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La compilation soundtrack del film Marie Antoinette, Guide, Progetti e Ricerche di Musica

La relazione propone una puntuale analisi sulla soundtrack dell'originale e divisivo film "Marie Antoinette", scritto e diretto dalla regista Sofia Coppola nel 2006. L'opera, studiata nell'ottica della "mediazione radicale", offre talmente tanti spunti di analisi e riflessioni su molteplici temi che si intersecano felicemente alla musica, da non potersi esaurire in queste pagine, le quali si rivelano un valido punto di partenza.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2021/2022

In vendita dal 31/10/2022

alessandra.galgani
alessandra.galgani 🇮🇹

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Scarica La compilation soundtrack del film Marie Antoinette e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Musica solo su Docsity! La compilation soundtrack del film Marie Antoinette Il cinema di Sofia Coppola è fortemente connotato dalla presenza di scelte musicali inconsuete e sorprendenti da un lato, ma ben consapevoli dall’altro, perché ormai rappresentano la cifra stilistica della regista1, la quale a dispetto degli inevitabili pregiudizi sulla persona, si è saputa costruire film dopo film una precisa identità, tanto da rendere riconoscibili le proprie opere. Continua nel suo terzo lungometraggio il particolare sodalizio tra immagine e suono già sperimentato in precedenza, che mette in un angolo l’elemento narrativo, in questo caso storico- biografico, della regina più odiata e discussa di tutti i tempi: Maria Antonietta di Francia. Nel caso qui esaminato, la diegesi perde valore quando l’estetica acquista un ruolo primario e il linguaggio della moda2, insieme all’arredamento e alla musica, riescono a fondersi per dare vita ad un prodotto multiforme e originale, un vero e proprio caleidoscopio di simboli da cui osservare la quotidianità di una pop star del diciottesimo secolo. Allora, se per mezzo della mediazione cinematografica, lo scarto temporale sembra annullarsi, lo stesso vale per l’ostilità nei confronti della celebre sovrana, divenuta nei corsi e ricorsi storici, ormai simbolo indiscusso di oppressione e malcostume, con la quale invece lo spettatore è invitato ad empatizzare. Si tratta di una rilettura3 del personaggio a tutti gli effetti, perché mette in discussione le nostre certezze, facendoci riflettere sul potere nefasto della propaganda, e portando sullo schermo un ritratto inedito di una adolescente, chiamata ad assolvere un compito troppo gravoso, che diventa donna tra pianti e divertimenti, rifiuti e innamoramenti. Il film dal titolo Marie Antoinette, uscito nel 2006 e 1 Sofia Coppola è parte a tutti gli effetti di quel cinema indipendente americano, figlio della New Hollywood (del resto è figlia di uno dei suoi maggiori esponenti, Francis Ford Coppola), che prende vita tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, fino ad arrivare agli anni Zero. Esso consiste in un approccio alla dimensione filmica, nonostante i fisiologici mutamenti dovuti al contesto da narrare e alle generazioni che si susseguono, la cui caratteristica preponderante è “l’intertestualità” e “l’intermedialità”, espressa da una profonda e inedita unione tra aspetti autoriali dei registi e la presenza costante di musica underground. Questo impulso artistico proveniente da un senso di alterità sia nei confronti dei padri che del mainstream, trova nelle canzoni rock e punk un collante generazionale. La costante e dolorosa ricerca di un’identità, il conflitto con se stessi e con la comunità attorno, peculiari del cinema della Coppola, rientrano perfettamente nei temi caratterizzanti il corpus dell’Indie cinema. Maria Teresa Soldani così scrive:<<una forma di autorappresentazione tratteggia nel presente le varie identità personali, culturali e artistiche anche sul piano metacinematografico (Wen Anderson, Sofia Coppola, Spike Jonze). Maria Teresa Soldani, Il cinema indipendente americano attraverso