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LA CIOCIARA, Moravia, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti dettagliati sui capitoli del libro "La Ciociara"

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 28/05/2021

beatrice-grillo
beatrice-grillo 🇮🇹

4.4

(14)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica LA CIOCIARA, Moravia e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LA CIOCIARA di MORAVIA 18 NOVEMBRE La Ciociara è un romanzo di Moravia che venne scritto all’incirca intorno al 1946, opera messa in contrapposizione con “La Romana”. Il NARRATORE è:  una DONNA, e questo elemento crea l’impossibilità di confondere il narratore con l’autore;  POPOLANO , quindi ignorante; Moravia inizia a scrivere nello stesso periodo anche “La Romana”, storia di una prostituta che racconta come si avvicina a questo mestiere; qui la narratrice è la persona migliore dal punto di vista morale e colui le dà la prima spinta a diventare prostituta è il capo della polizia fascista. Moravia rappresenta un mondo corrotto dove coloro che dovrebbero ricoprire posizioni di rilievo e rispetto sono quelli più sporchi e corrotti. Nell’Amore molesto così come nella Ciociara, vengono messi al centro della narrazione il punto di incontro tra madre e figlia: nel primo caso si ha il punto di vista della figlia mentre nel secondo quello della madre. Il punto di vista non è la voce narrante. Il NARRATORE INTERNO NON E’ ONNISCENTE, quindi non sa tutto, e il loro racconto presenta aspetti di problematicità, quindi non siamo così sicuri che ci raccontino la verità. Cesira non perde occasione per esprimerci i limiti della sua narrazione. CESIRA ci parla della questione del DENARO, ossia di come si strumento di corruzione e non fondamentale alla vita. Moravia mette in scena un personaggio che ha una morale discutibile, molto distante dall’autore. Si tratta di una bottegaia lontana dall’amore maschile ma vicino a quello nei confronti della figlia. Il NARRATORE è INATTENDIBILE. Nell’Amore molesto, la narratrice Delia, indaga sulla morte della madre (annegamento) trovata vestita solo con un reggiseno. In prima approssimazione si ha un romanzo giallo. La Ferrante nell’utilizzo di nomi simili (Delia-Amalia) vuole creare una sorta di sovrapposizione tra i personaggi, renderli quasi intercambiabili. La scoperta della madre diventa la scoperta di se stessa. Mettendo a confronto i due romanzi si è giunti alla conclusione che, nonostante trattino tematiche così distanti, hanno elementi molto simili. La MODALITA’ DI NARRAZIONE è fortemente ORALE. Si possono identificare 3 fasi della narrativa moraviana: 1. 1929 – 1942/3 Dall’esordio con “Gli indifferenti” ad “Agostino”, ragazzino 13enne che capisce cos’è la vita. 13 anni è l’età a metà tra la pubertà e l’età adulta; qui scopre la differenza tra ricchezza e povertà, conosce il sesso ed il denaro. Il punto di vista è privilegiato nei confronti dei personaggi, si ha focalizzazione interna e narratore esterno. 2. 1944/45 ● “Romana”: nonostante sia una prostituta, la narratrice usa un linguaggio distante da quello del tutto popolare. ● “La Ciociara”: romanzo ripreso dopo il successo dei Racconti romani. ● “Racconti romani”, racconti proverbiali usciti prima della pubblicazione sul Corriere della Sera. Si ha la messa in scena di un narratore interno e popolano quindi non particolarmente intelligente. Mettere in scena un narratore popolano significa mettere in gioco una LINGUA popolare, in particolare un DIALETTO. la coloritura dialettale è più controllata: Cesira non parla ciociaro e quando utilizza il dialetto lo spiega; viene utilizzata una lingua scritta che fa intendere il parlato. Il dialetto, così come l’utilizzo di questa lingua a metà dal popolano allo scritto, si diffonde grazie al cinema neorealista e la grande commedia all’italiana. Il NEOREALISTO parla del popolo facendoci intuire che il popolo è nettamente migliore dei ceti ricchi. La scelta rappresentativa della Ciociara è una polemica chiara contro l’idealizzazione dei ceti popolari, caratteristica del periodo e delle poetiche neorealistiche. 3. 1960 Con “La noia” Moravia mette in scena dei narratori intellettuali, che hanno elementi in comune con l’autore ma che non vanno confusi con quest’ultimo siccome anch’essi hanno qualche elemento di non affidabilità. Il TITOLO è fortemente geografico, che dà rilevanza anche ad un livello culturale. Il titolo narra anche parte della storia: Cesira e la figlia Rosetta, a causa della guerra, tornano in Ciociaria. Il pragmatismo di Cesira finirà per somigliare allo stoicismo di Moravia. La Ciociara è il romanzo che Moravia scrive subito dopo la guerra in quanto racconta una storia autobiografica. Il primo germe del romanzo la Ciociara sta in un pacchetto di 11 racconti autobiografici, 8 pubblicati sul Corriere della Sera, e 3 sulla Stampa di Roma. anche se Moravia allontana appositamente la ciociara da sé, si tratta di un’autobiografia. Il 23 maggio del 1944 gli americani sbarcano ad Anzio. La Ciociara è il romanzo a cui Moravia ha lavorato più a lungo. La COSTRUZIONE NARRATIVA è complessa: il romanzo è ampio, Moravia deve trovare un equilibrio tra i fatti e la narrazione di Cesira. La caratteristica grafica per cui le pagine sono tutte piene, prive di stacchi, vuole stare a determinare un lungo flusso narrativo. Cesira racconta usando in continuazione degli intercalari molto da parlato ( si sa, per così dire…) che rimandano a chi sta parlando e a un riferimento alla popolarità. In apertura al romanzo vi è un’esclamazione. Cesira è un IO che usa spesso la 2° PLUR. La presenza continua ad un interlocutore sta a ribadire il fatto che stia parlando con qualcuno vicino a lui. Si ha una sintassi molto elementare formata da sovrapposizioni di frasi legate con la preposizione copulativa E. il narrato è spesso interrotto da un linguaggio ridondante, perlato. IL TESTO Cesira ci racconta la sua maniacale fissa per la pulizia della casa: qui vediamo i limiti della cultura di questa donna, le interessa solo pulire e ordinare casa, ma allo stesso tempo ci prepara all’esilio e all’abbandono della casa. Cesira ci ricorda che amava andare a fare la spesa, in particolare la sua capacità di contrattare, simbolo del fatto che sa fare i conti con la realtà. Fin dalle prime pagine Cesira mette in gioco la possibile violenza maschile. Si tratta di una tematica che emergerà in tutto il racconto. Rosetta viene descritta come un agnellino, è giovane, è ingenua e idealizzata anche in maniera religiosa (agnello sacrificale). Lo stupro di Rosetta avverrà in una chiesa distrutta dalla guerra. L’immorale avviene in un luogo sacro. Cesira ci dice che con la morte del marito inizia il periodo più bello della sua vita: si tratta non solo di disinteresse nei confronti degli uomini ma anche la sua superficialità “Morì alla fine; e allora io mi sentii di nuovo quasi felice” (pag. 8). Cesira vorrebbe curarsi i propri affari ed essere estromessa dalla storia collettiva. astratta; l’astrattezza caratterizza Michele e, come sapete, caratterizza anche Rosetta, su questo torneremo. Questo comincia a farci capire meglio come Moravia giochi con Cesira una partita doppia, nel senso che Cesira è limitata come lui pone il problema che i valori, l’astratta comprensione, che tutto ciò che è positivo, ma rigidamente separato dalla realtà, deve non entrare a patti con la realtà, ma essere mediato dalla consapevolezza che è anche capacità di adattamento, che anche è l’apprezzamento della realtà nella sua complessità. Dovremo per forza presto parlare anche di quello che succede a Michele, che è generoso, morale, puro, ma Michele si scontrerà con la durezza della guerra. Rosetta, pura, quindi i puri saranno entrambi gli agnelli sacrificali a fronte della violenza della guerra. Le vicende che Cesira si trova a vivere, non esattamente ad esprimere perché in entrambi i casi non sarà testimone diretta, ma su questo torneremo in maniera un po’ più articolata fra poco, Cesira, vivendo queste vicende, si fa portatrice di una moralità che: o da un lato si arricchisce dal punto di vista della sua comunità, della capacità di esprimere la vicinanza e l’affetto o dall’altro lato ci mostra come al vita imponga una capacità pragmatica di adeguamento che i giovani astratti e puri non hanno e pagano a carissimo prezzo. Però come vedete si forma un quadrilatero, una doppia coppia di personaggi che fra loro hanno delle evidenti corrispondenze, che sono anche poi delle sfasature significative, a cominciare dal fatto banale, ovviamente significativo, che Rosetta è femmina e Michele è maschio. Rosetta è femmina e bella e Michele maschio e, se non bello, è certo un po’ piacente e comunque interessante —> sono fatti l’uno per l’altra, sono