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La codificazione dal XVIII al XXI secolo, Appunti di Storia Moderna

Un discorso sulla figura di Bentam e la sua definizione di codificazione, che ha influenzato maggiormente i paesi di cultura romanista. Vengono descritti i metodi interpretativi del diritto in Francia e in Inghilterra, concludendo che la Francia ebbe un diritto di sapienti e l'Inghilterra un diritto di pratici. Il documento espone alcuni criteri generali per comprendere cosa sia un Codice.

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 29/06/2022

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Scarica La codificazione dal XVIII al XXI secolo e più Appunti in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! La codificazione dal XVIII al XXI secolo. 1 - Introduzione. In questo discorso è necessario evocare la figura di Bentam, giurista inglese laureatosi da avvocato presso l’Università di Oxford, il quale diede al mondo una nuova nozione di “Codice”, già molto più conosciuta a differenza del termine “codificazione”. Quest’ultimo vocabolo significa riunire fonti del diritto diverse tra loro in un’unica opera e Bentam sostenne il suo valore dicendo che era un’azione importante di semplificazione. Egli venne inoltre conosciuto come il padre dell’utilitarismo, ovvero quella corrente di pensiero per cui si considerava che la legge dovesse essere utile prima di tutto ai cittadini: essa o dona vantaggi/ricompense, o dà pene altra funzione attribuita alla codificazione è quella di dare un orientamento alla società. Le idee di Bentam andarono diffondendosi in tutta Europa poiché egli fu un grande viaggiatore: i suoi pellegrinaggi, infatti, toccarono zone quali la Germania, l’Italia e la Francia ad esempio. Egli inoltre era già corrispondente presidenziale negli Stati Uniti d’America (USA) ed anche in Russia per lo zar. Comunque, la Rivoluzione francese venne molto influenzata dal suo pensiero, a differenza di quanto accadde in Inghilterra, sua patria nativa. In terra inglese, infatti, l’idea di codificazione era ed è fortemente rifiutata. Dunque, si può dire che la definizione di Bentam di codificazione influenzò maggiormente i paesi di cultura romanista (Europa continentale), i quali avevano già da tempo un modello di diritto scritto e predefinito. Un esempio di Codice civile scritto e definito ci venne offerto nel 1804 dal “Code Napoleon”, il quale venne definito da Portalisse come un “Codice di orientamento sociale”: infatti, esso conteneva norme con cui i giuristi dovevano lavorare, ma anche leggi per il cittadino, le quali gli indicavano come avrebbe dovuto comportarsi. Nella stesura di questo Codice, inoltre, si fece anche qualche riferimento al passato ed un esempio ci è stato offerto da una citazione ripresa dal “Digesto” giustinianeo e recitante che “la legge deve comandare; la legge deve vietare; la legge deve punire”. Durante l’Antico regime, l’idea di Codice (non propriamente nominabile in questo modo) era strettamente legata alla teologia e quindi alla religione: infatti, era quest’ultima a dire al cittadino come comportarsi per potersi conformare al volere di Dio. Con la Rivoluzione francese, invece, si avvierà un processo di laicizzazione del diritto con conseguente eliminazione di qualunque riferimento religioso. Malgrado la rimozione dell'elemento religioso, la legge continuò a dire all'individuo come comportarsi e si passò dall'idea di verità rivelata da Dio, a cui l'individuo si doveva conformare, a quella di una verità imposta dal legislatore a cui il cittadino comunque si doveva adeguare. Anche il metodo di interpretazione rimase lo stesso dell'Antico regime in cui c'erano ministri che la sviluppavano. Dopo la Rivoluzione francese, ci saranno quelli non più incaricati da Dio a fare lo stesso lavoro, ma ci saranno specialisti che interpreteranno il diritto. I giuristi usarono la stessa tecnica e linguaggi anche dopo la Rivoluzione: infatti, vennero prodotte delle glosse anche in questo periodo. Questa modalità di commento, interpretazione e glossa consisteva nel partire da principi generali del diritto contenuti nel Codice per applicarli ai singoli casi specifici. Dato ciò, il sistema francese è assimilabile alla matematica ed il suo metodo interpretativo può essere definito deduttivo. Inghilterra si ebbe un metodo opposto, detto di induzione: infatti, si partiva dal fatto, si osservava e si indagava, senza partire dai principi generali del diritto. I giudici e avvocati facevano casistica quindi (studio diritto) ed il diritto era considerato insieme di regole NON generali astratte e precostituire, ma si trattava di diritto concreto che tendeva alla risoluzione di casi specifici. Il sistema inglese può essere assimilato alla medicina perché parte dall'analisi di casi specifici per poi estrarne dei principi generali. Il diritto inglese ebbe e ha natura contenziosa, ovvero nacque e nasce dalla necessità di risolvere un litigio. Inoltre, la procedura accusatoria in Inghilterra si svolgeva senza scritti e si basava sull’interrogazione di