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La concorrenza: antitrust e concorrenza sleale, Appunti di Diritto Commerciale

La concorrenza: disciplina dell'antitrust e della concorrenza sleale

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 28/02/2022

marta-artese
marta-artese 🇮🇹

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Scarica La concorrenza: antitrust e concorrenza sleale e più Appunti in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! La concorrenza. 
 La nostra cost tutela il diritto di libera iniziativa economica dell’imprenditore che non deve subire nessuna restrizione o imitazione proveniente da altre imprese o da altri imprenditori. L’ordinamento predispone una serie di strumenti a tutela dell’imprenditore difronte a comportamenti aggressivi da parte di altri imprenditori. La compresenza sul mercato di una pluralità di operatori comporta la nascita di una competizione tra loro per rispondere alla domanda di beni e servizi che proviene dalla collettività. Piu operatori sul mercato consentono ai consumatori di orientare liberamente le proprie scelte verso i prodotti piu convenienti in termini di qualità e prezzo. Molto spesso pero capita che gli imprenditori concorrenti preferiscono stipulare degli accordi piuttosto che versare nell’incertezza della competizione. A tutela della concorrenza sono state predisposte due discipline che presentato dei tratti completamente diversi: una elaborata dal codice civile in tema di concorrenza sleale e la disciplina antitrust elaborata dalla legge 287/90. La disciplina sulla concorrenza sleale protegge l'impresa nella sua individualità da comportamenti scorretti provenienti da un altro imprenditore: affinché si applichi tale disciplina deve esserci un rapporto di concorrenza tra i due imprenditori, deve esserci un comportamento scorretto da parte di uno dei due imprenditori e infine occorre che da questo comportamento scorretto derivino dei danni per l’impresa. In tema di concorrenza sleale è la stessa impresa che può agire di fronte al tribunale. Sarà possibile porre in essere tutte le misure per porre fine a questi comportamenti scorretti per ottenere risarcimento del danno subito a seguito di questi comportamenti. La disciplina antitrust introdotta dalla la legge 287/90, non tutela la singola impresa ma la struttura concorrenziale del mercato. Vengono introdotti una serie di divieti di comportamento affinché l'imprenditore si astenga dal tenere dei comportamenti lesivi di altre imprese e quindi lesivi della struttura concorrenziale del mercato. Mediante questa legge è stata introdotta l'autorità garante della concorrenza che agisce direttamente. L'antitrust sanziona delle imprese che si accordano per falsare il regime di concorrenza. In questo caso è l'autorità garante che verifica e indaga circa il comportamento dell'impresa e verifica se questi abbiano rispettato le regole in tema di concorrenza oppure no. L'istruttoria è eseguita dall'autorità garante anche se le imprese vengono comunque ascoltate e laddove si giunga ad una decisione di colpevolezza l'impresa potrà potrà richiedere il risarcimento del danno subito a causa del comportamento abusivo tenuto dall'altra impresa. Legge 287/90 - disciplina antitrust: In tal caso la disciplina comunitaria italiana vanno a penetrarsi, è la stessa legge 287/90 che nel primo comma stabilisce che tali disposizioni vanno sempre interpretate sulla base della disciplina comunitaria. Mercato rilevante: Intese restrittive della concorrenza: Uno dei fenomeni che rileva nella disciplina antimonopolistica, sia comunitaria che nazionale, sono le intese restrittive della concorrenza. Per ‘intesa restrittiva della concorrenza’ si intendono tutte quelle forme in cui 2 o piu operatori commerciali del mercato sostituiscono all’alea di incertezza della concorrenza, degli accordi in cui allineano la loro condotta per oltrepassare la concorrenza. Le imprese, mediante le intese restrittive, anziché competere tra loro decidono di seguire una stessa strategia e da cio deriva un vantaggio per loro ma una situazione sfavorevole per i consumatori. Affinché un’intesa restrittiva sia idoneo a nuocere il mercato deve consistere in una condotta posta in essere da operatori che godono di una posizione rilevante sul mercato; proprio per questo ci vengono fornite delle soglie presuntive, diverse a seconda del mercato e dell’intesa, mediate le quali si determina se delle intese sono lesive o no della concorrenza. Non tutte le intese sono vietate: esistono infatti delle intese ‘minori’ che per la struttura del mercato cui si rivolgono e per le caratteristiche delle imprese operanti sono vantaggiose