puri, parlano lo stesso linguaggio. In realtà succede che, da un lato Rosetta è fedele al suo fidanzato e soprattutto non le parso neanche di andare e tradire il suo fidanzato e di avvicinarsi a Michele, però si piacciono, fanno passeggiate insieme etc., e ovviamente Cesira, che è rozza ma realista, spera che fra i due succeda qualcosa, perché comunque, detta in maniera un po’ brutale, Michele sarebbe un buon partito per Rosetta. Ma le cose non vanno così, anche perché Michele, nella sua purezza astratta, è l’altro, forse ateo, come abbiamo detto, usa sistematicamente la religione come parabola, come strumento; è laico in questo senso, è comunista ma Cesira, che conosce la gente del popolo, quando gli chiede degli operai, capisce che non sa niente del popolo. (un’ennesima allusione alla distanza di Moravia dal neorealismo). L’illusione del popolo buono —> Cesira sa che i popolani sono bastardi, furbacchioni, come lei. Quindi Michele è dalla parte degli operai, ma non sa come si pongano. È purissimo, generoso, ma generoso fino all’estremo dono di sé, ma d’altra parte non capisce, nella sua rigidezza, nella sua astrattezza, che cosa gli capita. Non guarda tanto alle ragazze. Lui ha davanti a sé i valori; c’è una scena molto rivelatrice, cioè Moravia è un narratore di un’abilità sconvolgente che molti vedono più facile e più semplice di quel che è in realtà, una scena molto significativa in cui Michele entra nella casettina di Cesira e Rosetta e sulle prime non si accorge che c’è Rosetta che in un angolo, dentro una tinozza, è nuda e si sta lavando. Cesira, quando Michele entra e Rosetta è lì nuda ed è un gran gnocca, scusate il termine, spera che Michele la guardi – “scemo te ne sei accorto? Guarda lì che roba che c’ho qua” - e invece no, Michele si accorge che Rosetta è nuda e mostra evidentemente di girare il volto perché non la vuol guardare, cioè non vuol essere così immorale da cedere alla tentazione di guardare a tradimento la bella Rosetta nuda perché sa che la deve rispettare, la rispetta e si gira. E capite che di nuovo nell’elementarità di queste vicende, Moravia gioca una partita sottile, di che cosa? Di rappresentazioni dei valori non semplificata, in cui chi è il furbo? chi è l’intelligente? chi è stupido? Quindi Michele rappresenta una morale astratta, però è importante che Michele sia un personaggio largamente positivo, quindi mette in discussione il valore altrui, Rosetta anche, Michele ancora di più perché parla, perché è intellettuale e uno degli episodi più importanti del libro è quello in Michele racconta e d’altra parte Michele mostra dei limiti ben precisi, pericolosi, che in una situazione di guerra sono ancora più pericolosi, che possono diventare il pericolo mortale per chi mantiene quell’astrattezza, ma forse anche questo è un valore, dall’altro lato però ci fa capire fino a che punto sia importante essere tutti lì davanti alla complessità della vita. Capacità di Moravia di costruire una struttura che in prima approssimazione è rigida, tutti lo vedete, c’è una geometria chiara: 4 personaggi: 1. lui bottegaio furbone 2. lei bottegaia furbona 3. donna con la figlia: idea di lei purissima, devota alla Madonna 4. maschio con il figlio: lui non credente ma che parla sempre di religione, a sua volta purissimo A questa struttura diciamo di base rigida, è in realtà molto mossa all’interno. Aggiungendo anche che spesso, Moravia mette in scena figure di intellettuali che sono problematiche anche quando sono positive e di nuovo lo sguardo di Cesira è uno sguardo diciamo ingenuo, ma nella sua finta ingenuità, rivela delle cose, fra le altre ad un certo punto osserverà che secondo lei Michele è un po’ come un prete. Alludendo di nuovo alla caratteristica di un ceto intellettuale, portatore forse anche di valori positivi, ma incapace di mescolarsi alla realtà; quindi da questo punto di vista Michele è “tanto bravo, ma anche un inetto”, dove ricompare quella inettitudine caratteristica della presentazione degli intellettuali. PAG 136-137: Cesira e Rosetta, sottolineano che loro preferiscono stare con Michele, è una compagnia di livello, è una persona che fa discorsi che non sono quelli che fanno gli altri, i quali giocano a carte e parlano di quattrini, di mangiare e basta, non sanno andare oltre a questo. In Cesira comincia a cresce il fastidio per i discorsi della gente che continua a fare come faceva prima e continua appunto a parlare di quattrini, a giocare a carta, a fregarsene di tutto e dice “questi ballavano, erano banali, mi sembrava che fossero come nelle osterie di paese. Io che non ho mai potuto soffrire il gioco, non capivo come potessero passare le giornate intere a giocare, con quelle carte zozze e unte di cui non si capivano più le figure tanto erano luride, ma peggio era che invece di parlare di interesse di giocare, la compagnia di Filippo discorreva del più e del meno, faceva insomma la conversazione. Sono un’ignorante.” Cesira non solo è consapevole dei suoi limiti, ma continua a dircelo e naturalmente lo fa apposta – “sono ignorante e non mi intendo che di negozi e di terra, ma insomma sentivo tutto il tempo che degli uomini con la barba, adulti e cresciuti, quando uscivano dal campo dei loro interessi, dicevano delle grandi stupidaggini. Questo tanto più lo sentivo in quanto c’avevo il confronto con Michele, che lui non era ignorante come loro, e le cose che diceva, benché non le capissi, sentì tuttavia che erano giuste. Quegli uomini, ripeti, ragionavano come stupidi, o peggio come bestie, se le bestie potessero ragionare. Quando non dicevano proprio delle sciocchezze, dicevano cose che offendevano per la crudezza e per la brutalità”. E ricorderà poi il racconto di uno che è stato in guerra e racconta di come ammazzavano i nemici, racconta di una rappresaglia e con entusiasmo ricordava gli orrori che facevano, compreso ammazzare i bambini, addirittura rovinare e mutilare delle bambine. Però notate tutti i movimenti, da un lato questa ripresentazione di un lessico elementare e di una sintassi di parlato, con queste pause, con questi incisi, con questa apparente incertezza apparente del discorso con cui Moravia mette in scena un discorso di persona ignorante, ma anche appunto questa sottolineatura in cui Cesira dice “io non lo so, però parlo, non ho strumenti, ma sono abbastanza in grado di dirvi delle cose, addirittura davanti a Michele dice ‘non capivo molte volte quello che diceva, ma aveva ragione’”. Come vedete, un’apparente ingenuità in cui però, il risultato finale è che questa Cesira, pur sottolineando i propri limiti è spesso portatrice di affermazioni di carattere generale sulla libertà; quindi il parlare di Cesira in molti casi diventa un parlare perfino sentenzioso, in cui la sua pragmatica attitudine poi, in realtà, diventa un risentimento, anche per i lettori evidentemente. Quindi è un narratore che è sempre percepibile, che è una caratteristica non trascurabile, ma percepibile proprio come narratore e che, appunto, si fa sentire; vi cito un altro piccolo passo, PAG 84, in cui Cesira dice un’espressione che è molto frequente “ci credereste?” come a dire “qualcuno forse mette in dubbio, ma forse anch’io faccio fatica”. Ci sono poi questi tratti orali e vi segnalo già le pagine di quel momento in cui c’è il racconto di Michele. Michele che è comunque la figura di prestigio della comunità e spesso gli viene data la parola. L’episodio, che è un episodio centrale dal punto di vista simbolico, è quello di Michele che, usa il linguaggio della religione; al suo pubblico di popolani che aspettano che lui racconti una storia dice “vi racconterò una bella storia” e Cesira dice “una storia d’amore, vero?” e Michele risponde “sì, vedrai che è una storia d’amore” e gli legge il Vangelo. E legge la parabola di Lazzaro, e in questa parabola di Lazzaro la gente, ovviamente, si aspettava una bella storiella d’amore e quando lui dice “vi leggo il vangelo” sono tutti un po’ delusi. Quindi racconta la parabola di Lazzaro, ma rivelerà anche un messaggio che è quello della parabola di Lazzaro e che è anche il messaggio complessivo del romanzo, adesso ci torniamo su questo, perché Lazzaro è morto e torna vivo. E a fronte degli altri che non capiscono bene l’importanza di questa parabola Michele segnala che il problema è “vita e morte”, sia nel senso che davanti alla guerra si può parlare della vita e della morte, ma tra le prime un senso morale: bisogna avere vita da un punto di vista morale e non bisogna morire, bisogna essere capaci di rendersi conto dell’esistenza degli altri, dei valori veri e anche del fatto che la vita è in sé un valore fondamentale, un valore che va protetto a tutti i costi. Il povero Michele fa una brutta fine: Rosetta verrà violentata da un mucchio