per altri nel suo cuore; e ognuno pensa d'esser lui il favorito, l'unico ammesso a provveder a lei. E tu, solo perché ne avresti due, hai paura che persino le assi del tuo letto lo vadano a spiattellare in giro. E che ti credi, di poter campare di quello che ti esce da un solo sacco?! Bada che non è mai troppo quello che si mette sotto i denti, né io vorrei campare dei tuoi avanzi! Quanto a me, non mi è mai garbato d'averne uno solo, e mai in uno solo ho riposto il mio affetto. Da due ci si può attendere di più, e più ancora da quattro, ché più sono e più hanno da offrirti, e noi da scegliere. Sventurato quel topo, figlia mia, che non conosce altri buchi che il suo, che se gli tappano quello, come farà a nascondersi dal gatto? Pensa al pericolo che corre chi ha un occhio solo! Un'anima sola non ha con chi cantare, né piangere, un sol atto non fa l'abitudine, e raramente ti capiterà d'incontrare un monaco da solo per strada. È un miracolo veder volare una sola pernice; ‹un sol piatto mangiato di continuo viene presto a nausea, una rondine non fa primavera, a un sol testimone si fatica ad accordar fede, e chi ha un solo vestito se lo ritrova presto liso.› Cosa t'aspetti, dunque, figliola, da questo numero uno? Sui suoi inconvenienti te ne potrei dire più degli anni che ho sul groppone. Fatti almeno due amanti, [come questo d'altronde] e vedrai quanto migliora la compagnia; ‹del resto non hai forse due orecchie, due piedi, due mani, due lenzuola nel letto e due camicie pel cambio? Che se poi vorrai averne di più, meglio ancora; che più schiavetti ti fai, più s'accrescerà il guadagno; anello al dito o in mano, profitto nullo e onore vano. E poiché profitto e onore non stanno in un sacco, cerca il comodo tuo.› Pármeno, figliolo, vien sù! AREÚSA Non farlo salire! Che mi venga un colpo, che mi fai morir di vergogna: non lo conosco neppure, e poi mi ha sempre messo soggezione. CELESTINA E io non son qui forse per fartela passare? Vi farò da scudo, e parlerò per entrambi, che lui quanto a vergogna non è da meno di te. PÁRMENO Che Dio conservi la tua leggiadra figura, signora! AREÚSA Tu sia il benvenuto, gentiluomo. CELESTINA E avvicinati, somaro! Dai! Te ne starai tutta la notte in quell'angolino laggiù? Non fare il timido, che è il diavolo a portarsi l'uomo vergognoso a palazzo. Statemi a sentire piuttosto, tutti e due; ho qualcosa da dirvi. Tu Pármeno, amico mio, sai bene quel che t'ho promesso, e tu, figliola, quel che t'ho chiesto. Se mettiamo da parte tutte le storie che hai fatto prima di dirmi di sì, si potranno risparmiare tante parole. Che il tempo è tiranno. Non vedi come soffre? Sembra un'anima in pena e non fa che tormentarsi, e il motivo sei tu. Non vorrai mica che muoia? E poi mi sa che non ci troveresti nulla da ridire se lui si fermasse qui da te stanotte. AREÚSA In fede mia, madre, non ti venga neppure in mente una cosa simile. Oh, Gesù! Son cose da chiedere? PÁRMENO (Per l'amor di Dio, madre, fa' ch'io non esca da qui a bocca asciutta e a mani vuote. Che solo a vederla, mi sembra di morir d'amore. Offrile pure tutto quel che mio padre m'ha lasciato, dille che tutto quel che ho è suo. Sù, va', diglielo! Che a quanto sembra, a me nemmeno mi considera.) AREÚSA Che ti dice nell'orecchio questo signore? Sta forse insinuando ch'io non voglia far niente di quel che chiedi? CELESTINA Dice, figlia mia, che gli ha fatto molto piacere conoscerti e che sei una persona così meritevole. [E visto che l'incontro avviene grazie a me, mi promette anche che, d'ora innanzi, sarà buon amico di Sempronio, e che non farà tante storie ad assecondare quel che ordirò ai danni del suo padrone, circa una certa faccenda che abbiamo fra le mani... Non è vero, Pármeno? È questo che hai detto, o no? PÁRMENO Sì, sì, promesso e strapromesso! CELESTINA Ah, birbone, ce n'è voluto per strapparti la tua parola, eh? Ce n'è voluto per accalappiarti, non è vero?]. Vieni qua, razza di pelandrone! Di che hai paura? Voglio proprio vedere come te la cavi prima d'andarmene! Va' un po' a stuzzicarla, lì nel letto. AREÚSA Non sarà così maleducato da entrare senza bussare. CELESTINA Sei ancora ai convenevoli, a chieder permesso? Non ne posso più di star qui ad aspettare. Sono proprio convinta che tu l'alba la vedrai senza dolore, e lui senza colore. Che questo qui è un tale misirizzi, un tal galletto, che non credo basteran tre notti per fargli ammosciare la cresta. Che quand'ero giovane, e avevo denti buoni, di questi m'ordinavan di mangiare i medici del mio paese. AREÚSA ‹Ah, mio signore, non fare così. Un po' di contegno, per favore! Non vedi i capelli bianchi di questa buona donna, proprio lì davanti a te? Dài, dài, che non sono di quelle che credi; sì, di quelle che vendono pubblicamente il loro corpo, per un po' di denaro. Che se ti provi a sfiorar la mia coperta prima che zia Celestina se ne sia andata, ti giuro che me la squaglio. CELESTINA Che c'è Areúsa? Che maniere! E come sei scontrosa! Che novità son queste? Non è che per caso ti vuoi tirar indietro? Credi davvero, figlia mia, ch'io non sappia come vanno 'ste cose, che non abbia mai visto un uomo e una donna insieme, che non ci sia mai passata, che non abbia mai goduto di quel che godi? Credi insomma che non sappia quel che si prova, quel che si dice, quel che si fa? Ti sfido a trovare una che se ne intenda quanto me! Ebbene, ti rendo noto che anch'io, uguale uguale a te, ho fatto i miei errori. Anch'io ho avuto amici, ma, in pubblico o in segreto, non mi son mai sognata di mettere da parte il vecchio o la vecchia, e neppure i loro consigli. Che sulla mia morte, di cui a Dio son debitrice, avrei preferito un gran ceffone in faccia. Che ti credi? Che sia nata ieri, che mi fai tanto la misteriosa? Per apparire virtuosa, vorresti far passar me per sciocca e vergognosa, indiscreta poi, e priva d'esperienza. Sminuisci me nel mio mestiere per darti delle arie nel tuo. Ma se fra corsari ci si aggredisce, in un bel niente si finisce. Che ti lodo più io di dietro di quanto non ti stimi tu davanti. AREÚSA Madre, se ho sbagliato perdonami. Dai, avvicinati, e lui faccia quel che vuole! Che preferisco contentar te piuttosto che me stessa, e accetterei mi cavassero un occhio piuttosto che farti arrabbiare. CELESTINA Dai, che m'è passata. Comunque, tienilo a mente per la prossima volta.› E che Dio vi protegga! Me ne andrò via ‹sola soletta,› che mi fate venire l'acquolina in bocca coi vostri baci e i vostri giochetti. Il sapore ce l'ho ancora nelle gengive: che non l'ho perso, assieme ai denti. AREÚSA Che Dio t'accompagni. PÁRMENO Vuoi che venga con te, madre? CELESTINA Sarebbe come toglier la candela a un santo per metterla a un altro. Che Dio sia con voi. Io sono vecchia, non c'è pericolo che mi violentino per strada. * * * ELICIA Il cane abbaia. Vuoi vedere che è quel demonio d'una vecchia? CELESTINA Toc, toc, ‹toc.› ELICIA Chi va là? Chi bussa? CELESTINA Scendi ad aprire, figliola. ELICIA Eh sì, è proprio da te arrivare a quest'ora. Andartene in giro la notte, ecco il tuo spasso. Si può sapere almeno perché lo fai? E questa volta, com'è che te la sei presa così comoda, ‹madre mia?› Che quando sei per strada a tutto pensi fuor che a tornartene a casa. Bella abitudine la tua! E per farne contento uno, ne scontenti cento. Oggi t'ha cercata il padre della promessa sposa che a Pasqua hai accompagnato dal prebendario. Che di qui a tre giorni la vuole maritare, e bisogna che gliela rabberci un pochino. Glielo hai promesso: suo marito non deve accorgersi che non è più vergine. CELESTINA Non mi ricordo di chi stai parlando, figlia mia. ELICIA Come, non te ne ricordi? Ahi ahi, non ci sei più con la testa, tu! E che smemorata sei. Eppure, quando la portavi, m'avevi detto che l'avevi rimessa a nuovo sette volte, ne son sicura. CELESTINA Non ti stupire, figliola. ‹Che› chi deve tener dietro a molte cose, finisce per non ricordarne nessuna. Dimmi piuttosto se tornerà. ELICIA Se tornerà? T'ha lasciato un braccialetto d'oro come caparra per il tuo lavoro; e vuoi che non torni? CELESTINA Ah, è quella del braccialetto! Ora ci sono! Perché allora non hai preso tutto l'armamentario, e non hai cominciato a far qualcosa? Che è proprio su quelle lì che ti dovresti far le ossa. Me l'avrai visto fare mille volte. Se no, te ne starai qua tutta la vita, senz'arte né parte. E quando avrai i miei anni, ah se ci piangerai sopra a tutta questa pigrizia, che una giovinezza oziosa porta con sé una vecchiaia amara e piena di rimorsi. Avresti dovuto veder me quando tua nonna, che Dio l'abbia in gloria, m'insegnava questo mestiere. In capo a un anno, ne sapevo quanto e più di lei. ELICIA Non stento a crederlo. Che, come si dice, spesso il buon discepolo non tarda a superare il maestro. E poi tutto dipende dal desiderio che si ha d'imparare. Nessuna scienza dà buoni frutti se manca la vocazione. Io questo mestiere lo odio, tu invece sembri non saziartene mai. CELESTINA Dì pure quel che ti pare. Che intanto ti prepari una misera vecchiaia. Pensi forse di star sempre attaccata alle mie gonne? ELICIA Ora basta con gli screzi, per Dio, la notte ci porterà consiglio. Vediamo di spassarcela piuttosto, e finché abbiamo di che mangiare, non pensiamo al domani. Che chi accumula molto, muore come chi vive in povertà, il dottore come il pastore, il papa come il sacrestano, il signore come il servo, il nobile come il plebeo, tu con il tuo mestiere come me che non ne ho. Non viviamo mica in eterno. Godiamocela, divertiamoci. Ché alla vecchiaia pochi ci arrivano e di quelli lì nessuno è morto certo di fame. ‹Non desidero nient'altro al mondo che un tozzo di pane ogni giorno, e il mio posto in Paradiso. I ricchi, certo, han mezzi migliori per guadagnarsi la gloria, rispetto a chi non possiede gran che, ma nessuno è contento, e non c'è nessuno che dica: mi basta e mi avanza. Nessuno baratterebbe il mio piacere con il suo denaro. Ma lasciamo perdere le pene altrui, e› andiamo a coricarci: è ora. ‹Che m'ingrasserà di più una bella dormita in santa pace che tutti i tesori di Venezia.› ATTO VIII Argomento ‹Viene il mattino. Pármeno si sveglia. Congedatosi da Areúsa, si avvia a casa di Calisto, suo signore. Trova Sempronio sulla porta. Decidono d'essere amici. Insieme vanno alla camera di Calisto e lo trovano che parla da solo. Poi si alza e va in chiesa.› Personaggi: Pármeno, Sempronio, Calisto, Areúsa. PÁRMENO È giorno fatto, o che diavolo succede che c'è tutta questa luce in camera? AREÚSA Ma che giorno! Dormi, dormi, signore, che ci siamo appena coricati. Non ho ancora chiuso occhio e già vorresti che fosse giorno? Apri la finestra che sta dalla tua parte, in nome di Dio; e lo vedrai da te. PÁRMENO Spiacente, signora, ma non vaneggio: pieno giorno. Dicevo io che filtrava luce dalle imposte. Ah, traditore! Che grave colpa ho commesso ai danni del mio padrone! Mi merito proprio un esemplare castigo. Oh, se è tardi! AREÚSA Tardi? PÁRMENO Eccome! AREÚSA Eppure, sull'anima mia, quel certo male dove sai non mi è per niente passato. Non so come sia. PÁRMENO Che vuoi da me, vita mia? AREÚSA Che si continui a discorrere del mio male. PÁRMENO Se tutto il nostro... conversare non t'è bastato, risparmiami quello che manca. È già mezzogiorno. Se tardo ancora, sai l'accoglienza che mi riserva il padrone. Torno domani e doman l'altro, e ancora tutte le volte che vorrai. È per questo che Dio ha fatto un giorno di seguito all'altro: quel che non si finisce oggi si continua domani. E se vuoi che ci si torni a vedere più tardi, Tu e lei, no? E poi laggiù troveremo la vecchia e Elicia. Ce la spasseremo, vedrai! SEMPRONIO Signore Iddio, come mi fai contento! Sei proprio generoso, e non ti mancherà del bene. E poi ti ritengo un vero uomo e credo che Dio ti rimeriterà: tutto il fastidio per i tuoi discorsi di prima mi s'è tramutato in amore. Sono sicuro che la tua intesa con noi sarà leale. Vien qua, lasciati abbracciare. D'ora in avanti saremo fratelli e al diavolo chi ci vuol male! Quel che è stato è stato. Facciamone fascine per il falò di San Giovanni, che porti pace per questo e per tutti gli altri anni. Le risse fra amici rafforzano l'amore. Mangiamo, dunque, e spassiamocela: ci penserà il nostro padrone a digiunar per tutti. PÁRMENO A proposito, che sta combinando quel disperato? SEMPRONIO Se ne sta disteso sulla predella, vicino al letto, dove l'hai lasciato iersera. Non ha chiuso occhio, e neppure è stato sveglio. Se entro mugghia; se esco canta o vaneggia. Non riesco a capire se così facendo trova sollievo o s'appena di più. PÁRMENO Come? E non mi ha chiamato? Non si è neppur ricordato di me? SEMPRONIO Come vuoi che si ricordi di te, se non si ricorda di essere al mondo? PÁRMENO Beh, anche in questo non m'è andata male per niente; se le cose stanno così, prima che ritorni in sé, voglio mandare il cibo dove sai, che lo preparino. SEMPRONIO E che hai pensato di mandare perché quelle pazzerelle ti tengano per un uomo compìto, beneducato e generoso? PÁRMENO In casa piena si fa presto a metter su cena. Quel che c'è in dispensa, basterà per non rimediare una brutta figura: pane bianco, vino di Murviedro, un intero prosciutto. E poi sei paia di pollastrelle che hanno portato l'altro giorno i fittavoli del nostro padrone. Se ne volesse per cena, gli farò credere che se le è già mangiate. Quanto alle tortore che ci aveva detto di metter da parte per oggi, gli dirò invece che cominciavano a puzzare; e tu confermerai. Faremo in modo che lui si risparmi un'indigestione e che la nostra tavola sia imbandita a dovere. E laggiù potremo parlar ‹con agio› alla vecchia, a suo danno e a nostro profitto, dei suoi amori. SEMPRONIO Dei suoi dolori, piuttosto! Perché stavolta, credimi, non la sfanga: o muore o esce pazzo. Beh, se le cose stanno così, sbrigati, andiamo a vedere che fa. CALISTO In gran pericolo mi vedo: già la mia morte s'avanza ché pretende il desiderio quel che nega la speranza. PÁRMENO (Ascolta, ascolta, Sempronio. Il nostro padrone improvvisa. SEMPRONIO Ah, gran figlio di puttana, trovatore pure. Al gran Antipatro Sidonio e al poeta Ovidio, le parole venivano alle labbra già disposte in versi. Sputato loro! Lui delira nel sonno, e il diavolo ci aggiunge la rima!) CALISTO Oh, cuor mio, hai meritato di viver vita sì rea, se sì tosto t'ha domato l'amor per Melibea. PÁRMENO (Che ti dicevo? Non sta parlando in versi?) CALISTO Chi parla nella sala? Servi! PÁRMENO Signore? CALISTO È notte fonda? È ora di coricarsi? PÁRMENO Vorrai dire piuttosto che è tardi per alzarsi, signore. CALISTO Che dici, vaneggi? È passata tutta la notte? PÁRMENO E pure buona parte del giorno. CALISTO Di' un po', Sempronio, mente per la gola questo sciocco? Vuol farmi credere che è giorno. SEMPRONIO Dimentica Melibea solo per un momento, signore, e la vedrai da te la luce! Che sei tanto abbagliato da quella che contempli sul suo volto, che fai come la pernice con la lanterna del cacciatore. CALISTO Ora ti credo, che sento il tocco della messa. Porgimi i vestiti. Andrò alla Maddalena a supplicare Dio che illumini Celestina e le suggerisca come far breccia nel cuor di Melibea, o che metta fine ai miei giorni. SEMPRONIO Non ti tormentare così. Non è possibile in un'ora venire a capo di tutto. Non è da saggi lasciare che il nostro desiderio affretti ciò che non può avere che una fine infelice. Se pretendi di ottenere in un giorno quello per cui non sarebbe sufficiente un anno intero, non camperai a lungo. CALISTO Vuoi insinuare che son come il servo dello scudiero gagliego? SEMPRONIO Dio me ne liberi: sei il mio signore. E poi so bene che come sei generoso per i miei buoni consigli, così puniresti le mie villanie. ‹Per quanto si dica che› diverse son le misure della lode per un buon servigio o una buona parola e del biasimo per il loro contrario. CALISTO Non so da dove ti viene tutta questa filosofia, Sempronio. SEMPRONIO Non è tutto bianco, signore, quel che non somiglia al nero, ‹né tutto oro quel che riluce.