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La classe operaia va in paradiso, Guide, Progetti e Ricerche di Storia

relazione sul film " la calsse operaia va in paradiso" - relazione storia

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2014/2015
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Caricato il 25/08/2015

lallele
lallele 🇮🇹

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Scarica La classe operaia va in paradiso e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Storia solo su Docsity! LA CLASSE OPERAIA VA IN PARADISO Regia di Elio Petri Interpreti principali: Gian Maria Volontè Mariangela Melato Salvo Randone “Operai state entrando nel carcere. Per voi oggi la luce del giorno non splenderà”. Questa frase che troviamo in una delle scene iniziali del film, gridata da studenti universitari all’ingresso di una fabbrica, costituisce la provocazione iniziale da cui parte la denuncia dell’alienazione della classe operaia in fabbrica e che ne condiziona i rapporti sociali nella vita di tutti i giorni. Gli operai non vedono “la luce del giorno” perché entrano in fabbrica all’alba ed escono al tramonto ma essa può essere anche intesa come la mancanza di una vita vera al di fuori della fabbrica. Ad accentuare questa triste condizione vi è la scelta da parte del regista di una fotografia cupa caratterizzata da scene buie, ambienti chiusi e paesaggi invernali desolati. La luce non si vede mai e l’alienazione domestica è resa da una continua penombra bluastra in cui la famiglia del protagonista guarda la televisione sconnettendosi dal mondo. La luce piena vi è solo all’interno della fabbrica poiché solo qui l’individuo – operaio trova la sua massima realizzazione: l’operaio si identifica con la produzione e con la macchina diventando parte di essa. “Una vite, un bullone, un pezzo di quella macchina che costruisco” è la frase con cui il protagonista ci fa capire la simbiosi che esiste tra l’uomo e la macchina nel momento storico in cui il film si svolge. Il film è ambientato tra la fine degli anni sessanta e l’inizio degli anni settanta a Milano; sono gli anni delle rivolte studentesche contro l’autoritarismo elemento comune anche alle lotte operaie scatenate dall’aumento dei ritmi di lavoro nelle fabbriche. Le musiche di Ennio Morricone che accompagnano, già dai titoli di apertura, tutto il film enfatizzano l’ossessività, la terribile ripetitività del lavoro in fabbrica e suggeriscono le sensazioni di estraniamento e di insofferenza che il protagonista sta vivendo sulla sua pelle. Il film narra le vicende dell’operaio Ludovico Massa, detto Lulù, inizialmente sostenitore e stakanovista del lavoro a cottimo che si identifica perfettamente con il sistema produttivo proposto dai padroni poiché il suo unico obbiettivo è il denaro con cui riesce a comprare beni di consumo ma con il quale non riesce a mantenere le due famiglie a suo carico. Lulù separatosi dalla moglie e dal figlio convive con una parrucchiera e il figlio di quest’ultima. Personalmente ritengo che al scelta del nome del protagonista Ludovico Massa sia stata pensata e accuratamente studiata: Lulù rappresenta infatti non la propria vicenda personale ma l’intera condizione della “massa”- classe operaia. Il film analizza e presenta contemporaneamente due piani narrativi: la sfera della vita privata (la vita familiare e il rapporto con Militina, vecchio compagno operaio finito in un manicomio dopo essere stato licenziato) e quella pubblica, fatta di scelte che determinano il rapporto con i compagni-operai della fabbrica. Queste due prospettive si intrecciano e ognuna completa l’altra: l’evoluzione dei fatti storici coincide con la presa di coscienza della propria condizione e dunque con la crescita del personaggio. Si possono individuare nella struttura narrativa tre ambienti ricorrenti in cui il film viene ambientato: in casa, in fabbrica e nel manicomio in cui Lulù incontra l’ex compagno Militina. Sono tutti e tre ambienti chiusi che accentuano la condizione psicologica claustrofobica del personaggio che sembra non avere altra possibilità: la casa, la fabbrica e il manicomio. Le scene più impostanti e articolate, nelle quali il regista pone i temi su cui si basa tutto il film, sono le prime. La scena iniziale presenta