di goumiers (soldati marocchini) e Michele, ad un certo punto della storia, ci sono dei soldati tedeschi che passano dove sono loro che vogliono sapere la strada per andare in un posto e chiedono che qualcuno li accompagni. Si capisce che è una situazione ad alto rischio, ma Michele si offre ed è una scena toccante quella per cui suo padre, che capisce il rischio mortale, Filippo si offrirà, dice “vengo io!”, quindi anche Filippo è capace di grande generosità, è pronto a morire al posto di suo figlio e rivela l’altra faccia del suo costante interesse per il danaro. Michele va con questi tedeschi, consapevole del rischio che corre, e sparisce. Dove? Va notato un dato molto interessante, che le tragedie del romanzo avvengono, come nella tragedia classica, fuori dalla rappresentazione: Michele verrà ammazzato e lo si saprà dopo, si teme che succeda e poi si sa che è andata così. Rosetta verrà stuprata insieme alla madre, la scena cercheremo di andarla a vedere, arrivano questi soldati e le saltano addosso; anche Cesira è una signora piacente e quindi danno addosso anche a lei, però si capisce che Cesira reagisce con violenza, però batte la testa e sviene. Non le succede niente, perché è svenuta, e quando si risveglia capisce quello che è successo, la cosa tremenda, si accorge del sangue che scorre tra le gambe di sua figlia e capisce quel che è successo. Ma entrambi i due eventi tragici della storia non sono rappresentati, sono fuori scena e anche questo è un fatto programmatico che, tra l’altro, si ripete spesso in Moravia, a ricordarci che Moravia, quando scrive romanzi, ha sempre presente la distanza fra il romanzo e la tragedia. alludono a quello che deve ancora succedere e che contribuiscono ad alimentare l’attenzione del lettore e, in senso lato, la suspence. “ le madri, si sa ” non commenterò sempre, ma notate continuamente la maniera in cui Moravia dissemina segnali che riportano alle modalità del parlato, cioè uno che scrive e fa un’affermazione generalizzante difficilmente fa un intercalare del tipo “si sa”. “si sa” vuol dire che Cesira allude a un sapere condiviso, analogo a quello dei proverbi. “ non sempre conoscono i figli; ma, insomma, questa è l’idea che io mi ero fatta di Rosetta e anche adesso che lei, come ho detto, è cambiata dal bianco al nero, penso che quest'idea, tutto sommato, non fosse sbagliata.” “Dunque, io avevo tirato su Rosetta con grande cura, proprio come una figlia di signori, sempre badando, a non farle sapere niente di tutte le brutte cose che ci sono al mondo ” forse vale la pena di sottolineare la programmatica banalità di questo lessico, “tutte le brutte cose che ci sono al mondo” è una maniera quasi puerile di esprimersi. “ E, per quanto mi era possibile, tenendola lontana, da queste cose. Io non sono quella che si chiama una donna molto religiosa, sebbene sia praticante: con me la religione va su e giù”. “ E ci sono delle volte, come per esempio quella notte, sulla macera, che mi sembra di crederci davvero e delle altre invece, come nei giorni che dovevamo fuggire da Roma, che non ci credo affatto. In tutti casi la religione non mi fa perdere di vista la realtà” (affermazione importantissima). “che è quella che è, e per quanti preti si affannano a spiegarla e giustificarla, spesso contraddice punto per punto le loro affermazioni. Ma per rosetta le cose andavano diversamente.” e qui riassume, e salto qualche pezzo, che Rosetta ha studiato dalle suore, è stata in semi-convitto, cioè era lì per metà della giornata e poi tornava a casa, e diciamo Rosetta ha acquisito una mentalità molto religiosa. “Mi limiterò a dire che ogni tanto mi capitava di pensare di lei che fosse perfetta. Era infatti una di quelle persone alle quali, anche essere maligni, non si riesce ad attribuire alcun difetto. Rosetta era buona, franca, sincera e disinteressata. Ho i miei salti di umore, posso anche arrabbiarmi, strillare, magari sono capace di menare, così, perché perdo la testa. ” notate l’uso di un elemento lessicale che rimanda al contesto romanesco anche se non è sentito come un termine strano, menare invece di picchiare. “Ma Rosetta mai mi rispose male, mai mi serbò rancore, mai si dimostrò altro che una figlia perfetta. La sua perfezione, però, non stava soltanto nel non aver difetti; stava pure nel fatto che lei faceva e diceva sempre la cosa giusta, la cosa, tra mille, che si doveva fare e dire. Tante volte quasi mi spaventavo e pensavo: ho una santa per figlia. E davvero c'era da pensare che fosse una santa perché comportarsi così bene e in una maniera così perfetta non avendo alcuna esperienza della vita ed essendo, in fondo, soltanto una bambina, è proprio dei santi. ” quindi una figlia perfetta, buona, cara, che non risponde mai male, che non si arrabbia mai, incredibile. Però Moravia è malizioso e ha dispiegato questo ritratto così latte e miele per mostrarci i limiti di quello che ha appena ripresentato e, di nuovo, è Cesira che si fa interprete anche della prospettiva autoriale. “ Lei non aveva fatto nulla nella vita fuorché vivere con me e, dopo l'educazione ricevuta dalle suore, aiutarmi nelle faccende di casa e qualche volta anche a bottega; eppure si comportava come se avesse fatto tutto e tutto avesse conosciuto. Adesso penso, però, che questa perfezione che mi pareva quasi incredibile veniva proprio dall'inesperienza e dall'educazione che le avevano dato le suore. Inesperienza e religione, fuse insieme, formavano questa perfezione che io credevo solida come una torre e, invece, era fragile come un castello di carte. Insomma, non mi rendevo conto che la vera santità è conoscenza ed esperienza, sia pure di un genere particolare, e non può essere mancanza di esperienza e ignoranza, com'era invece il caso di Rosetta.” quindi la santità di chi non conosce la vita non è vera santità, ci vuole l’esperienza. Quindi è un’affermazione del valore dell’esperienza, del valore conoscitivo, ma anche un’affermazione, una necessità di aprirsi alla vita secondo un sistema di valori non rigido, disponibile a cogliere la complessità della vita. “ Ma che colpa ne ebbi io? Io l'avevo tirata su con amore; e come tutte le madri di questo mondo avevo avuto cura che non sapesse niente delle brutte cose della vita perché pensavo che una volta andata via di casa e sposata, quelle cose lei le avrebbe conosciute anche troppo presto.” Quindi se ti sposi conosci le brutte cose, la prima brutta cosa è che c’è un marito che vuole fare l’amore con te. “Non avevo fatto i conti, invece, con la guerra che quelle cose costringe a conoscerle anche quando non vorremmo e ci forza a farne l'esperienza prima del tempo, in maniera innaturale e crudele. Tant’è: la perfezione di Rosetta era quella che ci voleva per la pace, con la bottega che andava bene, e io che pensavo ad ammassare i soldi per la sua dote e un bravo giovanotto che le avrebbe voluto bene e se la sarebbe sposata e le avrebbe fatto fare dei figli ” notate sempre questa sintassi per giustapposizione di frasi unite solo dalla congiunzione copulativa “così che lei, dopo essere stata una bambina perfetta e una ragazza perfetta, sarebbe stata anche una moglie perfetta. Ma non era la perfezione che ci vuole per la guerra, che richiede invece un altro genere di qualità, quali non so, ma non certo quelle di Rosetta ” . Quindi è perfetta, anzi no; ma aldilà della constatazione doverosa e dolorosa che è la guerra che impone un’esperienza traumatica, è chiaro che il discorso è più ampio, in generale per essere santi bisogna sapere come va la vita, non basta essere santi in astratto. Abbiamo notato come Cesira ha parlato in modo da giustificare le proprie mosse narrative, ma apro adesso questo discorso: abbiamo visto come Cesira sia portatrice di una morale laica, una morale forte ma laica, il rispetto della vita e degli altri esistenti l’avete sentito nel finale con quanta esplicitezza Cesira parli di pietas, di amorevolenza, di necessità di ascolto, ma questo non può essere condotto in modo astratto. C’è un’altra cosa che Cesira, sempre raccontando e commentando il proprio modo di raccontare, fa (pagine 198-199). Notiamo un passaggio in cui Cesira ancora una volta, e avete visto che lo fa in continuazione, giustifica o meglio si giustifica, giustifica le proprie mosse narrative, ma in questo caso serve a far percepire ancora di più quello che abbiamo detto è una costante del periodo di guerra cioè il fatto che la via quotidiana è saltata per aria, non c’è più la vita quotidiana, che vuol dire banalmente mangiare, dormire, lavarsi, aspetto su cui, ricordiamo, raramente la malattia ci dice qualcosa, perché fa parte di quegli aspetti molto concreti che anche un minimo di idealizzazione tende a cancellarne la presentazione, non è argomento troppo diffuso