la musica indie, in La musica fra testo, performance e media. Forme e concetti dell’esperienza musicale, (a cura di) Alessandro Cecchi, Neoclassica, Roma, 2019, p.304. La realtà italiana degli anni ’90 presenta delle analogie con il suddetto cinema americano da certi punti vista, in particolare per quanto riguarda il disagio adolescenziale e giovanile narrato da quello che viene definito <<cinema della transizione>> e l’irruzione nei nuovi film di una scena musicale indipendente più variegata legata a motivazioni generazionali, che si distacca dal modello cantautoriale degli anni ‘70/’80. Per approfondire: Maria Teresa Soldani, <<Io sto bene, io sto male, io non so cosa fare>>. Generazione X, Alternative rock e film di formazione anni novanta, in Schermi, Milano, 2020. 2 La celebre costumista Milena Canonero ha vinto per la categoria “migliori costumi”il premio Oscar e il Nastro d’argento nel 2007. 3 Sofia Coppola scrive la sceneggiatura del film traendo ispirazione dall’opera della storica e biografa britannica Antonia Fraser, la quale nel 2001 dà alle stampe un ritratto completo e accurato dell’infelice regina, restituendole la sua dimensione umana. Marie Antoinette. The journey, Weidenfeld & Nicolson, London 2001. Edizione italiana: Maria Antonietta. La solitudine di una regina, Collana Oscar Storia, Mondadori, Milano 2004. Proprio la Fraser afferma durante un’intervista <<Potrei scrivere decine e decine di pagine sul fascino di Versailles, sulla bellezza di Maria Antonietta e suoi meravigliosi vestiti, ma ciò che sono riusciti a mettere in scena Sofia e gli altri è molto più intenso nel trasmettere quelle stesse cose….ha reso perfettamente la condizione di schiavitù in cui si trova la giovane, infatti sperperi, vezzi, decadenza sono reazioni a quelle cose orribili che le capitano e di cui non è minimamente responsabile. Marie Antoinette (2006) DVD- The Making of “Marie Antoinette”, documentary by Eleanor Coppola. 1 presentato alla 59° edizione del festival di Cannes, non senza fischi e aspre critiche, si è subito rivelato fortemente diviso e non soltanto tra gli addetti ai lavori. Al di là dei gusti personali, è senza dubbio alquanto interessante anzitutto la soundtrack dell’opera, ovvero una selezione di brani che vanno dal post punk ai classici, dove la musica quasi si sostituisce ai vuoti dialoghi e ai tempi morti, in attimi di sospensione tra sogno e realtà. Da una parte c’è la ferrea etichetta e i rituali di corte dall’altra la verità dei sentimenti espressa dalle note, che nulla censurano. Una miscela di creatività e conoscenza musicale che permette di immedesimarsi nella vicenda come fosse una storia ambientata nel mondo attuale, poiché, soprattutto il sound contemporaneo, azzera la distanza. Alla direzione musicale c’è oltre a Sofia Coppola, amante e conoscitrice di musica (in particolare Punk rock e New wave, nonché regista di videoclip di band importanti della scena indie come gli Air ed i Phoenix, per citarle solo alcune), il fidato collaboratore Brian Reitzell, music supervisor e musicista, noto per il suo contributo alle colonne sonore di diverse pellicole. La compilation soundtrack del film Marie Antoinette, pubblicata nell’ottobre del 2006 dalla Verve Forecast record e dalla Polydor record, comprende artisti e gruppi anni Ottanta come i Siouxsie and Banshees, i The Cure, i New Order e i Bow Wow Wow, insieme agli Windsor for the derby, i Phoenix e gli Strokes, realtà musicali attive negli anni Novanta e nel Nuovo millennio, totalmente a proprio agio con la musica classica. Essa si compone di: tracce preregistrate indipendenti dall’opera, per la maggior parte strumentali, poi ritagliate e adattate, che riguardano la contemporany music; pezzi originali, che fungono da intermezzo nel flusso della storia, firmate da Reitzell4; riproposizioni di opere classiche come il concerto in Sol maggiore (G major) detto “Alla rustica” di Vivaldi, la “Sonata per clavicembalo in re minore (K.517)” di Domenico Scarlatti, “Les barricades mystérieuses” di