› I tuoi desideri impazienti, non tenuti a freno dalla ragione, ti fanno sembrare illuminati i miei consigli. Tu avresti voluto che fin dal primo incontro ti portassero Melibea, le mani legate, avvinta al suo cordone, quasi si trattasse di una merce esposta sui banchi del mercato e che bastasse andare e pagare. Dai un po' di tregua al tuo cuore, signor mio. Che così grande beatitudine non può venirci in così poco tempo. Che non s'abbatte una quercia con un sol colpo d'ascia. Armati di pazienza, perché la ‹prudenza› è cosa lodevole ed è l'uomo addestrato quel che meglio resiste nella dura tenzone. CALISTO Dici bene. Se solo la natura del mio male me lo consentisse. SEMPRONIO A che serve il giudizio, signore, se la volontà è di ostacolo alla ragione? CALISTO Oh, pazzo, pazzo che sei! Dice il sano al malato: "Dio ti dia salute". Ma ora basta consigli. Non voglio ascoltarti oltre: che non fai che gettar fascine e attizzare la fiamma che mi consuma. Me ne andrò da solo alla messa e non farò ritorno fino a quando non mi veniate a chiamare reclamando [il] compenso che vi prometto per il buon esito dell'ambasciata di Celestina. E fino ad allora non toccherò cibo, ancorché i cavalli di Febo sian già tornati a pascolare nei verdi prati, come soglion fare, al termine del loro viaggio. SEMPRONIO Lascia stare Signore, questi arabeschi, queste fantasie. Che non è bene usare un linguaggio che non sia comune a tutti, che sia oscuro più, che sian pochi a intendere. Dì piuttosto "anche se intanto sarà tramontato il sole" e tutti sapranno quel che vuoi dire. E intanto pilucca un poco di composta, che ti tenga su. CALISTO Ah, Sempronio, mio servo fedele, consigliere fidato, mio leale servitore, sia fatto come disponi. Che sono sicuro, dalla devozione che m'hai sempre mostrata, che tieni alla mia vita non meno che alla tua. SEMPRONIO (Ci credi tu, Pármeno? Non c'è da giurarci davvero. E non ti scorderai, se vai a prendere la composta per costui, di tenerne da parte un barattolo per quelle che sai, dalle quali ce ne verrà del bene. A buon intenditor... Vedrai che t'entrerà nella brachetta.) CALISTO Che stai dicendo, Sempronio? SEMPRONIO Dicevo a Pármeno, signore, d'andarti a prendere una fetta di cedro candito. PÁRMENO Eccola qui, signore. CALISTO Da' qua. SEMPRONIO (Diavolo se questo è digiuno! Capace che se la ingolla tutta intera.) CALISTO Mi sento rinato. Andate con Dio, figlioli. Aspettate che la vecchia ritorni, e poi venite a intascar la mancia. PÁRMENO (Vattene al diavolo, e che ti prenda la terzana! Possa tu ingollare il tuo cedro candito come Apuleio il veleno che lo trasformò in asino.) ATTO IX Argomento ‹Sempronio e Pármeno s'avviano chiacchierando a casa di Celestina. Al loro arrivo, trovano Elicia e Areúsa. Si mettono a tavola e, tra un boccone e l'altro, Elicia litiga con Sempronio. Fa per andarsene. La calmano. Nel frattempo arriva Lucrecia, serva di Melibea, a chiamare Celestina, perché vada dalla sua padrona.› Personaggi: Sempronio, Pármeno, Celestina, Elicia, Areúsa, Lucrecia. SEMPRONIO Dài, Pármeno, porta giù le cappe e le spade, che è ora d'andare a mangiare. PÁRMENO Affrettiamoci. Penso si staran già lamentando del nostro ritardo. Non per questa strada, Sempronio, per quest'altra. Facciamo un salto in chiesa e, se Celestina ha terminato con le sue devozioni, si fa un pezzo di strada insieme. SEMPRONIO Proprio una bella ora per starsene lì a pregare. PÁRMENO Non si può parlare di ora buona o cattiva per quello che si può fare in ogni momento. SEMPRONIO È vero, si vede che la conosci proprio male, Celestina. Quando qualcosa le sta a cuore non c'è Dio né santi che tengano. Se ha dove mettere i denti, i santini li tiene a distanza, e se va in chiesa più spesso, il rosario in mano, vuol dire che a casa non c'è da scialare. Che anche se t'ha cresciuto, conosco meglio di te di quali prodezze è capace. Quelle che va contando sui grani del suo rosario sono le verginità da rappezzare, quanti innamorati vi sono in città, il numero delle fanciulle da procacciare, e quanti dispensieri ‹le passano la razione, e da quale di loro s'aspetta la migliore, e come si chiamino di nome, di modo che se li incontra per via sappia spacciarsi loro sodale,› e ancora quale sia il canonico più baldo e generoso. E quando muove le labbra è per inventarsi menzogne e tramare gabole da cui cavare denaro: con questo pretesto l'abborderò, e lui mi risponderà così e io gli ribatterò cosà... Queste sono le prodezze di colei che teniamo in tanta considerazione. PÁRMENO Se è per questo, ben altro risulta a me. Ma mi guarderò bene dal fartene parola, tanto sei andato su tutte le furie l'altro giorno quando ne dicevo a Calisto. SEMPRONIO Quel che sappiamo a nostro profitto, non mettiamolo in piazza con nostro danno. Che se lo viene a sapere il padrone, finirà per metterla alla porta, e per ricusare i suoi servigi. E se la caccia, poi dovrà trovarsene un'altra par suo. Dal cui lavoro non avremo da sperare alcun vantaggio, come da Celestina. La quale, volente o nolente, dovrà pure far parte con noi di quel che ottiene. PÁRMENO Ben detto, Sempronio. Ma ora, zitto! ‹La› porta è aperta. E lei è in casa. E bussa prima di entrare; che se per caso le trovassimo un po' scollacciate, ci gioco che si mettono a strillare. SEMPRONIO Entra, dài. Quante storie! Che siam tutti di famiglia. Toh, stanno apparecchiando. CELESTINA Oh, ‹i miei fidanzatini,› le mie perle preziose! Mi fosse propizio l'anno che viene come lo è la vostra visita! PÁRMENO (Ma senti tu che paroline, la gran signora! Le senti, fratello, le smancerie di cui è capace! SEMPRONIO Lasciala dire, che è di questo che vive. Non so qual demonio l'abbia tenuta a lezione, per farla tanto ribalda. PÁRMENO Il bisogno, la povertà, la fame. Non c'è miglior maestra al mondo. Nulla che aguzzi altrettanto l'ingegno. Cos'altro ha insegnato alle gazze e ai pappagalli a imitare, con i loro versi rochi, il nostro modo di parlare, la nostra voce se non la fame?) CELESTINA Ragazze, ragazze! Venite giù, sciocchine, presto. Che ci sono due uomini che mi vogliono violentare. ELICIA Ormai potevano anche avanzare di venire! Conta tanto invitare per tempo. Saran tre ore che mia cugina è arrivata. Ci gioco che causa del ritardo è stato quel poltrone di Sempronio, che ha occhi per tutte fuorché per me. SEMPRONIO inquieto. Che volge il suo sguardo su ogni cosa intorno. E voi, se siete stati mai innamorati, confessate che dico il vero. SEMPRONIO Mi dichiaro in tutto d'accordo con te, signora. Che è qui presente una tale che per un po' di tempo m'ha ridotto un altro Calisto: smarrito il senno, sfinito nel corpo, vuota la testa, assonnato di giorno, insonne tutte le notti. Cantavo mattinate, ero tutto smorfie e smancerie, saltavo muri e fossi e ogni giorno mettevo a rischio la vita. Affrontavo tori, galoppavo a briglia sciolta, tiravo di barra e giostravo di lancia; stremavo gli amici, e pure con loro incrociavo la spada. Ero tutto un salir di scale, vestir armature e scialacquar il tempo in mille gesta d'innamorato, come scrivere rime, comporre sciarade, e ogni giorno escogitavo qualcosa di nuovo. Di tutto questo daffare mi tengo soddisfatto, posto che m'ha guadagnato una simile gemma. ELICIA Te lo pare d'avermi conquistata, eh! Sta' certo che non appena hai girato le spalle già m'è entrato in casa un altro che amo più di te e che è due volte più gentile e che soprattutto non si mette di buzzo buono per farmi andare su tutte le furie. Non come te, che dopo un anno che non mi vieni a trovare, lo fai a questo modo. CELESTINA Lasciala dire, figliolo, sta delirando. Più strilla di queste sciocchezze e più si rinsalda nel suo amore per te. E tutto perché vi siete sbracati a lodar Melibea proprio davanti a lei. Questa è la sua maniera di rendervi pan per focaccia; ma sono convinta che frigge per finir di mangiare e per andare sù a fare quel che so io. Quanto a quell'altra, sua cugina, la conosco forse di meno?! Godetevi i vostri anni più verdi, che chi ha tempo e ne aspetta uno migliore, poi se ne pente. Che è quello che mi capita adesso, per via di certe ore che mi son lasciata sfuggire di mano quando, fresca com'ero, non mancava certo chi m'apprezzasse e mi volesse. Che ora, per i miei peccati, son qui tutta sfasciata e senza un cane che si degni! Eppure, sa Dio se ruzzolerei volentieri! Via con i baci, allora. Stringetevi forte, che a me non mi resta che il piacere di starvi a guardare. Finché siete a tavola, dalla cintola in sù potete darvi da fare. Quando sarete da soli non sarò certo io a mettervi tassa, posto che il re non ne mette. Sotto, che m'han detto le ragazze che non saran loro a lagnarsi della vostra impudenza; quanto alla vecchia Celestina masticherà amaro, con le sue gengive sdentate, le briciole sulla tovaglia. Che Dio vi benedica! Guarda come se la ridono e se la spassano, questi porcellini, pazzerelli, sventati! Sapevo io quanto sarebbe durata la tempesta dei vostri battibecchi di poc'anzi. E attenti a non mandare a gambe all'aria la tavola! ELICIA Bussano alla porta, madre. Il divertimento è bello che andato. CELESTINA Guarda un po' chi c'è, figliola; chissà che non sia chi lo accresca facendoci compagnia. ELICIA O la voce m'inganna, o è mia cugina Lucrecia. CELESTINA Apri. E che entri in buon'ora. Che anche a lei piaccion le cose di cui si sta discutendo, anche se lo starsene sempre tappata in casa le impedisca di spassarsela come dovrebbe. AREÚSA In fede mia, quel che dici non fa una grinza. Quelle che sono a servizio delle signore s'intendono poco di piaceri, e sono a digiuno delle dolci ricompense dell'amore. ‹Mai che possano aver a che fare con parenti, o con gente alla buona con cui parlare del più e del meno, dicendo, che so?: "cos'hai mangiato per cena? Sei incinta per caso? Ti son rimaste tante galline in pollaio? Dài, invitami a far merenda a casa tua. E sù, mostrami il ganzo con cui stai. È tanto che non ti viene a trovare? E come ti vanno le cose con lui? Che tipi sono le tue vicine?" E altre bagatelle del tipo. Ahi, zia, com'è duro, insopportabile e pomposo quel sempiterno "signora", che hanno sempre sulla bocca!› Per questo, da quando ho uso di ragione, basto a me stessa senza dipender da nessuno. Non m'è mai piaciuto esser d'altri; e men che meno di queste dame che ora vanno tanto per la maggiore. A star dietro a loro si spende il meglio del tempo, e per dieci anni passati a servizio t'allungano una sottana tutta a buchi, di quelle che non mettono più. E vi insultano poi; e vi trattano a pesci in faccia. E vi mettono sotto a tal punto che davanti [a] loro non osate neppure aprir bocca. E quando s'avvicina il tempo che devon maritarvi, non c'è panzana che non mettano in giro: che ve la fate col garzone o con il rampollo di casa; accusano il marito d'intendersela con voi, aggiungon che vi porta‹te› degli uomini a letto, o che avete rubato la tazza e perduto l'anello. Allora vi misuran la schiena con un centinaio di frustate e vi sbattono per strada, con le sottane in testa, dicendo: "Via di qua e non farti più vedere, ladra, sgualdrina! Prima che mi metti a sacco la casa e l'onore! Così, s'aspettan guiderdone e ricevono bastone; speravano d'uscire maritate e ne escon diffamate; s'aspettavano il vestito da sposa e il diadema e lasciano casa nude e col patema. Sono queste le loro ricompense, questi i benefici e queste le paghe. S'impegnano a darvi marito e intanto vi sfilano il vestito. E il massimo onore che vi possa toccare è di vedervi fatte messaggere e far la spola da una casa all'altra, e di strada in strada. Non c'è verso che si sentano chiamare con il loro nome, ma "puttana di qua, puttana di là"; e "dove te ne vai tignosa?"; "che hai combinato stavolta, birbona?"; "te la sei mangiata tutta, eh, golosaccia?"; "ti par modo di pulir la padella, sozzona?"; "e la mantella, l'hai spazzolata, sporcacciona?"; "son queste le sciocchezze da dire, scioccona?"; "hai rotto il piatto, eh, sbadata?"; "dov'è andato a finire l'asciugamano, ladrona?"; "l'avrai dato al tuo ruffiano!"; "vien qua, donnaccia! la gallina picchiettata è sparita. Vedi di trovarla, che sennò te la scalo dal soldo che ti devo..." E oltre a ciò ciabattate, pizzicotti, legnate, frustate. Non c'è chi le faccia contente. E nessuno le può sopportare. Son solo capaci di sbraitare. Felici quando posson montare su tutte le furie. Più cerchi di far bene con loro e meno soddisfazione ti dànno. È per questo, madre, che preferisco mille volte vivere nella mia casetta, ma libera e padrona, che non nei loro palazzi, soggiogata e schiava. CELESTINA Sei stata saggia. Del resto, sai quel che fai. A ragione si dice che val più una briciola di pane in santa pace, che la casa piena di provviste nella discordia. Ma adesso basta con questi discorsi. Che sta venendo Lucrecia. LUCRECIA Buon pro vi faccia, zia, a te e a tutta la brigata. Che Dio benedica tanta gente e tanto perbene! CELESTINA E ti par tanta, figliola? Eh, come si vede che non m'hai conosciuto ai bei tempi, vent'anni or sono! Chi mi vide allora e mi vedesse adesso, certo gli si spezzerebbe il cuore dalla pena! Ho visto, amor mio, proprio intorno al tavolo dove ora stanno sedute le tue cugine, nove, dico nove ragazze della tua età; la più grande non avrà avuto più di diciott'anni e nessuna ne aveva meno di quattordici. Ma così va il mondo: così trascorrono le cose, così gira la ruota e girano i bindoli, gli uni pieni e gli altri vuoti. È legge di fortuna che nessuna cosa permanga a lungo nel suo stato: ché l'ordine suo è il mutamento. Non posso dire, senza che mi si riempiano gli occhi di lacrime, del gran conto in cui ero allora tenuta, per quanto i miei peccati e la rìa sorte l'abbian poco a poco fatto scemare. Mano mano che declinavano i miei giorni, scendeva e declinava il mio profitto. Vuole l'antica saggezza che: "quanto esiste al mondo, aumenti o decresca". Ogni cosa ha segnati i suoi limiti, e i suoi gradi. Una volta che il mio onore ebbe raggiunto la cima consentita dalla mia condizione, era fatale iniziasse il declino. Ora è ridotto al lumicino: e da questo vedo che poco mi resta da vivere. ‹Non mi sfugge che salii per discendere, fiorii per appassire, godetti per poi rattristarmi, nacqui per vivere, vissi per crescere, crebbi per invecchiare, invecchiai per morire. E poiché non è solo da oggi che tutto ciò m'è chiaro, sopporterò il mio male con minor pena, seppur non senza dolore, che sono anch'io fatta di carne e ossa come tutti.