quello di “non mi posso lavare non ho acqua”, mangiare è più importante di lavarsi, però Cesira in questo modo fa un’operazione che rimanda a una realtà storica troppo spesso trascurata. PAGINA 198 si parla del pericolo, si parla anche di un mondo che è gradevole, cioè sono in campagna, ci sono i fiori, ci sono i torrenti, ci sono tante cose belle, Cesira si immagina addirittura che dentro ai pozzi c’è un mondo sotteraneo popolato di fate e di nani, che bello! Locus amenus? No, stiamo scappando dalla guerra, siamo disperati; ogni tanto me la posso cavare se magari vado a passeggiare nel verde o come dice “prendo la tintarella”, ma normalmente le cose non sono proprio così, c’è del pericolo e leggo: “E voglio dire, a questo punto, che lassù a Sant’Eufemia di molte cose, per così dire, mi accorsi per la prima volta ed erano, strano a dirsi, le cose più semplici che, di solito, si fanno senza pensarci su, meccanicamente.” Anche in questo caso avete notato la densità delle interruzioni, degli intercalari: “e voglio dire”, “a questo punto” e poco dopo “per così dire”, “di solito”, insomma continua a fare degli auto-commenti. Quindi la sostanza è che le cose più normali non sono più normali, non è più scontato riuscire a vivere normalmente, è un modo di sottolineare la guerra ma anche la forza irresistibile, fondamentale della nostra vita quotidiana, dice “voi non ci pensate ma avere una vita quotidiana normale è importante, è una cosa che sappiamo valorizzare solo quando non l’abbiamo”. La guerra impedisce di avere, per esempio, una casa ordinata e pulita ricorderete che lunedì abbiamo visto un passo in cui Cesira ha detto “Io mi dedico alla casa, la voglio pulita, la voglio in ordine, è questa la cosa più importante, era la cosa più importante” ora sa che da un lato è molto importante, da un lato è molto stupida e comunque molto fragile. Torno al passo che stavamo vedendo, quindi si accorge che le cose più semplici non sono scontate, notate ancora, devo sottolinearlo, l’espressione “mi accorsi per la prima volta”, le narrazioni sono spesso punteggiate di “prime volte”, è un’espressione che trovate spesso nei racconti, perché “prima volta” è di nuovo un grande motore narrativo, i fatti che non erano accaduti prima nella nostra vita, sono quelli che la cambiano. La prima volta vuol dire il cambiamento. Bene, mi accorsi per la prima volta, di cosa? “Del sonno, che mai prima di allora mi era sembrato un appetito, la cui soddisfazione dia piacere e ristoro; della pulizia del corpo che appunto perché era difficile se non impossibile sembrava anch’essa una cosa così voluttuosa; e insomma, di tutto ciò che riguardava il fisico, al quale, invece, in città, si dedica poco tempo e quasi senza rendersene conto. Penso che se ci fosse stato lassù un uomo che mi piacesse e che amassi, anche l’amore avrebbe avuto un sapore nuovo, più fondo e più forte. Era, insomma, come se fossi diventata una bestia perché immagino che le bestie, non avendo a pensare che al proprio corpo, debbano provare i sentimenti che provavo io allora, costretta com’ero dalle circostanze ad essere niente di più che un corpo il quale si nutriva, dormiva, si lisciava e cercava di stare il meglio possibile” Le difficoltà ci fanno scoprire il valore della vita quotidiana, che diamo per scontata. Le difficoltà ci rendono consapevoli del nostro stesso corpo che quasi ignoriamo o curiamo senza accorgercene. Noi siamo una cultura, quella degli ultimi decenni, che da un’importanza esagerata al corpo, non abbiamo così bisogno di accorgercene, però qui è la prospettiva di un corpo che si rende conto dei bisogni elementari, che si rende conto dell’importanza di quanto diamo di solito per scontato. Potrebbero essere infiniti altri passi di questa Cesira che sottolinea appunto i propri limiti, il proprio giudicare, il momento in cui però ha capito e quindi sente il bisogno di dircelo, oppure anche il fatto che lei può dire perché ricorda, frasi come “me lo ricorderò finché campo”, “me lo ricordo benissimo”, servono ogni volta a dire che Cesira sa di avere tanti limiti ma sa anche di avere il diritto di parlare, anzi il dovere di parlare e noi dobbiamo ascoltare che lei ha appunto capito qualcosa. In questi passaggi continua anche a emettere, come già abbiamo ricordato, delle specie di sentenze, ve ne dico soltanto una, per voi sono pagine 123/124: una volta di più Filippo, il padre di Rachele ha detto a Cesira “Io e te siamo uguali, io e te siamo forti, io e te abbiamo i soldi e sappiamo che se uno ha i soldi è a posto” e Michele dice “Sicuro?” e Cesira a sua volta ha capito che forse Michele ha ragione, Filippo dice “I soldi sono gli amici migliori, più fedeli e più stretti” “Io li stavo a sentire e non dissi nulla. Ma pensavo dentro di me che non era poi tanto vero: quel giorno stesso quegli amici così fidati mi avevano fatto lo scherzo di diminuire del trenta per cento il loro valore d’acquisto. E oggi che cento lire bastano appena a comprare un po’ di pane mentre prima della guerra ci si poteva vivere mezzo mese, posso dire che non ci sono amici fidati in tempo di guerra, né uomini né soldi né nulla. La guerra sconvolge tutto e, insieme con le cose che si vedono, ne distrugge tante altre che non si vedono eppure ci sono” Sempre quindi Cesira ingenua, rozza, anzi no saggia che da lezioni. Il discorso dei soldi, come accennato, torna, è una costante. Moravia si preoccupa sempre della questione dei soldi che sono un segnale di una società che vive per i soldi, cioè vive per il profitto, nel modo ingenuo che hanno subito, poi giudicherete voi se il tentativo è riuscito o non è riuscito e come accennavo, poi lo vedremo meglio lunedì, la vicenda tragica di Rosetta avviene in un contesto in qualche modo provocatorio, che è quello di una chiesa sconsacrata, dove di nuovo con grande malizia Moravia distingue anche in maniera molto mirata, c’è per esempio un passaggio quando sono sfollati in cui la moglie di Filippo dice a Rosetta “qui si sta sicuri come in chiesa”, che è evidentemente una segnalazione provocatoria da parte di Moravia, così come se ve lo ricordate prima c’era la presentazione delle violenze che venivano fatte dai soldati italiani, quindi c’è sistematicamente da parte di Moravia la violenza di insistere sulla guerra come violenza e anche proprio in particolare su come la violenza colpisca anche e in particolare le donne. D’altro canto, come avete visto, proprio la guerra serve a insistere sull’importanza della vita, la necessità di conoscere la vita nella sua pienezza, nella sua positività. 25 NOVEMBRE La Ciociara è un libro in cui Moravia vuole denunciare:  La guerra  La violenza contro le donne A Moravia interessa sottolineare la maniera in cui costruisce la strategia narrativa: il racconto di Cesiria è lineare, con una evidente esibizione di naturalezza, dall’altra parte continua nel corso della narrazione a far balenare la tematica della violenza contro le donne. CAPITOLO 1 Cesira decide di andarsene da Roma a causa della guerra allontanandosi dalle sue cose (casa e negozio). Durante una cena, le persone si raccontano, raccontano cosa sta succedendo; questo serve per contestualizzare la narrazione. Qui Cesiria ci pare una donna molto poco consapevole, ma la sua consapevolezza aumenterà nel corso del racconto. “Tutti parlavano dell’arrivo degli inglesi come di cosa di pochi giorni…..” “Bè, la roba e poi le donne. Allora io dissi: Voglio vedere chi avrà il coraggio di toccarmi” ……. A te magari non ti toccheranno perché sei troppo vecchia … ma a tua figlia, sì”. PAG. 25 Cesira nella storia ha 35 anni, dunque è nata nel 1908, proprio come Moravia, che introduce una parte autobiografica. Questa scena tragica diventa allo stesso tempo comica, tratto che contraddistingue lo stile di Moravia, uno stile pirandelliano. L’accapigliamento delle donne è legato all’avvenimento del “Fu Mattia Pascal” dove la tragedia diventa commedia “la più buffa tragedia che si possa immaginare”. Rosetta chiede conferma alla madre su quello che fanno davvero i paracadutisti, ma Cesira elude la domanda. Emerge anche il suo qualunquismo quando la figlia chiede se è meglio che vincano i tedeschi o gli inglesi. Cesira prende consapevolezza e preferisce che perdano i tedeschi, ma saranno proprio gli alleati a stuprare la figlia. CAPITOLO 2 Durante il viaggio di ritorno verso la Ciociaria, il percorso del treno viene interrotto e le due donne si trovano costrette a continuare il viaggio a piedi. A metà strada trovano ospitalità da CONCETTA, donna di famiglia sposata con Vincenzo e con 2 figli (che si vedranno anche alla fine del romanzo). La prima notte passata in questa casa Cesira e Rosetta verranno massacrate dalle cimici, e l’indomani lamentandosi Concetta le dà ragione ma prendendola