per il mercato stesso. Cio pero dovrà essere dimostrato dalle imprese tra cui è sorta l’intesa. Esistono delle intese espressamente vietate dalla legge, sempre che vadano a restringere la concorrenza in modo rilevante. Le intese vietate sono nulle ad ogni effetto e chiunque puo agire per farne accertare la nullità. L’autorità garante a sua volta andrà ad accertare le infrazioni commesse e sceglie se adottare provvedimenti volti a rimuovere gli effetti anticoncorrenziali che si sono prodotti oppure se ridurre e non applicare del tutto la sanzione laddove le imprese forniscano delle informazioni utili per poter scoprire un ulteriore intesa illecita di cui hanno fatto parte. Il sistema delle intese restrittive della concorrenza inizialmente si basava su un sistema di autorizzazioni in quanto ogni intesa veniva notificata all’autorita garante e questa valutava tale accordo sulla base della concorrenza sul mercato. Questo sistema è stato poi invertito nel 2003 in quanto ad oggi sono le stesse imprese a valutare se l’intesa restrittiva sorta tra loro sia compatibile con il mercato, senza bisogna di una valutazione dell’autorità garante; eventualmente il loro comportamento potrà essere sanzionato in seguito dall’autorita garante. La prima distinzione è quella che si fa tra intese restrittive orizzontali che nascono tra operatori che agiscono sullo stesso mercato e intese restrittive verticali che nascono tra operatori che agiscono su livelli diversi di mercato. La seconda distinzione è quella tra intese per oggetto cui è riservato un regime sanzionatorio piu ampio in quanto appaiono maggiormente pericolose e sono quelle in cui per ‘oggetto’ si intende lo scopo dell’intesa stessa. Le intese restrittive per oggetto sono quelle considerate piu pericolose per le concorrenza e per questo sono assoggettate al regime di trattamento piu severo; tali intese sono nulle di pieno diritto. Tale regime comporta che per tali intese non occorre dare prova degli effetti che queste hanno sul mercato; dall’altro lato non è contemplata la possibilità di consentire alle imprese di provare miglioramenti in termini di efficienza che potrebbero portare ad esenzione della nullità dell’intesa. ‘Oggetto’ viene inteso come funzione ultima dell’accordo; se l’accordo ha come fine ultimo quello di restringere la concorrenza allora è nullo. dove l’antitrust puo spingersi per sanzionare tali pratiche poiche ogni operatore ha il pieno diritto di scegliere quale comportamento adottare in risposta a quello del concorrente. Bisogna verificare se la volontà dell’imprenditore è quella di colludere oppure quella di migliorare semplicemente l’efficienza della sua impresa. Affiche si abbia una pratica concordata occorre la sussistenza di elementi quali: - bisognerà provare che tra le imprese vi è stato uno scambio di informazioni oppure che hanno preso contatti con altre imprese con le quali hanno condiviso degli elementi riguardo il gioco concorrenza. Per capire questo si utilizzano strumenti quali la corrispondenza, l’email, provando degli incontri che ci sono stati tra le due imprese o per ultimo delle telefonate. - Occorre inoltre che tale scambio ha prodotto il venir meno dell’alea competitiva e che quindi tale scambio di informazioni ha portato ad una maggiore trasparenza sul mercato tanto da portare all’allineamento di condotte. Occorre evidenziare che nel momento in cui si prova lo scambio di informazioni allora si presume che l’allineamento di condotte derivi da questo; spetterà eventualmente all’impresa dimostrare che l’allineamento di condotte risponde ad esigenze tipiche dell’impresa e che lo scambio di informazioni non si è realizzato con lo scopo di colludere. La fattispecie piu complessa è quello in cui non si riesce a provare uno scambio di informazioni a monte; si pensi ad esempio al caso in cui due imprese vendono i prodotti allo stesso prezzo e non si riesca a provare uno scambio di informazioni tra le due imprese. In tal caso come si fa a capire se vi è un'ipotesi di collusione oppure se questo allineamento è dovuto da semplici esigenze di mercato??? La risposta varia a seconda della struttura del mercato poiché in un mercato complesso, ove vi sono più competitori, sarà difficile individuare la natura del comportamento delle imprese mentre in un mercato concentrato ciò appare più semplice. La corte di giustizia ci dice che è un parallelismo di condotte, privo di documentazione che ci consenta di provare lo scambio di informazioni, può rappresentare prova della pratica concordata quando sussistono tali elementi: - la circostanza tale per cui all’interno del mercato non si ha un equilibrio che si avrebbe in uno scenario