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La collezione come forma d'arte - Elio Grazioli.odt, Sintesi del corso di Museologia

Elio Grazioli mediante la ricostruzione del percorso che dalla Wunderkammer porta al collage e all’assemblage, racconta un collezionismo non utilitarista ma passionale, meno vetrina di rappresentanza e più gioco per intenditori che sappiano apprezzare le articolazioni impreviste.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica La collezione come forma d'arte - Elio Grazioli.odt e più Sintesi del corso in PDF di Museologia solo su Docsity! LA COLLEZIONE COME FORMA D'ARTE ELIO GRAZIOLI – critico d'arte, insegna Storia dell'arte contemporanea all'Università e all'Accademia di belle Arti di Bergamo. Introduzione - Il collezionismo non è più solo affare di chi, non artista, raccoglie oggetti in quantità rilevante, ma diventa modalità espressiva di quegli artisti che li radunano per costruire opere d’arte secondo il principio warburghiano del montaggio. Trasversalità, soffio personale definiscono una tipologia di collezione agli antipodi rispetto a quella chiusa e preordinata dei musei. A questa dimensione più privata e creativa fa riferimento Elio Grazioli il quale, nel ricostruire il percorso che dalla Wunderkammer porta al collage e all’assemblage, racconta un collezionismo non utilitarista ma passionale, meno vetrina di rappresentanza e più gioco per intenditori che sappiano apprezzare le articolazioni impreviste. PRINCIPIO DEL MONTAGGIO di ABY WARBURG: Immaginò qualcosa di inaudito, cioè che le immagini dall'antichità a oggi potessero in qualche modo comunicare fra loro e per farlo ideò una specie di montaggio, il quale presupponeva che le immagini funzionassero in modo epidemico. Ovvero sopravvivessero contagiandosi, poiché ciascuna di esse, sopravvivendo, spiegava il senso delle altre. Nel suo "montaggio" convivono immagini separate da duemila e più anni di storia. CAPITOLO 1 ➢ I collezionisti sono persone che hanno la smania di raccogliere oggetti in quantità spesso rilevante, talvolta eccessiva per le loro stesse possibilità; oggetti legati tra loro da una qualche relazione, tenuti in ordine o in un disordine significativo. → in un certo senso soddisfano a un grado più elevato un impulso che forse tutti possediamo, lo stesso che ci spinge comunque a circondarci di oggetti che scegliamo e che diventano importanti nello spazio in cui viviamo, che persino lo riscrivono. ➢ La particolarità degli oggetti della collezione risiede anche nel singolare rapporto che hanno con la realtà. → lo dimostra non solo la scelta di cui sono motivo, ma soprattutto la cura di cui vengono circondati: conservati e protetti per la loro unicità, rarità individuale e oggettuale, ordinati per il loro simbolico e affettivo, il collezionista sembra custodire in essi anche un segreto e vedervi qualcos'altro ancora. → è una loro materialità peculiare, forse quella qualità stessa di "cosa", nel senso di Heidegger, per cui collezionare significa aver cura non solo delle cose e del proprio mondo, ma, per così dire, del mondo e della cosa stessa. ➢ Mentre da un lato musei e archivi vogliono raccogliere, conservare, sistemare, da un altro lato persistono iniziative particolari, inevitabilmente individuali, di persone che vanno dietro a una propria idea o passione per realizzare ed esprimere qualcos'altro. → le prime sono raccolte di oggetti, di opere; le seconde sono come un'opera propria del collezionista, il suo modo di fare arte, per quanto attraverso oggetti di opere altrui. ! Non tragga in inganno, soprattutto in quest'era postreadymade e postmoderna, si tratti di raccolte di opere altrui ► il collezionista non raduna mai oggetti costruiti da sé. ~ anche per questo l'oggetto collezionistico ha un carattere particolare e la collezione è prima di tutto un modo di raccogliere e di tenere insieme una forma e una logica diverse, in quest'era, potremmo allora dire postcollage e postassemblage. ~ la preoccupazione del collezionista per il destino postumo della sua collezione - conservazione, dono, dispersione, abbandono - si comprende in questa prospettiva più che in altre. ➢ E' forse questa l'idea di collezionismo che corrisponde ai presenti momenti di pretesa globalizzazione del mondo dell'arte, di affermazione della diversità, di pluralità e molteplicità dei linguaggi e dei contenuti. Infatti, a ogni epoca si ritrovano modalità e concezioni di collezionismo corrispettivi. CAPITOLO 2 Wunderkammer ➢ in italiano camera delle meraviglie o gabinetto delle curiosità o delle meraviglie, è un'espressione appartenente alla lingua tedesca, usata per indicare particolari ambienti in cui, dal XVI secolo al XVIII secolo, i collezionisti erano soliti conservare raccolte di oggetti straordinari per le loro caratteristiche intrinseche ed estrinseche. ➢ Quello delle Wunderkammer fu un fenomeno tipico del Cinquecento, che però affonda le sue radici nel Medioevo. Esso poi si sviluppò per tutto il Seicento, alimentandosi delle grandiosità barocche, e si protrasse fino al Settecento, favorito dal tipico amore per le curiosità scientifiche, proprio dell'Illuminismo. ➢ Per un certo verso, la Wunderkammer si può considerare come il primo stadio dello sviluppo del concetto di museo, sebbene non abbia di quest'ultimo le caratteristiche della sistemazione e del metodo, ma per la sua realizzazione si partì proprio dal contenuto di Wunderkammer ereditate da privati e messe poi a disposizione del pubblico. → infatti, tutti gli oggetti che destavano meraviglia nei secoli sopra citati, erano strettamente legati all'idea di possesso da parte dei privati, cosa che stimolò la crescita e la diffusione del collezionismo, fenomeno già conosciuto nell'antichità. → scopo del collezionista era quello di riuscire ad impossessarsi, talvolta pagando cifre molto cospicue, di oggetti straordinari provenienti dal mondo della natura o creati dalle mani dell'uomo. Cabinet d’amateur ➢ forma di collezionismo tipica del XVII secolo, dove il protagonista è la raccolta del collezionista ► ed è quindi la rappresentazione di una collezione. ➢ Anche in questo caso, come per quanto riguarda la collezione stessa, la maggioranza di questi quadri nasce dalla necessità di fare ordine e catalogare. → la confusione e il caos dei quadri appesi è solo apparente, in realtà è un sapiente montaggio di accostamenti e rimandi, spesso anche un’occasione per suggestioni eterodosse, più o meno manifeste, quando non nascoste per sfuggire a censure di vario tipo. ma rappresenta un insieme di relazioni di possibilità al tempo stesso sia concrete che virtuali. 2. ogni modificazione che riguarda un elemento interesserà automaticamente tutti gli altri e ogni stato intermedio di realizzazione divergerà automaticamente dall’intenzione iniziale, sempre nel caso ce ne fosse una. ➢ La società di quegli anni è diventata una società del consumo, quella che interessa la pop art, non per niente uno dei veri e propri artisti ad esporre una collezione come opera propria è Oldenburg , che ha aperto la sua carriera con l’esposizione delle proprie opere in forma di store, cioè di negozio, anziché di luogo dedicato all’arte. → il Mouse Museum (’65-’77) è un piccolo museo con un padiglione a forma di Mickey Mouse, all’interno del quale è esposta la collezione di 380 gadget di vario tipo e soggetto raccolta dal Oldenburg nel tempo. Gli oggetti nel museo sono caratterizzati come kitsch, gusto di massa. ➢ Esempi simili a questo si possono trovare nel Fluxus e nel Nouveau Realisme; il Fluxus ( = un network internazionale di artisti e designer, che ebbe una corrente interna dalla sensibilità fortemente anti-commerciale ed anti-artistica) ne realizza la variante più radicale. → questo movimento si basa sul pensiero che l’arte debba diventare creatività diffusa, che tutto è arte, che niente deve diventare merce, tutto deve risolversi in un flusso, continuo e inarrestabile; si dedica poi molto tempo alla realizzazione di ephemera (come vengono chiamati tutti quei prodotti che generalmente stanno intorno all’opera vera e propria e alla sua esposizione, per esempio gli inviti alle mostre, i biglietti da