in giro. PAG. 49 La differenza tra Cesira e Concetta evidenza ancora una volta la violenza sulle donne. “In quella casa tutto era schifoso: oltre al dormire anche il mangiare. Concetta era sciattona, sporca, sempre frettolosa, sempre trascurata e la sua cucina era un luogo nero, dove le padelle e i piatti ci avevano lo sporco attaccato da anni e non c’era mai acqua e non si lavava niente, e si cucinava in fretta. Come veniva veniva”. “Erano care arrabbiate”: polemica anticapitalistica che assume forme più semplificate con la polemica contro il denaro e di conseguenza contro la guerra che non permette di vivere azioni quotidiane. Questa riflessione emerge nel momento in cui Cesira va a fare la spesa e si accorge che i prezzi sono molto alti. I figli di Concetta stanno disertando, fanno la borsa nera. A differenza di Cesira, si tratta di veri e propri ladri. PAG 49 “In Albania, in un villaggio ci spararono addosso e avemmo due feriti. Per rappresaglia, sai che facemmo? Siccome gli uomini erano tutti fuggiti, prendemmo le donne, quelle più piacenti, e ce le ripassammo tutte….” “Io rimanevo di sasso di fronte a quei racconti: ma Concetta, lei, ci rideva e ripeteva: Eh sono giovanotti….” Qui Moravia insiste ancora sulla tematica della violenza sulla donne e la giustificazione della madre nei confronti dei figli, facendo passare lo stupro come un qualcosa di normale. Concetta inoltre dice a Cesira che sua figlia in quella casa è al sicuro come in una chiesa: rimando allo stupro che avverrà. Viene introdotto Scimmiozzo, che conosce la storia dei figli di Concetta e mette gli occhi sulla giovane Rosetta, alla quale propone di lavorare per i fascisti. PAG 53 “Ahò sei matta, mia figlia manco morta la mando a fare la serva dai fascisti” Concetta è la classica donna del popolo, ignorante e disinteressata che decide di stare ora con i fascisti e domani magari con gli inglesi. Per lei le donne in tempo di guerra devono accontentarsi e non pretendere il rispetto così come in tempo di pace. CAPITOLO 4 Moravia fa 2 operazioni: 1. Evidenzia la elementarità della cultura di Cesira e del suo raccontare 2. Ordine narrativo = fabula + intreccio Si ha un’analessi completiva oltre ai raccontini dei personaggi, che non sono così strutturali così come in Una questione privata, ma complessivamente la Ciociara è raccontato tenendo conto della fabula. Si tratta di un racconto lineare, in quanto Cesira racconta con il suo flusso semi-orale ANALISI DEL TEMPO E DELLO SPAZIO GESTIONE DEL TEMPO: Moravia evidenza la semplicità della narrazione rendendola più complessa tra le righe. Si rispetta l’intreccio per rispettare la semplicità del racconto di Cesira resa più ricca con delle anticipazioni. GESTIONE DELLO SPAZIO: all’inizio e alla fine del romanzo vi è Roma, la casa, il luogo in cui si è trovato un modo di vivere. Roma la si trova nel CAPITOLO 1 e 11. Il finale oggi è un finale di speranza mentre prima si trattava di un romanzo cupo. Si riconquista la propria casa ma nulla sarà più come prima, perché ci si porta dietro tutte le sofferenze della guerra e della violenza. CAPITOLI 2 E 10: la casa di Concetta, Vincenzo e Rosario. Cambia Rosetta. La STALLA viene descritta in maniera realistica in quanto si ricorda di quella in cui alloggiò insieme a Elsa Morante e qui reinserisce dei raccontini scritti da lui. L’immagine di capanna/stalla in cui vivono Cesira e Rosetta viene quasi sacralizzato. Davanti alla casa ritrovata e sacralizzata, si sa bene cosa accade nella Chiesa, luogo davvero di impronta sacra. Moravi racconta una disarmonia che influisce sulla messa in scena della religione, dove Rosetta è credente, in maniera cieca senza nessuna remora ed elemento di critica, mentre Cesira è smaliziata, non pensa che Dio le venga in soccorso, nonostante sia credente. Questi elementi di scetticismo vengono a condensarsi nella tragedia e si legano alla visione di Moravia, più vicino al laicismo. PAG. 264 “Fai bene a pregare, prega anche per me…. Io non c’ho core” CAPITOLO 9 PAG 265 - 266 Cesira sente il bisogno di andare via. Arrivano dei soldati che commetteranno lo stupro sulla figlia. Lo svenimento si Cesira non ci dà l’opportunità di vedere ciò che accade per davvero. Moravia ha voluto volontariamente mettere fuori scena l’evento tragico ma al suo risveglio si accorge di tutto. Questo è il doloroso romanzo di formazione di Cesira. “Ma non mi aveva fatto niente, perché come ricostruii in seguito, i compagni l’avevano chiamato per tenere ferma Rosetta e lui mi aveva lasciato e ci era andato e si era sfogato come tutti gli altri su di lei.” Rosetta per tutto il romanzo ricopre la figura di un personaggio che parla poco, ma dopo lo stupro non parla quasi più. Alle porte di Roma, Rosetta inizia a cantare. SISTEMA DEI PERSONAGGI Il romanzo è costellato da una folla di personaggini che compaiono in una sola pagina ma che vengono dettagliati. La geometria principale prevede:  MADRE  CESIRA: chiacchierona, furba  FIGLIA  ROSETTA: silenziosa, pura Vagina = testa di un capretto: simbolo di purezza e di sacrificio.  PADRE  FILIPPO: bottegaio  FIGLIO  MICHELE: puro (alla vista di Rosetta nuda, si gira) Le famiglie incomplete vanno a contrastare con il familismo borghese. 26 NOVEMBRE Uno dei miti di più vistosa simmetria è dato dalla contrapposizione tra la chiacchera di Cesira che è il narratore ma anche una donna chiacchierona e viceversa il quasi mutismo, che successivamente diventa mutismo e basta dopo la violenza subita, di rosetta durante un po’ tutto il romanzo. Ricordiamo in particolare il passaggio in cui drammaticamente Cesira poco dopo lo stupro incontra dei soldati francesi e in qualche modo chiede aiuto, cerca di parlare con loro ma loro non la capiscono, lei grida e in un primo momento le danno della matta. PAG 335, “lo sapete quello che ci hanno fatto quei furbi che comandate voi altri?” Salto alcune parti... “lo sapete che ci hanno fatto? Questa mia figlia qui me l’hanno rovinata. Sì, me l’hanno rovinata per sempre. Una figlia che era un angelo e adesso è peggio che se fosse morta. Ma lo sapete quello che ci hanno fatto?” E i soldati cercano di dirle basta e poi le rispondono con l’unica cosa che sanno in italiano, le dicono “pacè, pacè” alla francese con la e accentata che vuol dire pace ed ella replica “sì, pace bella pace. Questa è la vostra pace?” etc., lo scambio è molto violento ma quando capisce che loro non capiscono Cesira, fa un gesto estremo ovvero tira su la veste di Rosetta che sta ancora sanguinando. Quindi davanti al gesto di Cesira, a questa esibizione delle conseguenze fisiche della violenza, naturalmente, i soldati capiscono ma scappano. “e mi accorsi” “era la prima volta”, abbiamo già ricordato che la prima volta è narrativamente rivelante, le prime volte segnano dei cambiamenti nello stato del personaggio, quindi nello stato della storia. Ma i cambiamenti di Cesira, come spesso i cambiamenti dei personaggi di romanzi di formazione, anche ricordando che se questo è un romanzo che può essere paragonato a un romanzo di formazione, è un romanzo di formazione molto particolare, dicevo, questi cambiamenti spesso sono segnalati dalle prese di coscienza che determinano, appunto, un cambiamento nella storia del personaggio. Fra gli argomenti di cui Cesira è normalmente ignara, anzi come abbiamo visto tendente a semplificare un po’ per ignoranza e un po’ per pragmatismo e supposta furbizia che poi non è forse così furbizia, c’è naturalmente la politica, la guerra e la politica. Quindi come abbiamo visto l’atteggiamento di qualunquismo nei confronti della guerra, vediamo chi vince, atteggiamento che di nuovo la accomuna a Filippo. Se Cesira dice “ammazza, ammazza è tutta una razza”, anche Filippo fra gli sfollati, tra poco parleremo di Filippo il papà di Michele, dice “basta che ci lasciano fare il negozio (negozio nel senso degli affari, del business). Non importa chi vince, tedeschi o inglesi, fa lo stesso”. E qualcuno a quel punto gli fa anche un’obiezione, dice “d’accordo, tedeschi o inglesi fa lo stesso ma i russi no. Perché i russi non te lo fanno fare il negozio”. Quindi c’è una, diciamo, polemica anticomunista fra questi popolani che è breve, semplificata ma molto sensibile. Però Cesira, a un certo punto comincia a capire che non solo è necessario che la guerra finisca ma sarebbe importante che la guerra fosse vinta dagli alleati. Dove dobbiamo sottolineare che la guerra è comunque vista, naturalmente, in modo molto negativo, l’arrivo degli alleati verrà visto come un fatto molto positivo e verrà sottolineato il fatto che il loro arrivo è una rivelazione. Cesira dice che è una rivelazione “che sento fisicamente, persino” (non sono sicura di questa frase perché è stata detta molto velocemente). E d’altro canto è