competitivo; - Circostanza per cui la condotta delle imprese non è spiegabile se non nell’intento delle imprese di colludere e di trarre vantaggio da tale collusione; quando non vi è un’altra spiegazione possibile. Anche in tal caso le imprese hanno comunque la possibilità di dimostrare il contrario e quindi che il loro intento in realtà non è quello di colludere. Abuso di posizione dominante: Si tratta di un’altra condotta presa in considerazione sia dall’ordinamento nazionale che comunitario. Si tratta di una situazione in cui vi è un operatore molto forte che abusa di questa sua forza per porre in essere delle condotte scorrette. L’impresa essendo egemone, poiche tale situazione gia di per se comporta un’alterazione della concorrenza e dei pregiudizi per le altre imprese, deve astenersi dal compiere una serie di atti e comportamenti che andrebbero ad eliminare la poca concorrenza rimasta sul mercato. Bisogna evidenziare che vietato non è di per se l’acquisizione di una posizione dominante sul mercato poiche ogni impresa con le proprie forze e il proprio lavoro puo raggiungere tale posizione; ad essere vietato è lo sfruttamento abusivo di questa posizione raggiunta. Se l’impresa non è dominante in quel mercato allora non vi sarà nemmeno l’abuso. Una volta che si è valutata la posizione di dominanza occupata dall’impresa, bisognerà valutare se i comportamenti tenuti da questa ultima rientrino in quelle indicate e in caso positivo si ha abuso di posizione dominante. Quando, al contrario, la condotta non rientra tra quelle definite occorrerà una maggiore interpretazione per capire se il comportamento è abusivo oppure no. Quando si parla di ‘posizione dominante’ si fa riferimento ad una situazione la cui definizione è stata elaborata dalla giurisprudenza: la giurisprudenza ci dice che la situazione di dominanza non equivale ad una situazione di monopolio ma consiste in un assetto in cui la concorrenza è gia fortemente indebolita e quindi il mercato risente di quella dominanza dell’impresa. La posizione di dominanza è una posizione di forza economica che rende l’impresa capace di autodeterminare le sue scelte commerciali senza tenere conto delle reazioni del mercato. Non è sempre agevole riconoscere una posizione dominante e per questo sono stati indicati dei parametri per poterla misurare: - quota di fatturato dell’impresa che si presume essere dominante; - Barriere all’ingresso ossia fattori presenti nel mercato che consentono all’impresa di fortificare la sua posizione nel mercato. Troviamo le barriere normative (es: autorizzazioni o concessioni per produrre in esclusiva determinati beni), le barriere economico-strutturali (es: economia di scala in cui l’impresa è dotata di una apparato efficiente che le consente di abbattere i costi di produzione e quindi di produrre a prezzi inferiori) e infine le barriere di natura tecnologica (es: imprese che mettono sul commercio prodotti avanzati a livello tecnologico e che potranno ottenere anche un brevetto per cui potranno produrli in via esclusiva). Una volta valutata la posizione dominante bisognerà valutare l’abuso. L’abuso si ha quando una impresa che si trova gia in una posizione egemone pone in essere un comportamento che ha per effetto quello di restringere la concorrenza nel mercato in cui opera. Tali condotte sono: A) pratiche che hanno ad oggetto i prezzi: sono vietate le condotte che si sostanziano nell'imposizione di prezzi di acquisto o di vendita che siano considerate ingiustificatamente gravosi. Tale condotta può essere gravosa sia per il consumatore ma anche per il contraente che si trova in una posizione scomoda all'interno del mercato. Prezzo gravose e quello che si pone a un livello superiore rispetto a quello del mercato; tra i prezzi gravosi rientrano anche i prezzi predatori ossia quelli in cui il prezzo fissato si colloca al di sotto del costo marginale di produzione. Il prezzo predatoroe considerato gravoso in quanto tutti i consumatori si sposteranno verso l'impresa che è imposto tale prezzo mentre le imprese che non riusciranno a porre lo stesso prezzo saranno costretti ad uscire dal mercato. Si distinguono gli abusi di sfruttamento ossia quelli posti in essere dall'impresa mediante lo sfruttamento della sua posizione dominante; troviamo inoltre gli abusi escludenti che hanno come obiettivo quello di escludere gli altri competitori (un tipico abuso escludente è l’imposizione del prezzo predatorio). Oltre che il prezzo anche altre condizioni contrattuali gravose possono penalizzare il consumatore o gli altri soggetti che si interfacciano con l'impresa dominante: questa è considerata una clausola aperta. B) Condotte che hanno