testimoni. Piuttosto che cercare principi di diritto da applicare, il processo si svolgeva intorno alla verità realmente detta dalle parti interrogate. Contavano quindi i fatti e la procedura, in particolare durante il processo di ricostruzione del fatto o istruttoria. In questo caso, servivano un tribunale competente, prove attendibili e testimoni degni di fiducia. In conclusione, si può dire che la Francia ebbe un diritto di sapienti, di scienziati, mentre l’Inghilterra un diritto di pratici e la dimostrazione a ciò è che, fino al XX secolo, avvocati e giudici inglesi non ebbero alcuna formazione giuridica universitaria e non furono studiosi del diritto: essi infatti si formano nella pratica quotidiana dei tribunali avendo i loro superiori (avvocati di riferimento) che li ammaestravano in essa. Quindi vigeva un dritto non di universitari o principi generali, ma di casi e di pratici e lo sviluppo di questi studi giuridici si chiamava clinica giuridica in riferimento al paragone che si faceva del sistema inglese con la medicina. È alla luce di ciò che si comprende perchè l’idea di Bentam non trovò fortuna e per cui non si ebbe il passaggio dalla consuetudine alla codificazione scritta e preordinata. Dati questi due metodi in antitesi, è complesso dare una definizione universale di Codice. Per capire cosa sia un Codice è necessario esporre alcuni criteri generali: 1. il Codice è un’opera giuridica che nel proprio titolo ha parola “Codice” (Codice giustinianeo, Codice teodosiano, Codice francese, etc. …). Esistono poi Codici privati, fatti da giuristi privati senza alcun incarico pubblico, che si definiscono tali anche se effettivamente non lo sono solo perché hanno nella loro intitolazione il vocabolo “Codice” (ad esempio, il Codice della strada). Il criterio nominalistico (approccio semplicistico) appena analizzato basta per NON definire un Codice come tale oppure no, perché si riunisco in una singola grande categoria molteplici testi diversi per origine (statali e privati ad esempio) e non solo. Dunque, è necessario scartare questo criterio formalistico dell’intitolazione e bisogna guardare ai contenuti del testo considerato; 2. una prima differenza può essere individuata tra codici pubblici e privati; 3. i codici si distinguono tra loro per gli oggetti che trattano come ad esempio abbiamo quelli di diritto privato, marittimo o penale; nei secoli successivi, fu importante durante la Rivoluzione francese sotto l’influsso del pensiero razionalista degli illuministi. Per semplificare il diritto basta riscrivere le leggi antiche e NON ordinarle ma bisogna sceglierle e classificarle facendole corrispondere organicamente. A questo modo di procedere alla codificazione ha contribuito il giusnaturalismo sviluppatosi in Europa occidentale in seguito alla Rivoluzione. In questo periodo, esistevano già delle codificazioni orientali, non spinte dallo spirito nazionale, quindi risultanti come raccolte disorganiche di leggi, definite dai giuristi francesi come codici medievali dato che in Europa c'era già l’idea di leggi da classificare ed ordinare in modo omogeneo. 3 – Classificazione delle leggi all’interno del Codice. Per realizzare una classificazione delle leggi all’interno di un Codice, bisognava fare dei prospetti, alcuni dei quali vennero realizzati davvero mentre altri fallirono: o leggi classificate in ordine cronologico senza spirito sistematico però; o leggi classificare in ordine alfabetico in base all'argomento che toccano: aiutava a trovare facilmente gli argomenti ma non portava alla comprensione interconnessione, ovvero legami organici tra varie norme; o il metodo di classificazione delle leggi che incontra più successo è quello tematico, per cui era necessario raggruppare le norme in gruppi per grandi temi che vanno a toccare. Esso venne adottato dal Codice civile francese anche se può essere considerato ancora più antico perché la divisione si fece seguendo o schema gaiano che prevedeva persone, cose e azioni (“Istitutiones” di Gaio). Questo modo di organizzare il diritto era molto naturale e semplice e poteva anche essere tratto nel teatro greco in cui si avevano attori, teatro di scena e vicende della rappresentazione. Questo modello era tanto semplice già da essere utilizzato almeno a partire da un secolo prima del Codice civile francese. Un esempio della fortuna dello schema di Gaio come metodo di organizzazione delle leggi si ritrova nell’ordinanza Luigi XIV del 1779 in cui riformò il diritto il modo molto chiaro. La differenza stava nel fatto che mentre le “Istituzioni” di Gaio toccavano tutto il diritto romano, l’ordinnance di Luigi XIV, invece, servì solo per introdurre l’insegnamento del diritto francese nelle università: egli infatti non disse come organizzarlo, ma di spiegarlo perché si studiava solo il diritto romano, canonico e consuetudinario e ciò non bastava più per la formazione del buon giurista francese. Quindi, ogni professore era libero di impostare il suo corso come meglio preferiva, purchè fosse in francese. Il problema era quello di cercare di riassumere in 