evidente la sottolineatura da parte di Moravia sia della negatività della guerra, sia della insensatezza della vita, sia della storia, perché sono proprio i liberatori che fanno lo stupro tremendo a Rosetta. Nel corso del CAPITOLO 8, c’è un momento in cui Cesira e Rosetta si trovano a sorpresa davanti allo spettacolo delle truppe alleate che sono sbarcate e stanno risalendo la penisola. PAG 291-92 È significativo che Rosetta e Cesira restino a bocca aperta davanti allo spettacolo di tutto l’esercito Americano che avanzava, e sottolinea quanti sono, come sono ricchi, e quante macchine hanno. Addirittura si capisce quanto fosse fitta la colonia, che se si fosse buttato un oggetto, non sarebbe caduto per terra; Cesira si domanda come mai i tedeschi con tutta questa bella gente così radunata, non vengono e fanno una strage. Sarebbe facile a questo punto, son tutti qui, sono una valanga, prendi un aeroplano e li massacri. È in quel momento che Cesira si rende conto che i tedeschi hanno perso la guerra. Anche nella sua ingenuità, capisce che se gli americani possono fare una processione delle truppe, evidentemente i tedeschi non hanno più gli strumenti per combatterli. Qui si avvia una riflessione abbastanza curiosa, e nella quale una volta di più Moravia sottolinea la sua forza anti-empatica, perché Cesira, davanti alla potenza esibita dell’esercito americano, si abbandona a una riflessione sull’efficacia dei cannoni e degli areoplani. Si mostra consapevole che la guerra moderna è diversa dalla guerra di un tempo: “compresi che cosa sia una guerra moderna. Non il corpo a corpo che avevo tanto ammirato nelle illustrazioni del 1915, ma una cosa tutta lontana e indiretta” Cesira immagina gli effetti dei cannoni e degli areoplani e comincia a godere quando sente le cannonate, perché capisce che quelle cannonate sono soprattutto degli alleati sui tedeschi, e quindi si sente felice sentendo che partono le cannonate; poi ad un certo punto si renderà conto che non è un bel modo di essere felice, però, dice “non ci potevo fare niente, lo sento lo stesso”. Questo prendere consapevolezza della piega che sta prendendo la guerra e della giustezza dell’opportunità che la piega sia proprio questa, cioè che gli alleati stiano vincendo, c’è un passaggio in cui, di nuovo con una certa sorpresa rispetto all’atteggiamento che aveva avuto in quel momento, Cesira immagina qualcosa relativamente a Mussolini e Hitler. Se li immagina in una specie di stanzone, con intorno tanti soldati nazisti e fascisti, e sogna da sveglia (chiude gli occhi e fa un sogno da sveglia) che finalmente arrivino dei colpi di cannone e facciano saltare tutto per aria. È il momento in cui Cesira sembra abbandonare il suo qualunquismo e si schiera, ma si schiera a modo suo. PAG 303-06 : “Dico la verità, ognuna di quelle esplosioni mi riempiva di gioia; e questa gioia cresceva ad ogni esplosione. Pensavo che quei cannoni sparavano sui tedeschi e sui fascisti e adesso mi accorgevo, per la prima volta, di odiare tedeschi e fascisti…” (notate “la prima volta” e la presa di coscienza) “… e quelle esplosioni (notate la calcolata elementarità della sintassi, per mezzo di queste coordinazioni per mezzo di congiunzione copulativa) mi parevano non di cannone ma di qualche forza naturale come il tuono o la valanga. Quelle cannonate così regolari, così monotone e così ostinate, pensavo, mettevano in fuga l’inverno e i dolori e i pericoli e la guerra e la carestia e la fame e tutte le altre brutte cose che tedeschi e fascisti ci avevano fatto piovere sulla testa per tanti anni. Pensavo: “cari cannoni”; pensavo “cannoni benedetti; pensavo ”cannoni d’oro”; accoglievo ogni esplosione con un sentimento di gioia che mi fece trasalire per tutto il corpo; e ogni silenzio quasi con paura perché temevo che i cannoni non sparassero più. A occhi chiusi, mi pareva di vedere un grandissimo salone, come l’avevo visto tante volte nei giornali, un salone con tante belle colonne e tante pitture e questo salone era pieno di fascisti con la camicia nera e di nazisti con la camicia gialla, tutti irrigiditi, come dicevano i giornali, tutti sull’attenti. E dietro una grandissima tavola c’era Mussolini, con quella facciona larga, quegli occhiacci, quei labbroni, pettoruto e coperto di medaglie, con un pennacchio bianco sulla testa e accanto a lui c’era quell’altro disgraziato figlio di mignotta di Hitler, con quella faccia di iettatore e di cornuto, con quei baffetti neri che sembravano uno spazzolino da denti e quegli occhi da pesce fradicio e quel naso pizzuto e quel ciuffo da bullo prepotente sulla fronte.” Dice poco dopo: “i nazisti avevano quel bracciale rosso con quella croce nera che pareva un insettaccio, e tutti quanti avevano facce di impuniti e disgraziati e figli di mignotte e cornuti ecc” e dice poi che tutti avevano addosso quegli oggetti, e fa l’elenco:” né tutte le altre fregnacce di cui si ornavano i tedeschi e i fascisti” fregnacce vuol dire stupidaggini, è un termine non particolarmente elegante perché è il peggiorativo della parola fregna, che penso tutti sappiate cosa significa. Subito dopo questo lungo passaggio, che prosegue appunto con la fantasia delle cannonate che beccano anche Hitler e Mussolini, Cesira innanzitutto non riesce a vergognarsi dell’odio che prova, aggiungendo dell’odio che finalmente prova verso i fascisti; Ma sottolinea che è una cosa brutta, che non va bene, ma che però si è schierata. E sottolinea poco dopo che sente la liberazione, anche fisicamente. Cesira ha cambiato campo, ha capito qualcosa di più, la guerra gira dalla parte giusta. Ma Moravia, come dire, è cattivo e non ci lascia in pace perché poco dopo queste pagine avverrà il fattaccio. Ancora però una valutazione su Cesira e sulle sue valutazioni sulla realtà: Cesira fa un po’ di confusione tra due termini che sembrano sinonimi, ma che non sono esattamente sinonimi. I due termini sono “normale” e “naturale”. Qualche volta li usa come se si confondessero, ma altre volte invece “normale” è quello che succede agli uomini, e “naturale” è quello che accade nella natura. In più di un’occasione Cesira resta incantata, anche un po’ convinta in maniera problematica del fatto che la guerra cambia le cose, e se la normalità è distrutta, la natura invece va avanti, segue il suo corso. Ci sono parecchi passaggi molto espliciti, in cui Cesira sottolinea la continuità indifferente della natura, che per certi aspetti non è un valore negativo… è la vita che va avanti. PAG 378 dove Cesira dice: “io ero cambiata, ma la campagna era rimasta la stessa di sempre”. Cesira percepisce nella natura una vitalità insensata, la natura non ha bisogno di significati. Ma questo suo andare insensato è un valore positivo, e in qualche modo prepara l’esito finale, cioè la consapevolezza che la vita è comunque qualcosa che vale la pena. La riflessione più ampia sulla continuità della vita e sulla indifferenza ma anche positività della natura, avviene nelle pagine che precedono la rappresentazione dello stupro. Proprio lì, dove Cesira e Rosetto vanno a una sorgente che sta in una grotta e Cesira anche con delle fantasticherie si trova in uno scenario che ha un aspetto vagamente fiabesco, PAG 328-29: “E quando esco dalla grotta con la sorgente vado nella chiesa”: con il ritratto rovesciato e tutti gli elementi che sono di segnale di violenza, ma anche di disordine, di calcolata disarmonia. È un posto dove Cesira sente emozioni profonde, anche perché è un posto che frequentava da bambina. Cesira era vicina casa, e proprio vicino casa succederanno quelle cose terribili. Ma è importante che ci sia questa netta constatazione della evidenza del procedere della natura, che va avanti inflessibile. Un altro aspetto che Cesira richiama spesso, è quello del cibo. Il cibo è importante, ha a che fare con la naturalità, con la vitalità; e il corpo è vissuto da Cesira con atteggiamento non lineare, di nuovo: semplice il suo modo di agire e di pensare? Fino a un certo punto. Cesira per esempio, abbiamo visto che non ama la sessualità, ma è anche diffidente nei confronti dell’entusiasmo che gli altri popolani nutrono verso il cibo. Vi segnalo un episodio, CAPITOLO 3, PAG. 91-94 , in cui mostra che hanno tutti da mangiare, sono tutti contenti e rappresenta una specie di grande banchetto dove tutti si abboffano, e entusiasticamente sottolineano questo fatto che hanno ancora da mangiare, che ne hanno tanto, che possono mangiare e rimpinzarsi. Cesira nota che proprio per questo fanno vedere che sono dei popolani, fanno vedere che per loro la ricchezza si manifesta quando mangia tanto. Mangiare tanto è un segnale elementare ma rilevante di una ricchezza, di un benessere. E ricorda (e siamo alla fine degli anni ’50, anzi ha incominciato a scriverlo nella seconda metà del ’40) ricorda come le cose vanno così per i popolani, ma non per i ricchi di città, perché i ricchi di città, ormai hanno smesso di esibire il mangiare come status symbol; esibiscono le automobili e i gioielli. È un momento in cui curiosamente Cesira fa una riflessione socio-antropologica. Ricordiamo come di nuovo Cesira sia ingenua e popolana, ma sia tra le righe più autobiografica di quella che sembra a prima vista. Un’altra riflessione che fa Cesira è su “che cosa è essere uomo” davanti alla violenza, davanti alla bestialità, emerge in maniera elementare, ma vistosa, il fatto che ci sono gli uomini e ci sono le bestie, o meglio spesso gli uomini si comportano come bestie. È un tema di grande attualità nell’immediato dopoguerra, la domanda su “ma cosa sono gli uomini?”