› LUCRECIA Dovevi avere il tuo bel daffare, madre, con tutte quelle ragazze: che è gregge non facile da guardare. CELESTINA Daffare, amor mio? Riposo e sollievo, vorrai dir piuttosto. Tutte m'obbedivano, da tutte riverita, da tutte rispettata; nessuna si sognava d'impuntarsi con me. Quel che dicevo era vangelo; a ognuna davo [la sua] parte. A tutte piaceva rimettersi al mio criterio: zoppo, guercio o monco, chi mi dava più denaro se lo pigliavano per sano. A me il guadagno; a loro la fatica. E i servitori? Ne avevo a iosa per merito loro! Cavalieri, giovani [e] vecchi, e poi abati d'ogni ordine e grado, dal vescovo al sagrestano. Se entravo in chiesa, vedevo più gente con la berretta in mano che se fossi stata una duchessa. Chi non mercanteggiava con me si teneva per uomo dappoco. Mi scorgevano a mezza lega di distanza? Subito sollevavano gli occhi dal breviario e mi venivan dappresso, uno per volta [o] in coppia, ed eran tutti un: vi serve qualcosa? E un chiedere notizie della loro preferita. [E non mancava chi, dicendo messa], vedendomi entrare, ne era turbato a tal punto da non riuscire a fare o a spiccicar parola per il verso giusto. Questi mi chiamavan "signora", quelli "zia", quelli "diletta mia cara", o ancora "vecchia onorata". E sul punto concertavano le loro visite a casa mia, e le visite di chi so io a casa loro. E mi offrivano quattrini, doni, promesse, e mi baciavano chi il lembo del mantello, chi sulla guancia, per farmi più contenta. Ma ora la fortuna a tal punto m'ha voltato le spalle che va bene se mi dicono: "buon pro ti facciano le ciabatte che consumi". SEMPRONIO Ci fai rimanere di sasso con tutte 'ste storie di pretacci e di chieriche benedette. Non saranno stati tutti così! CELESTINA No, no, figliolo; Dio non voglia che si sparli di tutti, senza far distinzioni. Che ce n'erano molti vecchi e devoti, dai quali mi riusciva di cavare ben poco; e che anzi non mi potevano proprio vedere, anche se credo fosse per invidia di quegli altri che trescavano con me. E poi, con tutti i preti che ci sono, non c'era che l'imbarazzo della scelta: alcuni casti come gigli del campo, altri dediti a dar la biada a quelle del mio mestiere. E di questi credo non si sia persa la semenza. Mandavano scudieri e servitori al mio séguito e avevo ancora il piede sull'uscio di casa che mi vedevo entrare polli e galline a frotte, e papere, anatre, pernici, tortore, e pezzi di lardo, focacce e porcellini da latte. E tutti, come riscuotevano le decime di Dio, si precipitavano a segnarle sul registro di Celestina perché a me e alle loro devote non mancasse il companatico. Che dire del vino? Ne avevo in abbondanza e del migliore che si bevesse in città! Vino di Murviedro, di Luque, di Toro, di Madrigal e di Martín e di altri vitigni ancora; ed eran tanti che, benché abbia ancora in bocca il gusto e il sapore di ciascuno, non saprei ricordar di dove ci venissero in tavola. Che sarebbe comunque troppo pretenderlo da una vecchia par mio. Altri curati, poi, spiantati in canna, non avevano ancora messe le mani sull'offerta del pane e i fedeli stavano ancora baciandogli la stola, che già avevan spiccato il volo verso casa mia. Fitti come una sassaiola, mi si facevano sull'uscio ragazzi carichi d'ogni ben di Dio. Davvero, non so come faccio a tirare avanti, ridotta come sono! AREÚSA In nome di Dio, madre, siam qua per spassarcela; non piangere e non t'affannare. Che Dio pone rimedio a tutto. CELESTINA Ah, se ho motivo di piangere, figlia mia, quando mi torna alla mente quel tempo e la vita che facevo, e come tutti mi servivano. Non c'era primizia che non fosse sulla mia tavola quando gli altri non sapevano nemmeno che era spuntata. Per soddisfare la voglia di una gravida dove se non a casa mia si doveva venire a cercarla? SEMPRONIO A nulla giova il ricordo del tempo passato, madre, se non lo si può riassaporare; ché anzi non fa che accrescere la nostra tristezza. Lo vedi bene, tu che ci hai tolto il piacere di mano. Alziamoci da tavola, sù. Noi si va a riposare, e tu sentirai che vuole la ragazza che ti è venuta a trovare. CELESTINA Lucrecia, figlia mia, bando a questi discorsi. Dimmi, che ti ha spinto fin qua in buonora. LUCRECIA A sentirti rievocare il buon tempo passato m'ero scordata della richiesta e del messaggio che ti porto. Me ne sarei rimasta un anno intero senza mangiare, ad ascoltarti e sognare la buona vita che quelle ragazze si dovevano godere; tanto che mi sembra quasi di viverla io stessa in questo momento. Il motivo della mia visita, signora, immagino già lo saprai: chiederti indietro il cordone e dirti che la mia signora ti prega d'andarla a trovare al più presto. Che si sente prostrata per via di certi svenimenti e ‹d'Èun dolor al cuore. CELESTINA Ah, doloretti da poco, figlia mia: tutto fumo e niente arrosto. Mi stupisco invece di come una donna così giovane soffra di cuore. LUCRECIA (Che il diavolo ti porti, traditora! Proprio non lo immagini? Questa vecchia ipocrita fa i suoi incantesimi e taglia la corda. E non bastasse, poi si stupisce.) CELESTINA Che vai dicendo, figliola? LUCRECIA Dico che è bene che andiamo, madre, e che intanto tu mi passi il cordone. CELESTINA Andiamo, ma il cordone lascialo a me. ATTO X Argomento ‹Mentre Celestina e Lucrecia sono in cammino, Melibea parla da sola. Arrivate alla porta, Lucrecia entra per prima, poi fa passare Celestina. Melibea, dopo un lungo ragionare, rivela a Celestina d'ardere d'amore per Calisto. Vedono venire Alisa, madre di Melibea, così si separano l'una dall'altra. Alisa interroga Melibea sui traffici di Celestina e le proibisce di parlare a lungo con lei.› Personaggi: Melibea, Celestina, Lucrecia, Alisa. MELIBEA Oh, povera me! O misera fanciulla indifesa! Non avrei fatto meglio ad acconsentire alla sua domanda, alla sua richiesta, quando ieri lei venne qui a pregarmi, a nome di quel signore che solo a vederlo m'ha conquistata? Non avrei fatto meglio a contentare lui e a guarire me stessa, invece d'esser costretta a svelargli la mia piaga, quando non potrò più aspettarmi da lui alcun compenso d'amore, quando ormai, persa ogni speranza in una mia risposta positiva, avrà posato gli occhi su un'altra? Quanto più bene accetta medicina più efficace e un riposo più salutare dalla casa di quel cavaliere di nome Calisto. MELIBEA Taci, madre, per l'amor di Dio; non rimediar niente da casa sua, per il mio bene. E non starmelo nemmeno a nominare. CELESTINA Sopporta il tuo male con pazienza, signora, questo è il primo punto, il principale. Che non abbia a strapparsi, altrimenti tutto il nostro lavoro è perduto. La tua piaga è grande e mal sopporta un rimedio indolore. Che il male si guarisce efficacemente col male, e ben dicono i saggi che il medico pietoso fa la piaga verminosa, e che il pericolo mai si vince senza pericolo. ‹Abbi pazienza,› ché di rado succede che quel che dà fastidio possa esser guarito senza fastidio. Chiodo scaccia chiodo, un dolore un altro dolore. Non concepire né odio, né disamore, e non permettere che la tua lingua parli male di una persona virtuosa come Calisto. Se solo lo conoscessi... MELIBEA Oh, in nome di Dio! Così m'uccidi! Non [t]'ho detto di non nominarmi quell'uomo, né in bene né in male? CELESTINA Questo è un altro punto, signora, il secondo. E se la tua insofferenza mal ‹lo› tollera, a ben poco servirà la mia visita. Ma se tu lo sopporti, come hai promesso, allora sarai guarita e senza debito, e Calisto soddisfatto e senza motivo di lagnanza. Che t'avevo avvertita in anticipo della mia cura, di quest'ago invisibile che senti senza che nemmeno ti tocchi, al solo nominarlo. MELIBEA Finirai col nominarmelo tante volte il tuo cavaliere, che la mia promessa di tollerare i tuoi discorsi non basterà, e neppure la parola che ti ho data. Di che cosa dovrà esser ripagato? Che cosa gli devo? Che debito ho contratto con lui? Che ha fatto per me? Che bisogno c'è che lui sia qui per curare il mio male? Preferirei che lacerassi le mie carni per strapparmi il cuore, pur di non sentirti pronunciare queste parole. CELESTINA L'amore ti si è insediato nel petto senza strappare le tue vesti; non avrò certo bisogno di lacerar le tue carni per guarirlo. MELIBEA Come lo chiami questo dolore che s'è impossessato della parte migliore del mio corpo? CELESTINA Amore. Dolce amore. MELIBEA Spiegami cos'è, che solo al sentirlo nominare mi rallegro. CELESTINA È un fuoco soffocato, una piacevole piaga, un gustoso veleno, una dolce amarezza, una dilettevole malattia, un lieto tormento, una ferita dolce e crudele, una morte soave. MELIBEA Oh, me infelice! Se è vero quello che mi dici, dubbia sarà la mia guarigione. Che ne sono così contrari i sintomi che mi hai nominato, che quello che gioverà per un verso, rincrudirà il male per l'altro. CELESTINA Che la tua nobile giovinezza, signora, non abbia a disperare nella guarigione. [Che] se Dio ci manda il tormento, dispensa pure il rimedio. Tanto più che al mondo esiste un fiore che, ne sono sicura, ti libererà da tutto ciò. MELIBEA Come si chiama? CELESTINA Non oso dirtelo. MELIBEA Dillo, non temere. CELESTINA Calisto... Oh, cielo, signora mia, cos'è questo poco coraggio? Oh Dio, mi sviene! Ah, povera me! Alza la testa! Ah, vecchia sventurata! A questo dovevano approdare tutti i miei sforzi? Se muore, m'uccideranno. E anche se vive, sarò smascherata. Che lei non potrà fare a meno dal divulgare il suo male e le mie cure. Melibea, signora mia, angelo mio, cosa ti senti? E le tue gentili parole, e il tuo bel colorito? Apri i tuoi occhi chiari. Lucrecia, Lucrecia, vieni qui, presto! Vieni a vedere la tua signora svenuta fra le mie braccia. Scendi, va' a cercare una brocca d'acqua. MELIBEA Piano, piano, che mi sto riprendendo. Niente scandali in questa casa! CELESTINA Oh, povera me! Non svenire, signora. Parlami come sei solita fare. MELIBEA E ancora meglio, vedrai. Sta' zitta, ora, non m'assillare. CELESTINA Che vuoi che faccia, perla preziosa? Che significa questo mancamento? Credo che i miei punti poco a poco abbiano ceduto. MELIBEA È la mia onestà ad aver ceduto. La timidezza e il pudore mi sono venuti a mancare. I quali, essendomi così familiari e tanto spontanei, non hanno potuto abbandonare il mio viso senza portarsi via per qualche istante il colorito, la forza, la lingua, e la ragione persino. Oh, mia buona maestra, fedele depositaria dei miei segreti, invano mi sforzo di nasconderti quel che tu conosci così bene. Molti e molti giorni son passati da quando quel nobile cavaliere mi parlò d'amore. Parole, le sue, che allora m'avevano irritato tanto quanto m'avrebbero rallegrato in seguito, quando me lo nominasti di nuovo. I tuoi punti mi hanno suturato la piaga; e io, ormai, sono nelle tue mani. La mia libertà me l'hai sottratta, avvinta al mio cordone. Il suo mal di denti era il mio più grande tormento, e la sua pena la mia pena più grande. Applaudo e lodo in te l'infinita pazienza, la profonda saggezza, la generosa fatica, i passi diligenti e fidati, le dolci parole, le rette intenzioni, lo zelo a tutta prova, la ostinazione inflessibile e proficua. Quel signore molto ti deve, e più ancora io; che mai i miei rimproveri riuscirono a farti perder d'animo, a te che perseveravi solo fidando sulla tua grande astuzia. Anzi, come una serva fedele, più venivi insultata, più ti mostravi zelante, più ostacoli incontravi e meno arretravi, e alle risposte più dure opponevi il tuo più radioso sorriso, e più mi vedevi adirata e meglio mi assecondavi. Messo da parte ogni timore, mi hai strappato quel che mai, né a te, né a nessun'altra, avrei pensato di rivelare. CELESTINA Amica mia, signora, non ti stupire. Portare le cose a buon fine: ecco quel che mi dà il coraggio di sopportare il crudele sprezzo e le ritrosie delle fanciulle tue pari. Devo dire che prima di decidermi, ancora per strada come qui a casa tua, ho esitato a lungo, indecisa se svelarti o tenerti celata la mia richiesta. Ché se tremavo al pensiero del gran potere di tuo padre, osavo osservando la gentilezza di Calisto. Vedevo i tuoi modi garbati e diffidavo, ma poi la tua virtù, la tua umanità bastavano a ridar‹mi› coraggio. Qui vedevo motivi di paura, là di speranza. E poiché, signora, hai voluto palesare il grande favore che ci hai fatto, dichiara pure la tua volontà, affida i tuoi segreti al mio grembo; metti nelle mie mani la conclusione di quest'affare. Io farò sì che il tuo desiderio e quello di Calisto siano prontamente esauditi. MELIBEA Oh, Calisto, mio signore, mia dolce e amorevole gioia! Se il tuo cuore prova in quest'istante quel che prova il mio, come potrai sopravvivere a starmi lontano? Oh, madre, signora mia! Se t'importa della mia vita fa' che lo possa vedere presto. CELESTINA Vederlo e parlargli! MELIBEA Parlargli? Impossibile. CELESTINA Nessuna cosa è impossibile, a chi davvero la vuole. MELIBEA Come? CELESTINA Ci ho già pensato, ascolta: sarà fra le porte di casa. MELIBEA Quando? CELESTINA Stanotte. MELIBEA Oh sì, mia salvatrice! A che ora? CELESTINA A mezzanotte. MELIBEA Ora, va', signora, amica leale; parlagli in gran segreto. E se a lui piacerà, che ci si veda all'ora da te stabilita. CELESTINA Addio, ecco che viene tua madre. MELIBEA Amica Lucrecia, mia ‹leale serva,› confidente fidata. Tu lo hai visto, non ho potuto fare altrimenti. L'amore di quel cavaliere m'ha conquistata. Per l'amor di Dio, te ne supplico, non ne far parola a nessuno, ché io possa godere d'un amore così dolce. E tu avrai nel mio cuore quel ‹posto› che merita il tuo fedele servizio. LUCRECIA ‹Assai prima d'ora, signora, avevo intuito la tua piaga e taciuto il tuo desiderio. Molto ho sofferto al vederti tanto smarrita. Più cercavi di nascondere e mascherare il fuoco che ti bruciava, più il colorito del tuo viso, l'inquietudine del tuo cuore, il tremore delle tue membra, il mangiar svogliato e il non dormire manifestavano le sue fiamme. Ti lasciavi sfuggire dalle mani i segni chiarissimi della tua pena. Ma, quando la volontà senza freni e lo smisurato appetito regnano sui signori, quel che si richiede ai servi è obbedire e prestar loro servigi e non vani consigli. Io sopportavo nella pena, tacevo nel timore, dissimulavo con fedeltà. Ahimè, l'aspro consiglio ti sarebbe stato assai più conveniente della dolce lusinga.› Ma poiché ormai non conosci altro rimedio che amare o morire, è giusto che tu scelga ciò che in sé è il migliore. ALISA A che si deve il tuo esser qui ogni giorno, vicina? CELESTINA Ieri mancava un po' di filato al peso, signora; l'avevo promesso, e io mantengo le mie promesse. Ora, me ne posso andare. Che Iddio ti protegga, signora. ALISA E a te t'accompagni. ALISA Melibea, figlia mia, che voleva la vecchia? MELIBEA Vendermi un pochino di sublimato, [signora]. ALISA Questo sì che mi sembra più plausibile di quel che ha detto quella vecchia miserabile. Pensava che mi sarei irritata, così ha creduto bene di mentire. Diffida di lei, figliola, ché quella la sa lunga, e il ladro furbo ronza sempre attorno alle case dei ricchi. Che questa, con tutti i suoi raggiri e le sue false mercanzie, è capace di metter su una cattiva strada la fanciulla più virtuosa. È maestra nel rovinare le reputazioni. E la terza volta che varca la soglia di casa e già si fan strada i sospetti. LUCRECIA (Troppo tardi se ne avvede la nostra padrona.) ALISA Per amor mio, figliola, se dovesse tornare a mia insaputa, non ti fidare e non farle tante cerimonie. Che trovi in te un casto riserbo, e sta' tranquilla che non tornerà più. Perché la vera virtù è più temuta della spada. MELIBEA Che sia di quelle? Farò come dici. Son ben contenta, signora, che tu m'abbia avvertita, ora so da chi debbo guardarmi. ATTO XI Argomento ‹Celestina, lasciata Melibea, se ne va per la strada parlando da sola. Incontra Sempronio e Pármeno, che stanno andando alla Maddalena in cerca del loro signore. Sempronio sta parlando con Calisto, quando sopraggiunge Celestina. Insieme vanno a casa di Calisto. Una volta arrivati, Celestina gli reca il messaggio e lo mette al corrente dell'intesa raggiunta con Melibea. Mentre i due così conversano, Pármeno e Sempronio confabulano fra loro. Celestina si congeda da Calisto e s'avvia verso casa. Bussa alla porta. Le viene ad aprire Elicia. Cenano e vanno a dormire.