Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La Comunicazione Narrativa - Riassunto Capitolo 1, Sintesi del corso di Semiotica

Capitolo 1 riassunto del libro "la comunicazione narrativa" per l'esame di semiotica

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 10/05/2021

caterinag1
caterinag1 🇮🇹

4.3

(7)

30 documenti

1 / 8

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La Comunicazione Narrativa - Riassunto Capitolo 1 e più Sintesi del corso in PDF di Semiotica solo su Docsity! SEMIOTICA La comunicazione narrativa – Stefano Calabrese Dalla letteratura alla quotidianità 1. STORYTELLING 1.1 HOMO NARRAS Le narrazioni iniziarono ad essere indagate sistematicamente fra gli anni sessata e settanta grazie alla cosiddetta “Scuola di Parigi” con intenti molto ambiziosi: identificare le unità minimali di qualsiasi narrazione e trovare una grammatica universale del racconto, si trattasse di epos o romanzo, aneddoto autobiografico, resoconto giornalistico, promozione pubblicitaria, gossip ecc. Solo a partire dagli anni novanta, lo studio delle pratiche narrative ha imboccato una nuova, più fertile strada grazie agli apporti incrociati del cognitivismo, delle neuroscienze e degli studi sull’intelligenza artificiale: si è creata una collaborazione pluridisciplinare in cui gli studiosi di letteratura hanno assunto un ruolo molto minore rispetto al passato, in quanto il concetto di narratività è divenuto cruciale per attività mentali, pratiche quotidiane e sfere semiotiche del tutto nuove. I neuroscienziati hanno cominciato a “fotografare” con tecniche di imaging avveniristiche il modo in cui (quando osserviamo qualcosa, o lo raccontiamo, o ne ascoltiamo il racconto) lo classifichiamo sulla base di un confronto con un modello stereotipico, derivato da esperienze simili registrate nella memoria: ogni nuova esperienza viene valutata sulla base della sua conformità o difformità rispetto a uno schema pregresso. Lo studio delle pratiche narrative è oggi divenuto essenziale sia nell’istruzione scolastica superiore, sia nelle discipline universitaria in cui sia centrale la produzione attiva di testi o la loro analisi linguistico-semiotica. Viviamo avvolti nella narratività perfusa e sottile irradiata da un sistema di comunicazioni globali cui la forza di penetrazione interstiziale è senza pari nell’intera storia dell’uomo. È tuttavia il mondo del marketing quello in cui è assistito al più incisivo processo di narrativizzazione, perchè le marche si sono smaterializzate e hanno acquisito un valore del tutto indipendente dai prodotti ad esse riconducibili divenendo vere e proprie istanze enunciative, in grado di attivare programmi narrativi e di inserire i consumatori nel format identitario cui tali programmi si orientano. È dunque possibili affermare che una dimensione narrativa è oggi presente nei progetti delle marche, nei ragionamenti strategici e nei comportamenti d’acquisto del consumatore, nel significato dei loghi, nei lay-out dei punti vendita, nelle proprietà estetiche del packaging, e nella struttura interna del discorso di marca. 1.2 LA NUOVA FRONTIERA DEGLI STUDI DELLE PRATICHE NARRATIVE: SCHEMA E SCRIPT La teoria dello schema si basa sulla convinzione che ogni nostra esperienza viene compresa sulla base di un confronto con un modello stereotipico, derivato da esperienze simili registrate nella memoria: ogni nuova esperienza verrebbe valutata sulla base della sua conformità o difformità. Nell’esprimere in prima persona un evento o assistendo quali spettatori a una situazione, il ricorso a uno schema costituisce un prerequisito cognitivo per la sua leggibilità. Lo schema si riferisce a oggetti statici o a relazioni, e cioè concerne le attese relative al modo in cui le aree esperienziali sono strutturate in una certa situazione. Uno schema è solo un’etichetta che noi apponiamo a porzioni dinamiche di esistenza: altrettanto importante è la capacità di codificare