visita, le pubblicità ecc.) ▼ l’insieme di questi oggetti ha la logica di una collezione, ma al tempo stesso ne sono l’opposto, perché normalmente li si usa e poi li si getta, non vengono conservati. Convertiti in opere d’arte dagli artisti hanno lo scopo di sovvertire l’aspetto feticistico ed economico della collezione, diventando simbolo di un’attività che deve diventare comune, uno stimolo alla creatività di ciascuno, un invito al pubblico affinché passi dall’essere passivo ad attivo, artista egli stesso. ➢ Sul concetto di collezione Marcel Broodthaers ha impostato il centro della propria strategia estetica, oltre che la motivazione originaria della sua scelta di diventare artista (divenne artista per l’impossibilità economica di diventare un collezionista, perché allora non crearsi le opere da sé??) → la sua opera “Museo d’arte moderna. Dipartimento delle aquile” (’68-’72) è una collezione di tutto ciò che possa riguardare le aquile, da oggetti di uso quotidiano a opere d’arte (anche riproduzioni), a documenti storici, pubblicità e vere e proprie aquile impagliate. → un’altra sua opera è “Ma Collection”, il cui titolo fa pensare a una raccolta di oggetti riguardanti la sfera personale dell’artista; si tratta invece di una collezione contenete un suo ritratto e cataloghi delle sue mostre ► è quindi una collezione di lui come artista. Il tema dell'obsolescenza ➢ è importante nel collezionismo che stiamo analizzando, perché di solito caratterizza ciò che va fuori moda, che non ha più utilità, che non verrà più prodotto. Queste caratteristiche fanno scattare la molla dei collezionisti che desiderano accaparrarsi gli ultimi elementi di qualcosa che a breve verrà considerato raro. ➢ In questo periodo sono gli stessi artisti che si rendono conto che collezionare è un modo particolare per scegliere e accostare le cose, assumendo questa forma come una modalità del fare e dell’esporre. ➢ Di fronte alla riduzione di tutto in immagini, alla sostituzione della materia con il virtuale, all’accumulo indiscriminato e al consumismo sempre nuovo, la collezione valorizza gli oggetti. ➢ Gli archivi di Gilbert e George degli anni ’70 sono molto particolari, raccolsero tutto ciò che riguardava le loro opere, dai materiali utilizzati ad ogni locandina delle loro mostre, qualunque cosa riportasse all’opera stessa, ci si chiede quindi se è la collezione che rimanda all’opera o viceversa. → non riconducibili né alla documentazione né al puro materiale preparatorio per le opere, i loro archivi risentono l’atteggiamento da collezionista. Atlas ➢ I casi più clamorosi di raccolte di immagini che diventano programmaticamente opere sono di area germanica, ognuno diverso e che presenta un lato differente della questione del rapporto raccolta-opera. ➢ A partire da Gerhard Richter, con Atlas (work in progress dal 1962). Atlante, appunto, e non semplice riserva o archivio di soggetti per le opere, suggerisce più profondamente come anche l’artista colleziona prima di dipingere, scegliendo cioè i soggetti delle proprie opere un po' come il collezionista sceglie le opere della propria collezione, e li tiene tutti a disposizione in un insieme simultaneo, creando rimandi, connessioni, sviluppi, agganci. ➢ La collezione come forma è anche una risposta al museo come istituzione, alla sua struttura rigida e autoreferenziale, meta-discorsiva anziché diretta. E poi è la risposta alla critica stessa del museo, dell’istituzione, dell’esposizione, che entra sempre di più nell’arte degli anni ’70. → il fatto che Atlas sia stata considerata un’opera a tutti gli effetti è avvenuto grazie a sue varie esposizioni, questo incrocio di collezione-opera cambia lo statuto di entrambe, resta l’ambivalenza perché lui dipinge a partire dalle immagini trovate. Atlas contiene in sé diversi modelli di raccolta, non si attiene a uno solo omogeneo. → la raccolta di immagini tocca vari temi e ambiti, le motivazioni di questa scelta potrebbero essere estetiche, di sintonia con la pop art nel voler lavorare con immagini già esistenti. Iconografia e documentazione ➢ Da un lato c’è il diventare tutto immagine, per cui l’iconografia cerca la ricorrenza delle stesse immagini o di dettagli come segno indicativo al di là del suo contenuto manifesto, dall’altro (documentazione) c’è il viaggiare tra le immagini alla ricerca di sintomi e metafore. ➢ L’artista sicuramente guarda e raccoglie le immagini diversamente rispetto allo studioso, dallo storico e dal filosofo, ma al contempo il lavoro stesso dell’artista sta diventando molto simile a quello del collezionista. es. Atlas è un’opera ma al contempo anche un atlante, cioè l’insieme dei dipinti dell’artista che va guardato come una collezione. ➢ Il libro diventa spesso il supporto per le operazioni artistiche che al tempo venivano genericamente dette “concettuali’’. ➢ Dal ’68 Peter Feldelman (riferente all'Arte Concettuale) fabbrica piccoli libretti con immagini trovate e raccolte, perlopiù a tema, spesso vere e proprie collezioni in senso tradizionale, di cartoline, poster, immagini tratte da diverse riviste e periodici. I soggetti sono i più vari, ma sostanzialmente semplici e diretti, come ritratti, fototessere, figurine di calciatori, animali, oggetti, bambini, uova, verdure ecc. → dal ’77 inizia a esporre le sue raccolte insieme a una serie di oggetti sempre di collezionismo, come giocattoli e gadget. → i libri e le collezioni non hanno delle particolarità evidenti e lui sembra voler presentare mere raccolte lasciando all’osservatore qualsiasi tipo di deduzione. I ‘’libri’’ di Feldelmann hanno un evidente intento politico, contro il mercato, contro la feticizzazione dell'opera ( = portare all'esaltazione fanatica). ➢ Durante le varie correnti del ‘900 la fotografia è diventato il primo mezzo di documentazione. → la neutralità della fotografia ha fatto pensare al procedimento fotografico come un ready- made (= già fatto) meccanico, prelievo non di un oggetto in sé ma di un’immagine che sta per quell’oggetto. → Dieter Roth inizia nel ’73 un’operazione che lo porterà alla realizzazione, in due fasi, dal ’73 al ’75 e dal ’90 al ’98, di ben 31.000 diapositive. Il soggetto sono le case di Reykjavik, la capitale dell’Islanda, e il progetto possiede una sua sistematicità inventariale, ma in qualche modo assurda in sé, questo perché: 1. sostanzialmente inutile 2. è impossibile nel tempo visto che le case venivano abbattute ed altre ricostruite 3. destinata alla presentazione in proiezione, cioè in pura visione, non archiviata per studio o altra funzione. ➢ Mario Nannucci è un vero e proprio collezionista di ephemera ( = oggetti e cose effimere), cartoncini di invito, fanzine, ogni tipo di pubblicazione o gadget prodotto da artisti, gallerie, musei, riviste. Ma al contempo ha anche realizzato in diverse occasioni opere che sono loro volta collezioni. → Nannucci conserva tutti i materiali in un rigoroso ordine cronologico, a cui l’artista lega un valore più educativo che propriamente storico, come la visione di una storia vista attraverso i dati minori, più trascurati. CAPITOLO 5 ➢ E’ negli anni ’80 e seguenti che vi è un esplosione di presenze di collezioni in arte, il fatto, come dicevamo, corrispondente allo spirito dei tempi, al pensiero che da varie parti è detto postmoderno. L’immagine ha ormai inghiottito e sostituito completamente la realtà, tutto passa per l’immagine. la gerarchia data dalla verticalizzazione. → Stefano Arienti ha esposto varie volte sue diverse collezioni, da quella di tessuti, a quella di cartoline o diapositive da cui ha preso poi spunto per altre opere. Per Arienti la collezione ha un valore in sé, al di là di ciò, su cui si esercita, al di là del suo oggetto, come “metodologia’’ come “pratica’’, che può per questo diventare artistica in sé. → Georger Adéagbo ha esposto la sua collezione di cimeli di Edith Piaf, ogni genere di oggetto - dischi, fotografie, poster, libri, riviste, calendari, bottiglie, ecc. - che ha a che vedere con la cantante. Intitolò la sua opera La Resurrection de Edith Piaf (2000), con lo scopo di non solo conservarne la memoria attraverso le sue testimonianze, ridandogli la vita e