› Personaggi: Celestina, Sempronio, Pármeno, Calisto, Elicia. CELESTINA Ah, Dio mio, non vedo l'ora d'arrivare a casa, tanta è l'allegria che ho in corpo! Toh, ecco laggiù Pármeno e Sempronio che vanno alla Maddalena. Non li voglio perder d'occhio e, se per caso Calisto non fosse lì, passeremo da casa sua e gli chiederemo [una bella] mancia per la gran gioia che gli porto. SEMPRONIO Bada, signor mio. Che indugiar troppo in questo luogo è dar da parlare alla gente. Evita di essere sulla bocca di tutti, per l'amore del cielo, che troppa devozione si scambia poi per santocchieria. Finiranno per dire che non sei altro che un dannato baciapile. Se un tarlo ti rode, sopportatelo in casa; non sbandierarlo ai quattro venti. E non mostrare la tua pena agli estranei, che il tuo tamburello è nelle mani di chi ti puoi fidare. CALISTO Mani di chi? SEMPRONIO E di chi se non di Celestina? CELESTINA Chi ha nominato Celestina? Che si dice qua dell'umile schiava di Calisto? Mi son fatta di corsa la strada dell'Arcidiacono da un capo all'altro, cercando di raggiungervi, ma queste lunghe sottane mi son state d'impaccio. CALISTO Oh, gemma più preziosa che sia al mondo, soccorso delle mie passioni, oh specchio dei miei occhi! Mi s'allieta il cuore al vedere la tua nobile figura, la tua severa canizie. Dimmi: come vanno le cose? Che nuove mi porti? Ti vedo contenta come una pasqua e non so a cosa è sospesa la mia vita. CELESTINA Alla mia lingua. CALISTO guardi dal demonio, ché al momento di spartire le faremo sputare anche l'anima, se occorre!) CALISTO Che Dio sia con te, madre [mia]. Ora mi va di dormire e di riposare un po', per rifarmi delle notti passate e per prepararmi a quella che viene. CELESTINA Toc, toc, toc! ELICIA Chi è? CELESTINA Apri, Elicia, figlia mia. ELICIA Com'è che arrivi così tardi? Sei vecchia per queste cose! Un giorno o l'altro va a finire che inciampi e ti rompi l'osso del collo. CELESTINA Tranquilla, tranquilla. Che quand'è giorno bado alla strada che dovrò poi fare la notte. ‹Non m'avventuro mai sul ciglio o sull'acciottolaia, ma mi tengo sempre al centro della strada, fedele a quel detto: "chi va rasente il muro non dà un passo sicuro; chi va sul piano va sano e va lontano". Preferisco le scarpe inzaccherate, che le cuffie e le pietre insanguinate.› Ma non ti rincresce restartene qua? ELICIA E perché dovrebbe dispiacermi? CELESTINA Della compagnia con cui t'avevo lasciata non vedo l'ombra, e tu sei rimasta sola. ELICIA Sono passate quattro ore. Quanto basta per non pensarci più. CELESTINA Prima t'han lasciata, e più avrebbe dovuto spiacerti. Ma lasciamo perdere la loro partenza e il mio ritardo. Ceniamo piuttosto che poi si andrà a dormire. ATTO XII Argomento ‹A mezzanotte, Calisto, Sempronio e Pármeno, armati, vanno a casa di Melibea. Lucrecia e Melibea stanno alla porta e aspettano Calisto. Calisto arriva. Lucrecia gli parla per prima. Chiama Melibea e s'allontana. Melibea e Calisto si parlano attraverso la porta. Pármeno e Sempronio discorrono dalla loro postazione. Sentono della gente nella strada e s'accingono a fuggire. Calisto si congeda da Melibea dopo aver concertato il suo ritorno per la notte successiva. I rumori che salgono dalla strada svegliano Pleberio. Chiama Alisa, sua moglie. Domandano a Melibea chi è che cammina in quel modo in camera sua. Melibea risponde a suo padre dicendo d'aver avuto sete. Calisto se ne torna a casa coi suoi servitori, e parla con loro. Si mette a dormire. Pármeno e Sempronio vanno a casa di Celestina. Esigono la loro parte del profitto. Celestina si nega. Scoppia un alterco, le mettono le mani addosso e la uccidono. Alle urla di Elicia, accorre la giustizia che li arresta entrambi.› Personaggi: Calisto, Lucrecia, Melibea, Sempronio, Pármeno, Pleberio, Alisa, Celestina, Elicia. CALISTO Servi, che ora sono? SEMPRONIO Le dieci. CALISTO Oh, quanto mi urtano questi servi negligenti! Fra me che per tutta la notte non ho pensato che a una cosa e te che non ti preoccupi di nulla e tutto trascuri, riusciremo almeno a fare una ragionevole sollecitudine e un'apprezzabile memoria? Come, sciocco che non sei altro, tu sai quanto è decisivo per me [Sempronio] che siano le dieci o le undici, e mi rispondi a casaccio la prima cosa che ti viene in mente? Ah, povero me! E se mi fossi addormentato? Con tutto che il mio bene dipende dalla risposta di Sempronio, questo sciagurato non ci pensa due volte a far[ti] delle undici le dieci e delle dodici le undici, col rischio che Melibea si presenti all'appuntamento e io non ci sia, e che lei si ritiri nelle sue stanze, col bel risultato di rendere la mia pena infinita e il mio desiderio senza speranza! Non invano si dice: del male altrui l'uomo guarisce, del proprio muore. SEMPRONIO A parer mio [, signore] è errore tanto domandare quando si conosce già la risposta, che rispondere quando la s'ignora. [Il mio padrone ha voglia di litigare, ma non sa dove attaccarsi. PÁRMENO] E poi sarebbe meglio, signore, impiegare l'ora che ci resta a preparar le nostre armi, piuttosto che cercare pretesti per attaccar briga. CALISTO ‹Non dice male lo sciocco! Non è proprio il momento per andar su tutte le furie. Non voglio pensare a quel che avrebbe potuto succedere, ma a quel che è successo; non al risultato della sua negligenza, ma al vantaggio che mi verrà dalla mia sollecitudine. Diamo tempo all'ira. Lasciamo che passi o che almeno sbollisca un po'.› [Sù] Sgancia la mia corazza, ‹Pármeno, e voi, armatevi. Che così non avremo di che temere, che non per caso si dice: uomo avvisato mezzo salvato.› PÁRMENO Eccola, signore. CALISTO Aiutami a infilarla. E tu, Sempronio, guarda un po' se c'è qualcuno per strada. SEMPRONIO Non c'è anima viva, signore. Ma se anche ci fosse, è così buio che non ci potrebbe vedere né tanto meno riconoscere nessuno! CALISTO Andiamo, allora, prendiamo questa strada. Che anche se la facciamo più lunga, non correremmo il rischio di imbatterci in qualcuno. PÁRMENO Ci siamo quasi. CALISTO Appena in tempo. Fermati Pármeno, guarda se quella signora aspetta già dietro la porta. PÁRMENO Dici a me, signore? Dio non voglia che sia proprio io a mandare all'aria ogni cosa, io che tra l'altro non c'entro. Meglio che al primo appuntamento ci vada tu. Non vorrei che vedendomi avesse a turbarsi. Meglio non sappia che tanta gente è al corrente di quello che è disposta a fare in gran segreto e con tutte le precauzioni del caso. Potrebbe pensare che vuoi prenderti gioco di lei. CALISTO Parole sante! Il tuo acuto consiglio mi fa come rinascere. Che se lei si tirasse indietro a causa della mia leggerezza, non vi resterebbe che riportarmi a casa morto stecchito. Vado, allora. E voi, non muovetevi di qui. PÁRMENO Che ne dici, Sempronio? Non ti pare che quell'imbecille del nostro padrone volesse servirsi di me come scudo per parare il primo colpo? Che ne so io di chi c'è dietro a quelle porte chiuse? E se fosse ‹un› tranello? Se Melibea non cercasse che di fargliela pagare a questo modo la sua folle audacia? E ‹poi› chi ci garantisce che la vecchia abbia detto la verità. Eh, Pármeno mio, se non ti fai furbo, va a finire che ti faranno sputare l'anima senza che tu sappia nemmeno chi è stato. Non dare corda al tuo padrone, difenditi, e non ti troverai impicciato nei malanni altrui. Che a non dar retta a Celestina ti troverai in un mare di guai. Continua pure a dar buoni consigli! A richiamare la gente alla ragione, e rimedierai delle bastonate per ricompensa. Va' avanti così, va', e rimarrai con una mano davanti e una di dietro. Che oggi mi sembra d'esser rinato a nuova vita, e così a tutta voce lo proclamo, perché sono scampato a un tal pericolo. SEMPRONIO Piano, piano, Pármeno, non far tanto rumore e non saltar di gioia. Va a finire che ti farai sentire. PÁRMENO Chiudi quella bocca! Giuro che non sto più nella pelle per la gioia! E come se l'è bevuta quando gli ho detto che se non andavo con lui era nel suo interesse, e non per salvarmi la pelle. Chi avrebbe saputo rigirarsela come ho fatto io? E, se d'ora innanzi mi terrai d'occhio, me ne vedrai fare di cose apparentemente misteriose tanto con Calisto che con tutti quelli che ficcheranno il naso in quest'affare. Perché non c'è dubbio che questa sua fanciullina sarà per lui come l'esca sull'amo o la carne per gli avvoltoi, e chi s'arrischierà a mangiarla, ne pagherà caro lo scotto. SEMPRONIO Via, non ti tormentare con questi sospetti, prima di sapere se ce n'è la ragione! Tienti pronto piuttosto a calzare gli stivali delle sette leghe, non appena sentirai urlare. PÁRMENO Mi hai letto nel pensiero. M'hai proprio tolto le parole di bocca. Ho messo le brache e pure gli stivaletti leggeri per fuggire, come dici, più veloce del lampo. Son davvero contento, fratello, che tu m'abbia consigliato di fare quel che per pudore non avrei mai osato di fronte a te. Quanto al nostro padrone, sta' pur sicuro che se lo scoprono non riuscirà a sgusciar di mano agli scagnozzi di Pleberio, e non avrà modo di venire da noi a chiederci conto o a rimproverarci della nostra fuga. SEMPRONIO Oh, Pármeno, amico mio, che bello andar d'accordo fra compagni! Che, se anche Celestina non ci fosse servita ad altro, ci avrebbe reso ugualmente [un] gran servizio. PÁRMENO Nessuno può negare l'evidenza, così com'è vero che per vergogna e per non accusarci l'un l'altro di vigliaccheria, avremmo atteso la morte qui, insieme con il nostro padrone, quand'invece è lui solo che se la merita. SEMPRONIO Melibea dev'essere uscita. Sta' a sentire, parlano sottovoce. PÁRMENO Tremo al pensiero che non sia lei quella che parla; che qualcuno imiti la sua voce. SEMPRONIO Dio ci guardi dai traditori! Speriamo che non ci aspettino al varco, giù per la strada, se poi dovremo darcela a gambe, che è l'unica cosa che temo davvero. CALISTO Questo mormorio... non è una sola persona. E comunque, non posso certo star zitto! Ehi, signora! LUCRECIA È la voce di Calisto; meglio che m'avvicini. Chi va là? Chi c'è là fuori? CALISTO Uno pronto a obbedire ai tuoi ordini. LUCRECIA Perché non t'avvicini, signora? Vieni qui, non temere, quel cavaliere è qui. MELIBEA Parla piano, pazza. Assicurati che sia lui. LUCRECIA Avvicinati, signora, è proprio lui, riconosco la sua voce. CALISTO Ahimè, m'hanno ingannato! Non è Melibea quella che m'ha parlato. Sento dei rumori. Sono perduto! Ma dovessi anche lasciarci la vita, non me ne andrò da qui. MELIBEA Va' pure, Lucrecia, vatti a coricare un po'... Ehi, signore! Qual è il tuo nome? Chi ti manda qui? CALISTO Colei i cui meriti fanno signora dell'universo, e che io sono indegno persino di servire. Che la tua grazia non abbia timore di rivelarsi a questo schiavo della tua bellezza. Il dolce suono della tua voce, che non m'ha lasciato un solo istante, mi rassicura, e mi dice che sei proprio Melibea, la mia signora. Io sono Calisto, il tuo schiavo. MELIBEA L'intollerabile impudenza delle tue profferte mi ha obbligato a quest'incontro, signor Calisto. Tu ricordi qual è stata l'ultima risposta alle tue parole. Tu la conosci, e non so come tu possa sperare di ottenere dal mio amore più di quanto ti abbia già mostrato allora. Scaccia questi vani e folli pensieri. Che il mio onore e la mia vita non vengano intaccati dal pregiudizio di un sospetto infamante. È per questo che sono venuta qui, perché tu acconsenta ad andartene e io possa ritrovare infine la mia pace. Non cercare di mettere la mia reputazione sulla bilancia delle lingue maldicenti. CALISTO Ai cuori preparati e ben corazzati contro le avversità, nessuna sventura può sopraggiungere in grado di trapassarne, parte a parte, la forte muraglia. Ma per l'infelice indifeso par mio, che non ha previsto i tranelli e le insidie e che s'è arrischiato fino alla porta della tua fiducia, qualsiasi contrarietà è motivo di tormento e sofferenza, ché distrugge il segreto arsenale in cui la tua dolce novella era riposta. Oh, sventurato Calisto! Come t'han giocato i tuoi servi! Oh, Celestina, donna mendace! Che dovevi piuttosto lasciarmi morire, e non ravvivare la mia speranza per farmi ardere ancor più nel fuoco che già mi tormenta. Perché falsare le parole della mia signora? Perché la tua lingua menzognera ha voluto gettarmi in una simile disperazione? A che scopo farmi venire fin qua solo perché mi fosse mostrato il disfavore, l'astio, la diffidenza, l'odio, proprio dalla bocca di colei che possiede le chiavi della mia dannazione e della mia beatitudine? Oh, nemica! Non m'avevi detto che avrei trovato ben disposta la mia signora? E non m'avevi detto che era lei a volere che il suo schiavo accorresse fin qua, e non per bandirlo di nuovo, ma per ‹esonerar›lo da quell'esilio che, con altro e inesorabile ordine, già gli aveva imposto prima d'ora? In chi, dunque, potrò fidare? Dov'è la verità? C'è chi non dica menzogne? Dovunque troverò impostori? Chi mi è dichiarato nemico? Chi mi è amico sincero? Vi è un luogo sulla terra in cui non si ordiscano tradimenti? Chi, per la mia dannazione, ha osato darmi una così crudele speranza? MELIBEA Metti un freno, signore, ai tuoi sinceri lamenti. Che il mio cuore non può sopportarli, e i miei occhi non riescono più a tener segreta la mia pena. Tu piangi di tristezza e mi giudichi crudele. Io piango di gioia perché ti so fedele. Oh, mio signore, mio unico bene! Quanto più lieta sarei se potessi contemplare il tuo volto e non udire soltanto la tua voce! Ma poiché per il poi fossimo stati sorpresi, avrebbero liberato sia te che me, dalla gente di tuo padre. MELIBEA Dalla gente di mio padre? Dio ci scampi e liberi! E tuttavia, non posso che esserne felice che ti accompagnino persone così fedeli. Che certo è pane ben speso quel che si dà a servitori tanto valenti. Per amor mio, signore, posto che la natura ha voluto dotarli di tanta audacia, trattali bene e ricompensali a dovere, che conservino con cura ogni tuo segreto. ‹E quando ti verrà da castigare la loro villania o la loro impudenza, che al castigo segua subito il perdono, perché l'imposizione non abbia a fiaccare e irritare quegli uomini coraggiosi nel momento in cui debbono osare.