2 o 3 anni di studio migliaia di norme francesi. In tutte le università si usò, più o meno, lo stesso, il più semplice per organizzare il diritto, ovvero quello di Gaio. Anche nei singoli raggruppamenti venne talvolta usato questo metodo diacronico naturale (ad esempio, nella sezione dedicata alle persone, i giuristi partivano dalla nascita ed arrivavano alla morte: si aveva la definizione di soggetto, di capacità giuridica, si trattava poi del matrimonio ed infine del testamento e della successione). Quindi, il diritto codificato era basato su questo metodo semplice che era già in vigore nelle università francesi almeno da 100 anni. La rinnovazione maggiore rispetto a questo sistema stava nel fatto che ogni libro era distinto in capitoli, titoli ed articoli numerati. Una parte del Codice dovette molto di sè alla storia passata (al diritto romano, ad esempio) ed alla storia politica recente, ma soprattutto alla Rivoluzione francese. Il Codice affondò le sue radici sistematiche nel passato ma introdusse anche principi nuovi (di libertà ed uguaglianza) derivanti della Rivoluzione. Fu in questo periodo che si affermò anche il criterio della completezza: il Codice, infatti, è un sistema chiuso con al suo interno tutto quello che serve per disciplinare una certa area del diritto. L’idea del codice come insieme di regole chiuso lo troviamo anche nel Codice prussiano e altri codici tedeschi. Il diritto, nel quadro della scienza dell'epoca, non era visto in modo diverso da esse e quindi gli scienziati lo affrontarono come affrontano come le altre scienze poiché v'era l’idea che tutte fossero in progresso e quindi anche diritto, essendo considerato come tale, doveva migliorare. Come i matematici ed i fisici partivano da principi per creare equazioni, i giuristi partivano da principi di logica generale per poi declinarli in leggi. In questo periodo nacquero codici delle natura per cui giuristi servivano solamente a mettere per iscritto norme in quanto tali perché fondate sulla natura umana. Tra 1770 ed il 1780 si sviluppò l’idea di Codice di diritto filosofico in cui dovrebbe confluire tutto il diritto naturale, ovvero come il diritto dovrebbe essere secondo natura. Il diritto nasce dallo stato sociale e quindi esce dallo stato di natura a cui l'uomo ha rinunciato per costruire lo Stato. L'uomo cerca i principi su cui basare la propria vita. Ci fu chi positivamente l'uomo che vive in uno stato di natura, come Rousseau: egli quindi non potè non fare critiche negative di quello che era uomo contemporaneo. Gli illuministi, di fronte a bontà dell’antico diritto corrotto allontanandosi l'uomo da stato di natura, vollero eliminare le antiche consuetudini per creare un diritto il più vicino possibile a quello naturale. L'idea era quella per cui l’uomo è libero e nasce tale ma nella pratica non lo è perché i principi dell’Antico regime lo incatenano. Queste leggi oscure le tenevano in vita gli avvocati, i giudici ed i sovrani e l'ideale alternativo proposto dai pensatori fu quello del cittadino magistrato che conosceva bene le norme dello Stato nel quale viveva senza aver bisogno di nessun aiuto. La Rivoluzione francese fu inoltre piena di rivalutazione di antichità classica (mondo greco e romano): vennero infatti riscoperti molti testi del diritto romano antico (non per forza dell’epoca di Giustiniano). Partendo da questi presupposti, Rousseau disse che la codificazione era l’unico strumento di liberazione dei cittadini. Andando a ritroso nella antichità un esempio di codificazione antica è la Legge delle XII Tavole che permise al cittadino romano di liberarsi da dittatura giuridica dei sacerdoti, considerati unici e gelosi detentori della conoscenza giuridica. Grazie a questi richiami storici, gli illuministi sostennero che il diritto dovesse essere raccolto in testi giuridici scritti, brevi, chiari, comprensibili e accessibili a tutti. Alla luce di questo passato di riflessioni, all'Assemblea Nazionale della Rivoluzione francese uno dei punti chiave di discussione fu la necessità di redare un Codice. 4 - Il codice nella sua funzione politica. La codificazione per tutto XVIII secolo rappresentò un punto di espansione del potere personale dei sovrani. Il Codice napoleonico fu, ad esempio, uno strumento di affermazione politica del potere personale di un singolo soggetto (Napoleone). Furono anche strumento di propaganda politica internazionale: infatti, il Codice francese fu considerato un modello giuridico da applicare in tutta Europa. Siccome il Codice era semplice ed accessibile, allora doveva avere una portata universale e poteva essere compreso ed applicato da tutti e dappertutto. La Francia napoleonica ha imposto infatti la sua autorità su tutta Europa con le armi ed anche con le sue leggi. Quindi, i codici furono anche strumenti di conquista e confermazione del potere sui territori assoggettati (strumento di affermazione del potere politico del sovrano o della Nazione). La codificazione ha avuto quindi il compito affermare il potere politico monarchico ed anche e soprattutto quello di affermazione