quello che avviene entro questa schermata astratta, che i neuroscienziati chiamano scripts. ➔ Essi si riferiscono a processi dinamici, e cioè al modo in cui si producono attese relativamente alla maniera in cui si verificano sequenze di eventi. Uno schema dà il paradigma semantico di un accadimento, lo script ne costituisce l’articolazione sintattica; senza il primo non si comprende nulla, senza il secondo non accade letteralmente nulla. Tutto si articola dunque secondo una sintassi convenuta di gesti e azioni radicata nella tradizione culturale di uno spazio sociale, e qualsiasi trasgressione a tale sintassi ordinaria su cui di fonda il nostro sistema d’attese viene letta sullo sfondo di un repertorio convenuto di script. Cognitivisti e neuroscienziati hanno classificato in sette componenti il nucleo essenziale di ogni narrazione: I. Il setting ➔ l’ambientazione spezio-contestuale II. Il fattore casuale ➔ induce una trasformazione iniziale nel setting III. La risposta interna ➔ la motivazione dell’attore nel reagire alla trasformazione del setting IV. L’obiettivo ➔ indica la direzione del desiderio da parte dell’attore di ridefinire il setting attraverso… V. …L’interazione ➔ da cui si genera… VI. …Un’azione ➔ conseguenziale e infine… VII. …Una reazione. Ogni narrazione si organizza intorno al desiderio da parte di un attore di promuovere e perseguire un obiettivo malgrado gli ostacoli che si frappongono e in virtù delle panificazioni elaborate per rimuovere tali ostacoli. Il bambino in fase di formattazione neuronale non è in grado di elaborare una narrazione compiuta, poiché soffre di un eccesso di memoria nell’ordine della sintassi e di una mancanza di memoria nell’ordine della semantica. Possiamo affermare che oggi sono i processi stessi di globalizzazione culturale a rendere probabile a addirittura necessaria la discrepanza di schemata e script: una visione bifocale costituisce la modalità cognitiva necessaria alla comprensione/accettazione sostenibile di altre culture o alla reciproca accettazione da parte di generazioni di individui educatisi rispettivamente prima o dopo la rivoluzione informatica degli anni novanta. Il linguaggio della pubblicità offre molteplici esempi di come tale contrasto sia non solo un indizio della fase attuale di globalizzazione delle comunicazioni, ma anche una risorsa creativa. Nella pubblicità riportata nell’immagine si ricorre alla logica dell’antifrasi e più precisamente all’ironia, a opinione di alcuni studiosi il tropo retorico che più di Tra le “forme semplici” Jolles annovera sia generi narrativi canonici, sia le pratiche narrqative minori, alcune delle quali di piena pertinenza per la rassegna che stiamo qui elaborando. a) La leggenda, che nasce nel XIII secolo per narrare la vita di un santo nel presupposto che ogni esistenza individuale valga solo nella misura in cui può fungere da modello esemplare di cristianità e di capacità di dare luogo a eventi straordinari, cioè miracoli. b) La saga o leggenda profana si riferisce a eventi, persone o luoghi significativi in termini di clan, lignaggi, famiglie, stirpi o in generale relazioni di consanguineità. c) A opinione di Jolles il mito non prescinde mai dall’intervento di un ostacolo dotato di forza preidttiva perché la sua funzione è dare risposta alle domande che gli uomini si pongono riguardo alla realtà terrena. d) Mentre al contrario il memorabile è il resoconto di un fatto saliente attraverso il ricorso a dettagli concreti che garantiscono l’autenticità dei fatti riferiti. e) Se la fiaba deve dare al lettore un senso di sognante soddisfazione, per il fatto che tutto in essa procede come dovrebbe se a realtà fosse perfetta, armoniosa ed euforica f) Lo scherzo è una forma di storytelling che sovverte sistematicamente le restrizioni del linguaggio, della logica e dell’etica al fine di liberarci da ogni inibizione, coe attualmente dimostra l’uso fortunato della parodia. 