per effetto quello di contingentare l'accesso al mercato e alla produzione di quel bene. Tali condotte sono vietate se danneggiano il consumatore; sono le uniche condotte in cui si prevede che l'effetto voluto va a danneggiare il consumatore; l’unica condotta tipizzata in cui si prevede che l’effetto è limitare sviluppi tecnologici ed ingressi nel mercato a danno dei consumatori.Tra questi condotte troviamo: rifiuti a contrarre o boicottaggi (ad esempio l'impresa che produce una materia prima specifica e si rifiuta di concedere questa materia prima ad altre imprese così che tali imprese non potranno produrre quel prodotto) e situazioni in cui l'impresa si riserva il controllo del mercato a danno degli altri competitori. Sono delle situazioni in cui l'impresa senza un motivo giustificato si rifiuta di condividere una risorsa con un'altra impresa oppure la concede ma a condizioni sfavorevoli. C) Condotta che consiste nell'applicare condizioni diverse nei rapporti commerciali equivalenti con contraenti diversi. Si tratta di pratiche discriminatorie con cui si vanno appunto a discriminare dei contraenti che fanno parte del mercato. Tali condotte discriminatorie sono principalmente quelle che ruotano intorno al prezzo ossia: - discriminazione creata dall'impresa sulla base di valutazioni circa la possibilità economica dei singoli consumatori: l'impresa stabilisce che ogni consumatore paghi fino all'ultimo centesimo cui è disposto a pagare per ottenere quel prodotto. Si tratta di un'ipotesi poco frequente in quanto è difficile stabilire la possibilità economica dei singoli consumatori per le singole imprese. - Riesce a creare diverse versioni del prodotto L’impresa introduce un menu di prezzi differenti per diverse versioni del prodotto, la discriminazione di prezzo sta nel fatto che ci saranno quindi dei consumatori disposti a pagare un prezzo molto alto pur di ottenere per primo quel prodotto. - Situazione in cui l'impresa riesce a definire delle categorie di consumatori con delle specifiche preferenze e offre tali prodotti a un prezzo che risponde al desiderio da parte del consumatore di ottenere quel prodotto. In questo caso non si hanno grandi problemi per la concorrenza. Nella lettera B le condotta ha per effetto uno svantaggio per il consumatore mentre nell’ipotesi C la condotta ha per effetto uno svantaggio per gli altri contraenti commerciali. Nel caso C, l'imprenditore dovrà dimostrare che applicato delle condizioni diverse in quanto vi era oggettivamente una situazione diversa rispetto a quel contraente. D) Caso in cui si va a subordinare la conclusione di contratti all'accettazione di prestazioni supplementari le quali per la loro natura non hanno alcuna connessione con l'oggetto della prestazione principale. L’impresa vende piu beni senza alcuna ragione a che li venda in maniera congiunta. Esistono dei casi in cui piu beni vengono venduti insieme vista la loro natura ad esempio le scarpe + lacci. In altri casi invece l'impresa vende due beni insieme senza alcuna ragione, ma solo per conquistare i mercati adiacenti e quindi per spostare il suo potere dal mercato Cio stabilito, la costituzione e il cc consentono che tali libertà possano essere compresse dai pubblici poteri solo quando tali limitazioni rispondano ad una utilità sociale e solo quando sono disposte da parte del legislatore ordinario. Le ipotesi maggiorente evidenti di regolamentazione pubblica dell’iniziativa economica privata che si risolvono in limitazioni della liberta di concorrenza sono: i controlli circa l’accesso nel mercato di altri imprenditori subordinando tale accesso all’ottenimento di autorizzazioni o concessioni; poteri di indirizzo e di controllo dell’attività riconosciuti agli organi della pubblica amministrazione riguardo imprese che operano in settori di ampio rilievo economico; sistema di controllo pubblico sui prezzi di vendita che porta delle volte a fissare prezzi di imperio. Infine, sempre sulla base dell’interesse generale, si puo anche verificare l’intera soppressione della liberta di iniziativa economica privata e di concorrenza. Viene riconosciuto infatti al potere statale, da parte della cost, la possibilità di create monopoli pubblici disposti mediante legge ordinaria; inoltre tale sacrificio economico deve essere giustificato da fini di utilità generale. Sono inoltre predeterminati i settori in cui possono essere istituiti validamente monopoli pubblici. I monopoli pubblici ad oggi tendono a ridursi; cio non toglie che permangono ancora alcuni con lo scopo di procurare entrare allo stato. Troviamo ad esempio il monopolio fiscale dei tabacchi, del lotto, delle lotterie nazionali. È cessato, dopo