della Nazione. Quest'idea di codificazione come strumento di affermazione nazionale si trova nella Rivoluzione francese e nella definizione del termine “unità” (legale, territoriale, etc. …). Il principio di unità nazionale era stato infatti proclamato ufficialmente all'inizio della Rivoluzione 1789 e il passo successivo era quello di passare da un’unità politica ad una giuridica e la Francia si propose storicamente qui come uno dei primi stati nazionali in Europa. L’idea che la Francia aveva un diritto tale che merita d’essere esportato anche in altre paesi europeo, si sviluppa nel fatto che essa era la Nazione che esportava all'estero il proprio diritto nazionale che diventava così europeo. La conseguenza fu quella di svegliare in altri popoli la necessità di un’identità ed un’unità nazionale propria. Finché Napoleone vinse, la Francia esportò propria codificazione ed il proprio diritto in tutta Europa. Nel 1814 egli cadde e nel 1815 il Congresso di Vienna fa perdere tutti territori esteri da lui conquistati attraverso la ridefinizione dei confini europei. L’influenza francese venne quindi notevolmente ridotta ed un esempio ci venne offerto dalla creazione del Regno dei Paesi Bassi, composto da Olanda e Belgio. I Paesi Bassi, però, rifiutarono il modello francese ed il “Codice Napoleone”. I belgi, invece, per rivendicare la propria specifica identità nel Regno rifiutarono il Codice dei Paesi Bassi per uno belga di ispirazione francese, segno di sentimento nazionale. Nello stesso Stato, quindi, c’erano popoli differenti che cercarono di affermare la propria identità attraverso il diritto. Ciò si vide anche nelle aree latino-americane dell'Impero spagnolo quando vennero perse le colonie: infatti, coloro che stavano nell’Impero coloniale spagnolo crearono codici fondati sull’identità e sull’unità nazionale dei singoli popoli. Nel 1860 si diedero, ad esempio, codici diversi il Messico e l’Argentina per segnalare la loro differenza con la Spagna. Dopo il 1960 anche Francia perse il proprio potere coloniale e ogni popolo si diede codici nazionali per rimarcare la propria diversità dalla Francia. Il Codice, generalmente, corrisponde ad una sovranità, ad uno Stato. Ci sono casi, però, in cui in uno Stato coesistono più codici diversi tra loro come ad esempio in Louisiana, colonia francese ceduta agli Stati Uniti nel 1803. In questo luogo, infatti, si fece un Codice di ispirazione francese che poi venne modificato sempre recependo indicazioni di dottrina francese. Qui, non si accettò mai che altri sistemi giuridici imponessero di cambiare il sistema giuridico codificato. Altro esempio, più recente, si determinò dopo la Restaurazione del 1815 in cui le codificazioni non vennero abolite nei territori di influenza prussiana: la parte Nord della Prussia conservò il Codice prussiano perché prevalentemente formata da una popolazione conservativa, monarchica e agricola, mentre la parte Sud accettò il Codice civile francese in vigore perché popolata da una grazie alla lunga durata: più una legge è antica e più è buona. Quando si guardava al diritto di Antico regime, si notava che il sovrano aveva un potere assoluto incontestato che però nella pratica aveva dei limiti. Le leggi di Antico regime quindi furono raccolte di vecchie leggi come quelle fatte da Luigi XIV e toccanti temi classici su cui i sovrani da secoli esercitavano loro autorità. Gli argomenti mai da nessuno trattati non vennero presi in considerazione (ad esempio, il diritto di famiglia). C’erano degli ambiti del diritto nei quali il sovrano poteva intervenire ma non vigeva l’idea per cui i vari settori potessero essere unificati. Fino alla vigilia della Rivoluzione francese quindi c'erano materie in cui era in vigore una grande unità (erano raccolte), mentre su altre no (si fecero solo raccolte su alcuni istituti come, ad esempio, le ordinnance di Luigi XV ed il suo cancelliere e ministro della giustizia, il quale aveva già idea di unificare diritto, sul testamento e sulle successioni. Il ministro sosteneva che unificare non volesse dire eliminare le differenze e la codificazione perciò apparve impossibile). 5 – Il ruolo della dottrina. La prima obiezione che la dottrina fece alla formazione di un Codice fu che il diritto può essere sia universale sia particolare. Già per gli illuministi la vocazione del diritto era quella di rendere all'universale nonostante il diritto tenda di natura la particolare. Si assistette allo scontro tra due visioni differenti che si possono riscontrare anche oggi in relazione al diritto internazionale ed europeo. Per gli illuministi (Voltaire e Diderot in particolare) la vocazione del diritto era universale: infatti, secondo loro, il diritto era sgorgato dalla ragione dell'uomo e non dalla storia specifica dei singoli luoghi. Il diritto nasceva dalla ragione e quindi doveva essere uguale dappertutto e non ci si poteva opporre alle idee razionali ed universali di libertà ed uguaglianza (nel matrimonio, tra figli, etc. ...). Il diritto francese era quello delle altre nazioni europee, doveva essere unico