l’immagine di Lulù e della compagna a letto: è mattino presto ma capiamo fin da subito che il loro è un sonno agitato e tormentato caratterizzato da un sudore quasi febbrile e interrotto dal suono odioso della sveglia che sembra porre una momentanea pace nell’animo di Lulù. Dopo uno scambio di battute con la compagna Lulù ha una conversazione priva di senso logico con il figlio che ha per argomento il calcio mentre distrattamente sfoglia un quotidiano sportivo. Lo sport insieme alla televisione sarà l’unico mezzo per evadere dalla realtà: denuncia provocatoria che gli studenti rivolgono alla massa operaia per obbligarli a prendere coscienza e quindi a ribellarsi al “sistema” di quel periodo. Importante è anche la considerazione che Ludovico Massa fa ad alta voce mentre si sta vestendo “Individuo uguale fabbrica. Fabbrica di merda”. Qui si capisce già che Lulù nell’ambiente familiare è tormentato dalla propria condizione e dall’insoddisfazione che prova per la propria vita; nella fabbrica egli si sente più sicuro e dimostra, con la sua identificazione con la macchina e un’accettazione dei ritmi di lavoro, di essere ben inserito nel sistema, ben voluto dai padroni ma osteggiato da tutti i compagni di lavoro. La seconda scena si riapre con l’ingresso degli operai in fabbrica; mentre questi entrano ordinatamente dai lati del cancello vi sono da una parte studenti universitari che gridano slogan “Più soldi e meno lavoro”, “Otto ore rubano la vita” al fine di coinvolgere gli operai nella loro protesta massimalista contro ogni forma di sistema totalitario; dall’altra parte ci sono i sindacati che ponendosi in modo unitario invitano ad assumere una forma di protesta non violenta e a cercare accordi con i padroni. Il movimento degli studenti debutta in Italia alla fine del 1967, con l’occupazione di alcune università come Trento, Torino e la cattolica di Milano, e abbraccia giovani della borghesia e di ceto medio, in parte anche di classe operaia e contadina, e moltissimi studenti provenienti dalla provincia. Il movimento va da subito al di là dei gruppi politicizzati, coagulando ragazzi e ragazze che scoprono la politica proprio in questi mesi. All’intero di questo insieme variegato si possono distinguere grosso modo due filoni. A Febbraio del 1968, quasi tutte le università sono occupate, e sono iniziate manifestazioni all’esterno. E’ comune il rifiuto della proposta di riforma Gui, che reintroduce alcuni limiti di accesso alle università, e in generale l’ostilità o l’indifferenza verso ogni tipo di riforma. Quando a partire dalla primavera 1968 riprendono gli scioperi nell’industria, gli studenti vanno a presidiare le fabbriche co gli operai. L’elemento che serve a contestualizzare il film e a renderlo quasi un documentario è la sequenza che presenta i mezzi di condizionamento usati dai padroni per assuefare l’operaio ai ritmi e ai modi di lavoro. Una voce accompagna ogni operaio alla propria macchina di lavoro ripetendo ogni mattina “Macchina più attenzione uguale produzione”. Lulù , prima di iniziare il lavoro, adegua i movimenti del proprio corpo a quelli della macchina concentrandosi al massimo sulla quantità del prodotto che riesce a realizzare. E’ orgoglioso di se stesso perché i tempi del cottimo esterefatti: Massa canta e non si preoccupa più dei tempi di produzione. “Non è che non posso; non voglio” con queste parole si giustifica difronte al rimprovero dell’addetto ai ritmi di produzione dimostrando che ha le stesse capacità produttive di prima ma che stavolta si trova schierato non dalla loro parte ma da quella degli operai suoi compagni. Lulù diventa così da ora in poi un simbolo per gli operai scagliandosi attivamente e ferocemente contro la direzione centrale. “Dopo l’infortunio Lulù dimostra disturbi verso il denaro e il lavoro” queste le parole dello psicologo incaricato di individuare il malessere e le ragioni del cambiamento di Massa. Il processo di “liberazione” dal lavoro assumerà le dimensioni di una presa critica più generale nei confronti di una società assurdamente fondata su uno sterile consumismo massificato di cui paradossalmente non riescono a godere nemmeno coloro che questa società la rendono possibile. “Lulù ma che è vita questa?” queste sono le parole che uno studente pone al protagonista