1.3 DOVE TUTTO HA ORIGINE: LO STORYTELLING MITICO-RITUALE Il termine “mito” indicava originariamente ogni parola che contenesse la conoscenza di una realtà non immediatamente evidente fatta proprie dalla cultura collettiva e dalla tradizione orale, in connessione a forme rituali e religiose. Va sottolineato che il termine greco mythos si presta ad assumere il valore più specifico di “trama”, “intreccio”, combianzione degli eventi che accadono all’interno della storia come nella Poetica di Aristotele, dove è in contrapposizione al logos inteso come “argomento”, imitazione delle azioni del mondo reale. Il mito è solo un grande incubatore di narrazioni che tenderanno a declinare in forme discorsive e tematiche particolari la funzione difensiva, apotropaica ed esplicativa del racconto mitico. Per importanza, incidenza quantitativa e longevità si segnala l’epica, termine con il quale si designa un lungo poema narrativo il cui eroe compie azioni imponenti, di solito in interazione con gli dei. Essendo uno dei generi narrativi più antichi, l’epica ha dato vita a molteplici sottogeneri quali l’espica eroica. Ciò che invece è assente nell’epica è l’avventura, intesa in senso lato come incontro con l’ignoto e l’inatteso, serie di episodi irrazionali e immotivati che caratterizzano invece il romance. Sommariamente, ecco le caratteristiche principali dell’epos a base omerica: • L’INVOCAZIONE ALLE MUSE: nel poemio qualora nel corso della storia, il narratore-cantore si rivolge alle Muse affinchè gli forniscano informazioni. Tali invocazioni non trasformano il poeta in un semplice portavoce, ma non sono anzi un segno del suo status professionale e della sua autorevolezza. • L’INIZIO “IN MEDIAS RES”: il narratore omerico si concentra su una fase particolare della guerra di Troia e delle avventure di Odisseo, mentre rievoca le restanti vicende in scene che riflettono l’inizio e la fine della guerra (Illiade) o facendone il resoconto tramite l’eroe stesso in un’ampia analessi (Odissea). • LA SIMILITUDINE: consistente nell’accostare su base analogica oggetti diversi appartementi a una stessa classe o a classi del tutto diverse, la similitudine omerica è talvolta assai prolungata e può paragonare un guerriero a un leone o un esercito alle onde del mare che s’infrangono sul litorale. • L’ALTA INCIDENZA DEL DISCORSO DIRETTO: il 45% dell’Illiade e il 66% dell’Odissea consistono di discorso diretto, a testimonianza del rilievo della parola del mondo eroico, dove si presume che un eroe sia capace di agire ma anche di parlare con facondia. • I CATALOGHI: nel secondo libro dell’Illiade il narratore inserisce un catalogo dei contingenti greci e troiani, e sono proprio tali liste a diventare un serbatoio tipico dell’epica. • L’”EKPHRASIS”: le descrizioni dettagliate di un oggetto o paesaggio consentono al narratore da un lato di prendere tempo, dall’altro di dinamizzare il racconto, poiché possiamo apprendere la storia dell’oggetto in questione o vederlo come se venisse fabbricato sotto i nostri occhi. Più ancora dell’epos, le radici dello storytelling sono riconducibili al dramma, genere in cui rientrano tutti i testi teatrali in cui l’autore fa parlare e agire direttamente i personaggi come se fossero davanti agli spettatori. Le definizioni di TRAGEDIA e COMMEDIA in genere mettono in luce la differenza di temi e tono generale dell’opera. Quanto alla morfologia, la tragedia è solitamente caratterizzata da: I. Una serie di errori fatali e decisioni sbagliate da parte del protagonista, dovute alle interferenze deli dei. II. Ostacoli esterni che riflettono l’evoluzione interna dell’eroe dalla felicità all’infelicità e sino alla morte. III. La funzione sociale della catarsi, che purifica gli spettatori dalle emozioni e li incoraggia a evitare tragici errori, tramite la messa in scena del destino tragico di un eroe con il quale essi possono identificarsi. La commedia è invece caratterizzata da elementi esposti: I. Le azioni