perché tutto derivava unicamente dalla ragione. La Francia portava i propri valori con la guerra conquistando tutta l’Europa perché portava con sé i principi di uguaglianza e libertà, frutto della ragione degli uomini, al fine di liberare gli altri popoli dalle catene dell’Antico regime. Questa fu una visione ideologica del diritto (visto astrattamente). Nell’Antico regime, però, prevaleva concezione concreta del diritto e, per la maggior parte dei giuristi, esso era una realtà particolare. Montesquieu, giudice della zona di Bordeaux molto aggiornato sulla realtà giuridica del suo tempo e che aveva fatto anche studi di diritto comparato studiando leggi antiche di altre civiltà europee e di paesi orientali, giustificava il particolarismo locale. Aveva studiato il diritto di varie popolazioni con approccio sociologico (sociologia giuridica): osservando, notò che ogni popolo aveva un diritto diverso e, per lui, il diritto assunse un valore variabile che cambia a seconda delle circostanza (luoghi e tempo). Quindi, il diritto non solo cambia da popolo a popolo, ma anche per il passare del tempo e mutamento di tradizioni/costumi. Era impossibile e auspicabile quindi avere unico diritto per tutto il NON territorio. Per illuministi l’ingiustizia derivava dall'esistenza di leggi diverse (disuguaglianza), mentre per Montesquieu no perché questo deriverebbe dall'imporre a tutti lo stesso diritto perché vuol dire imporre ai popoli di abbandonare il diritto che ha sempre seguito ed ha fatto proprio. Si arrivò ad un punto di inconciliabilità tra lui e gli illuministi. In Francia, sotto l’Antico regime, prevalse la visione di Montesquieu ed i giudici seguirono questo tipo di approccio. Si contrapposero tra l’Antico regime e la Rivoluzione francese due concezioni completamente differenti di giustizia: per il giudice della Rivoluzione bisognava applicare la legge alla lettera per avere giustizia perché essa era uguale per tutti e quindi era vietato applicare legge in modo diverso (il giudice come “bocca della legge” – si ebbero più interpretazioni diverse della NON medesima legge). Per quelli dell'Antico regime, invece, non vigeva ancora questa concezioni di unità, ma v’era il particolarismo: infatti, un giudice di Antico regime che notava un contrasto tra una legge ed una consuetudine, applicava quest'ultima poiché si riteneva che il Re, avendo giurato di rispettare le tradizioni locali, se ne ha fatta una contro le leggi locali si è sbagliato e quindi è nel suo interesse che va disapplicata (limite dei sovrani assoluti). Questo valeva non solo per applicazione ma anche per l’elaborazione delle leggi. V’è una differenza fondamentale tra l’Antico regime e la Rivoluzione francese: in quest’ultima, la legge era emanata ed applicata uniformemente su tutto il territorio statale; durante l’Antico regime, invece, la legge era applicabile nella Provincia solo quando giudici la trascrivevano nel registro locale. In luoghi differenti quindi era possibile che una legge entrasse in vigore in momenti diversi. Poteva capitare che in questo atto i giudici si rifiutassero di trascriverla perché magari non era conforme alle tradizioni. Il potere del Re risultava quindi bloccato e se voleva farla entrare in vigore comunque o doveva andare lui, o mandava uno dei suoi ad ordinare di farla scrivere. Per evitare questo problema, il processo normale di redazione delle leggi cambiò: quando il sovrano voleva fare una legge si consulta prima coi giudici per avere un parere così che dopo la potesse mandare con sicurezza. Venivano quindi inviati dei questionari a tutti grandi tribunali chiedendo se fossero d'accordo su certi argomenti in determinate leggi. Il procedimento poteva anche risultare molto lungo (poteva durare anche anni), ma almeno c'era la sicurezza di non vedersi bloccare la legge in sede di redazione. Se si avesse voluto unificare tutto il diritto francese con questo metodo ci sarebbe tantissimo e per questo motivo nacquero tensioni tra sovrani e giudici perché i primi volevano sopprimere il potere di registrazione delle leggi. Montesquieu difese i giudici sostenendo che quello era un potere da conservare e da esercitare con il Re. Egli inoltre condivise anche l’idea di una monarchia mista all'inglese in cui v’è il legislatore moderato dalle opinioni dei giudici. In questo periodo, però, il Re era affiancato dal Consiglio del Re che lo portava ad una visione molto assolutistica in cui doveva esserci l’approvazione delle leggi nei tribunali come il sovrano le avrebbe volute e senza alcuna interferenza. Si può riscontrare che una delle cause che prepararono alla Rivoluzione francese fu questa tensione, che durerà fino alla sua viglia, tra il potere del sovrano assoluto, che voleva imporsi su tutto e tutti, ed i tribunali locali, che volevano imporre le consuetudini locali. La Rivoluzione francese, in realtà, si può dire che sposasse la teoria assolutista laicizzandola e dicendo che era il sovrano l’unico legislatore per diritto divino ma era la Nazione unica NON legislatrice per diritto divino. La Rivoluzione si