› PÁRMENO Ehi, signore, vieni via da lì, che sta arrivando della gente con le fiaccole, va a finire che ti vedono e ti riconoscono; e tu non saprai dove nasconderti. CALISTO Ah, me infelice! Son costretto a separarmi da te. Che il timore della morte certo potrebbe di meno su di me che non il pensiero del tuo onore. Ma se così dev'essere, gli angeli ti facciano compagnia, e io tornerò domani, come tu hai disposto, dalla parte del giardino. MELIBEA E sia. Che Dio ti protegga. PLEBERIO Moglie mia, dormi? ALISA No, signore. PLEBERIO Non senti dei rumori in camera di tua figlia? ALISA Sì, sì. Melibea, Melibea... PLEBERIO Non t'ha sentito. La chiamerò più forte. Melibea, figlia mia! MELIBEA Signore? PLEBERIO Cos'è questo rumore di passi in camera tua? MELIBEA È Lucrecia, signore, è uscita a prendermi una brocca d'acqua. Avevo [una] sete. PLEBERIO Dormi, figliola, temevo fosse dell'altro. LUCRECIA È bastato un po' di rumore a svegliarli. Erano tutti sottosopra. MELIBEA Non c'è animale, per dolce che sia, che l'amore o il timore pei suoi cuccioli non allerti. Chissà come la prenderebbero se scoprissero che sono uscita davvero! * * * CALISTO Chiudete questa porta, ragazzi. E tu, Pármeno, porta sù una candela. SEMPRONIO Cerca di riposare, signore, e dormi quel poco tempo che rimane prima che faccia giorno. CALISTO E sia. Buona idea! Pármeno, cosa ne pensi di quella vecchia di cui mi parlavi così male? Un vero capolavoro, il suo! Dì un po': come ce la saremmo cavata senza di lei? PÁRMENO Che tu soffrissi a tal punto, non me lo immaginavo davvero. E men che meno la bellezza e le doti di Melibea. Non c'è motivo perché tu mi accusi. Il fatto è che conoscevo bene Celestina e i suoi sortilegi. Quanto a te, tu sei il mio signore, e mio dovere era metterti in guardia. Ma ora ne convengo: sembra un'altra! Si capisce che si è decisa a cambiar sistema. CALISTO Eccome se l'ha cambiato! PÁRMENO Tanto che se non l'avessi vista coi miei occhi, non ci avrei creduto, quant'è vero che esisti. CALISTO Allora avete sentito com'è andata con la mia signora. E voi, che facevate? Avevate paura? SEMPRONIO Paura, signore? Vorrai scherzare! Il mondo intero non sarebbe bastato a farci paura. Eh sì, li hai proprio trovati i paurosi! Che stavamo lì all'erta ad aspettarti, armi alla mano. CALISTO Avete dormito almeno un pochino? SEMPRONIO Dormito, signore? Ci hai preso per ghiri? Io non mi sono seduto neanche un momento. Sull'anima mia, non riuscivo a star fermo, e non facevo che guardarmi attorno, per ‹essere pronto› a scattare al minimo rumore, e fare tutto quel che potevo. Pármeno poi, che fino ad allora sembrava servirti così di malavoglia, avresti dovuto vederlo quando si sono presentati quelli che portavano le torce: sembrava un lupo che fiuta il gregge tanto fremeva dalla voglia di strappar‹gli›ele. CALISTO Non ti stupire. Che è più forte di lui mettersi in mostra, anche a rischio della vita. E se anche non ci fossi stato io di mezzo, l'avrebbe fatto lo stesso, perché quelli del suo stampo non possono mica andare contro il loro naturale: il lupo perde il pelo, non il vizio. State tranquilli, ho detto già tutto su di voi a Melibea, la mia signora, e come con voi io possa sentirmi le spalle coperte, tanto bene mi assistete e mi proteggete. Vi devo molto, figli miei. Pregate Iddio che vi dia lunga vita, quanto a me, vedrò di ricompensarvi a dovere, per il buon servizio che m'avete reso. Ora andate, e che Dio sia con voi. PÁRMENO Dove andiamo, Sempronio? A letto a dormire o in cucina a mangiare un boccone? SEMPRONIO Tu va' un po' dove ti pare. Io prima che faccia giorno voglio andare a casa di Celestina a prendermi la parte che mi spetta della catena. È una vecchia puttana, quella, e non voglio lasciarle il tempo di giocarci qualche tiro mancino per tenerci fuori dall'affare. PÁRMENO Hai ragione, me ne ero scordato. Andiamoci insieme, che se ha di questi grilli per il capo, gliene faremo trovare tanta che le passerà la voglia. Che in fatto di soldi non si guarda in faccia a nessuno. SEMPRONIO Ehi, fa' piano, che dorme proprio vicino a questa finestrella. Toc, toc, toc, apri signora Celestina! CELESTINA Chi è che bussa? SEMPRONIO Sù apri, sono i tuoi figlioli. CELESTINA Non ho figli che vadano in giro a quest'ora di notte. SEMPRONIO Apri, siamo Pármeno e Sempronio; e dai, siamo noi, veniamo a far colazione con te. CELESTINA Ah, guarda te che razza di pazzi sfrontati! Entrate, entrate. Dico io, arrivare a un'ora simile! È quasi giorno! Che avete combinato? Cosa vi è successo? La speranza è già bell'e che sfumata o ancora dimora in Calisto? Che ne è di lui? SEMPRONIO Che ne è di lui, madre mia? Senza di noi la sua anima sarebbe già in cerca dell'eterna dimora. Che se si potesse stimare quello che ci deve, tutti i suoi beni non basterebbero a saldare la metà del suo debito; se è vero quel che si dice, che la vita di una persona vale più di ogni altra cosa. CELESTINA Gesummaria! Vi siete dunque trovati in così grave pericolo? Sù, raccontatemi tutto, per amor di Dio! SEMPRONIO Pericolo, dici? Sulla mia vita, mi sento ribollire il sangue nelle vene, solo a pensarci. CELESTINA Calmati per amor di Dio, e raccontami ogni cosa. PÁRMENO Ah, non c'è tempo per questo! Siamo ancora troppo stremati, e sconvolti per la rabbia che ci siamo fatti. Faresti meglio a prepararci qualcosa da mettere sotto i denti, invece, che ci servirà a calmare un po' i bollenti spiriti. Per nessuna cosa al mondo vorrei imbattermi in un cristiano di quelli che non hanno altro pensiero in testa che di vivere in pace. Schiatto dalla voglia di sfogare questa rabbia su qualcuno. E quelli che me l'han fatta venire se la sono data a gambe! CELESTINA Possa rimanerci secca se non trasecolo a vederti così coraggioso. Mi stai prendendo in giro, non c'è dubbio! Dài, dimmelo Sempronio, che è successo? SEMPRONIO Sono ancora fuori di me, per Dio, e disperato per giunta. Ma devo farmela passare quest'ira e questo sdegno. Che sei una donna e con te non va bene far la faccia feroce. Non mi garba esibire la mia forza coi deboli. Le mie armi, signora, sono ridotte a mal partito, il mio scudo senza più cerchio, la mia spada ridotta a una sega e l'elmetto l'ho ficcato nel cappuccio, tanto è ammaccato! Non m'è rimasto più nulla per fare la scorta al mio padrone quando avrà bisogno di me. Hanno deciso di rivedersi la notte che viene, nel giardino. Comprarmele di nuove? A rivoltarmi a testa in giù non mi cadrebbe di tasca un quattrino. CELESTINA Son cose da chiederle al padrone, figlio mio. Se ci pensi, le tue armi son state usate e distrutte a suo servizio... Lo sai che lui le mantiene le promesse, non è di quelli che dicono: "Vivi con me, e cercati chi ti mantenga". È generoso, e ti ridarà quel che hai perso, e anche di più. SEMPRONIO Non ti dimenticare di Pármeno, però, che anche lui non ci ha rimesso poco del suo! Di questo passo va a finire che tutte le sue avare sostanze se ne andranno in armi. E poi, come faccio ad esser tanto sfacciato da chiedergli di più di quel che ci dà, che è già molto? Non vorrei che dicessero di me: gli si dà il dito e si prende la mano. Ci ha regalato cento monete, e poi la catena. Ancora tre di queste stoccate e non avrà più un soldo bucato. Gli verrebbe a costar caro davvero questo affare! Contentiamoci di quel che è giusto perciò o rischieremo di perder tutto per pretendere più di quel che ci spetta. Che chi troppo vuole, nulla stringe. CELESTINA Divertente, il somaro! Sui miei capelli bianchi, se fosse stato dopo mangiato avrei detto che avevamo tutti alzato il gomito. Ma ci sei Sempronio? Cosa c'entra la tua ricompensa col mio salario, la tua paga con i doni che mi vengono fatti? Son forse tenuta a riparare le vostre armi, a rimediare alle vostre perdite? Potessi schiattare se non hai preso per oro colato quel che t'ho detto l'altro giorno per strada. Quella parolina detta così, che tutto quel che è mio è tuo, e che per quanto possono le mie deboli forze, non ti farò mancare nulla, e che se Dio m'assiste col tuo padrone, non avrai nulla da perdere. Però, lo sai bene Sempronio che questi son più che altro convenevoli, formalità, frasi di cerimonia dette così tanto per dire, che non voglion dire nulla. Lo sai che non è tutto oro quel che riluce, che in caso contrario varrebbe ben poco. Rispondi Sempronio. Non t'ho letto nel cuore? Vedrai un po' se non indovino con tutti gli anni che ho sul groppone quel che ti passa per la testa. Io, però, figlio mio, te lo dico col cuore, ho un tale dispiacere, da schiattar quasi di rabbia... Che non appena son tornata da casa tua ho passato la catenella che avevo avuto in dono a quella sventata di Elicia perché la portasse un po'. E quella che mi fa? Dice che non ha la minima idea di dove l'ha messa. Non abbiamo chiuso occhio tutta la notte, né io né lei, dal dispiacere. E non è tanto per la catenella, che in sé non era granché, ma piuttosto per la sua distrazione e per la mia mala sorte. Che proprio in quel momento certi amici che hanno bazzicato per casa ho paura che abbiano fatto man bassa dicendo: "chi s'è visto, s'è visto". È per questo, figli miei, che vi voglio aprir bene le orecchie, a tutti e due: che se il vostro padrone mi ha dato qualcosa, è soltanto a me che appartiene. Io non ti ho mica chiesto la mia quota del tuo giubbetto di broccato, e nemmeno la voglio. Rendiamogli tutti un buon servizio che poi lui si farà uno scrupolo di dare secondo i meriti di ciascuno. Se mi ha allungato qualcosa è perché per ben due volte ho rischiato la vita. E ho spuntato più ferri io al suo servizio, che voi due messi insieme, e più suole ho consumato. Senza contare, figlioli, che tutto questo mi costa denaro e che quello che so non l'ho mica messo insieme girandomi i pollici! Cose, queste, che tua madre, che Dio l'abbia in gloria, le sapeva senza bisogno di dirgliele, Pármeno mio! Questa qui me la sono guadagnata con le mie mani. Voi pazientate, che vi toccherà dell'altro. Quello che per voi non è che un passatempo, è lavoro per me. È il mio mestiere! Volete che fra me che sgobbo e voi che ve la spassate, la ricompensa debba per forza essere uguale? Ciò non toglie che se per caso ritrovo la catena non vi farò mancare un paio di brache rosse per ciascuno, che son quel che ci vuole per dei ragazzotti come voi. In caso contrario dovrete accontentarvi di quel che mi detta il buon cuore: quanto a me mi guarderò bene dall'andare a sbandierare quello che ho perduto. E questo ve lo dico col cuore: siete voi che avete voluto che il profitto di questi maneggi fosse per me piuttosto che per un'altra. E se la cosa ora non vi garba, peggio per voi! SEMPRONIO Non è la prima volta che lo dico. Il vizio peggiore nei vecchi è l'avarizia. Fintanto che era povera, Dio se era generosa! E ora che è ricca, è peggio di una tigna. Più si guadagna e più si è avidi. Più si è avidi e più si è poveri. Perché non c'è niente che rende l'avaro più povero della ricchezza. Oh, Dio mio, com'è vero che la necessità cresce con l'abbondanza! Non l'avete sentito dire anche voi da questa vecchiaccia che il guadagno in questa faccenda sarebbe stato tutto per me, perché pensava che non fosse gran cosa? Adesso che il gruzzolo è aumentato non ne vuol sapere di sganciare un soldo per non smentire quel proverbio che va sulla bocca dei bambini: "del poco, poco, del molto, nulla". Scenderò giù alla porta, così il mio padrone potrà riposare senza che nessuno lo disturbi, e a quanti verranno a cercarlo, beh, dirò che non è in casa. Oh! Ma che sono queste urla che salgono dal mercato? Che accade? Staranno giustiziando qualcuno, oppure è per via della corsa dei tori che la gente s'è alzata così di buon'ora? Non so cosa pensare. Ah, ma ecco Sosia, il palafreniere, che ne vien proprio di là; vediamo se sa quel che sta accadendo. Guarda se è poco scarmigliato, questa canaglia! Deve essersi rivoltolato in qualche taverna e se il mio padrone mangia la foglia gli rifilerà non meno di duemila bastonate. È un po' sventato, ma la punizione lo rinsavirà. Sta piangendo! Che c'è Sosia? Perché piangi? Da dove ne vieni? SOSIA Oh, me sventurato! Che terribile sciagura! E che disonore per la casa del mio padrone! Oh, che giorno nefasto è mai questo! Oh, giovani infelici! TRISTÁN ‹Che c'è›? Cosa hai? [Perché ti lamenti?] Perché ti struggi? Di qual sventura parli? SOSIA Sempronio e Pármeno...! TRISTÁN Che vai dicendo, Sempronio e Pàrmeno? Che significa, pazzo? Ti vuoi spiegar meglio, o ti diverti a mettermi in agitazione? SOSIA I nostri compagni, i nostri fratelli...! TRISTÁN O sei ubriaco, o sei uscito di testa, o fai l'uccello del malaugurio. Ti decidi a ‹dir›mi cos'è successo, o no? Che c'entrano i servi? SOSIA Li hanno appena decapitati sulla piazza. TRISTÁN Oh, mala sorte la nostra! Voglia il Cielo che t'inganni! ‹Li hai visti coi tuoi occhi, o l'hai saputo da altri? SOSIA Avevano perso conoscenza. Ma uno dei due, non appena s'è accorto che lo stavo guardando con le lagrime agli occhi, si mise a fissarmi e, a fatica, ha alzato le mani al cielo, che sembrava quasi volesse render grazie a Dio o domandarmi se della sua morte io mi dolevo. E in segno di commiato chinò tristemente il capo cogli occhi pieni di lagrime, quasi per farmi capire che non m'avrebbe più rivisto fino al giorno del giudizio. TRISTÁN No, tu non hai inteso. Voleva avere conferma che Calisto fosse lì presente. Ma poiché sembri avere prove così evidenti di questa atroce sciagura›, presto, portiamo al nostro padrone la ferale notizia. SOSIA Signore, signore! CALISTO Che succede, siete impazziti? Non v'avevo detto di lasciarmi dormire? SOSIA Sù svégliati, alzati. Che se non ci pensi tu a difendere i tuoi siamo rovinati. Sempronio e Pármeno sono stati decapitati sulla pubblica piazza come malfattori. Pubblicamente è stato bandito il loro misfatto. CALISTO Oh, che Dio mi protegga! Che dici! Non posso credere a una notizia tanto terribile e improvvisa. Ma tu, li hai visti con i tuoi occhi? SOSIA Sì, li ho visti. CALISTO Attento a quel che dici. Stanotte erano insieme con me. SOSIA Beh, allora hanno visto spuntare il giorno solo in tempo per morire. CALISTO Oh, i miei servi leali! I miei buoni servitori, i miei confidenti, i miei fidati consiglieri! A tanto si doveva arrivare! Oh Calisto, quale infamia! Che per tutta la vita rimarrai disonorato! Che ne sarà di te adesso, che una tal coppia di servi t'è venuta a mancare? Dimmi Sosia, in nome di Dio, quale fu il motivo? Che diceva il bando? Dove li hanno messi a morte? E come, dimmi, come li han giustiziati? SOSIA Il motivo, signore? Lo spietato carnefice non si faceva pregare a urlarlo: "La giustizia - diceva - intima la morte di questi violenti assassini". CALISTO Assassini? Ma chi possono aver ucciso in così poco tempo? Ha senso tutto ciò? Che non son quattr'ore che si sono separati da me. Chi era il morto? SOSIA [Era] Una donna, signore, di nome Celestina. CALISTO Che dici? SOSIA Quel che hai sentito. CALISTO Se è vero, allora uccidi[mi], te ne do licenza. Che se la morta è Celestina, la sfregiata, allora la mia sventura è ben più grande di quel che puoi immaginare. SOSIA Sì, è lei. L'ho vista, stesa a terra, straziata da più di trenta stoccate, con una serva accanto che piangeva la sua morte. CALISTO Oh, i miei poveri servi! Com'erano? T'hanno visto? T'hanno forse parlato? SOSIA Oh, mio signore, se solo li avessi visti ti si sarebbe spezzato il cuore di pena. L'uno privo di sensi, con le cervella sfracellate; l'altro con due braccia rotte e sfigurato in volto. Erano in un lago di sangue: s'erano buttati giù da una finestra molto alta per sfuggire al bargello. Quando gli han mozzata la testa erano più morti che vivi. Non se ne saranno nemmeno accorti! CALISTO Ma io, del mio onore m'accorgo, eccome! E ne avverto l'imminente rovina. Dio avesse voluto che ci fossi stato io al loro posto. Avessi piuttosto perso la vita, e non l'onore, non la speranza di raggiunger lo scopo che avevo già iniziato a perseguire, che è quel di cui più mi rammarico in questa disastrosa vicenda. Oh, il mio povero nome! Oh, triste la mia reputazione allo sbaraglio e sulla bocca di tutti! Oh, i miei più segreti segreti, sbandierati ai quattro venti per le piazze e i mercati! Che ne sarà di me? Dove andrò? E se andassi laggiù? Anche se ormai per i morti non c'è più niente da fare. Restare? Penseranno che sono un vigliacco. Che fare, allora? Ma dimmi, Sosia, perché l'hanno assassinata? SOSIA Quella serva gridava a tutta voce, signore, piangeva la sua morte, non ne faceva mistero a chiunque la volesse sentire. Diceva che era perché si era rifiutata di spartir con loro una catenella d'oro che tu le avevi regalato. CALISTO Oh, giorno d'angoscia! Oh sciagura! I miei affari di mano in mano e il mio nome di bocca in bocca! Quel che le ho confidato, quel che a loro avevo rivelato, tutto reso di comune dominio! Tutto quel che sapevano di me e dell'affare in cui si trovavano immischiati. Non avrò più il coraggio di uscire di casa. Oh, poveri peccatori, travolti da una così improvvisa sciagura! Oh, mia felicità che sempre più m'abbandoni! Come dice un vecchio proverbio: chi sale più in alto da più in alto precipita. Molto avevo ottenuto la scorsa notte, e tutto ho perduto. Che è rara la bonaccia in alto mare. Sarei ancora il più felice degli uomini se la fortuna avesse voluto trattenere i venti impetuosi della mia perdizione. Oh, fortuna, che m'hai negato ogni tregua, assediandomi da tutti i lati! Séguita pure a perseguitare la mia casa, séguita a battermi in breccia. Le avversità si debbono sopportare con animo saldo, ché in esse vien messa alla prova la forza o la fiacchezza del cuore. E non v'è miglior pietra di paragone, per riconoscere la buona lega della virtù e del coraggio di un uomo. Ma quali che siano il male e il danno che me ne verrà, io non smetterò d'obbedire a colei che fu causa di tutto. Che assai più mi preme raggiungere la felicità in cui spero che piangere la perdita di questi due morti. Troppo temerari erano, troppo impulsivi: un giorno o l'altro dovevano pur pagarla. La vecchia era malvagia, perfida e poiché, a quanto pare, era in combutta con loro, han finito per accapigliarsi per i beni altrui. E Dio ha voluto che lei finisse così, per farle scontare i numerosi adulteri commessi per sua causa e sua intercessione. Dirò a Sosia e al piccolo Tristán di prepararsi, e di scortarmi in così sospirato cammino. Farò loro portar delle scale, che i muri sono [molto] alti. Quanto a me, domani fingerò di essere da poco tornato in città. Se mi riuscirà di vendicare quei due poveri morti, bene. Altrimenti monderò la mia innocenza da ogni sospetto fingendomi assente, ‹ovvero simulerò d'esser pazzo per meglio godere della infinita dolcezza del mio amore, come fece Ulisse, il gran capitano, per evitarsi la guerra di Troia e tornare al talamo di Penelope, sua sposa.