. Vi ricordo 3 titoli fondamentali: 1 La Conferenza di Sartre, “l’esistenzialismo è un umanismo”, del ’46 e due romanzi italiani che hanno grande notorietà: Vittorini, “uomini e no” un titolo programmatico, all’inizio dell’astrazione, davanti alla guerra, davanti alle stragi, davanti alle rappresaglie dei nazisti che ammazzano la gente comune per vendicarsi della morte di alcuni di loro. È evidente la contrapposizione, se da un lato ci sono uomini che sono davvero uomini e uomini che non lo sono, è probabile che le bestie possano essere migliori degli uomini, non è un caso che il capo dei fascisti si chiami “cane nero”, che è più cane dei cani. Questo è un gioco che fa Vittorini, un gioco molto serio. E poi c’è un altro romanzo: “Se questo è un uomo”, dove la domanda come si capisce dal titolo è la questione di fondo… questo è un uomo? Però notate come la parola “uomo” sia diventata una parola di grande peso antropologico, ma soprattutto etico: è la domanda di fondo sulla natura dell’umanità. Quindi Cesira, nella sua maniera popolana e apparentemente elementare, pone in continuazione questa domanda:” ma cosa sono gli uomini?” come possono gli uomini fare quello che stanno facendo. Cesira noterà più volte che davanti alla guerra tutti i valori si sono capovolti, non c’è niente che funzioni, è tutto sbagliato. Tutto è sbagliato, ma, dall’altra parte, la vita è importante, come emerge dalle ultime pagine del romanzo quando tornando a casa e a un certo punto Rosetta canta. Ci sono tanti elementi negativi, PAG 387-89, dove è necessario per la vostra consapevolezza della problematicità del modo in cui Moravia mette in scena le vicende, che Rosetta portatrice di un messaggio di vita ridente, lei quasi muta, invece canta. Parla poco, non parla quasi mai, solo per difendere il suo diritto alla sessualità, sessualità libera, ma quando stanno tornando a casa comincia a cantare. Ma cominci a cantare, qui Moravia è un po’ bastardo, ma poco prima le hanno ammazzato il fidanzato. Da un lato Cesira di scandalizza, dice “ma come?! T’hanno ammazzato il fidanzato un attimo fa”, quel Rosario di cui abbiam parlato un attimo prima, però si rende conto che quel segnale è un segnale di sblocco emotivo, ritorno al canto, ritorno a qualcosa che faceva d’amore, non sono mai stato tanto attaccato alla vita. Rosetta dice qualcosa di simile, la vita e la sua bellezza nel senso del valore. Ora parliamo dell’altro, l’altro martire, l’altro puro, Michele naturalmente e vi ho anche sottolineato che Moravia è stato esplicito nel dire che lo ha chiamato Michele perché si stabilisce una correlazione tra questo personaggio e il Michele dell’Inghilterra. D’altra parte questo Michele è di una famiglia dell’aristocrazie decaduta della capitale, questo è un figlio di proprietari di provincia ed altrettanto a suo modo è anche lui un po’ borghese, vuol studiare, è un borghese che rifiuta il mondo del capitalismo, del profitto, non soltanto il fascismo. È significativo che Moravia si guardi bene dall’eroicizzare questo personaggio, che pure l’abbiamo detto e lo ridico, deve essere positivo e deve portare valori di cambiamento e di progresso. Il messaggio affidato al personaggio un po’ in tono minore che morirà fuori scena. Anche questo fa parte del pathos, ma certamente riscoprirà in qualche modo come vittima, salvato qualcun altro, quindi con tutta una componente di generosità che arriva al limite del sacrificio di sé. Però è un po’ sfigato. La comparsa in scena di Michele è una comparsa particolarmente sotto tono che trovate nel capitolo terzo. Michele compare e Cesira non gli dà tanta attenzione, non si accorge che è una persona notevole come poi si accorgerà. Compare, PAG 89-90 dove c’è Filippo che è un po’ assatanato perché sta preparando un grande banchetto e già pregusta la portata, perché quello che conta, è filippo che parla, adesso è mangiare e stare allegri. Andava e veniva, infatuato, intorno la tavola e ci presentò la figlia, una brunetta dolce e un po’ triste e il figlio, un giovanotto bassino ma con le spalle larghe e un po’ curve di modo che quasi si pensava che fosse gobbo, e invece non lo era, molto bruno, con gli occhi forti da miope; era dottore, almeno così disse il padre: “vi presento mio figlio. È dottore.” E poi ci presentò anche la moglie, una donna con la faccia spaventata, bianca bianca, gli occhi pesti e scalamarati e il petto enorme: soffriva di asma e, anche, secondo me, di paura, pareva malata. La mamma di Michele ha questi occhi scalamarati, io credo sia una parola che si è inventato Moravia, non ne ho trovata nessuna traccia neanche nel dizionario storico a parte questa citazione. Scalamarato ha a che fare con calamaro, cioè il calamaro di solito viene pulito ha dei tondi che secondo lui vuole dire che l’occhio con le occhiaie, cioè un tondo che sembra quasi un cerchietto di calamaro o di totano. Quindi, come c’è la calamarata che è un tipo di pasta che ha una forma che assomiglia a quella dei cerchietti di calamaro la si fa con i calamari perché si confondano i tocchi di pasta con il calamaro stesso, scalamarata è un’invenzione al negativo con suffisso. Ha gli occhi come dei piccoli cerchietti di calamaro. Ma a parte questo avete visto l’apparizione più che in sordina di questo Michele che viene tenuto lì e mostrato non dico un piccolo Leopardi ma uno un po’ rovinato dallo studio. Studiare troppo fa male alle volte, bisogna trovare delle misure. Si esprime male. Se è nel capitolo terzo che Michele compare è nel capitolo quarto che Michele diventa protagonista e potremmo anche dire che tutto il capitolo quarto è dedicato in buona sostanza a mettere in scena Michele, a dargli una sostanza e a stabilire di nuovo quel confronto fondamentale tra i figli e i genitori. Figli portatori di un messaggio di purezza, genitori invece dediti al guadagno, di più, amanti del guadagno, portatori di una affermazione forte di valore dell’essere capace di portare a casa i quattrini. Chi sa portare a casa i quattrini è quello abile, gli altri no e evidentemente non è un caso che il ritratto di Michele trovi un momento clou nel discorso del padre Filippo e qui andiamo a vedere. Siamo alla fine del capitolo terzo, PAG 94-97. È nella fine del capitolo terzo che compare questa riflessione preceduta tra l’altro prima dal ragionamento sulla necessità di continuare a fare negozio, poi la rappresentazione del banchetto e quando filippo beve, anzi beve più di tutti si ricorda Cesira e quando beve si lascia andare alla confidenza. La sua confidenza incentra il discorso dei furbi e dei fessi. Ci sono due generi di discorsi, questo e vedremo meglio tra poco invece il racconto di Michele della parabola di Lazzaro. Ed ecco il nostro filippo che ricordiamo assomiglia a Cesira, che prende le distanze ma in fondo condivide molti atteggiamenti. Come abbiamo visto condivide in particolare la convinzione che il migliore amico dell’uomo è il vino. “forse perché era ubriaco, a metà del pranzo, si lasciò andare alla confidenza: “io vi dico questo” (notate l’attacco da vangelo) incominciò ad un tratto, col bicchiere in mano, “che la guerra è brutta soltanto per i fessi, ma per gli altri no. (affermazione evidentemente molto compromettente in cui sta dicendo che qualcuno guadagni.) Lo sapete ce cosa vorrei scrivere nel mio negozio, sopra la cassa: ‘ccà nisciuno è fesso. Lo dicono a Napoli ma lo diciamo anche noialtri qui ed è la pura verità. Io non sono fesso e non lo sarò mai perché a questo mondo ci sono due categorie di persone: i fessi e i furbi; e nessuno che io sappia vorrà mai appartenere alla prima categoria. Tutto sta a saperle, certe cose, tutto sta a tenere gli occhi bene aperti. I fessi sono coloro che credono a quello che c’è scritto nei giornali (permettete, è anche un atteggiamento che è tutt’altro che morto) e pagano le tasse e vanno in guerra e magari ci rimettono la pelle. (quindi chi rispetta le regole dello stato è un fesso ed è un’affermazione