François Couperin, e “Tristes apprêts, pâles flambeaux”, brano tratto dall’opera “Castor et Pollux” di Jean Philippe Rameau. L’aspetto antologico e quello procedurale5 si uniscono, in termini di assemblaggio ed intervento sulla musica, grazie ad un vero e proprio lavoro di bricolage, capace di tessere un tappeto sonoro composto da elementi eterogenei, se presi singolarmente, ma che nell’insieme riescono a fondersi, creando qualcosa di totalmente nuovo e inaspettato. La dimensione del suono si sposa con quella visiva riflettendo una “distanza emotiva” tra corpo e ambiente, che contrassegna lo stile della regista, poiché, quell’estetica così ingombrante serve a mascherare lo stato di solitudine, la crisi, la ricerca di un’identità: sentimenti e aspirazioni universali. Il ritmo del film è una sorta di “montaggio sonoro” che si sviluppa work in progress lungo il percorso di vita e maturazione della delfina di Francia, la quale spogliata della sua identità e condotta in un paese straniero, diviene suo malgrado capro espiatorio della rabbia popolare. 4 Il team creativo deputato all’ideazione e realizzazione del paesaggio sonoro comprende oltre Sofia Coppola e Brian Reitzell anche il sound designer Richard Beggs e il chitarrista Kevin Shields, frontman della rock band My bloody Valentine. 5 Maurizio Corbella, invitando ad adottare il termine soundtrack a svantaggio di altri, ne sottolinea l’efficacia perché è in grado di contenere due significati: l’aspetto antologico, ovvero la compilazione delle scelte musicali, spesso variegate, intraprese dai registi sempre più protagonisti, e quello procedurale, che implica un intervento sulla materia sonora distinto dall’atto del comporre tradizionalmente inteso. Maurizio Corbella, <<La compilation soundtrack come ipotesi di lavoro sulla storia della musica nel cinema italiano>>, in Schermi, Milano, 2020, p.7. Tale interventismo costituisce, a mio parere, uno dei tratti distintivi del film e in generale del modus operandi di Sofia Coppola. 2 aspettano. Ciò è causa di maldicenze e umiliazioni, oltre che delle continue pressioni operate soprattutto dalla madre, l’imperatrice d’Austria, che incolpa la giovane di non fare abbastanza per sedurre Luigi. Troverà una via di fuga nelle continue feste, nell’accumulo compulsivo di vestiti e scarpe, e dulcis in fundo la travolgente e romantica storia d’amore con il conte di Fersen, nobile svedese che combatte nella guerra d’Indipendenza americana a favore dei ribelli, con i quali era alleata la Francia. Una scena emblematica, che mette in luce la “pratica autenticante” messa in atto dalla regista e dal suo staff, è quella che ha come sfondo musicale la canzone “I want candy” nella versione dei Bow wow wow, remixata da Kevin Shields e lanciata a tutta forza, mentre la camera indugia sullo sfarzo e i divertimenti della regina e del suo gruppo di sodali. Ancora ci si appella all’intelligenza del pubblico, chiamato a dare il giusto valore a quegli eccessi, mentre deve fare attenzione ad un particolare per molti scandaloso, ma che svela ancor di più l’anima dell’operazione. Tra dolci rosa confetto e improbabili parrucche fanno capolino un paio di Converse All Stars color malva, quindi il gioco tra realtà storica e finzione si attua attraverso una scomposizione del reale, dove il cinema ha il potere di collocare un artefatto contemporaneo, e per giunta tipico dello stile punk, nel settecento; insomma la ribellione abbatte le barriere temporali. Un “pastiche” girato come fosse un videoclip di Mtv di qualche star anni novanta, dove, in un ribaltamento di prospettiva, è la canzone pop che indirizza lo spazio cinematografico, quando esso diventa, come in questo caso, espressione della popular cultur, a cui attinge per usarla ed essere plasmato a sua volta12. Voglio caramelle (“I want candy”) è un’esplosione di gioia, che inneggia sotto un sole estivo ad un amore libero e dolce “Candy sulla spiaggia non c’è niente di meglio/ così dolce mi fai venire l’acquolina, voglio caramelle/voglio