vari interventi della corte costituzionale, il monopolio statale per il servizio radiotelevisivo nazionale. Quando la produzione di determinati beni e servizi è attuata in forma di monopolio legale, sia dallo stato o da altro ente pubblico e sia da imprenditore privato mediante la concessione ottenuta dalla pubblica amministrazione, non viene applicata verso l’impresa monopolistica la normativa antitrust. Il legislatore si preoccupa di tutelare gli utenti contro eventuali abusi da parte del monopolista. Sula base di cio, sul monopolista ricade l’obbligo di contrarre con chiunque richieda le prestazioni che formano oggetto dell’impresa e l’obbligo di rispettare la parità di trattamento fra i diversi richiedenti. Il primo obbligo corrisponde al diritto soggettivo dell’utente. Si stabilisce che le richieste dovranno essere soddisfatte secondo il loro ordine cronologico e che se la produzione non è in grado di soddisfare tutte le richieste allora questa dovrà essere ripartita proporzionalmente fra i diversi utenti da parte del monopolista. Il secondo obbligo comporta che il monopolista debba predeterminare e rendere note al pubblico le condizioni contrattuali che generalmente sono fissate in via legislativa. Cio per tutelare i consumatori da condizioni eccessivamente onerose. Le condizioni contrattuali rese pubbliche dovranno poi essere applicate a chiunque faccia richiesta della prestazione. La parita di trattamento non implica che le condizioni contrattuali debbano essere necessariamente tutte uguali per gli utenti; viene infatti riconosciuta la possibilità per il monopolista di prevedere anche delle modalità o delle tariffe differenziate purché vengano determinati i presupposti di applicazione di queste. Ogni altra deroga alle condizioni generali è nulla. Tale disciplina fa rifermento al monopolio legale ossia quando la produzione e la commercializzazione di un dato bene o servizio è riservata, per legge, ad un singolo operatore economico. Diverso da questo è il monopolio di fatto per cui non vene applicata tale disciplina; il monopolista di fatto è l'imprenditore, che anche se non gode di un regime di esclusiva, controlli la posizione il commercio di un bene o di un servizio non facilmente sostituibili dai consumatori. In tal caso, proprio perché la disciplina del monopolio legale è una disciplina in deroga al principio generale della liberta contrattuale, non puo essere applicata in via analogica al monopolio di fatto. Al monopolio di fatto, a tutela della concorrenza, sarà applicabile la legge 287/90 volta a reprimere le azioni discriminatorie poste in essere nei confronti di altri imprenditori. Divieti legali di concorrenza: La liberta di concorrenza subisce ulteriori limitazioni disposte dal legislatore a tutela di interessi patrimoniali e privati. Nel codice civili ci vengono presentate delle norme che pongono a carico di soggetti, legati da particolari rapporti contrattuali, l’obbligo di astenersi dal fare concorrenza alla controparte. La durata di tale obblighi, poiche questi si legano ad un rapporto contrattuale, coincide con quella del rapporto contrattuale. Essendo divieti previsti a favore della controparte operano senza una espressa pattuizione ma possono essere liberamente derogati. Tra i divieti legali di concorrenza ricordiamo: - obbligo di fedeltà a carico dei prestatori di lavoro che corrisponde al divieto per loro di concludere affari in concorrenza con il loro datore di lavoro fin quando dura il rapporto di lavoro; - Divieto di esercitare, direttamente e indirettamente, attività concorrente con quella della società che ricade sui soci a responsabilità illimitata di società di persone sugli amministratori di società di capitali e cooperative; - Diritto di esclusiva reciproca nel contratto di agenzia: da qui deriva che l’agente non puo assumere l’incarico nella stessa zona da parte di imprese concorrenti e che il preponente non puo servirsi contemporaneamente di stessi agenti nella stessa zona. Tra questi divieti ricordiamo anche il divieto di concorrenza posto a carico dell’alienante dell’azienda, per la durata di 5 anni. La liberta individuale di iniziativa economica e di concorrenza è libertà parzialmente disponibile. Cio si desume dall’art 2596 cc che consente la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza. Il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto e non puo precludere al soggetto la possibilità di esercitare qualsiasi attività professionale andando a comprimere interamente la liberta di iniziativa economica. Da qui deriva che il patto è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale o ad un determinato tipo di attività. Tali patti