tradusse sostanzialmente nel passaggio della NON sovranità dal Re alla Nazione e nella visione rivoluzionaria che realizzò l’ideale di Bodin (ancora oggi in Francia “sovranità” significa fare la legge, applicarla ed abrogarla). La Rivoluzione accentuò, prolungò e rafforzò quello che era stato l'assolutismo del Re precedentemente. L'assolutismo aveva proclamato la legge regia come la prima tra le altre senza eliminarle, mentre quello della Rivoluzione tollera altro se non la legge dello Stato e nient'altro più. NON L'atto indicativo della Rivoluzione, uno dei primi, fu l'abolizione dei tribunali, contro-potere che impediva il pieno esercizio dei poteri sovrani e la supremazia della legge. Dunque, la Rivoluzione realizzò il sogno degli illuministi creando un diritto unificato con l’imposizione della sola legge. Altro passaggio importante (agosto 1789) si ebbe con l’eliminazione dei privilegi e delle consuetudini locali e ciò portò al fatto che l'individuo si trovò da solo di fronte allo Stato. Prima di questa legge, l'individuo era mai stato solo ma era sempre stato parte di una famiglia, NON corporazione od ordine. Con la Rivoluzione si passò quindi a dei codici innovatovi di nuove leggi e a raccolte di leggi NON passate. Il Codice era più un testo neutro ma doveva cambiare e riformare la società. Non NON fu un caso che uno dei primi passi della Rivoluzione francese fu l'annuncio della redazione di un Codice civile. Vennero infatti fatte due proclamazioni coese: quella dell’unità della Nazione e quella della realizzazione di un Codice civile unico per una Nazione unica. I deputati dell'Assemblea Nazionale erano convinti che non ci sarebbe mai stata unita nazionale se non ci fosse prima stata unità del diritto. Le istanze politiche della Rivoluzione però impedirono la realizzazione immediata del Codice, per cui bisognerà aspettare il consolato e l'inizio del 1800. La nozione di “codificazione” dopo la Rivoluzione francese ed il suo sviluppo tra il 1800 ed il 1900. 6 – Una rottura col passato. La Rivoluzione francese si basò sulla rottura ed il cambiamento. La codificazione come rottura si può imputare a tre principi ideologici fondamentali: 1. un elemento era già presente in Europa nei primi due secoli antecedenti alla Rivoluzione ed era il giusnaturalismo: esso, soprattutto nelle elaborazioni precedenti di Grozio e Puffendorf, portò all'affermazione diritti soggettivi propri dell'individuo. Da qui, il diritto si iniziò a basare di più sulla ragione piuttosto che sulla storia; 2. un elemento contemporaneo alla Rivoluzione fu l’Illuminismo. Voltaire e Diderot fra gli illuministi svolsero il ruolo più importante per l’affermazione dei principi di libertà ed uguaglianza, posti alla base del diritto (il diritto di illuministi era legato a queste idee). Qui, il diritto era basato sulle idee di libertà ed uguaglianza e, di conseguenza, si venne a creare una frattura in contrapposizione con i diritti presentati dai giuristi e legati all’applicazione consuetudini; 3. un elemento contemporaneo alla Rivoluzione che incise sull’idea di sviluppo della codificazione fu l’evoluzione della teoria del contratto sociale alla cui base v’era un diritto che non proveniva da Dio ma era dato dagli uomini attraverso la propria volontà. Per questa teoria, quindi, i cui esponenti principali furono Hobbes, Locke e Rousseau, conoscevano l'uomo per le sue inclinazioni: l’essere umano dev’essere inquadrato in un sistema di leggi perché di sua natura è pericoloso. La prospettiva del consolato era quella di creare uno Stato forte, il più analogo possibile a quello del “Leviatano” di Hobbes. L’obbiettivo era giustificato col fatto che in Francia, dalla Rivoluzione in poi, si ebbero due fazioni che si contrapposero costantemente: una legata al cattolicesimo, alle antiche regole, alle tradizioni ed alla struttura tradizionale della famiglia, un’altra invece ispirata a principi rivoluzionari, repubblicana ed aspirante ad un nuovo diritto. Il progetto politico del consolato era quello di creare Stato forte in grado di neutralizzare le spinte contrapposte di queste due fazioni che si scontravano. Bisognava soprattutto ricostruire lo Stato creando istituzioni che sono pressappoco ancora oggi alla base dello Stato francese. Venne ribadito un ordine unitario, vennero ri-istituiti i tribunali e si ricominciò a fare i corsi di studio agli avvocati riformando il sistema insegnamento precedente ricreando le università. Tutto ciò doveva servire a tenere uniti i francesi e la codificazione partecipò a questo progetto di unificazione proponendosi di dare ai francesi un diritto forte ed unico per tutti. Il Codice corrispondeva alle trasformazioni dell’organizzazione pubblica: lo Stato infatti doveva essere riformato con istituzioni in grado di fermare scontri tra fazioni politiche. Il Codice doveva quindi fermare anche i litigi inutili tra cittadini. Per dare un diritto unitario che sia in grado di unire tutti i cittadini bisognava recuperare le consuetudini antiche ed il diritto romano per fonderli. La società non venne più vista come