lo possiamo dire molto italiana, il distacco dallo stato, è un’affermazione che il cretino paga le tasse, le tasse le pagano gli stupidi. Quindi filippo è espressione di italianità volgare ma tremendamente vera.) i furbi eh eh i furbi sono il contrario ecco tutto. E questi sono tempi in cui chi è fesso si perde e chi è furbo si salva, e chi è fesso non può fare a meno di essere più fesso del solito e chi è furbo deve essere invece furbissimo. Filippo ha un fratello, si chiama Tommasino, Tommasino vuole far soldi, accumula roba e ha una paura tremenda della guerra. Accumula e ha così paura che si nasconde in casa lontano da tutti, nasconde la roba perché non vuole che gliela prendano, si mette da parte, corre e guadagna e poi muore. Come muore? Di paura, un infarto probabilmente. A testimoniare che ce l’hanno in casa e forse essere tanto furbi non è detto che aiuti a salvarsi la vita. A questo punto filippo butta giù una serie di proverbi. Vale la pena notare che se filippo qui come leggeremo ne mette in fila un po’, anche Cesira non è estranea al proverbio o all’uso di sentenze popolareggianti in cui qua emerge non sapere l’uso ma non sempre autorevole. Quindi anche queste frasi come nei proverbi, che ora vediamo, di Filippo si supporta con una specie di affermazione diciamo realtà riconosciuta qualcosa che possa non essere tanto vero. L’operazione è molto chiara.) Eh lo sapete il proverbio meglio un asino vivo che un dottore morto (atroce l’ironia per cui il dottore che è suo figlio sarà morto) e anche quest’altro: meglio l’uovo oggi che la gallina domani e ancora quest’altro promettere e mantenere è da uomo vile (quindi un elogio dell’infedeltà e della furbizia) dirò di più d’ora in poi non ci sarà più posto a questo mondo per i fessi, nessuno si potrà mai più permettere il lusso di essere fesso, neppure un giorno solo, bisognerà d’ora in poi essere furbi molto furbi furbissimi, perde questi sono tempi pericolosi assai e dar loro un dito si prendono il braccio e vedete un po’ quello che è successo a quel povero Mussolini che credeva appunto di fare una guerretta di un dito in Francia e invece poi gli è toccato rimetterci il braccio contro il mondo intero e non ci ha più nulla e gli tocca fare il fesso per forza, lui che aveva voluto sempre fare il furbo. Date retta, i governi vanno e vengono e fanno le guerre sulla pelle della povera gente e poi fanno pace e poi fanno quello che gli pare ma la sola cosa che conta e non cambia mai è il negozio. Vengano i tedeschi, vengano gli inglesi, vengano i russi, quello che per noialtri negozianti deve contare soprattutto è pur sempre il negozio e se il negozio va bene, tutto va bene. (è chiara la polemica contro questa italianità della furbizia, è chiara la polemica anticapitalistica. Notate quando ha detto possono venire tutti anche i russi poi come sapete verrà corretto e dirà tutti ma i russi no perché sono comunisti. É un passaggio importante non solo per la messa in scena di un’ideologia bottegaia portata al suo estremo ma anche perché nella audience il piccolo pubblico di filippo che sproloquia trascinato dal vino c’è suo figlio e Michele non è tipo da stare zitto. Michele reagisce.) a questo punto mentre tutti ridevano per questa frase così sincera (filippo ha detto cornuti ai russi, questa è la sua sincerità) ecco tutto ad un tratto il figlio di filippo alzarsi di botto (è ancora il figlio di filippo perché è nel capitolo dopo che verrà caratterizzato come Michele e diventerà amico delle due donne) nessuno qui è fesso, fuorché me. Io sono fesso (che è un’auto accusa ma anche una dichiarazione orgogliosa di distanza da quella ideologia riprovevole di filippo) ci fu silenzio dopo quest’uscita tutti ci guardavamo in faccia stupiti. Il figlio continuò dopo un momento: “e siccome i fessi non ci stanno bene in compagnia dei furbi, scusatemi, ma me ne vado a fare quattro passi”. Detto questo mentre alcuni si affannavano a gridargli:” eh via perché ti sei offeso nessuno ha mai pensato che tu fossi fesso”, lui spostò la seggiola e si allontanò lentamente lungo la macera. (tutto chiaro? Tutto evidente? Moravia contro l’ideologia del profitto, Moravia contro l’ideologia dei furbi, Moravia che tifa per quelli che portano ancora la purezza dei valori. Non è proprio così semplice. (tutti si voltarono a guardarlo mentre si allontanava ma filippo era troppo ubriaco per aversene a male. (non si arrabbia per il figlio che se ne va) alzò il bicchiere in direzione del figlio e disse: “alla salute un fesso almeno per famiglia ci vuole, non guasta”. (anche spiritoso) Tutti si misero a ridere vedendo il padre che si credeva furbo bere alla salute del figlio che si proclamava fesso; e più risero quando filippo alzando la voce gridò:” tu puoi fare il fesso perché in casa ci sono io a fare il furbo.” Qualcuno osservò: “è proprio vero, filippo lavora e fa i soldi e il figlio intanto passa il tempo a leggere i libri e a darsi delle arie.” Ma filippo che in fondo sembrava fiero di questo suo figlio così diverso da lui e così istruito soggiunse, dopo un momento levando la punta del naso dal bicchiere: “intendiamoci però mio figlio veramente è un idealista ma di questi tempi che è un idealista? Un fesso. Magari non per colpa sua, magari per forza ma un fesso.” (Ribadisce le sue convinzioni ma instilla un punto importante. Ci ricorda che cosa? Abbiamo letto Sartre, un intellettuale e un parassita. Quindi sottolinea con la volgarità di filippo una cosa che è al cuore della letteratura di Moravia, cioè la messa a fuoco della problematicità della posizione dell’intellettuale nella realtà moderna, nella sua età moderna. Quindi un intellettuale si con la coscienza critica, un intellettuale è sì portatore di (parola incomprensibile) ma non deve dimenticare che qualsiasi cosa lui faccia non è estraneo alla logica economica, è atipica la sua posizione, il parassitismo ma non può non dipendere dall’esistenza di un mondo economico. Come dire, un mestiere lo deve fare. I libri si devono vendere, qualcuno deve pagare, qualcuno i soldi li deve fare sennò lui come fa? Come mangia? Quindi Moravia gioca una partita complessa attraverso parole apparentemente molto semplici perfino elementari, ma non solo elementari parole che ci invitano chiaramente a prendere le distanze, a antipatizzare con chi si fa portatore di una semplificazione ideologica così volgare e brutale. Eppure no, non è tutto lì. C’è qualcos’altro. Michele il fesso, si è un fesso, ma qualcuno deve fare il furbo sennò Michele non avrebbe la possibilità di fare il fesso. Qualsiasi cosa tu faccia se si può permettere di non essere produttivo Lo può fare solamente perché qualcun altro è produttivo per lui. Vale per gli intellettuali in genere, vale, passatemi questo passo avanti di lezione editoriale, per gli editori che se vogliono pubblicare libri brevi, quelli che magari anche vendono poco, beh bisogna che qualcuno li venda perché sennò (parole incomprensibili). Quindi il discorso sui furbi e sui fessi è un discorso strategico perché Moravia gioca diverse partite e le gioca attraverso una semi alternazione apparentemente molto elementare. Michele puro, rosetta pura, rosetta religiosa, Michele non religioso ma portato a usare la religione. Ora stiamo per vedere la differenza fra Michele e rosetta aggiungendo con forza che Michele è laico ma anche religioso. E lo vedremo meglio fra poco, notando l’osservazione di Cesira particolarmente acuta in questo caso. Un altro dato interessante che dobbiamo ricordare velocemente è che Cesira impara a conoscere Michele, ne riconosce le qualità ma si stupisce perché Michele è antifascista. Non capisce perché, noi sappiamo che Cesira ha questa fissa della storia, non ha una consapevolezza politica, ammazza ammazza ma chissene frega basta che la finiscano di fare casino e di fronte alla scoperta che Michele è antifascista si stupisce. E torneremo domani direi a vedere velocemente per sintetizzare e poi accostarci all’amore molesto ma vedremo appunto come Cesira sia più consapevole di Michele di quella che è la natura dei popolani. Ma alla fine si può notare che Moravia costruisce il suo sistema con elementi di analogia e elementi di antitesi quindi Michele e rosetta sono simili, anzi Michele e rosetta sono opposti e sono opposti proprio in tema di religione. Siamo al capitolo quarto, il capitolo di Michele, Michele fa molte affermazioni che mostrano la generosità morale. D’altra parte Michele viene disegnato volutamente in modo complesso e perfino contraddittorio. Michele è generoso, Michele non è simpatico anzi è un po’ scorbutico. Michele mostra di essere spesso carismatico, è un po’ un leader, tutti capiscono che lui la sa più lunga per certi
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