caramelle”, perfetto quindi per partecipare alle feste della sovrana, tra torte colorate e fiumi di champagne. Qui viene utilizzata la versione dei Bow Wow Wow, gruppo musicale new wave, che nasce all’inizio degli anni Ottanta su ispirazione del produttore Malcom McLaren. Come cantante fu scelta la tredicenne di origine birmana Annabella Lwin e dopo un esordio su musicassetta con il marchio Emi, che poi si rifiutò di promuoverli e varie controversie legali conseguenti, nel 1981 passarono alla RCA Record. L’anno successivo uscì il loro primo album su vinile dal titolo See jungle! See jungle! Go join your gang, giardino delle vergini suicide”(1999), poi con un cameo in “Bling Ring “(2013) e con un ruolo di primo piano ne “L’inganno” (2017). L’attore che interpreta Luigi XVI è il cugino di Sofia Coppola, nonché batterista dei Pantom Planet, gruppo alternative rock originario della California. L’imperatrice Maria Teresa d’Austria ha il volto di Marianne Faithfull, cantante e attrice britannica, animatrice con il compagno Mick Jagger della Swinging London negli anni ‘60 e autrice insieme ai Rolling Stones di molti successi. Tra l’altro è ancora molto attiva in campo musicale. C’è poi un team di lavoro consolidato da tempo a fianco della regista: il film viene prodotto dalla “American Zoetrope”, fondata dal padre Francis Ford Coppola e da George Lucas, e ancora dal fratello Roman e Ross Katz, suoi stretti collaboratori; Brian Reitzell, del cui sodalizio artistico con la Coppola abbiamo già accennato; il direttore della fotografia Lanc Acord, che ha operato in “Lost in Traslation”, “Marie Antoinette” e nel cortometraggio “Lick the star” (1998). 12 Il fatto che la scena sia costruita con uno stile “da videoclip”, quindi immagini fluttuanti che accompagnano la musica anni ’80-‘90, intercetta perfettamente il sistema mediale coevo alle canzoni, che diventa familiare al pubblico grazie a programmi musicali (MTV e VIDEOMUSIC) estremamente innovativi, i quali cambieranno fortemente l’ascolto e la fruizione delle canzoni. Sofia Coppola, come abbiamo già evidenziato, ha un rapporto molto stretto con i musicisti Indie, infatti è stata prima di tutto una regista di videoclip musicali, consacrandola tra quei nuovi autori che ricercano un sodalizio tra cinema sperimentale- Indiewood e musica indipendente. Alessandro Cecchi, Idiosincrasie generazionali: musica e media nel cinema di Nanni Moretti degli anni Ottanta,<<Biblioteca Teatrale>>, 2019. Maurizio Corbella, La compilation soundtrack come ipotesi di lavoro sulla storia della musica nel cinema italiano, <<Schermi>>, Milano, 2020. Maria Teresa Soldani, Il cinema indipendente americano attraverso la musica Indie, in La musica fra testo, performance e media. Forme e concetti dell’esperienza musicale, (a cura di) Alessandro Cecchi, NeoClassica, Roma, 2020. 5 yeah. City all over! Go ape crazy, noto per la copertina, ossia un mush up del dipinto “La dejeneur sur l’herbe” di Éduard Manet dove i componenti del gruppo sono i protagonisti del quadro. “Voglio caramelle” è una delle tracce di questo prodotto discografico, poi ripubblicata varie volte. Il video è ambientato su una spiaggia cosparsa di dolciumi enormi con il gruppo che suona, mentre Annabella canta e balla. È curioso che dalla sabbia spuntino delle figure maschili, di cui possiamo vedere solo le teste, che oscillano seguendo la melodia e quasi sembrano essere a disposizione della ragazza. Come si evince dall’ascolto, il rock è unito alle sonorità tribali della musica africana, in particolare del Burundi e l’atmosfera è quella di grande divertimento proprio a come a Versailles. Il brano, che aveva già una lunga storia alle spalle, è destinato a essere riutilizzato e trasformato varie volte, fino ad arrivare agli anni duemila13, da artisti molto diversi tra di loro per background e stile musicale. La versione originaria di I want candy è quella degli Strangeloves del 1965, band rock statunitense attiva negli anni sessanta che raggiunse il successo proprio