dell’antagonista, e non gli errori del protagonista, formano gli ostacoli principali che quest’ultimo deve superare. II. La parabola dell’eroe inizia con una serie di difficoltà che nel corso dell’intreccio possono essere risolte dall’eroe stesso, ricompensato da un lieto fine. III. La sua funzione sociale è favorire il divertimento, sebbene le commedie possano anche veicolare una critica sociale o una satira politica, come avviene nel teatro di Aristofane a partire dal V secolo a. C. 1.4 TO BE CONTINUED: DOPO IL MITO Via via che ci si allontana dal brodo primordiale costituito dalle forme mitico-rurali di storytelling, prendono corpo format narrativi fondati sul percorso biografico degli individui o dei plessi familiari di appartenenza, sulla dimensione temporale, sulla dimensione spaziale e sulla dimensione etico-precettistica che, nell’agire, ogni uomo dovrebbe rispettare. ➔ LO STORYTELLING IN UN DIMENSIONE BIOGRAFICA: AGIOGRAFIE, LEGGENDE, PARABOLE. L’agiografia (dal greco, “santo”) designa un genere di biografia permeata di elementi meravigliosi che racconta la vita leggendaria di un santo, visto quale modello etico-religioso da imitare; essa richiede un pubblico una fiducia assoluta nel narratore e una reverenza altrettanto statuaria verso il personaggio di cui si parla, per cui gli ascoltatori/lettori devono essere disposti a credere ai fatti più straordinari e a vedere nel santo un esempio di vita perfetta: non a caso l’agiografia medievale è il terreno privilegiato per la narrazione di exempla, ovvero racconti che si inseriscono all’interno di testi più ampi, e presenzano situazioni a cui si rivela alla fine il carattere edificante in quanto modelli contemportanei. In Italia il genere conosce una straodinaria fioritura a partire dalla Leggenda aurea del domenicano JACOPO DA VARAZZE, una raccolta di episodi delle vite dei santi che a lungo rappresenterà un serbatoio tematico, ma ben più corposa è la produzione testuale dedicata a san Francesco D’Assisi. La leggenda, termine cui da un lato ci si riferisce a una narrazione tradizionale, sviluppata in contesti in cui predomina l’oralità ma poi affidata alla tradizione scritta, la quale fornisce un’eziologia di qualche cdttaglio locale straordinario, dall’altro un racconto relativo a una persona, un luogo, un evento come se fosse basato su una realtà storica. Possiamo distinguerne due tipi: A. La leggenda sacra: se fin dai primi secoli del cristianesimo si formano raccolte più o meno voluminose contenenti storie di santi con testimonianze sulla loro vita e sulle loro opere, nel Medioevo vengono redatti gli Acta Martyrum e Acta Actorum, che poi culminano alla fine del XIII secolo nella Leggenda Aurea del vescovo Jacopo Da Varazze, la quale comprende circa 150 vite di santi. B. La leggenda della saga: termine con cui si indicano narrazioni in posa nella lingua nazionale, elaborate in area islandese a partire dal X secolo, quando la colonizzazione dell’Islanda si era ormai conclusa, e pervenuteci in manoscritti redatti fra il XIII e il XV secolo. Si tratta di leggende non più sacre ma storiche o eroiche, che si distinguono sia dalla storia sia dall’invenzione intenzionale. Dal punto di vista contenutiscono queste narrazioni si possono distinguere in tre gruppi principali: I. Le saghe islandesi, comprendenti i racconti relativi alle colonizzazioni dell’Islanda, ognuno dei quali rappresenta persone inserite in un contesto faliliare differente; II. Le saghe dei re, narrazioni di personaggi regali visti però in un’ottica faliliare; III. Le saghe del tempo antico, assai meno limitate nel tempo e nello spazio in quanto trattao materia precedente alla colonizzazione dell’Islanda. Nel mondo moderno la saga si è manifestata nel darwinismo, teoria naturalistica incentrata sull’idea di ereditarità, e, a livello letterario, nella forma del romanzo genealogico, sperimentato da Zola.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved