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La concorrenza sleale, Dispense di Diritto Medievale E Moderno

Annamaria Monti- la concorrenza sleale

Tipologia: Dispense

2019/2020

Caricato il 05/05/2020

amerigour
amerigour 🇮🇹

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22 documenti

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Scarica La concorrenza sleale e più Dispense in PDF di Diritto Medievale E Moderno solo su Docsity! Annamaria Monti La concorrenza sleale e gli esordi del diritto industriale nell’Italia liberale: verso una teoria generale della concorrenza? 1. Premessa. Numerose e difficili sono le sfide che i giuristi italiani si trovano ad affrontare tra otto e novecento, nella delicata fase di consolidamento dello Stato unitario: in particolare, è l’avvento dell’economia industriale a dischiudere orizzonti inesplorati e a reclamare l’attenzione della scienza giuridica. Nelle mutate condizioni economiche e sociali dell’età giolittiana, come la storiografia ha ben messo in luce, la legislazione vigente, cioè i codici di matrice ottocentesca (il codice civile Pisanelli del 1865 e il codice di commercio Mancini del 1882) non offrono strumenti adeguati per inquadrare i fatti nuovi e i problemi emergenti1. Anzi, quegli stessi testi, incentrati sulla tutela della libertà individuale e della proprietà, paiono quasi frapporre ostacoli alla comprensione di fenomeni economici e sociali inediti, che spesso presuppongono una prospettiva ‘collettiva’ – quali per esempio il vasto settore dei rapporti di lavoro subordinato – e una dimensione ‘immateriale’, come quando si avverte l’esigenza di tutelare le opere dell’ingegno o i segni distintivi dell’azienda2. In questo scenario complesso, in cui l’industria italiana muove i primi passi nei campi strategici della seconda rivoluzione industriale, quali la chimica, la meccanica e la metallurgia, in un intreccio inscindibile tra i finanziamenti delle grandi banche miste3, gli ‘aiuti’ di Stato, l’intraprendenza individuale e l’indispensabile mediazione politica4, i più 1 Per tutti, G. CAZZETTA, Codice civile e identità giuridica nazionale. Percorsi e appunti per una storia delle codificazioni moderne, Torino, 2012, pp. 143 ss. 2 Cf. le considerazioni svolte da Carnelutti in esordio alle sue lezioni di diritto industriale in Bocconi: « …il diritto comune del codice napoleonico e del codice civile patrio … era pur quello che si accontentava di regolare la locazione d’opera con una sola disposizione diretta a proibire il rapporto di lavoro perpetuo e per il resto si rimetteva alle norme generali in materia di contratti e al principio fondamentale della libertà dei contraenti, non riconosceva come obbietto di signoria dell’individuo se non la cosa …» (Diritto industriale: anno accademico 1909-1910. Lezioni del chiarissimo prof. avv. Francesco Carnelutti, pp. 8 ss.). 3 Sull’esperienza imprenditoriale delle banche miste (Comit e Credito italiano) in questo periodo, «una brevissima stagione in cui gli spiriti imprenditoriali dei dirigenti bancari sembrarono muoversi in autonomia e indipendenza», A. POLSI, Banche e industrializzazione in età giolittiana (1900-1914), in A. COVA, S. LA FRANCESCA, A. MOIOLI, C. BERMOND (cur.), La Banca, Storia d’Italia, Annali, 23, Torino, 2008, pp. 373-400. Sul tema v. anche G. CONTI, Le banche e il finanziamento industriale, in F. AMATORI, D. BIGAZZI, R. GIANNETTI, L. SEGRETO, L’industria, Storia d’Italia, Annali, 15, Torino, 1999, pp. 443-504. 4 Per efficaci tratti sullo sviluppo economico italiano tra otto e novecento, nei suoi intrecci tra affermazione del capitalismo, avvento di una realtà industriale, intervento dello stato, ragioni di politica interna e internazionale: V. CASTRONOVO, Un profilo d’insieme, in ID. (cur.), Storia dell’IRI, 1, Dalle origini al dopoguerra 1933- 1948, Roma – Bari, 2011, spec. pp. 3-8. Per un quadro d’insieme rinvio comunque al volume collettaneo AMATORI, BIGAZZI, GIANNETTI, SEGRETO, L’industria, cit., e in particolare al contributo di F. AMATORI, La grande impresa, pp. 691 ss. Cf. anche ID., Montecatini: un profilo storico, ora in Id., La storia d’impresa come professione, Venezia, 2008, pp. 365-413. attenti tra i giuristi del tempo si apprestano a cercare di comprendere rapporti giuridici generati da un’economia in rapido mutamento. In particolare, i cultori del diritto commerciale – sulla scorta dell’appello di Cesare Vivante – imboccano itinerari di studio che conducono al di là dei confini propri della materia così come è disciplinata dal codice5. Come a ragione si ripete, attivissimo laboratorio per simili ricerche e, soprattutto, per dibattiti fecondi, fu la Rivista di diritto commerciale, industriale e marittimo fondata da Vivante stesso e da Angelo Sraffa nel 1903 e diretta in prima persona da Sraffa fino al 19376. Tra i temi di attualità spicca la non meglio specificata ‘concorrenza’: a questo proposito, uno dei profili che mi paiono interessanti da studiare è proprio il percorso seguito per arrivare a comprendere cosa si dovesse intendere, appunto, con quel termine utilizzato dagli economisti nei loro studi e quale dovesse essere la sua eventuale rilevanza giuridica7. Occorre anche premettere che nell’avviare una ricerca tesa a delineare, almeno in piccola parte, il punto di vista dei giuristi lungo un cammino non lineare che attraversa tutto il novecento e si interseca con scelte di politica legislativa e di governo dell’economia di più ampio respiro8, le fonti qui utilizzate sono essenzialmente interventi di carattere teorico e speculativo, cioè i ‘prodotti’ di una ricerca giuridica che si cimenta con l’avvento di una realtà capitalistica e con una prassi giurisprudenziale incerta. Il quadro sarebbe ovviamente da ampliare e completare rivolgendo lo sguardo anche in altre direzioni e, soprattutto, al diritto effettivamente applicato, all’opera complessiva della stessa giurisprudenza e al contributo della minuta schiera emergente di avvocati d’affari e consulenti giuridici di banche e imprese9. In particolare, sia per l’apporto dei magistrati, sia per il ruolo dei professionisti del diritto nel delineare la fisionomia dell’ordinamento giuridico e economico italiano tra otto e novecento, gli studi finora condotti (non molto numerosi) aprono scorci che meriterebbero senz’altro approfondimenti ulteriori10. Seguendo, dunque, il fil rouge della ‘concorrenza’ tra le pagine di riviste, trattati e opuscoli, emerge subito come un ambito di questo vasto settore che appassiona specificamente la scienza giuridica sia quello della cosiddetta ‘concorrenza sleale’ tra 5 P. GROSSI, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico, Milano 2002, pp. 51-57, nonché A. SCIUMÈ, Cesare Vivante, in Il contributo italiano alla storia del pensiero, Diritto, Enciclopedia italiana, Ottava appendice, Roma, 2012, pp. 446 ss. 6 Mi permetto di rinviare a A. MONTI, Angelo Sraffa. Un antiteorico del diritto, Milano, 2011, pp. 220 ss., anche per ulteriori indicazioni bibliografiche. 7 Sintomatica di un ‘disagio’ è la voce di V. PRODI, Concorrenza, in Digesto italiano, VIII, p. I, pp. 376-385. Per una riflessione più accurata, G. BORGATTA, Concorrenza, in Enciclopedia italiana, XI (1931), Roma, 1949, pp. 83-85. 8 Per i legami con la disciplina societaria, P. MARCHETTI, Diritto societario e disciplina della concorrenza, in Storia del capitalismo italiano dal dopoguerra a oggi, a cura di F. BARCA, Roma, 1997, pp. 467-499. 9 In questo senso, A. CANTAGALLI, Avvocati, banche e imprese 1890-1940, Bologna, 2010. 10 Cf. P. COSTA, Pagina introduttiva. Giudici, giuristi (e legislatori): un ‘castello dei destini incrociati’?, in «Quaderni fiorentini», XL (2011), I, pp. 1-17. 