grazie a questa canzone. Vorrei porre l’attenzione sul video ufficiale. Si tratta di un live, performato in qualche programma televisivo americano dell’epoca, in cui sullo sfondo dell’inquadratura si trovano gli Strangelovers su un piccolo palco, mentre sopra dei cubi ballano alcune ragazze attorno a loro. Ciò che salta agli occhi è il mutamento di collocazione e prospettiva dei due sessi rispetto agli anni ’80, e, a questo proposito, è opportuno anche evidenziare che nel testo troviamo una figura femminile (she) a cui rivolgersi, quando nel caso dei Bow Wow Wow era un lui (he). I tempi mutano e la rivoluzione musicale alimentata dai movimenti underground ha cambiato i connotati al brano, il quale in quanto oggetto di mediazione è giunto fino a noi, evolvendo continuamente, poiché, alla base della sua replicabilità, c’è un testo, che può essere sovvertito o aggiornato, per essere ricombinato ogni volta in una messa in scena differente, dando origine a un’altra edizione. Maria Antonietta a questo punto è sempre più immersa negli svaghi e nelle frivolezze, che condivide in particolare con la contessa di Lamballe (Mary Nighy) e con la contessa di Polignac (Rose Byrne), sua favorita, consacrata dalla storia come arrivista e stravagante, colei che conduce la regina sulla via della perdizione, invece nella versione di Sofia Coppola è una dama divertente e piena di vita. Tutto questo riesce per il momento a placare il senso di inadeguatezza per l’infelice situazione nella quale si trova e le permette nel contempo di esprimere la sua indole allegra e generosa. La cerchia ristretta delle amicizie è composta soprattutto dai familiari acquisiti per matrimonio, oltre che dal proprio consorte, con il quale dopo la freddezza iniziale riesce ad istaurare un buon rapporto, sebbene più da fratello che da marito, e poi altri nobili e nobildonne di corte, con i quali suole trascorrere le giornate giocando a carte, ascoltando musica o seduta languidamente su un divano a parlare con le amiche di giovani uomini e nuove avventure. Quel desiderio verrà soddisfatto quando conoscerà il conte Hans Axel Von Fersen (Jamie Dornan) ad un ballo in maschera che si tiene a Parigi. Una sera proprio la contessa di Polignac avanza la proposta di partecipare all’evento, che normalmente sarebbe stato loro negato, a meno che non fossero stati annunciati ufficialmente, ma alla festa si partecipava appunto travestiti, quindi secondo lei era quasi impossibile venire riconosciuti. Il party è una strana reunion di esponenti dell’aristocrazia che danzano sfrenatamente al ritmo di “Hong Kong garden”(1978). Scelta non consueta per una 13 Segnaliamo le cover di Aaron Carter (2000) e quella di Melanie C. (2007). Nel video ufficiale del brano “I want candy”, la “Sporty spice” si esibisce in una coreografia, nella quale ancora una volta i maschi fanno da contorno. Tale versione è presente nella soundtrack del film “I want candy”(2007), una sexy comedy diretta da Stephen Surjik. 6 festa tra nobili del Settecento inoltrato, se non fosse che quei “personaggi” (la parola non è usata casualmente), al posto di rappresentare una casata prestigiosa sembrino, come espressamente dichiara la regista, <<dei supereroi dei fumetti>>14. La melodia impiegata è il singolo d’esordio dei pionieri del post punk inglese, i Siouxsie and Banshees, ormai riconosciuta come classico. La genesi del pezzo prende spunto da fatti realmente accaduti, perché descrive i violenti raid razzisti da parte di una banda di skinhead all’interno del takeaway cinese Hong Kong garden da loro frequentato. Siouxsie racconta la rabbia che le provocò assistere a quelle ingiustizie senza poter fare nulla, e allora scrisse. Nel criptico incipit del brano sono presenti:<<Elementi nocivi nell’aria/piatti che si infrangono in tutto il mondo>>, immagini di quegli assalti in un giardino, dove <<Confucio ha una grazia sconcertante>>. Chi sono quei vandali che si intrufolano alla festa senza essere invitati? Probabilmente quei giovani provenienti dalla corte