› ATTO XIV Argomento ‹Melibea parla con Lucrecia. Si duole per il ritardo di Calisto che le aveva promesso di farle visita quella notte stessa. Non mancò all'incontro d'amore, Calisto; e con lui vennero Sosia e Tristán. Dopo aver soddisfatto il suo desiderio se ne torna a casa, con gli altri. Quindi Calisto si ritira nel suo palazzo e si lamenta per esser rimasto troppo poco tempo con Melibea. Prega Febo di fermare i suoi raggi per poter ancora rinnovare il suo desiderio.› Personaggi: Melibea, Lucrecia, Sosia, Tristán, Calisto. MELIBEA Dio, se tarda il gentiluomo che aspettiamo! Lucrecia, a cosa ti fa pensare il suo ritardo? LUCRECIA Avrà avuto qualche buona ragione, signora. Non sarà dipeso da lui il non poter venire prima. MELIBEA Che gli angeli del cielo lo proteggano, e lo guardino da ogni insidia, piuttosto. Che non del suo ritardo mi preoccupo, ma di quello che potrebbe capitargli da casa sua fino a qui. ‹E se per strada, dirigendo i suoi passi all'appuntamento che gli avevo promesso, armato di tutto punto com'è giusto che siano i giovani a quest'ora, si fosse imbattuto nella ronda notturna? E se quelli messi in sospetto l'avessero aggredito, se lui per difendersi avesse estratto la spada e li avesse feriti, o ne fosse stato ferito? E se i cani da guardia, che non sanno far differenza fra le persone e non hanno riguardo per nessuno, l'avessero morso con le loro zanne crudeli? E se fosse scivolato sul selciato, o precipitato in un fosso, se si fosse fatto del male? Ah, infelice Melibea, proprio questi sono gli inconvenienti che quest'amore ch'io ho concepito mi pone dinanzi agli occhi, che la mia immaginazione tormentata risveglia. Dio non voglia che ciò avvenga. E che piuttosto tardi pure quanto gli aggrada. Ma, ascolta, ascolta,› si sentono dei passi per strada, e mi sembra anche di sentir parlare dall'altra parte del giardino. SOSIA Appoggia la scala, Tristán. Qui è alto, sì, ma è il punto migliore. TRISTÁN Sali pure, signore, e lasciami venire con te, ché non sappiamo chi possa esservi dall'altra parte. Si sentono voci. CALISTO Rimanete qui, pazzi; entro da solo. Sento già la voce della mia signora. MELIBEA Della tua schiava, vorrai dire, della tua prigioniera, di colei che tiene in maggior conto la tua vita che non la sua. Oh, mio signore! Non saltare che è alto! Oh, mi farai morire! Scendi, scendi piano piano dalla scala. Non esser così impaziente. CALISTO Oh, angelica immagine, oh perla preziosa. Come, al tuo confronto, tutto mi pare orribile! Oh, mia signora, mia gioia infinita! Sì, ti ho tra le braccia e mi sembra di sognare. Mi confonde a tal punto il piacere che non riesco più a sentirla, tutta la felicità che provo. MELIBEA Oh, mio signore, mi sono affidata alle tue mani, ho voluto obbedire alla tua volontà. Che non abbia a pentirmi d'essermi mostrata così comprensiva più che se t'avessi sdegnosamente, spietatamente respinto! Non volere la mia rovina per questo istante di piacere, in così breve tempo consumato. Che, una volta fatto, è più facile recriminare sul male che non porvi riparo. Godi di quel ch'io godo: vederti e starti vicina. Non mi chiedere di più. Non tentare di strapparmi quello che una volta preso non potrà essermi restituito. Guardati signore dal distruggere quel che tutti i tesori del mondo non potrebbero restaurare. CALISTO Ho consacrato l'intera mia vita, signora, per ottenere questo favore. E vorresti che lo respingessi nel momento in cui me lo si concede? No, tu non lo vorrai di certo, signora, né io del resto potrò mai ottenerlo senza il tuo consenso. Non pretendere da me una tale codardia. Non è da uomo comportarsi in questa maniera, specie amandoti quanto io ti amo. Che tutta la mia vita galleggia su questo mare di fuoco del desiderio che ho di te, e tu mi rifiuti l'approdo di questo dolce porto dove potrei dar tregua alle pene passate? MELIBEA Sulla mia vita, lascia che la tua lingua corra pure senza freni, ma ti prego tieni a posto le mani. Sta' fermo, mio signore. ‹E poiché già son tua, accontentati di godere esteriormente del frutto naturale degli amanti. Non volermi trafugare il dono più prezioso che madre natura m'ha dato. Sappi che il buon pastore le tosa le pecore del suo gregge, non le sconcia, né le strazia!› CALISTO Perché mai dovrei, mia signora? Perché il mio tormento non conosca requie? Per struggermi di nuovo? Per tornare alle nostre prime schermaglie? Perdona, signora, le mie mani impudiche. Che seppure indegne e così poco meritevoli, non pensarono mai di poter sfiorare le tue vesti, ed ora hanno avuto il bene di toccare questo tuo corpo gentile, questa tua bella e delicatissima carne. MELIBEA Lucrecia, allontanati. CALISTO Perché, mia signora? Sono ben felice che vi siano testimoni alla mia felicità. MELIBEA Ma io non voglio testimoni del mio peccato. Che se avessi immaginato il tuo poco ritegno, non mi sarei mai concessa a queste crudeli lusinghe. SOSIA di quel che ho ottenuto come premio per i miei meriti, se mai ne ho avuti in vita mia? Perché allora non riesco a esser contento? Non ho alcun motivo di dimostrarmi ingrato nei confronti di colei che m'ha dato una tale felicità. Lo riconosco, che la collera non mi faccia uscir di senno. Non sia mai, che io abbia a decadere da sì alto possesso. Io non desidero altro onore, non desidero altra gloria, non voglio altre ricchezze, né altro padre né altra madre, né altri congiunti, o altri parenti. Il giorno rimarrò in camera mia, la notte in quel dolce paradiso, in quel giardino, fra le soavi piante e la fresca verzura. Oh, notte della mia felicità, se tu fossi già tornata! Oh, brillante Febo, affrettati sul tuo solito cammino! Oh, stelle deliziose, precorrete col vostro apparire l'ordine permanente della vostra orbita! Oh, lento orologio, che ti veda ardere del fuoco vivo d'Amore! Se tu attendessi quel che io aspetto quando scocchi i tuoi dodici tocchi, mai la volontà del tuo artefice potrebbe tenerti a freno. E voi, che adesso vi nascondete, possiate affacciarvi, oh, mesi invernali, perché le vostre lunghe notti prendano il posto di questi interminabili giorni! Che mi sembra un anno che non provo questa dolce felicità, questo delizioso conforto alle mie pene. Cosa chiedi ancora, che pretendi, folle, che non sai aspettare? Quel che non fu mai, né mai potrà essere? Che il corso naturale delle cose non sa svolgersi senz'ordine, per tutte uno stesso corso, per tutte un identico periodo per la morte e la vita, un termine limitato pei segreti movimenti dell'alto firmamento celeste, dei pianeti e della stella polare, delle fasi crescenti e decrescenti della luna. Che tutto è retto da uno stesso freno, e tutto è mosso da uno stesso sprone: il cielo, la terra, il mare, il fuoco, il vento, il caldo, il freddo. A che mi serve che l'orologio di ferro dia le dodici se l'orologio del cielo non l'ha ancora suonate? Hai voglia d'esser mattiniero, ché intanto il giorno non verrà prima. Ma tu, dolce immaginazione, tu che puoi, soccorrimi. Porta alle mie visioni l'angelica presenza di quella immagine luminosa. Ricorda al mio orecchio il dolce suono della sua voce, quando mi respingeva, senza che lo volesse davvero, quell' "allontanati signore, non t'avvicinare", il "non essere scortese", ch'io vedevo sussurrare sulle sue labbra vermiglie, o ancora quel "non volere la mia rovina" dietro cui si schermiva; quelle amorose strette fra una parola e l'altra, quel suo modo di allontanarmi per poi attirarmi a sé, di fuggire per poi avvicinarsi, i suoi dolcissimi baci. Ah, quell'ultimo saluto con cui mi congedò, come stentava a uscir dalle sue labbra, e come si torceva le dita poi, oh le lacrime che, come perle di rosa, lasciava cadere da quegli occhi chiari e splendenti! SOSIA Tristán, sono le quattro del pomeriggio e Calisto dorme ancora. Non ci ha chiamati. Non ha neppure mangiato, che ne pensi? TRISTÁN Il dormire non richiede fretta. Aggiungi poi che per un verso soffre per la disgrazia de' suoi servi, per l'altro è felice per tutto il piacere che ha provato con la sua Melibea. Ti puoi ben immaginare in qual stato lo ridurranno questi due sentimenti, troppo forti e troppo contrari per dimorare insieme in un essere così debole. SOSIA Pensi forse che si strugga molto per quei morti? Certo se quella che vedo passare per la strada da quella finestra non si dolesse di più, non porterebbe le cuffie di un tal colore. TRISTÁN Chi è fratello? SOSIA Fatti più in qua e la vedrai prima che giri l'angolo della strada. Guarda quella donna in lutto che s'asciuga gli occhi pieni di lagrime, è Elicia, la serva di Celestina, l'amica di Sempronio. Un bel pezzo di figliola, ma la povera peccatrice è disperata adesso, perché Celestina era come una madre per lei, e Sempronio, il primo dei suoi amici. In quella casa dove sta entrando vive una bella donna, graziosa, fresca, una mezza sgualdrina che lavora per conto suo. Si chiama Areúsa e chi l'ha come amica senza pagare troppo, può ritenersi fortunato. So bene io che è per causa sua che il povero Pármeno ha passato ben più di tre notti in bianco, e che pure lei non è gran che contenta della sua morte. ATTO XV Argomento ‹Areúsa insulta un ruffiano chiamato Centurione che la lascia all'arrivo di Elicia. Questa mette a parte Areúsa delle morti che erano seguite agli amori di Calisto e Melibea. Areúsa ed Elicia si accordano perché Centurione vendichi questi tre morti sui due amanti. Infine, Elicia, prende congedo da Areúsa senza consentire alle sue preghiere per non rinunciare al buon tempo che suol darsi nella sua vecchia casa.› Personaggi: Areúsa, Centurione, Elicia. ELICIA Cosa avrà mia cugina da strillare così? Che se ha già saputo le tristi notizie che le porto, certo non riscuoterò il compenso in dolore che ci si guadagna con siffatti messaggi. Piangi, piangi, versa pure le tue lacrime, che di uomini come quelli non se ne trovano ad ogni angolo di strada. Ah, son proprio contenta che ne soffra a tal punto. Sì, strappateli anche tutti i capelli, come ho fatto io alla mia tristezza, e sappi che perdere una bella vita è pena assai più grande che non la morte in se stessa. Oh, ma guarda come dà libero corso al suo dolore! Per questo, io l'amo più di quanto non l'abbia mai amata finora! AREÚSA Fuori di qui, ruffiano, canaglia, razza di ipocrita, impostore! Che non perdi occasione per infinocchiarmi con le tue vane profferte, stupida che non sono altro. M'hai rubato tutto quel che avevo a furia di moine e di carezze. Eppure t'ho già dato la giubba e il mantello, brutta canaglia, e poi la spada e lo scudo, e delle camicie, due alla volta, ricamate che è un piacere vederle. E pure le armi ti ho dato e il cavallo. E ti ho sistemato a casa d'un signore cui non meritavi neppure di toglier le scarpe. E adesso che ti chiedo di fare una cosa per me mi inventi mille scuse. CENTURIONE Ordinami, sorella mia, di battermi contro dieci uomini per servirti, ma non chiedermi di fare una sola lega a piedi. AREÚSA E perché allora ti sei giocato il cavallo, baro, brutta canaglia? Che se non ci fossi io, t'avrebbero già appeso. Per tre volte ti ho salvato dalle mani del boia e quattro volte ti ho tolto dalle peste in una bisca. Ma perché lo faccio, mi chiedo? Perché son così pazza? Perché continuo ad avere fiducia in un tal cacasotto? E perché credere alle sue menzogne e permettergli di varcar la soglia di casa mia? Cosa avrà mai di buono? I capelli crespi, il volto sfregiato, frustato due volte sulla pubblica piazza, monco della mano della spada e con trenta donne a bordello. Via di qui e non farti rivedere mai più! Non mi rivolgere la parola, e fa' conto di non conoscermi, altrimenti, sulle ossa del padre che m'ha fatto e della madre che m'ha messo al mondo, te ne farò appioppar più di duemila di colpi di bastone su questa schiena da mugnaio. Lo sai che non mi manca chi è in grado di farlo e che lo terrà a titolo d'onore. CENTURIONE Tu straparli, sciocchina! Che se m'arrabbio, mi sa proprio che a qualcuna che conosco non resterà che piangere. È meglio che non dica più niente e me ne vada. Non ho idea di chi stia venendo qui, ma non voglio che ci senta. ELICIA Entro. Che dove ci sono offese e minacce non si piange sul serio. AREÚSA Ah, povera me! Sei tu Elicia mia? Gesù, Gesù, non posso crederci! Che significa? Chi t'ha messo addosso questo lutto? E cos'è quel velo di tristezza? Tu mi spaventerai sul serio, sorella mia! Dimmi, presto, che succede? Che mi sento senza forze. Non m'è rimasta una sola goccia di sangue nelle vene. ELICIA Grande sventura! Grave perdita! Quel che vedi è niente a confronto di quel che soffro e cerco di mascherare. Il mio cuore è più nero di questo velo, le mie viscere più nere di queste cuffie. Ahimè! Sorella mia, sorella mia, non riesco più a parlare. E ho urlato tanto che non ho più un filo di voce dentro il petto. AREÚSA Ah, me infelice! Perché mi tieni sulle spine! Dimmelo presto. E non ti strappare i capelli, non ti graffiare. Non ti torturare in quel modo. È una disgrazia che ci tocca tutte e due? Riguarda anche me? ELICIA Ahimè, cugina mia, amor mio! Sempronio e Pármeno sono morti. Non son più di questo mondo. La loro anima già è giunta là dove si scontano e vengono rimesse le colpe. Sono stati strappati a questa triste vita. AREÚSA Cosa cosa? Che dici? Taci, per l'amor di Dio o mi farai morire. ELICIA Ma c'è di peggio. Presta orecchio agli altri lamenti di questa infelice. Celestina, colei che conoscevi così bene, colei che era come una madre per me, colei che mi coccolava e mi proteggeva, colei di cui andavo tanto fiera fra le mie pari, colei per cui io ero conosciuta in tutta la città e fin nei più lontani sobborghi, sta ormai rendendo conto delle opere sue. L'ho vista trafitta da mille colpi di spada; me l'hanno ammazzata fra le braccia. AREÚSA Oh, terribile disgrazia! Oh, funesta notizia degna di un pianto mortale! Oh, inaspettata sciagura! Oh, perdita irreparabile! Come ha potuto la fortuna far girare così in fretta la sua ruota? Chi è che li ha uccisi? E come sono morti? Sono senza parole, impietrita, come chi ha appena sentito una cosa impossibile a credersi. Non son passati otto giorni da quando li ho visti vivi e in piena salute e già si può dire di loro: che Dio li perdoni. Racconta, amica mia, come è potuto accadere un fatto così crudele e rovinoso? ELICIA Ora lo saprai. Avrai certo sentito parlare, sorella mia, degli amori di Calisto e di quella pazza di Melibea. Ricorderai come Celestina, per intercessione di Sempronio, s'era presa l'incarico di fungere da intermediaria, con la promessa di un compenso per la sua pena. Ci mise tanto impegno e sollecitudine che al secondo colpo di zappa l'acqua già