composta da un insieme di individui (idea tipica della Rivoluzione), ma tante famiglie (idea tipica dell’Antico regime). I redattori di questo nuovo Codice pensarono che il difetto maggiore primi progetti e della società rivoluzionaria fosse l’eccesso individualismo. I redattori del Codice civile francese riuscirono a mettere insieme e far andare d'accordo sia la Francia pre-rivoluzionaria, sia quella posteriore (anche se in Francia ancora oggi c'è una non chiarissima ma vigente distinzione tra rivoluzionari ed anti-rivoluzionari che perdura alla base di vita politica francese. Ci sono stati momenti difficili in cui le due fazioni si sono unite come, ad esempio, durante la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, ma, al di fuori di momenti di grande emergenza politica, le due fazioni erano e sono sempre state divise). Comunque, la codificazione del consolato si propose l’obbiettivo di unire i cittadini francesi separati dal punto di vista politico, economico e di ideali. Il modo di procedere per ottenere quest’unificazione attraverso la legge voluta da Napoleone fu sostanzialmente quello di unire tanti diritti preesistenti in unica fonte: la fusione fu sia nello spazio che nel tempo. Nello spazio perché si tentò di mescolare i diritti di vari territori presenti sulla Nazione francese (diritto consuetudinario e romano in particolare). Storicamente inoltre la Francia era divisa in due grandi aree: quella Nord, di prevalenza consuetudinaria, e quella Sud, in cui il diritto romano, per influenza delle scuole dei giuristi di Montpellier ed Orleans, aveva avuto particolare fortuna. Cittadini e giuristi però erano legati ad un diritto che sapevano già perfettamente e non volevano quello nuovo ed ignoto. In ogni caso, l’obbiettivo politico da raggiungere era quella di mettere insieme questi due diritti in modo paritario. Tale scopo si rifletteva nelle commissioni indette per la redazione del Codice civile, le quali erano composte in modo uguale di rappresentanti del Nord e del Sud della Francia (consolidazione geografica del diritto). La consolidazione temporale del diritto si ebbe quando vennero messe insieme le vecchie regole dell'Antico regime e le nuove della Rivoluzione francese. Da tutti questi presupposti nacque il “Codice Napoleone”, un Codice di unificazione e rottura rispetto mondo antico. Si dice che fu una rottura col passato perché riprendeva principi della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” del 1789, in particolare quello di libertà: infatti, nel Codice esso si tradusse nella libertà dell’individuo di concludere contratti liberamente senza vincoli di forma, ovvero in piena libertà contrattuale ed individuale. Essa si esprimeva anche nella libertà di coscienza perché non si prendeva in considerazione alcun tipo di religione in particolare e quindi ogni individuo era considerato assolutamente libero di seguire il proprio credo. Nella sostanza, nonostante in molti articoli v’era un’ispirazione di fondo di tipo cattolico e conservatore, non ci fu mai un’affermazione del valore ufficiale di questi. Altra rottura col regime precedente venne data dall’importanza assegnata all'uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini, elemento ispiratore della Rivoluzione francese (anche il principio di uguaglianza sviluppato da giusnaturalismo moderno). dovevano esistere diseguaglianze o sottomissioni (ad esempio, NON la servitù della gleba) come era già stato espresso dalla “Dichiarazione” a livello pubblico (qui il concetto venne riaffermato all'interno del Codice civile a livello privato). Qui si incontrò un Napoleone rivoluzionario, giacobino ed ammiratore di Rousseau che abbracciava i principi della Rivoluzione. Ma egli fu anche conservatore e voleva tenere uniti i francesi, consapevole di dover riprendere anche delle norme del diritto antico. Le concezioni antiche erano già state esplicitate in Francia da Bodin, il quale aveva sostenuto che la Nazione è un insieme di famiglie il cui capo è il monarca, svolgente il ruolo di un padre per i suoi sudditi/cittadini. Un’altra idea già espressa era quella per cui ci doveva essere coerenza tra il diritto pubblico e quello privato e ciò implicava che il Codice civile dovesse essere conforme alla forma pubblica statale. Con Napoleone, quindi, si ebbe la restaurazione del potere monarchico: non vigeva più una monarchia di Antico regime ma tutti i poteri erano comunque in mano ad una sola persona (Napoleone, appunto). Dato che ci doveva essere corrispondenza tra il diritto pubblico e quello privato e data la restaurazione del potere monarchico, ci doveva essere anche una restaurazione monarchica patriarcale all’interno della famiglia (idea che trovò un consenso del 90% nella Francia cattolica, tradizionale e conservatrice). Quindi, si ripresero le regole dell'Antico regime per cui il padre di famiglia aveva la patria potestà (patria potestas) che poteva liberamente esercitare sulla moglie e sui figli: sulla prima perché era posta sotto tutela maritale in quanto alla pari dei figli, mentre sui secondi in