di Versailles, ma con un ruolo e delle finalità ben diverse dai malviventi xenofobi che terrorizzavano i cinesi di quel locale, infatti i nostri eroi sembrano fuoriusciti da qualche animation movie per provocare e svecchiare quel mondo asfittico, come suole fare la musica punk. Alla festa Maria Antonietta conosce per la prima volta il futuro amante, pur non svelandogli la sua vera identità, celata sotto la maschera che porta, anche se qualcuno riconosce in lei la Delfina. La serata sembra non finire mai. È notte fonda quando decidono di tornare alla reggia, ma neanche durante il viaggio la regina può smettere di sognare l’uomo conosciuto poco prima. Per esprimere appieno le emozioni di quei momenti ritroviamo il complesso inglese dei Bow Wow Wow con altri due composizioni: l’intrigante scena dell’incontro con Fersen è suggellata da “Aphrodisiac”(1983), palese invito ad assumere un afrodisiaco per lasciarsi andare e vivere i propri sentimenti senza freni; “Fool rush in” (1982), accompagna, al sorgere di un nuovo giorno, il ritorno a casa tra i visi assonnati, tranne quello della regina, che, avvolta in un’aurea di sogno e di mistero, vuole solo isolarsi da tutto per tenere ancora con sé la presenza del bel conte. Tra i viali alberati la carrozza sembra librare nell’aria, che lei tenta di afferrare, sporgendo la mano dal finestrino, quasi volesse diventare tutt’uno con essa. I tamburi suonati a ritmo frenetico, tipici della band, non sembrano collidere con il momento, anzi si adattano perfettamente a quell’attimo fuggente e riescono a fondersi con la voce di Annabella, la quale in questo caso si fa più leggera. “I folli si affrettano” (Fools rush in), perché si vogliono lanciare nelle sfide e cogliere ogni attimo di felicità, tanto essere considerati pazzi dagli altri (<<Dove gli angeli hanno paura di camminare/ così io giungo a voi mio amore>>) e mettono i sentimenti al di sopra di tutto (<<il mio cuore sopra la testa, non mi importa del resto>>), perché si trovano (<<Dove gli uomini saggi non vanno mai/ma gli uomini saggi non si innamorano>>) e poi le affinità con la vicenda sembrano ancora più stringenti (<<Quando ci siamo incontrati ho sentito che la mia vita cominciava/ quindi aprite il vostro cuore e lanciatevi/ in questa folle corsa>>). Intanto a corte si continua a trascorrere le giornate, che altrimenti sarebbero tutte uguali, tra i piaceri, con i quali la regina cerca di annegare l’amarezza, in primis di non aver dato ancora un erede alla Francia. Quale migliore occasione per festeggiare del suo diciottesimo compleanno? Lo spettatore ancora una volta non può rimanere impassibile davanti a quel tripudio di colori e sfarzo, unito ai volti raggianti dei partecipanti, ma se lo stesso ha compreso il meccanismo “decostruttivista” che soggiace sotto quei corpi esuberanti15 sempre esposti in primo piano, sa che la musica dissolve l’apparenza e permette di andare oltre lo spazio filmico. Allora con 14 The making of “Marie Antoinette”/ Documentary by Eleanor Coppola. 7 i loro incontri è ispirato alle fogge del trasgressivo glam rock, come in occasione del loro primo rapporto intimo, che è resa ancor più movimentata e sensuale dai questi dettagli formali, con i quali Milena Canonero riesce sapientemente a giocare rendendo il tutto un’opera d’arte, dove simbolismo e moda si fondono come avviene con la musica. Dopo quella notte trascorrono tutta la giornata successiva insieme felici e appagati, ma al momento dei saluti, comincia a calare un velo di tristezza sulla giovane regina, poiché è perfettamente consapevole che l’idillio sarà fatto solo di attimi fugaci, dopodiché ciascuno dovrà tornare ai propri doveri e accantonare i veri sentimenti. Momenti felici e malinconici allo stesso tempo, i quali preludono ad un destino già scritto, narrati soltanto dalle immagini e dalla composizione Avril 14 th del musicista britannico nato in Irlanda Aphex Twin, pseudonimo di Richard David James, artista versatile considerato una delle figure più brillanti della