zampillava. E come Calisto vide avverarsi così in fretta ciò che non aveva neppure osato sperare, diede, fra le altre sue cose, una catena d'oro alla mia sventurata zia. Oh, di quale qualità sarà mai quel metallo, se più ne beviamo, più ne abbiamo sete. Come si vide ricca, con sacrilega fame, tenne per sé tutto il guadagno e non volle farne parte né a Sempronio, né a Pármeno, con i quali era venuta all'accordo di spartire quel che Calisto avrebbe dato. Un mattino, stremati per aver scortato il loro padrone tutta la notte, arrivarono con un umor nero, per via di non so quale rissa cui dicev[ano] d'aver dovuto far fronte. Per rimediare alle loro perdite reclamarono la loro parte con Celestina. La vecchia rinnegò il patto stretto tra loro e la promessa, dicendo che il profitto spettava solo a lei e scoprendo non so quali altarini, e, come si suol dire: da una parola... E così, eccoli su tutte le furie! Per un verso pressati dal bisogno, che mette a tacere ogni amore, per l'altro fuori di sé dal furore e dalla stanchezza che avevano in corpo, e per [vedersi] sfumare la loro speranza più bella. Non sapevano dove battere il capo, e stettero un bel pezzo a discutere. Ma vedendola infine sempre più avida, vedendo che continuava a perseverare nel suo rifiuto, misero mano alla spada e le vibrarono un migliaio di colpi. AREÚSA Oh, donna sventurata! Così doveva finire la sua vecchiaia? Ma che mi dici di loro? Che fine hanno avuto? ELICIA Loro? Una volta compiuto il misfatto saltarono giù dalle finestre per sfuggire al bargello che per caso passava di lì. Più morti che vivi furono arrestati e immediatamente decapitati. AREÚSA Oh, il mio povero Pármeno, l'amor mio! Che dolore provo per la tua morte! Quanto poco è durato quel grande amore che avevo riposto in lui! Non so darmi pace! Ma ora, Elicia, hai compiuto la tua dolorosa missione. Ormai si è consumata la nostra rovina. Né con le nostre lacrime potremo riscattarli o restituir loro la vita. Basta! Metti un freno al tuo dolore. Non accada che per il troppo piangere si spenga la luce dei tuoi occhi! La tua pena non è da più della mia. Eppure vedrai con quanta sopportazione saprò affrontare questa sciagura. ELICIA Ahimè, sono furiosa! Ah, povera Elicia! Oh come sono infelice! Tanto che mi sembra d'impazzire! Nessuno soffre quanto me! Nessuno ha perduto quello che io perdo! Oh, quanto migliori e quanto più dignitose sarebbero le mie lacrime per il dolore altrui, che non per il mio! Che ne sarà di me? Ho perso una madre, una protettrice, un tetto. Ho perso un amico, tale che era per me come un marito. Oh, Celestina, saggia, degna d'onore. Autorevole donna! Oh, se sapeva nasconderli bene i miei altarini la tua grande sapienza! Tu lavoravi e io potevo darmi il buon tempo. Tu andavi in giro e io me ne stavo al calduccio; tu eri in stracci, io tutta agghindata! Tu entravi in casa, carica di ogni cosa, operosa non meno di un'ape, e io dissipavo tutto, che altro non sapevo fare! Oh, felicità! Oh, mondano piacere! Che siete disprezzati fin tanto che vi si possiede, e non consentite a nessuno di conoscervi se non nel momento in cui vi perdiamo! Oh, Calisto! Oh, Melibea, che tante morti avete cagionato! Che il vostro amore sia maledetto! Che il sapore dei vostri dolci piaceri si converta in veleno! Che la vostra felicità si sciolga in lagrime e il vostro riposo in amarissime pene! Che i fili d'erba su cui vi prendete i vostri furtivi piaceri possano convertirsi in altrettante serpi. Le vostre canzoni in pianto, che il vostro sguardo secchi gli ombrosi alberi del giardino, e che i fiori odorosi si tingano di nero colore. AREÚSA Per l'amor del cielo, taci, sorella mia! Basta con tutti questi lamenti, smetti di piangere, asciuga i tuoi occhi, torna alla vita. Che quando una porta si chiude, la fortuna ce ne apre subito un'altra, e questa piaga, per quanto crudele, non tarderà a cicatrizzarsi. E molte cose, cui non si può porre rimedio, si possono pur sempre vendicare! E di questa che mi dici, la vendetta l'abbiamo già tra le mani. ELICIA Chi mai potrà risarcirmi, se colei che è morta e i suoi assassini m'hanno lasciato in tanta miseria? Che il castigo dei colpevoli mi tormenta quanto il fallo che hanno commesso. Cosa vuoi che faccia, dal momento che tutto ricade su di me? Ah, se Dio avesse voluto che me ne fossi andata con loro, invece di starmene qui a piangerli sconsolata! Ma quel che mi fa più male è vedere che quel miserabile, senza cuore, non per questo cessa d'andare ogni notte a far visita e a corteggiare quello sterco della sua Melibea! E lei ne va fiera di tutto quel sangue versato per causa sua. erano regine, e grandissime dame. A petto delle cui colpe, il mio ragionevole fallo potrebbe passare senza infamia. Una giusta causa mi ha mossa ad amore. Fui pregata, supplicata, i suoi meriti me ne fecero schiava, fui stretta d'assedio da un'astuta maestra qual Celestina e sedotta da ripetute e insidiosissime visite prima di corrispondere interamente al suo amore. E da un mese a questa parte, ne sei testimone, non una sola notte è passata senza che il muro del nostro giardino non fosse scalato come bastione di fortezza. Non di rado è venuto per niente. E non m'ha mostrato per questo più pena o dispiacere. Per causa mia, son morti i suoi servitori, la sua fortuna è in rovina. Ha dovuto fingersi assente agli occhi dell'intera città, a doppia mandata s'è chiuso in casa nella sola speranza di potermi vedere la notte. Bando all'ingratitudine, bando alle lusinghe e agli inganni con un amante tanto devoto! Non voglio marito, né padre, né parenti. Che se mi manca Calisto, mi manca la vita. E se amo la vita, è perché egli possa godere di me. LUCRECIA Taci signora. Stanno ancora parlando. PLEBERIO Che te ne pare, dunque, signora mia? È bene che se ne parli alla nostra figliola? Dobbiamo metterla a parte dei tanti che la chiedono in sposa, affinché lei di sua volontà ci dica chi le pare più acconcio? Che a questo riguardo, le leggi danno libertà di scelta agli uomini e alle donne, fatta salva comunque l'autorità del padre. ALISA Che dici? Perché perdi il tuo tempo? Chi potrebbe comunicare a Melibea una così grande novità, senza ferirla? Pensi forse che sappia cosa sono gli uomini? Che vuol dire sposarsi e che cos'è matrimonio, e se sia l'unione d'un uomo e d'una donna a dare la vita? Credi forse che la sua virginale innocenza possa suggerirle il turpe desiderio di ciò che non conosce né ha saputo mai? Credi tu che sappia cosa vuol dire peccare, anche solo col pensiero? Certo che no, Pleberio, signor mio. Sia egli di alto o di umile stato, brutto o di aspetto leggiadro, colui che le ordineremo di prendere accetterà e terrà per buono. So ben io come ho tirato su mia figlia e come l'ho vigilata. MELIBEA Lucrecia, Lucrecia. Affrèttati, presto! Entra in sala dalla porticina che sai. Metti fine ai loro discorsi. Smettano finalmente di coprirmi di lodi. Simula qualche ambasciata, se non vuoi che mi metta a gridare come un'ossessa, tanto mi rende furiosa l'idea ingannevole ch'essi hanno della mia innocenza. LUCRECIA Vado, signora. ATTO XVII Argomento ‹Elicia, cui fa difetto la castità che fu di Penelope, decide di dismettere la pena e il lutto, lodando a detto proposito il consiglio di Areúsa. Va a casa di costei. Sopraggiunge Sosia. A lui Areúsa strappa con diversi raggiri il segreto di Calisto e Melibea.› Personaggi: Elicia, Areúsa, Sosia. ELICIA Questo lutto intralcia non poco i miei affari. Poca gente gira più per casa. E poco traffico per strada davanti alla mia porta. Poche mattinate, meno canzoni d'amici e disfide a coltello. Poche risse notturne per causa mia e, quel che più mi pesa, non si vede ombra di quattrino né un regaluccio da niente che varchi questa povera soglia. E tutto per colpa mia. Oh se l'altro giorno avessi seguito il consiglio di chi mi vuol così bene e che mi è più che sorella quando le accennai a questo triste caso dal quale mi vien tutta questa miseria, ora non mi vedrei sequestrata tra quattro mura, sola come un cane! Devo proprio avere una faccia da far schifo se nessuno vuole vedermi. È il diavolo che mi fa struggere di dolore per chi non si sarebbe preso il fastidio di piangere un minuto se mi avesse saputa morta. Parole sante le sue, quando m'ha detto: non darti pena e non metter su questa faccia da funerale per il male o la morte di chi ti ripagherebbe con tutt'altra moneta. Fossi morta io, Sempronio non ci avrebbe pensato due volte a consolarsi. E allora, pazza che sono, a che pro affliggersi perché a costui hanno mozzato la testa? E poi non avrebbe tolto di mezzo anche me, come ha fatto con questa vecchia che io tenevo per madre, tant'era fuori di sé il dissennato? Ma ora voglio seguire per filo e per segno il consiglio d'Areúsa, che molto meglio di me sa come vanno le cose di questo mondo. E voglio vederla sovente, e trovare in lei la forza per andare avanti. Che piacevole amicizia, la sua! E come è dolce parlare con lei! Non per niente si dice: vale più una sola giornata di un uomo saggio che non la vita intera d'un babbeo e d'uno sciocco patentato. Fammi toglier di dosso questo lutto, fammi mettere da parte ogni tristezza, bandire quelle lacrime che sono sempre così leste a correr giù per le guance. Piangere: questa è la prima cosa che ci vien da fare nascendo. Ecco perché è così facile incominciare e ci costa tanto fermarci. Ma a questo serve il buon senso: quel che si perde salta subito all'occhio e sono gli ornamenti a far belle quelle che belle non sono, le vecchie giovani e le giovani più giovani ancora. I belletti e la biacca altro non sono che panie nelle quali incappano gli uomini. E allora, sotto mio specchio! Sotto con le tinture! Che questi miei occhi me li vedo proprio cerchiati. E sotto con le mie bianche cuffiette, con i collarini ricamati, con i miei abitini da festa. E lasciatemi preparare una buona liscivia per questi miei capelli che stanno perdendo i loro riflessi dorati. E poi, via a contar le galline, e a rifare il letto, che rassettare tonifica il cuore; di corsa a scopare davanti all'uscio e a innaffiare la strada, ché quelli che passano vedano che ogni lutto è stato bandito. Ma prima di tutto, lasciatemi andare da mia cugina, che voglio chiederle se Sosia s'è fatto vivo con lei e se ha concluso qualcosa. Non l'ho più vista da quando ho detto a Sosia che voleva parlargli. Dio voglia che la trovi sola, senza il codazzo d'innamorati, che da lei non mancano mai, come gli ubriachi a taverna. La porta è chiusa. Non dev'esserci nessuno. Lasciami bussare. Toc toc. AREÚSA Chi è? ELICIA Apri. È la tua amica Elicia. AREÚSA Entra, sorella. E che Dio ti protegga. Oh che piacere vederti messa un po' come si deve, senza quegli orrendi vestiti a lutto. Ora sì che ce la spasseremo insieme, verrò a trovarti e ci si vedrà un giorno da me e un giorno da te. Mi viene il sospetto che la morte di Celestina non sia stata quel gran male per noi. A me, per esempio, non mi sono mai andate così bene le cose. Per questo si dice che i morti aprono gli occhi ai vivi, agli uni lasciando ricchezze; agli altri, ed è quello che è capitato a te, la libertà. ELICIA Bussano alla porta. Proprio ora che avevamo appena cominciato a parlare! Volevo chiederti se Sosia è poi venuto da te. AREÚSA No, non s'è fatto vivo. Ma di questo discuteremo più tardi. Ma che cosa sono 'sti colpi? Lascia che vada ad aprire. O è un pazzo o è di casa. Chi è? SOSIA Aprimi, signora. Son io, Sosia. Il servo di Calisto. AREÚSA (Per tutti i santi del cielo. Quando si parla del lupo... Vien qua, sorella. Dietro questo paravento. Ti faccio vedere io come me lo lavoro. Che lo gonfierò a tal punto di vento che quando se ne andrà crederà d'esserci lui solo al mondo! E gli caverò dal gozzo, a furia di moine, il suo e quello degli altri, come lui con la striglia ripulisce il pelo ai cavalli.) È proprio Sosia, il mio amico del cuore? Quello a cui voglio un mare di bene senza che nemmeno lo sappia? Quello che ho tanto desiderato conoscere per tutto il bene che se ne dice in giro? Il servo devoto del suo padrone? Il compagnone? Lasciati stringere forte, amor mio. Ora che ti ho qui, vedo che quanto a virtù sei mille volte meglio di quel che si dice! Dài, vieni dentro! Sediamoci. Che sei una festa per gli occhi. Mi par di vedere il mio povero Pármeno. Se è una così bella giornata è perché dovevi venirmi a trovare. Dimmi, signore, m'avevi mai vista prima? SOSIA Signora, la fama della tua bellezza, delle tue grazie e della tua saggezza vola così alta nel cielo di questa città che non devi stupire vi sia più gente che ti conosce di quanta tu non ne conosca. Non v'è chi, dovendo sciogliere una lode alla bellezza, non pensi prima a te. ELICIA (Oh il figlio d'una baldracca! Il pezzentone! E come si scozzona! Chi t'avesse visto portar i cavalli all'abbeveratoio, montando a pelo, le gambe larghe, con la casacca sdrucita non ti riconoscerebbe, azzimatino come sei, con tanto di brache e di cappa, e con di fuori le ali, e tutta 'sta lingua!) AREÚSA Non fossimo soli, sarei già arrossita tanto ti prendi gioco di me! Ma a voi uomini certe paroline mielose non fanno davvero difetto. Non ci mettete molto a snocciolar smancerie di quelle insidiose, e come fatte su uno stesso stampino, eguali per tutte. Ma se credi di darmela a bere ti sbagli di grosso. E poi, Sosia, a te non servono certi mezzucci. Che per volerti bene mica mi occorre tutto questo spreco di lodi. M'hai già conquistata. A che pro conquistarmi di nuovo? T'ho pregato di venirmi a trovare per due buone ragioni. Ma se insisti con queste svenevolezze e con questi espedienti, bada che non te ne faccio parola. E pazienza se ne va del tuo bene. SOSIA Prendermi gioco di te? Guarda che io a tutto pensavo meno che al gran favore che volevi concedermi e che ora mi fai. Io non mi sentivo degno neppure di allacciarti le scarpe. Comunque, guida tu la mia lingua. Formula tu domande e risposte, che io mi limiterò a sottoscrivere tutto, senza far storie. AREÚSA Amor mio. Tu sai quanto bene ho voluto a Pármeno... e sai che c'è quell'adagio che dice "chi è amico dei miei amici è mio amico". Non c'era uno solo dei suoi compagni che non mi piacesse. Quanto al suo padrone, non meno di lui avevo a cuore che fosse convenientemente servito. Se mi pareva di scorgere un danno per Calisto, mi premuravo di metterlo in guardia. Per questo ho deciso di confessarti tutto l'amore che ti porto, e quanto avrei caro di ricevere visite tue. E non avrai ragione di pentirtene; che anzi mi prendo fin d'ora l'impegno di fare tutto il possibile perché ti trovi come un pascià. Una seconda cosa: ormai sai che non ho occhi che per te; su di te ho riversato il mio amore e tutte le mie premure. Per questo vorrei metterti in guardia... e pregarti di non spiattellare ai quattro venti il tuo segreto. Hai visto quanto male sia venuto a Pármeno e a Sempronio dalle confidenze di Celestina. E io per nulla al mondo vorrei vederti morire nel fiore degli anni, come il tuo povero amico. Mi basta e avanza aver dovuto piangerne uno. Devi infatti sapere che è venuta da me una persona... e m'ha riferito che tu gli avevi svelati gli amori di Calisto e Melibea, e di come Calisto l'avesse conquistata, e come notte dopo notte tu lo accompagnassi ai suoi incontri d'amore e altre cose che ora mi sfuggono. Bada amico. Che non saper tenere un segreto è proprio delle donne, e non di tutte, ma delle mezze calzette, e dei bambini. Bada, che non te ne può venire che del male. Per questo Dio t'ha fatto due orecchie e due occhi, ma una lingua soltanto; perché quel che vedi e che senti sia il doppio di quel che dirai. Bada, non credere che il tuo amico serbi il segreto su quanto gli hai detto; posto che