inoltre non possono eccedere la durata di 5 anni; patti di durata maggiore o indeterminata si considerano durare 5 anni. La finalità di questa disciplina è quella di tutelare il soggetto o i soggetti che assumono l'obbligo di non concorrenza, evitando un'eccessiva compressione della loro libertà di iniziativa economica. Alla norma invece estranea la finalità di preservare la struttura concorrenziale del mercato e di impedire la costituzione di monopoli. Non tutti i patti di questo tipo sono regolati dall’art 2596 cc poiche tale norma va coordinata con altre disposizioni che dettano delle regole particolari per taluni accordi restrittivi della concorrenza. Bisogna innanzitutto distinguere i patti autonomi e i patti accessori. Il patto autonomo si presenta come autonomo rispetto ad un contratto e ha come oggetto la funzione esclusiva di restringere la liberta di concorrenza. Tali patti possono porre obblighi di non concorrenza a carico di una sola delle parti (restrizioni unilaterali) oppure vi sono patti, quelli piu frequenti, che prevedono obblighi di non concorrenza a carico di tutti gli imprenditori che partecipano all’accordo (restrizioni reciproche). Le restrizioni reciproche prendono il nome di cartelli. Ad esempio, piu fabbricanti di tessuti possono accordarsi tra loro per ripartirsi le zone di distribuzione o per accordarsi riguardo i prezzi di vendita da praticare. Le restrizioni unilaterali senza dubbio rientrano nell’ambito di applicazione dell’art 2956 cc. Cio è invece in dubbio riguardo le restrizioni reciproche. Il problema nasce dal fatto che le finalità di un cartello possono essere realizzati anche attraverso la stipulazione di un contratto di consorzio specificatamente regolato. Inoltre per quanto riguarda il consorzio non è previsto alcun limite di durata anzi è disposto che se le parti non prevedono nulla, il contratto è valido per 10 anni. Da qui consegue che il limite di durata quinquennale, stabilito dall'articolo 2596 del codice civile, è applicabile con certezza solo alle restrizioni reciproche della concorrenza che non prevedono la costituzione di un consorzio. Incerto è se tale regola si applica anche quando l'accordo è strutturato sottoforma di consorzio e la soluzione negativa appare più corretta. Infatti l'articolo 2604 che riguarda la durata del consorzio, non offre spazio a distinzioni basate sulla finalità specifica del consorzio. Se si accetta che la disciplina specifica prevale su quella generale, si arriva a concludere che le restrizioni reciproche della concorrenza possono essere sottratte alla regola della durata massima quinquennale laddove si basino sul contratto di consorzio. Le restrizioni della concorrenza possono essere anche accessorie rispetto ad un contratto avente un oggetto diverso. Anche questi altri tipi di patti possono prevedere sia restrizioni della concorrenza a carico di entrambe le parti e sia a carico di una sola parte. Esse inoltre possono essere orizzontali quando intercorrono fra imprenditori in diretta concorrenza tra loro e verticali quanto intercorsi fra imprenditori tra cui manca un rapporto di concorrenza. Il codice regola distintamente: - la clausola di esclusiva che può essere inserita all'interno di un contratto di somministrazione; - Il patto di preferenza a favore del somministrando inseribile nello stesso contratto di somministrazione in forza del quale il somministrato si obbliga a preferire, a parità di condizioni, lo stesso somministrando e la dove intanto a stipulare un successivo contratto di somministrazione per lo stesso oggetto. Il patto non puo durare oltre 5 anni; - Il patto di non concorrenza con il quale si limita l'attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto. Il patto è nullo se non risulta da atto scritto ed è nullo se non è previsto alcun corrispettivo a favore del necessita che anche il soggetto che pone in essere il comportamento di concorrenza sleale debba essere un imprenditore, anche se vi sono argomentazioni dottrinali e giurisprudenziali che portano a sanare tali dubbi. La giurisprudenza infatti applica la disciplina la concorrenza sleale carico il foro dell'imprenditore che sta organizzando la propria attività che si trova in fase di liquidazione in quanto la qualità di imprenditore può essere acquistata nella fase organizzativa e non si perde nella fase di liquidazione. È certo inoltre che l'imprenditore risponde a titolo di concorrenza sleale non solo per gli atti da lui direttamente compiuti ma anche per quelli posti in essere da altri nel suo interesse. L'articolo 2598 cc infatti prevede espressamente che l'atto di concorrenza sleale può essere compiuto anche indirettamente. - Esistenza