all’uscita della fabbrica invitandolo a riflettere sulla propria condizione e sulla necessità di ribellarsi per vivere finalmente una vita degna di essere considerata tale. “E questa è vita?” è la sintesi di Massa fatta ad uno dei tanti consigli di fabbrica, assemblee spesso caotiche raggruppanti tutti gli operai che tendono a seguire quasi uniti i referenti costituiti dai delegati sindacali, fautori di una politica di rivendicazioni moderata e riformista; e per questo ritratti in maniera un po’ spregiativa dall’autore. Il loro contraltare è costituito dall’ala eversiva e rivoluzionaria della “nuova sinistra”, costituita da gruppetti dei movimenti studenteschi a loro modo realmente eversivi nelle rivendicazioni ma di fatto troppo distanti dalla possibilità di agganciarsi in maniera stabile e realistica al contesto in cui si trovano ad agire. In tale assemblea Lulù propone di lasciare immediatamente la fabbrica e lo fa con l’appoggio di un gruppetto di operai: la classe operaia da questo momento si divide a metà. In quel periodo infatti le lotte operaie investono in profondità il movimento degli studenti. Mentre l’attenzione, che all’inizio abbracciava tutti gli esclusi, si concentra sulla classe operaia, perdono terreno le componenti che avevano puntato sulla costruzione di una politica nuova ,e, sull’onda della tradizione marxista, del resto radicatissima nella sinistra italiana, si rafforza l’operaismo, un insieme di posizioni diverse che però mettono tutte al centro di ogni strategia una classe operaia che si immagina sempre unitaria e rivoluzionaria. Una classe la cui carica può venire riassorbita in seguito alla mediazione dei sindacati: come dimostra il Maggio francese. Una parte degli studenti si avvicina così ai partiti di sinistra e contemporaneamente si fa strada nel movimento studentesco l’idea di doversi dare un’organizzazione stabile e meno spontanea: fra il 1969 e il 1971 si costituiscono nuove formazioni politiche dette gruppi extraparlamentari che pur molto diverse tra loro si collocano alla sinistra del Pci ed ereditano dal Sessantotto il rifiuto del gradualismo e delle mediazioni politiche, l’utopia rivoluzionaria e l’attesa dello “scontro generale”. Nell’insieme i gruppi extraparlamentari formano la nuova sinistra d’Europa e hanno quasi tutti una forma a metà fra la struttura centralizzata del partito e il carattere fluido del movimento. Per tutta la loro breve vita, i gruppi oscilleranno tra i due poli dello scontro: la fabbrica e il sociale mentre gli studenti i trasformeranno sempre di più in militanti a supporto della classe operaia. I nuovi gruppi coagulano la parte più radicale delle avanguardie di fabbrica e raccolgono un certo consenso fra studenti, insegnanti e nei quartieri popolari. Sono fra il 1969 e il 1976 una componente circoscritta e importante della politica italiana che si caratterizza per l’attivismo e che incontra una repressione enormemente più dura di quella riservata al movimento studentesco. Ma anche sull’ondata dello shock per la strage di piazza fontana la fiducia nelle possibilità di una nuova politica si affievolisce e i gruppi finiscono per riprodurre in modo estremizzato l’ideologia e i partiti di sinistra. L’atteggiamento dei gruppi extraparlamentari vero la violenza è in genere ambivalente e oscillante: si regge sulla distinzione tra violenza terroristica individuale e violenza di massa. Ma è lo stesso rifiuto delle pratiche di mediazione politica e del gradualismo a dare alla violenza la connotazione di uno sbocco quasi naturale. Resta il fatto che la nuova sinistra con i suoi continui richiami alla lotta di massa e con la sua stessa presenza organizzativa fa anche da argine al terrorismo: alcune formazioni terroristiche nascono in coincidenza con la crisi e lo scioglimento dei gruppi. Nella successiva scena Massa, una volta liberatosi dalla schiavitù mentale e fisica che il lavoro in fabbrica gli causa, riesce anche a “superare” in parte il fatto di non riuscire più ad avere una sana vita sessuale; infatti ha un rapporto sessuale squallido con la giovane operaia da lui sempre desiderata. Nemmeno lei però mostra un minimo cenno di amore verso Lulù e sembra agire meccanicamente senza mostrare passione ed emozione. La mattina seguente fuori dalla