non l'hai saputo mantenere tu stesso. E quando ti capiterà di accompagnare Calisto in casa di quella signora, fai piano, non fiatare: non ti far sentire neppure dall'aria; che quel tale mi ha detto che ci andavi ogni notte strillando come un buffone di corte! SOSIA Svergognati e villani son quelli che t'hanno riferito tali notizie, signora. E mente per la gola chi t'ha detto d'averlo sentito dalla mia bocca. Tutte fantasie di chi m'avrà visto di notte, e prima delle dieci comunque, al lume della luna, portare a dissetare i miei cavalli, allegro e senza pensieri, canticchiando per dimenticare le mie malinconie e tener lontana la noia. E siccome dei loro sospetti avranno fatto certezza, ora affermano senza ombra di dubbio quello che hanno soltanto immaginato. Bene. Sappi che Calisto non è così pazzo da andare a cacciarsi a un'ora simile in un'avventura tanto rischiosa. Quello che fa è aspettare che tutti si siano coricati da tempo e che dormano il primo sonno. E men che mai s'arrischierebbe a farlo tutte le notti. Che queste son cose che non ammettono una frequenza quotidiana. E se vuoi avere la prova della falsità di costoro, a ragione si dice che prima del cieco e dello sciancato s'acciuffa il mentitore, sappi che in un mese ci saremo andati sì e no otto volte, e non quante dicono quegli impostori. AREÚSA E allora dimmi, vita mia, affinché io possa rinfacciargli tutte le loro bugie e prenderli nella trappola delle loro falsità, dimmi per filo e per segno i giorni che avete combinato di andare. Che se quelli si sbagliano avrò la prova provata della tua discrezione e delle loro infami calunnie. E poi, risultando falsa la loro versione dei fatti, tu sarai al riparo da ogni pericolo e io non starò lì a penare per la tua vita. Che la mia speranza è di poter vivere a lungo felice con te. SOSIA Non facciamola troppo lunga, signora. Stanotte, al tocco delle dodici, han concordato d'incontrarsi nel giardino. Domani, domanderai quel che se ne è saputo. E se qualcuno ti darà la prova che ho mentito, mi lascerò tosare i capelli a forma di croce, come si fa con i pazzi da legare. AREÚSA E da dove entrerete, anima mia, affinché possa metterli in sacco semmai esitassero? SOSIA Dalla strada del vicario grasso, proprio dietro casa. ELICIA (Eccoti in trappola, emerito signor straccione! Era quello di cui s'aveva bisogno. E in malora chi si fida d'un tale stalliere. E che abbaglio si è preso, il balordo!) AREÚSA Fratello Sosia, quanto hai detto basta perché mi faccia garante della tua buona fede e della doppiezza dei tuoi nemici. Va' con Dio. Che ora devo occuparmi di un'altra faccenda, che di tempo con te ne ho passato fin troppo. ELICIA (Oh donna sagace! Come l'ha liquidato! Da quell'asino che è, con quanta leggerezza s'è svuotato del suo segreto!) SOSIA Graziosa e dolce signora, perdonami se con il mio troppo indugiare ti sono dispiaciuto. Sappi che fin quando vorrai tenermi al tuo servizio, non troverai nessuno che più volentieri avventurerà la vita per te. AREÚSA E che Dio accompagni i tuoi passi... Al diavolo, dannato stalliere. Guarda te le arie che ha messo su il babbeo! Questo è perché ti riempia gli occhi; e Giuro, per il santissimo corpo delle litanie, che il mio braccio dritto, una volta che ha impugnato anche solo il bastone, non può impedirsi d'uccidere più di quanto non possa il sole di far giri per il cielo. AREÚSA Nessuna pietà, sorella. Che faccia come gli detta l'estro e che lo accoppi nel modo che vuole. Che Melibea pianga come t'è toccato a te. Ora lasciamolo andare. Centurione, esegui a puntino quel che ti si è ordinato. Qualunque morte ci andrà bene e fa' che non la sfanghi senza aver pagato in qualche modo lo scotto per la sua colpa. CENTURIONE Che Dio lo perdoni, sempre che non ci pensino le gambe a metterlo in salvo. Quanto a me, signora, ho caro mi si presenti un'occasione, quantunque modesta, per mostrarti quello cui l'amor tuo mi impegna. AREÚSA Che Dio guidi la tua mano. Ti raccomando a Lui. Andiamo. CENTURIONE Che guidi i tuoi passi e ti dia per l'avvenire più pazienza con chi ti vuol bene. Al diavolo queste puttane che tracimano di belle parole! Ora devo trovare il modo di scansare quel che ho promesso e di far credere loro che mi ci sono messo di buzzo buono, deciso a portare a buon fine quello che tanto gli preme, e non a disertare il campo per mettermi in salvo. E se fingessi d'essere malato? Sì, ma... che ci guadagno? Quando sarò guarito, non mancheranno di tornare alla carica. E dire che sono andato e che in quattro e quattr'otto li ho messi in fuga? Mah! E se poi volessero saperne di più? Chi c'era, e quanti facevano parte della brigata, e dove li ho sorpresi, e come erano vestiti...? Saprei forse che cosa rispondere? Ahimè, mi sa che tutto è perduto. Da che parte battere la testa per soddisfare in un sol colpo la mia sicurezza e le loro pretese? Lasciami mandare a cercar Trasone lo sciancato e i suoi compagni. Gli dirò che stanotte sono preso in tutt'altra faccenda, e che vada lui per me a far un po' di rumor di scudi e di spade, come a simulare battaglia, solo per mettere in fuga una teppa di ragazzacci. Roba da niente: andare, farli filare e tornarsene a letto. ATTO XIX Argomento ‹Andando Calisto, in compagnia di Sosia e Tristán al giardino di Pleberio dove Melibea lo sta aspettando con Lucrecia, ascolta da Sosia il racconto di quello che gli è accaduto con Areúsa. Calisto è dentro il giardino con Melibea. Accorrono Trasone e i suoi per fare, su commissione di Centurione, ciò che costui aveva promesso a Elicia e Areúsa. Sosia gli si scaglia contro. Calisto, udito il trambusto dal giardino nel quale s'intrattiene con Melibea, vuole a sua volta uscire. È in questo frangente che hanno fine i suoi giorni. Tale è la ricompensa riservata ai suoi pari, e da essa debbono gli amanti apprendere a disamare.› Personaggi: Sosia, Tristán, Calisto, Melibea, Lucrecia. SOSIA Piano, piano. Che non ci sentano! Da qui al giardino di Melibea ti racconterò, fratello Tristán, quel che oggi mi è capitato con Areúsa e che mi ha fatto l'uomo più felice del mondo. Devi sapere che, per le buone nuove che le erano giunte all'orecchio sul mio conto, s'era incapricciata di me, tanto che mandò a sollecitare una mia visita. E, tralasciando quel che di carino ci dicemmo l'un l'altra, lei mi svelò come fosse mia non meno di quanto prima era stata di Pármeno. Quindi mi pregò di andare a farle visita sovente, che voleva godere a lungo del mio amore. E ti assicuro che, com'è vero che sono in me e che questa è una strada infame, dicevo ti assicuro che due o tre volte sono stato sul punto di saltarle addosso, non fosse stato per la vergogna di vedere lei così bella e tutta agghindata e me con una cappa lisa e smangiucchiata. Al suo passaggio, esalava un soave profumo come di muschio... e io puzzavo come un caprone per lo sterco che m'inzaccherava le scarpe. Le sue mani erano bianche come la neve e quando di tanto in tanto si sfilava i guanti pareva che un profumo d'arancio si spandesse per tutta la casa. Se poi aggiungi che aveva da fare, capirai come abbia tenuto in serbo i miei slanci per un'occasione migliore. Del resto lo sai bene che al primo incontro certe cose non sono per niente facili da dire e che richiedono per essere ben capite che le si dica e ridica più volte. TRISTÁN Sosia, amico mio. Ben altra sagacia e ben più maturo consiglio del mio occorrerebbero per guidarti in questa faccenda. Ma lascia che ti dica quel poco che la mia giovane età e il mediocre intelletto me ne hanno fatto capire. Ti dirò allora che questa signora, da come me l'hai descritta, pare a me una puttana patentata; e puoi stare sicuro che quello che c'è stato tra voi è frutto di purissimo inganno. False le sue profferte d'amore, anche se non saprei dirti a che pro. Ti pare che possa amarti perché sei un bell'uomo? Pensa a quanti più piacenti di te ne avrà rifiutati. Perché facoltoso, allora? Ma lei sa bene che l'unica cosa che possiedi è la polvere che ti s'attacca alla striglia. Perché di alti natali? Ma come vuoi che le sfugga che non sei altro che il povero Sosia, sputato tuo padre: nato e cresciuto in paese per spaccarti la schiena dietro l'aratro. Cosa per la quale mi sembri più tagliato che per fare il cascamorto. Rifletti, Sosia. E vedi piuttosto di ricordare se non voleva strapparti qualche indizio sul tragitto che stiamo facendo, per poter seminare zizzania tra Calisto e Pleberio, magari solo a causa dell'invidia del piacere di Melibea. Sai bene che l'invidia è un male che dove si attacca muore, un ospite capace di mettere sottosopra l'intera locanda, e la cui unica ricompensa è gioire dei mali degli altri. Se le cose stanno così, lo vedi bene quanto questa femmina infìda ti volesse ingannare, grazie a uno di quei nomi pomposi dei quali si fregiano le donne del suo stampo. Ed è tale il suo perfido vizio che accetterebbe di buon grado di dannarsi l'anima pur di soddisfare il suo appetito, e non arretrerebbe di un passo pur di dar sfogo al suo perverso disegno. Oh, la svergognata, se sapeva indorare la pillola! Venderti il suo corpo, voleva, in cambio di brighe. Ascolta. E se pensi che non mi inganno, da' retta a me, rendile pan per focaccia. A baro, un baro e un pezzo! Non c'è volpe cui di quando in quando non attraversi la strada una volpe più astuta! Scava la contromina ai suoi rii disegni. Espugna il bastione della sua infamia. E quando l'avrai in pugno, potrai a cuor leggero cantare nel tuo stabbio: una cosa pensa il baio, altra chi lo insella. SOSIA Oh, amico Tristán, così giovane e già tanto assennato! M'hai messo in guardia, meglio di quanto si chieda alla tua età. Hai alzato un sospetto sui suoi loschi raggiri. E credo non ti sia ingannato. Ma ecco il giardino; sta venendo il nostro signore. Lasciamo questa faccenda per un altro giorno. CALISTO Sistemate la scala, ragazzi, e tacete. Mi pare di sentire la mia signora parlare in giardino. Mi arrampicherò sul colmo del muro e starò ad ascoltarla, per cogliere qualche prova d'amore che lei voglia dare in mia assenza. MELIBEA Per l'anima mia, Lucrecia, séguita a cantare. Mi dà sollievo sentirti, in attesa che arrivi il mio signore. Canta con appena un filo di voce tra questa verzura, ché non ci sorprenda gente di passaggio. LUCRECIA Oh fossi la signora di questo giardino in fiore avvinto terrei il tuo amore fino a che giunga l'aurora. Sfoggino nuovi colori il giglio e il fiordaliso spargan freschi i loro odori tutt'attorno al suo bel viso. MELIBEA Oh, come m'è dolce l'udirti! Per amor mio, continua. LUCRECIA Lieta scorre la fonte a chi per gran sete ardea. Quant'è più dolce la fronte di Calisto a Melibea! Che, seppure è notte scura, al vederlo esulterà affacciarsi alla verzura al sen stretto lo terrà. Il lupo con gran diletto la sua preda ha fiutato succhia beato il capretto Melibea brama il suo amato. Mai vi fu più desiato amante dalla sua amata né giardin più visitato né notte meglio vegliata. MELIBEA Ogni cosa che intoni, Lucrecia amica mia, prende corpo: mi par di veder tutto con i miei occhi. Ma, ti prego, continua il tuo canto armonioso. Voglio unirmi a te. MELIBEA E LUCRECIA Oh soavi alberi ombrosi inchinatevi al passaggio degli occhi belli e amorosi di colui che m'ha in ostaggio. Oh stelle mie, splendenti guide e annunzi dei giorni perché non destate suadenti l'amor mio perché ritorni? MELIBEA Ascoltami ora, che voglio cantare da sola. Lodolette, usignoli che fate la mattinata al mio ben volgete i voli ché l'attende l'amata. Già mezzanotte è passata e lui non viene ditemi se altra innamorata me lo trattiene. CALISTO Mi tiene in ostaggio la dolcezza angelica del suo canto. Non sia che lei debba struggersi ancora nell'attesa. Oh, signora mia! Mio bene! Credi forse che esista al mondo donna capace di offuscare le tue virtù? Oh melodia giunta inattesa ai miei orecchi! Oh istante infinito! Cuor mio! Perché non hai pazientato oltre, perché interrompere questo piacere, per soddisfare il desiderio di entrambi? MELIBEA Oh soave tradimento! Oh dolce sorpresa! Il mio signore, l'anima mia? È lui? Non oso crederlo! Dove t'eri nascosto mio sole, luce mia? Da quanto tempo ascoltavi il mio canto? Perché hai lasciato che disperdessi nel vento vane parole con la mia roca voce di cigno? Il giardino intero si rallegra per la tua venuta. Guarda la luna come ci si mostra chiara nel cielo! E come s'apre un varco tra le nubi! Ascolta l'acqua che sgorga da questa piccola fonte, con quale dolce mormorìo scorre tra la verzura! Senti stormire gli alti cipressi al vento mite che li accarezza! Guarda la loro placida ombra: come si fa scura per offrire uno schermo ai nostri piaceri. Lucrecia, amica, che hai? Anche tu ti senti pervasa di piacere. Lascialo, non soffocarlo, non opprimere le sue dolci membra con i tuoi abbracci importuni! Lascia che goda di quel che m'appartiene. Non trattenere per te la mia felicità. CALISTO Oh signora, beatitudine mia. Se vuoi che viva, non interrompere il tuo melodioso canto. Che la mia presenza, che sembra ti rallegri, non riscuota minor premio della mia assenza che t'è di tormento. MELIBEA Che vuoi che canti, amor mio? E come potrò, se era il desiderio di te che dava fiato alla mia voce, che faceva risuonare il mio canto? Ora che sei al mio fianco, s'è appagato il mio desiderio e il tono della mia voce s'è franto. Ma tu, mio dolce signore, specchio di cortesie e di squisite maniere, come puoi ordinare alla mia lingua di parlare e non alle tue mani di star ferme? Sù, smetti una buona volta con queste sconvenienze. Tienile a freno, impedisci loro di dar tanto intollerabile prova di sé, che par quasi che parlino in tua vece. Bada, angelo mio, che tanto m'è cara la tua presenza discreta, tanto penosi mi sono i tuoi modi villani. Tanto mi piacciono le tue celie garbate, tanto mi spiacciono le tue mani scostumate quando passano il segno. E non tormentare le mie vesti: se vuoi sapere se quella di sopra è panno o seta perché mi sgualcisci la camicia? Sta' certo, è di tela. Divertiamoci, scherziamo in mille altre maniere, ma non stropicciarmi tutta com'è tuo solito. Che ci guadagni a fare così? CALISTO Signora, chi vuol mangiar uccelli prima li spiuma. LUCRECIA (Mi venga un canchero se sto ancora a sentirti! È vita questa? Io sono qui che ho l'acquolina in bocca, e questa fa la ritrosa, solo per farsi pregare! Ohi ohi, non si sente volare una mosca. Non c'è stato davvero bisogno che si scomodasse un paciere! Quanto a me, non mi tirerei certo indietro, se questi servi babbei si facessero avanti di tanto in tanto, senza aspettare che sia io a cercarli.) MELIBEA Signor mio, vuoi che ordini a Lucrecia di portar qui del cibo? CALISTO Nessun altro cibo che non sia il tuo corpo e la tua bellezza. Mangiare e bere non te li lesina nessuno. Sol che paghi, ogni momento e ogni occasione è buona. Ma di quel che non si vende, di ciò che non trovi al mondo se non in questo giardino, come vuoi ch'io smetta di godere anche per un solo minuto? LUCRECIA (Mi scoppia la testa dal tanto starli a sentire. Loro non la smettono un attimo di cicalare, né le loro mani di trastullarsi, né le loro bocche di sbaciucchiarsi. Di nuovo silenzio di tomba! Mi sa che corrono la terza cavallina!) CALISTO Signora, non vorrei che facesse mai giorno, tanto è il piacere e il ristoro che i miei sensi ricevono dalla nobile conversazione con le tue angeliche membra. MELIBEA Son io, signore, che ne ho maggior piacere. E tu mi colmi di grazie quando ti degni di rendermi visita. SOSIA E così, gaglioffi e traditori venivate a metter paura a chi non vi teme. Sull'anima mia, se non ve la date a gambe prima, vi farò trottare io! CALISTO
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