di un rapporto di concorrenza fra i due imprenditori. Quando si parla di rapporti concorrenziali si fa riferimento alla concorrenza prossima o effettiva. Soggetto attivo e soggetto passivo devono offrire nello stesso ambito di mercato beni o servizi che siano destinati a soddisfare lo stesso bisogno dei consumatori oppure bisogni similari. Tuttavia bisogna evidenziare che, nel valutare l'esistenza del rapporto di concorrenza tra i due imprenditori, bisogna tener conto anche della prevedibile espansione territoriale e sviluppo merceologico in prodotti affini all'attività dell'imprenditore che subisce l'atto di concorrenza sleale ossia la cosiddetta concorrenza potenziale. Ad esempio dovranno considerarsi il rapporto di concorrenza un produttore di acque minerali e un produttore di bibite. Un passo avanti è stato fatto nel momento in cui si estesa la disciplina della concorrenza sleale anche fra operatori che agiscono a livelli economici diversi; è pero necessario e sufficiente allo stesso tempo che il risultato ultimo di entrambe le attività incida sulla stessa categoria di consumatori. Atti di concorrenza sleale: Gli atti di concorrenza sleale sono definiti nell’art 2598 cc. La norma individua due importanti gruppi: atti di confusione (comma 1) e atti di denigrazione o di appropriazione di pregi altrui (comma 2). Infine al comma 3 enuncia una clausola aperta che porta a sanzionare altre condotte rispetto a quelle tipizzate dal legislatore che appaiono in contrasto con i principi della correttezza professionale e che siano idonee a danneggiare l’azienda altrui. I caratteri ora definiti ossia scorrettezza professionale e idoneità di danneggiare l’azienda altrui sono sempre presenti nelle fattispecie tipizzate dal legislatore; da cio deriva che chi agisce non dovrà provare che il comportamento tenuto dal concorrente sia idoneo a danneggiare la sua azienda e il giudice non sarà tenuto a valutare se l’atto contrasta con la correttezza professionale. Tale valutazioni infatti sono state gia compiute in via preventiva dal legislatore; questo ha come finalità quello di restringere i margini di incertezza e di discrezionalità. Comma 1: è atto di concorrenza sleale ogni atto idoneo a creare confusione con i prodotti o con l’attività concorrente. Ciò vuole dire che è lecito attrarre a sé l'altrui l'intera ma non è lecito farlo mediante dei mezzi che possono trarre in inganno il pubblico circa la provenienza dei prodotti e l'identità personale dell’imprenditore. Tali mezzi sono sleali in quanto sfruttano il successo sul mercato acquisito dai concorrenti. Sono molte le tecniche che un imprenditore potrà porre in essere per realizzare la confondibilità tra i propri prodotti e la propria attività con i prodotti con l'attività di un concorrente; tra questi riconosciamo: - l'utilizzo di nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi con i segni distintivi legittimamente usati da altri imprenditori concorrenti. Tale confondibilità può riguardare sia i segni distintivi tipici e in questo caso la tutela offerta dalla disciplina della concorrenza sleale è affiancata da quella offerta dalla disciplina dei segni distintivi. La confondibilità può riguardare anche segni non protetti da altre disposizioni E in tal caso si potrà ottenere tutela solo mediante la disciplina della concorrenza sleale. Ciò che necessario che si tratti di segni legittimamente utilizzati; ciò significa che nel momento in cui un soggetto adotta un marchio privo di capacità distintiva di novità e quindi non tutelato dalla disciplina dei marchi, non potrà pretendere che un concorrente si astenga dall'utilizzare lo stesso segno sulla base della disciplina della concorrenza sleale. - L'altra ipotesi di concorrenza sleale per confusione è quella che si definisce imitazione servile dei prodotti di un concorrente. Ciò sia nel caso in cui si verifica la riproduzione delle forme esteriori dei prodotti altrui in modo da indurre il pubblico a supporre che i due prodotti provengono dalla stessa impresa. L’imitazione deve riguardare però elementi caratterizzanti e quindi idonea a differenziare esteriormente quel dato prodotto dagli altri dello stesso genere. Non sia un'imitazione servile quando vengono imitate delle forme comuni oppure standardizzate. Rientra nella categoria anche ogni altro mezzo idoneo a creare confusione con i prodotti o con l'attività di un concorrente. Ad esempio imitazione di mezzi pubblicitari oppure medesimo aspetto esteriore dei locali di vendita. Comma 2: la seconda categoria di atti di concorrenza sleale ricomprende gli atti di denigrazione e l'appropriazione di pregi dei prodotti o dell'impresa di un