fabbrica gli operai stanno portando avanti lo sciopero di due ore giornaliere contro l’opposizione degli studenti universitari fautori di uno sciopero ad oltranza: a controllare possibili atti di violenza interviene la polizia che scorta e cerca di dare la possibilità ai dirigenti di poterlo fare. La situazione degenera e sfocia in pura violenza quando arriva l’auto del capo direzione che con forza si fa spazio tra i manifestanti; lo scontro tra la polizia e operai è inevitabile e si conclude con l’atto vandalico dell’incendio dell’auto del dirigente. I sindacalisti temevano proprio questo: l’uso della violenza mai da loro cercata e neppure approvata. Ne procedere della storia ci si sposta nuovamente nella casa di Lulù dove trovano ospitalità gli studenti universitari, ricercati dalla polizia, che hanno affiancato gli operai nello scontro e nelle proteste in fabbrica: la scelta da parte di Massa di aiutare e ospitare gli studenti ha come conseguenza l’abbandono della compagna dell’abitazione. Donna che se ne sta dalla parte dei padroni, che si accontenta della condizione in cui si trova, descritta dallo stesso Lulù come una brava persona nonostante il suo voto alla Democrazia cristiana e incapace di comprendere il disagio e il cambiamento del compagno. Un’altra svolta nel comportamento di Massa è quando riceve, una mattina, la lettera di licenziamento nel momento in cui entra a lavoro: Massa era l’unico vero nemico da eliminare perché l’unico ad aver alzato la testa contro il meccanismo di lavoro. Lulù cerca disperatamente conforto nei colleghi che gli promettono di far votare ad ogni costo lo sciopero ad oltranza; questo non avviene ma i sindacati garantiscono di lottare fino alla fine per fargli riavere il posto di lavoro. A questo punto Lulù si trova totalmente emarginato ed isolato: non c’è più nessuno al suo fianco nemmeno l’odiata fabbrica. Massa si reca all’università dove spera di incontrare i compagni di lotta che lo avevano accompagnato e sostenuto nei gironi di protesta; incontra uno di essi e chiede con pressione di affiancarlo ancora una volta per protestare conto il suo ingiusto licenziamento ma il giovane studente risponde con chiarezza e fermezza “ Ciò che ci interessa non sono i casi individuali ma sollevare le classi”. Da questa affermazione capiamo chiaramente che vi è uno scollamento tra il movimento operaio e quello studentesco: il primo più legato al concerto e alla rivendicazione dei propri diritti, il secondo più ideologico e non interessato al singolo operaio disoccupato. Per l’ultima volta Massa si reca dall’ex-compagno Militina e in una forma di pazzia consapevole fa quello che l’amico più volte gli aveva richiesto: porta le armi per “abbattere quel muro immaginario” che porterà l’amico fisicamente fuori dal manicomio e dalla società che lo ha reso uno schiavo moderno. “Se vuoi diventare matto devi tornare in fabbrica” queste le parole che l’ex-operaio rivolge a Massa nel momento della separazione. Emblematica la scena, in cui Lulù accatasta sul tavolo di casa oggetti inutili che descrive e stima in prezzo di ore di lavoro; premi ridicoli che non ricompensano la fatica del lavoro,per una vita buttata nel caos della fabbrica, a farsi sputare in faccia schiuma da un tubo bollente; quattro sveglie, tutte pronte a ticchettare per buttarlo giù dal letto e recarsi insieme agli altri diligentemente a lavoro. Gente senza un’alternativa che lotta per evadere dalla catena di montaggio ma che non può fare a meno di tornarvi. Estenuato dalla consapevolezza acquisita si abbandona sul divano ormai privo di qualsiasi forza di reazione. Viene svegliato dalla compagna e dal figlio di quest’ultima che silenziosamente si rimpadroniscono della casa, degli spazi e degli oggetti; la donna proprio così come se ne era andata rientra nella vita di Lulù che sembra indifferente anche difronte a questa novità. Una notte Lulù viene svegliato dall’insistente suono del campanello: gli amici sindacalisti hanno lottato e ottenuto la sua riassunzione in fabbrica. Egli non gioisce; inebetito non fa altro che riprendere posto sulla macchina che gli rende nuovo vigore e lo restituisce leader di un gruppo di uomini convinti di aver lottato senza aver capito per cosa. E’ la prima volta che viene riassunto un’ operaio