mantenendo vivo il ricordo, ma anche rivivendo la sua vita. ➔ Il valore principale che caratterizza la scelta di oggetti facenti parti di una collezione è l’affettività che li lega al collezionista. CAPITOLO 6 Louise Lawler ➔ Un’artista che ha fatto suo il tema della dialettica tra museo, collezione pubblica, istituzionale e collezione privata, personale, libera è Louise Lawler. ➔ Classificata come “destruttivista’’ in quanto usa la fotografia per svelare la struttura del reale, mostrandone il lato nascosto, Lawler ha fatto della collezione il soggetto della propria opera e insieme la forma della sua rappresentazione. → prima si è mossa nei musei, di cui ha fotografato le vetrine, le scelte e i modi espositivi, i magazzini, le opere imballate, poi è entrata nelle collezioni private, scoprendo un’altra logica che la regge, talvolta ingenuamente, talaltra inconsapevolmente, comunque diversa da quella programmata dell’istituzione. ➔ Inquadra il significato latente o nascosto che si può trovare nell’arredo, nel gusto, nelle casualità dovute allo spazio. Es. una zuppiera del ‘700 posta sopra a un mobile davanti a un Pollock svela un inatteso fondo settecentesco in Pollock e al contempo una imprevista modernità della zuppiera. ➢ Vicinanze fortuite ma altrettanto “oggettive’’ e veritiere delle analisi storiche e documentali: ne emerge una verità, che nasce da un rapporto orizzontale, da una contiguità, da un contatto che svela nel privato ciò che la cultura nasconde o rimuove, e che tuttavia la segna fino al livello strutturale, a quello “metafisico’’, come direbbe appunto il decostruzionismo. → la collezione diventa così la forma stessa dell’opera e del suo funzionamento: l’opera stessa è accostamento e a sua volta andrà a collocarsi tra le opere in un’altra collezione. ➢ La questione era sentita molto anche dai musei e dalle gallerie che iniziarono a pensare a nuovi tipi di esposizione che dessero allo spettatore nuovi stimoli. Tale è la collezione per il visitatore: altro modo di accostarsi e accostare le opere, rispetto a quello incasellato e obbligato dei musei. ➢ Dagli anni ’90 anche le esposizioni di collezioni si sono moltiplicate. Per i musei è un’occasione di mostrare al pubblico ciò che normalmente non gli è accessibile. ➢ Nel ’94 si tenne nel museo d’arte moderna di Ginevra una mostra intitolata “L’appartement’’ (da allora permanente), era la ricostruzione dell’appartamento del collezionista Ghislain Millet-Vieville all’interno del museo, c’è lo scontro tra le stanze, di una normale casa, arredate però con opere dei più famosi artisti del tempo. Ciò è la dimostrazione che la collezione non è un insieme di opere su pareti bianche, ma che la stanza di una casa è un altro spazio non solo fisico ma anche mentale. L'esigenza di disporre diversamente gli oggetti delle collezioni ➔ Le immagini sono entrate ovunque, sono ormai onnipresenti e compresenti, l’arte si trova a fare i conti con ogni sorta di espressione e ogni medium o ambito rivendica la sua artisticità la pubblicità, la televisione, internet. ➔ Una delle stranezze del collezionismo è che si esercita su ogni tipo di oggetto tanto da far pensare che non sia appunto questione di oggetti ma di qualcos’altro. → forse non si tratta più della materialità dell’oggetto in sé ma piuttosto il suo essere oggetto del desiderio, materiale ma non riducibile alla sua materialità, oppure non senza una peculiare materialità, altrimenti non aderente al desiderio. ➔ Ci sono state numerose altre mostre simili a queste, ma con diverso intento, negli spazi più vari. Tutte risentono della stessa volontà di disporre diversamente le cose, di inventare nuovi modi di metterle insieme, di percorrere la storia non seguendo la cronologia, di creare accostamenti produttivi, di creare percorsi senza rinunciare al coinvolgimento personale, di rimettere in gioco ciò che restava escluso. Esempi: a) Per ricordarne alcune che facciano da esempio si può partire dall’intervento dell’artista Hans Haacke nel museo Boijmas di Rotterdam, nel ’96. La mostra si intitolava “Punti di vista’’ o anche “Oggetti da vedere’’. Il progetto si basava su questa ambiguità, portando nelle sale del museo le opere che solitamente si trovavano nei suoi depositi, non esposte. b) Nel 2007 il Museo Fortuny di Venezia inizia una trilogia di mostre, ideata da Axel Vervoordt, impostata sugli accostamenti al di là delle epoche, degli stili, delle firme. 