concorrente. Con la denigrazione si tende a mettere in cattiva luce i concorrenti danneggiando la loro reputazione commerciale. Con l'appropriazione di pregi invece si tende ad incrementare in maniera artificiosa il proprio prestigio attribuendo ai propri prodotti o alla propria attività dei pregi e delle qualità che realtà appartengono ad un prodotto oppure l'attività di un concorrente. Riconducibili agli atti di denigrazione sono: - le denuncia al pubblico di pratiche concorrenziali illecite da parte di concorrenti specifici e in generale la divulgazione di notizie che possono screditare la reputazione commerciale di un concorrente; - La pubblicità iperbolica con cui si fa andare accreditare l'idea che il proprio prodotto sia il solo a possedere quei determinati pregi o quelle specifiche qualità, che invece vengono negati a prodotti dei concorrenti. Al contrario è considerato lecito la pratica che consiste nella generica affermazione di superiorità dei propri prodotti. Ciò nonostante non è sempre agevole stabilire la linea di confine con la pubblicità ingannevole. Anche l'appropriazione di pregi altrui può essere realizzata con modalità e tecniche diverse. Forme tipiche sono: l'attribuzione a se stessi di qualità, pregi riconoscimenti e premi che in realtà appartengono ad altri imprenditori del settore (pubblicità parassitaria); l'altra consiste nel far credere che i propri prodotti siano simili a quelli di un concorrente mediante l'utilizzazione di espressioni come tipo, modello e sistema (pubblicità per riferimento). Non sempre costituisce atto di concorrenza sleale la pubblicità comparativa. Questa consiste nel confronto fra la propria attività ai propri prodotti e quelli di uno o più concorrenti fatto per gettare discredito sugli altri prodotti e sull'altrui attività.si verifica sia nel caso in cui si esprime un proprio giudizio negativo sui concorrenti e sia nel caso in cui vengono utilizzate delle indagini di terzi che contengono giudizi favorevoli a sé sfavorevoli per i concorrenti. In passato la pubblicità comparativa veniva considerata sempre illecita; ad oggi invece è consentita a determinate condizioni e quindi la pubblicità comparativa non puo ritenersi vietata in modo assoluto: la comparazione è lecita quando non è ingannevole e quando non causa discredito o denigrazione del concorrente. Comma 3: l'articolo 2598 chiude l'elencazione degli atti di concorrenza sleale con una clausola aperta. In tal caso si affida al giudice il delicato compito di interpretare la coscienza del momento e di stabilire se un comportamento concorrenziale, diverso da quelli tipizzati dal legislatore, possa essere considerato sleale oppure no. Fra gli atti contrari al parametro della correttezza professionale rientra innanzitutto la pubblicità menzognera ossia la falsa attribuzione ai propri prodotti di qualità o pregi che non appartengono ad alcun concorrente (e in questo che la pubblicità menzognera si differenzia dalla fattispecie dell'appropriazione di pregi). Si deve considerare illecita la pubblicità menzognera anche se non lesiva di uno specifico concorrente, quando il messaggio pubblicitario vado a trarre in inganno il pubblico falsandone gli elementi di giudizio. Fra le altre forme di concorrenza sleale che vengono ricomprese nel comma 3 possiamo annoverare: - concorrenza parassitaria: consiste nella imitazione dell'altrui iniziative imprenditoriali attuata da un lato con accorgimenti tali da evitare la piena confondibilità delle attività e dall'altro lato con un disegno complessivo che evidenzia lo sfruttamento dell'altrui creatività. - Il boicottaggio economico che si sostanzi a nel rifiuto ingiustificato di un'impresa in posizione dominante sul mercato di fornire i propri prodotti a determinati rivenditori, con l'intento di escluderli dal mercato. - La vendita sottocosto dei propri prodotti. In tal caso è controverso se ciò costituisca atto di concorrenza sleale in ogni caso oppure solo quando sia finalizzato all'eliminazione dei concorrenti e all'acquisto di una posizione monopolistica, in tal caso sarebbe un comportamento vietato anche dalla legislazione antimonopolistica. - La sottrazione ad un concorrente di dipendenti o di collaboratori autonomi particolarmente qualificati laddove questo avvenga con modalità che manifestino il proposito di danneggiare l'altrui azienda e avvantaggiarsi in maniera parassitaria delle conoscenze aziendali del dipendente del concorrente. - Violazione di segreti aziendali: rivelazione a terzi o utilizzazione da parte di terzi, in modo contrari alla correttezza professionale, delle informazioni aziendali segrete.
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