2 Al di là dell’impegno della dottrina, come accennato è soprattutto la giurisprudenza a essere schierata in prima linea nell’individuare le fattispecie di concorrenza sleale, assimilate a atti illeciti che obbligano al risarcimento del danno ingiustamente causato25. Da Macerata, nella sua prolusione del 1894 (La lotta commerciale), Angelo Sraffa si era interrogato a sua volta su cosa si intendesse per concorrenza sleale. Analoga la sua risposta: « …quella che bisogna adattarsi a chiamare, ormai, concorrenza sleale» comprende «tutti quegli atti, ogni giorno crescenti di numero, che, con infiniti accorgimenti, si cerca di sottrarre alla azione punitiva o proibitiva della legge, atti tendenti a conquistare la clientela dei concorrenti, specialmente confondendo, ad arte, gli stabilimenti e i prodotti propri con quelli di industriali e commercianti accreditati»26. 2. Concorrenza sleale, teoria dell’illecito, tutela dei segni distintivi. Nella quinta edizione apparsa nel 1900 del suo fortunato Corso di diritto commerciale Ercole Vidari ripete come il tema della concorrenza sleale non sia gravoso di per sé, ma per «gli svariatissimi atteggiamenti pratici che esso assume». In particolare, si correrebbero due pericoli opposti: troppa indulgenza nel consentire l’uso di nomi commerciali altrui potrebbe legittimare usurpazioni e abusi; d’altro canto, per troppo rigore il libero sviluppo dell’attività commerciale e industriale ‘si incepperebbe’, questo il verbo scelto dal professore pavese che aggiunge anche l’indispensabile avverbio ‘ingiustamente’, su cui dottrina e giurisprudenza rifletteranno a lungo27. La concorrenza, del resto, è intesa alla stregua di un «fenomeno economico» dal quale non si può prescindere – sono le parole di Alberto Marghieri28 – ed è appunto nel trovare la giusta misura della tutela che risiedono le più grandi difficoltà, oltre che «il maggior compito del giurista», come puntualizza Vidari 29. Evidentemente la scienza giuridica italiana dell’epoca percepisce l’inderogabile necessità di affrontare problemi che non erano di per sé nuovi, quali la tutela del nome commerciale e soprattutto della clientela, ma che, tuttavia, al tempo si calano in una realtà nuova dal punto di vista sociale e economico30. Il primo elemento che emerge è, dunque, proprio la difficoltà incontrata dalla dottrina e dalla giurisprudenza nell’«afferrare» il profilo di illiceità giuridica degli atti di concorrenza sleale. Perché senza esitazione, come accennato, gli atti di concorrenza sleale 25 MASSETTO, Note storico-giuridiche, cit., spec. pp. 147 ss. Cf. anche G. CAZZETTA, Responsabilità aquiliana e frammentazione del diritto comune civilistico (1865-1914), Milano, 1991, pp. 327 ss. 26 La lotta commerciale. Prolusione letta il dì 11 gennaio 1894 dall’avvocato ANGELO SRAFFA, professore di diritto commerciale nella R. Università di Macerata, Pisa, 1894, pp. 30-31. 27 E. VIDARI, Corso di diritto commerciale, V ed., Milano, 1900, vol. I, pp. 260 ss. 28 A. MARGHIERI, Manuale di diritto commerciale, I, Roma, 1922, p. 156. 29 VIDARI, Corso di diritto commerciale, V ed., cit., I., p. 260. 30 « …la concorrenza illecita è vecchia e vasta come il lavoro umano»: F. CARNELUTTI, Concorrenza illecita professionale, in RDC (1911), I, p. 166. 5 sono ricondotti alla categoria degli atti illeciti. E, in quanto atti illeciti, si ritiene possano essere fonte di responsabilità civile e quindi obbligare a un risarcimento del danno: in Francia la base della responsabilità è l’articolo 1382 del code civil, in Italia l’articolo 1151 del codice Pisanelli, per cui «Qualunque fatto dell’uomo che arreca danno ad altri, obbliga quello per colpa del quale è avvenuto a risarcire il danno»31. Questa è la prospettiva in cui si muovono, tra otto e novecento, giurisprudenza e dottrina32 ed è un secondo elemento di cui tener conto33. Tant’è che alcuni autori preferirebbero parlare di concorrenza ‘illecita’, piuttosto che di concorrenza ‘sleale’, come invece