musica contemporanea, il quale si è distinto sulla scena per la vastità delle sue sperimentazioni elettroniche commiste all’utilizzo di generi diversi tra loro. Nel film la dolce melodia sembra voler afferrare l’attimo che sfugge inesorabilmente, poiché Fersen deve ripartire. Maria Antonietta tornata a Versailles non è più la persona di prima, infatti gli spensierati pomeriggi trascorsi tra una tazza di tè e una partita a carte non la divertono più. È cresciuta, ha incontrato l’amore, ma le viene sottratto. Adesso la vediamo come isolata dagli altri, i quali conversano e giocano amabilmente, poiché quelle voci familiari, che udiamo filtrate dai sensi e dalla mente della regina, è come se provenissero da un’altrove indistinto. Ella si affaccia alla finestra e lì vede come in un sogno Fersen a cavallo, il quale satura la scena come un eroe trionfante, mentre attorno a lui si possono notare i postumi di una cruenta battaglia. La visione richiama fortemente il dipinto dal titolo “Napoleone Bonaparte al passaggio del Gran San Bernardo” composto tra il 1801 e il 1805 dal pittore francese Jean Louis David, in cui viene ritratto come un conquistatore il primo console Napoleone Bonaparte. Attraverso un’anacronistica ricombinazione cinematografica l’imperatore dei francesi ha il volto e la persona di Ans Axel di Fersen. Dopo questo miraggio Maria Antonietta si congeda dai presenti per continuare in disparte a fantasticare nelle sue stanze, che raggiunge correndo al suono di “What ever happened” (2003) dei The Strokes. Parole che sembrano riecheggiare i momenti vissuti sullo schermo solo pochi minuti prima, quando, dopo l’ultimo momento di intimità che riusciranno a trascorrere, chiede teneramente al suo amato di portarla con sé, pur conoscendo benissimo la risposta. La canzone degli Strokes si presta a diverse interpretazioni, ma ciò che è importante cogliere per terminare la nostra indagine è la “peculiare congruenza” tra la visibile emozione della nostra protagonista, la quale, impaziente di fuggire da quella allegra brigata, inizia a correre per i corridoi di Versailles, e l’Alternative rock di Casablancas & company che esplode a tutto volume. Le strofe della canzone rimandano ad un rapporto tormentato soprattutto per l’impossibilità di poterlo vivere liberamente, a causa di una qualche ingerenza esterna e quindi, c’è chi dice di voler essere dimenticata per non soffrire troppo, ma un finale è comunque difficile da scrivere (<<Voglio essere dimenticata/e non voglio essere ricordata/ tu dici “Ti prego, non rendere le cose ancora più difficili”/no, non lo farò/oh cara, è sul serio tutto vero?/loro ci hanno offeso e vogliono che suoni di nuovo>>). Il film “Marie Antoinette”, che abbiamo esaminato in questa esposizione scritta, è costellato di possibilità, se intendiamo, come nel nostro caso, leggere l’opera cinematografica filtrata attraverso la lente della “mediazione radicale”. Sono stati qui rilevati alcuni casi concreti, che a mio 10 giudizio, possono essere particolarmente efficaci nel dimostrare la tesi esposta sopra, ma certamente non esauriscono le molteplici occasioni di confronto su questo tema. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Auslander, Philips 1999, Liveness: Performance in a Mediatized Culture, Routledge, London/New York, 2° ed., 2008. Auslander, Philips 2021, In Concert. Performing Musical Persona, Ann Arbor: University of Michigan Press. Bolter, Jay David; Grusin, Richard, 2000, Remediation. Understanding New Media, Cambridge (MA): MIT Press. Traduzione italiana: Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, (a cura di) A. Marinelli, Guerini e Associati, Milano, 2003. Calabretto, Roberto 2020, Appunti per una teoria della musica per film, a partire dalle parole dei registi, in Alessandro Cecchi (a cura di), La musica fra testo, performance e media. Forme e concetti dell’esperienza musicale, NeoClassica, Roma, pp. 221-253. Cecchi, Alessandro 2015, Canzoni d’attore. 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