espulso per motivi politici. L’ultima scena si apre con il consueto ingresso nella fabbrica: ancora una volta vi sono sindacalisti e studenti che ricordano le vittorie ottenute dalle loro proteste; la riassunzione di Massa e le modifiche riguardo il cottimo ma si ricorda agli operai che la lotta non deve finire qui poiché ci sono altre conquiste da fare e da migliorare. Il film si conclude con la scena che conferisce significato al titolo: vediamo Lulù e gli altri operai alla catena di montaggio. Il protagonista tra il frastuono assordante delle macchine, senza mai interrompere il proprio ritmo di lavoro, comunica ai compagni che Militina è morto raccontando un sogno che ha fatto la notte prima. Lulù conquista il Paradiso nella nebbia, dopo aver oltrepassato un muro, in un’allegorica liberazione dalla consapevolezza ed un ritorno al conforto della catena di montaggio che è l’unico posto in cui riesce ad essere veramente libero. Come in tutto il film la musica sottolinea le immagini rafforzandole: è la musica dell’inizio che scandisce nuovamente, in maniera ossessiva, l’estenuante ritmo di lavoro imposto dalla catena di montaggio. Il personaggio attorno al quale ruota tutto il film è Ludovico Massa ; interpretato magistralmente da Gian Maria Volontè, attore impegnato in ruoli di denuncia sociale, che aveva già lavorato precedentemente con il regista nel film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”. L’operaio protagonista, nel procedere della storia, ha un evoluzione e una maturazione dettata dagli eventi che lo riguardano e che lo portano ad acquisire una coscienza maggiore della condizione che sta vivendo. All’inizio del film Massa è già immerso in una crisi interiore, soprattutto nell’ambiente familiare, che giustifica con lo stress causato dai ritmi di lavoro che deve sostenere per permettere alla nuova e alla vecchia famiglia un benessere maggiore. Il suo scopo principale è il denaro. La sicurezza che lo accompagna sul posto di lavoro lo abbandona in famiglia dove si lamenta della solitudine che deve sopportare mettendosi contro ai compagni operai; la mancanza di appetito, l’ulcera che va e viene, il sonno disturbato e l’incapacità di avere una vita sessuale sono le manifestazioni del suo malessere. Importante per la maturazione e l’evoluzione del personaggio è il rapporto con il compagno Militina e il confronto continuo che lui ha con la pazzia. Ludovico si reca in manicomio più volte sia per l’affetto che nutre verso Militina sia perché il compagno riesce a guidarlo, nonostante il suo delirare, verso una maggiore conoscenza di se stesso e della propria condizione. L’identificazione con la macchina va in crisi nel momento in cui Massa perde una parte del suo corpo, il dito, e vede l’indifferenza di tutti sia in famiglia e sia sul posto di lavoro: lui conta solo per la produzione e non come individuo. E’ un’ ingenuo perché abbraccia le idee apparentemente più rivoluzionarie degli studenti rimanendone profondamente deluso nel momento in cui anche loro non mostrano interesse per Ludovico in quanto individuo ma solo in quanto classe operaia. Lulù prova a ribellarsi a questa situazione di vita che lo rende schiavo ma non vi è possibilità di uscita e proprio per questo l’opera di Elio Petri sarà soggetto di polemiche per l’ingrata immagine che dà del lavoro in fabbrica, per come semplifica il conflitto fra sindacati e movimento studentesco, per il rimprovero mosso agli stessi sindacati di incoraggiare la produttività. Il personaggio alla fine torna ad essere perfettamente integrato nel sistema e a differenza dell’inizio meno isolato e osteggiato dai compagni. Unica figura femminile rilevante nel film è quella di Lidia; interpretata da Mariangela Melato. Lidia è una parrucchiera perfettamente integrata nella società che vuole bene a Massa ma con il quale non vi è un rapporto di comprensione e condivisione né all’inizio del film né nel momento di ribellione. È una donna silenziosa che si reagisce solamente quando vede invaso dagli studenti il proprio territorio, la casa, sentendosi minacciata e impaurita di perdere ciò che ha. Vi sono altre due figure femminili marginali: la moglie di Massa e l’operaia. La prima è un personaggio non delineato che
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