1. La prima è intitolata “Artempo” e mette in discussione prima di tutto la concezione lineare del tempo, sottolineando come esso “agisca, formi e trasfiguri l'arte”. Il visitatore non deve seguire un percorso predeterminato e non ha indicazioni prescrittive sugli accostamenti, ma coglie-costruisce i rimandi, immagina la propria collezione ben più che avere di fronte una collezione già fatta e costituita. 2. la seconda mostra avvenne a Parigi, intitolata “Accademia: qui est-tu?’’ (2008) 3. la terza di nuovo a Venezia nel 2009 venne intitolata “In-finitum’’ dove il trattino indica bene l’idea di dialettica con la finitezza, più che di affermazione di totalità. La trilogia ebbe un impatto tale che nel 2011 ci fu una sua estensione intitolata “Tra: Edge of becoming’’ (“Tra. Le soglie del divenire”). Il “Tra’’ indica il rapporto, lo spazio intermedio, l’intervallo, il salto tra dimensioni diverse, il passaggio, il divenire appunto, tutte idee alla base della collezione. Lo ‘’spazio intermedio’’ ha diversi sensi, non è solo il rapporto o il non-rapporto in senso comune, ma anche vuoto attivo, intervallo costruttivo, ciò che sta tra le due cose, ancora una volta con e senza le cose stesse. c. L’ultimo esempio è più libero ed è riconducibile all’edizione del 2008 di “Rencontres d’Arles”, la rassegna annuale di fotografia affidata quell’anno allo stilista Cristian Lacroix, collezionista d’arte per passione. → allestì una scelta di opere dalla sua collezione, nonché di proprie creazioni, all’interno delle sale del Musée Réattu. → il dialogo era assicurato e funzionava come un gioco di specchi tra il passato e i due livelli del presente, quello delle opere degli artisti e quello delle opere dello stilista, con scambio vicendevole. → è un caso particolare perché si tratta di una mostra organizzata direttamente dal collezionista, che è anche artista, seppur in altro ambito, e che proprio per questo mette in gioco la sua doppia appartenenza. Il montaggio ➔ Come ultimo recente filone della non collezione in sé c’è quello del montaggio, inteso non tanto in senso cinematografico quanto in quello warburghiano-collezionistico. ➔ Il montaggio è un work in progress, un “lavoro” con cui si costruisce un insieme, “dove si tengono assieme, forse pure contraddicendosi, tutte le dimensioni del pensiero”, un lavoro “permanente della riflessione e dell'immaginazione, della ricerca e del ritrovamento” → come un diario fatto di scrittura e immagini, di idee e oggetti, di spunti concettuali e di trovate visive, o viceversa, di storia e attualità, di autobiografia e cronaca. Un diario sia personale che pubblico scritto per così dire in terza persona, una sorta di “singolarità impersonale’’ come riprende Didi-Huberman rifacendosi a Gilles Deleuze. ➔ Le sue caratteristiche 1. Il montaggio mette in crisi la distinzione tra le categorie prefissate, ed è una forma aperta. 2. Mostra, non dimostra: espone. 3. Procede per associazioni con materiali di ogni tipo, crea una rete di relazioni, svela articolazioni impreviste. 4. Ha valore creativo e documentario allo stesso tempo, impegna sia la memoria e l’analisi che l’intuizione, perfino la premonizione. 5. Chiede allo spettatore di uscire dalle sue abitudini e saperi costituiti e di moltiplicare i suoi punti di vita. 6. È straniante perché mostra smontando, rivela altri rapporti possibili. ➔ Così il principio del montaggio, che sia esplicitamente applicato nel contesto cui ci riferiamo, per altre vie e con altri interni, è tornato in primo piano nell'interesse di molti artisti, numerosi nel costruire opere come “tavole” o video con montaggi non più riconducibili a una concezione puramente temporale. CAPITOLO 7
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