quanto, fino al compimento del 25 anno di età, erano considerati minorenni. Il padre di famiglia era l'unico che poteva quindi esercitare la potestà. Egli inoltre poteva far incarcerare i propri figli disobbedienti e questo era legato ad una richiesta, fatta su lettera, al Re nell’Antico regime, mentre, con Napoleone, ciò venne sancito dal Codice stesso. Questo potere poteva anche essere automatico ed era libero nel primo mese e poi poteva essere rinnovato con anche l’intervento di un’autorità giudiziaria. Come nell’Antico regime in Francia, i figli, finché non compivano 25 anni d’età, avevano bisogno dell’autorizzazione padre per sposarsi. Questi aspetti elencati rispecchiano le vecchie regole tradizionali. Purtroppo, anche nelle norme nuove si trovano delle modifiche in senso conservatore, come ad esempio nel divorzio (stranamente mantenuto). Infatti, si fece un compromesso, perché ormai era un ordinamento stabile e non abolibile perché troppo comune: vennero poste delle condizioni molto difficili per ottenerlo mettendo insieme tradizione e innovazione poiché tra le condizioni v’era anche il fatto che i due coniugi dovevano ottenere il permesso dai loro parenti e, al momento del divorzio, dovevano ripartire il loro patrimonio tra i figli. Quest’argomento fu talmente delicato agli occhi di un’Europa tanto sensibile che in molti paesi si crearono screzi. In Italia il Codice civile francese venne applicato nel 1806 e Napoleone aveva chiesto ad alcuni giuristi italiani se ci fossero da fare delle modifiche per adattarlo meglio alla situazione italiana. Nonostante queste fossero state effettivamente presentate, alla fine non furono recepite ed il Codice fu comunque emanato. Le critiche a questa introduzione furono legate alla presenza del divorzio in contrasto con un costituzione non scritta italiana (consuetudinaria), ovvero quella di un'Italia fortemente cattolica in cui il matrimonio era un sacramento indissolubile. Gli italiani cercarono di evitare l’introduzione divorzio in tutti i modi ma i francesi spinsero per la sua accettazione. Si assistette a molti casi italiani di procuratori che riuscirono ad evitarne l'applicazione, come ad esempio a Torino dove si affermò a livello interpretativo che il divorzio potesse essere applicato solo ai matrimoni successivi all’applicazione del Codice. Altre critiche sorsero in relazione al fatto che la donna dovesse ritenersi sottomessa al proprio marito, cosa che fino a quell’epoca era impensabile in Italia perché i due vivevano in eguali condizioni. Quindi, per la popolazione femminile, in questo campo, il Codice civile francese applicato sulla penisola portava loro ad un recesso nel campo dei diritti e delle possibilità. Non ci furono in generale comunque grandi resistenze all’applicazione del “Code Napoleon”, probabilmente perché le due società avevano avuto un’evoluzione simile e si era già assistito ad un indebolimento del feudalesimo prima della Rivoluzione francese. Anche dopo la Restaurazione (1815), gli italiani ebbero molte difficoltà ad abbandonare il “Codice Napoleone”, mentre in altri stati come la Spagna il suo rifiuto fu molto più immediato e forte. In certi paesi come la Baviera, per far accettare il Codice civile francese, vennero prodotte delle leggi di molti articoli per renderlo nel loro Stato. L'1800 si può dire che fu il secolo di rilancio in Europa della codificazione, non solo di quello civile, ma anche penale, di procedura civile e criminale. Quando il Codice civile francese entrò in vigore, si trovò un nuovo metodo interpretativo da applicarvi, ovvero quello esegetico, per cui v’era un’interpretazione libera che faceva NON NON alcun riferimento ai codici stranieri e l'unico punto di riferimento che i giudici potevano avere erano i lavori preparatori del Codice stesso. Si potevano usare i lavori preparatori perché v’erano contenuti i motivi che hanno ispirato legislatore a legiferare ed il compito dell’interprete doveva essere quello di interpretare la volontà del legislatore quando lo scrisse. 8 – Il valore del Codice civile francese col passare del tempo. A livello europeo, v’era la tendenza a conservazione i codici, i quali si cercano di modificare il meno possibile, eventualmente producendo qualche legge parallela ma senza intervenire sul testo concretamente. Si venne a determinare una forma di conservatorismo nonostante l’ampio sviluppo sociale a cui si stava assistendo. Ad un certo punto però si dimostrarono inadeguati all’evoluzione sociale e ciò emerse in modo chiaro in Francia in occasione del centenario del Codice civile napoleonico (1904), soprattutto perché nel 1900 la Germania aveva fatto un suo Codice civile. Si poteva dunque fare un paragone tra i due constatando che i tedeschi avevano tenuto conto dell’evoluzione diritto (societario e commerciale in particolare) e sociale, mentre i francesi no. Più o meno in contemporanea, gli svizzeri si diedero anch’essi un nuovo Codice civile, più moderno e che diede l’impressione che quello francese fosse solo vecchio e
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