normalmente si dice nel linguaggio giuridico, sulla scorta dell’uso francese. In effetti, l’ordinamento non richiede slealtà e malafede per gli atti illeciti e, d’altro canto, non necessariamente ciò che è percepito dai concorrenti come sleale corrisponde a un’illiceità sul piano giuridico. Nella prassi i comportamenti cosiddetti ‘sleali’ dettati dalla concorrenza economica assumono forme sempre nuove e diverse; evolvono con lo sviluppo industriale e capitalistico, attraverso innovative tecniche di vendita al pubblico e con le nuove abitudini della stessa clientela. Il noto Traité di Pouillet, apprezzato dai giuristi italiani dell’epoca, offre una ricchissima casistica al riguardo e testimonia di un incessante impegno dei magistrati francesi, seguiti da vicino dai colleghi subalpini34. Occorre quindi individuare un criterio discriminante, perché appunto non si può affermare che sia vietato appropriarsi della clientela altrui in generale. La libertà del lavoro, infatti, è considerata principio fondamentale dell’organizzazione sociale. Tra gli altri, Moreau, nel suo Traité de la concurrence illicite, edito nel 1904, ritiene che le manifestazioni di concorrenza cessino di essere lecite nel momento in cui attentano a un diritto e si sforza di individuare gli elementi della fattispecie ‘concorrenza sleale’: un’azione scorretta; l’imputabilità dell’azione al soggetto cui essa è rimproverata; un danno 31 Cf. G.P. MASSETTO, Responsabilità extracontrattuale (diritto intermedio), in Enciclopedia del diritto, XXXIX, Milano, 1988, pp. 1099-1185. 32 Ampiamente, MASSETTO, Note storico-giuridiche, cit., pp. 147-152. Cf. inoltre F. CARNELUTTI, Sulla distinzione tra colpa contrattuale e colpa extracontrattuale, Nota a Corte d’appello di Venezia, 5 luglio 1912, in RDC (1912), II, p. 745, sul «trasparentissimo dovere generico del neminem laedere» dell’art. 1151 del codice Pisanelli quale «sorgente perenne di rinnovamento giuridico» che «con la sua formula semplice, illude e invita» e così risolve molti problemi ai magistrati anche nel campo della concorrenza sleale. In merito, CAZZETTA, Responsabilità aquiliana, cit., pp. 399-402. 33 Rinvio alle pagine sulla «difficile ricomprensione dei mutamenti sociali nelle formule civilistiche esegetiche» e sulla «crisi di ricomprensione delle nuove realtà sociali ed istituzionali nei principi codificati della responsabilità aquiliana» di CAZZETTA, Responsabilità aquiliana, cit., pp. 1-22 e alle recenti suggestioni contenute nella relazione dello stesso Autore dal titolo Contratto e status. Uguaglianza e differenze tra Ottocento e Novecento, letta a Napoli il 23 novembre 2012 in occasione del Convegno annuale della Società italiana di Storia del diritto e ora in pubblicazione negli Atti congressuali a cura di A. Cernigliaro. 34 E. POUILLET, Traité des marques de fabrique et de la concurrence déloyale en tous genres, VI éd., Paris, 1912, in part. pp. 715 ss. Rinvio comunque anche alla ricchissima casistica offerta dalle ricerche di G.P. MASSETTO, Note storico-giuridiche, cit., passim. 6 per il concorrente; il fine di concorrenza35. La concorrenza sleale, dunque, è quella che costituisce un agere contra ius36. Sussisterebbe però solo se esiste possibilità di confusione, conseguenza indispensabile della concorrenza illecita, che genera il danno per il concorrente e per i terzi. Seguendo questa impostazione dominante nella dottrina, si tratta innanzitutto di individuare quale diritto sarebbe violato dai comportamenti concorrenziali sleali. Una difficoltà non certo di poco momento. Il punto di partenza della giurisprudenza francese era rappresentato da comportamenti che in concreto realizzano un attacco alla clientela, un valore patrimoniale da proteggere alla stregua di un bene materiale di proprietà. Come accennato, si discute sul rilievo da attribuire all’intenzione dell’agente e alle finalità dell’atto illecito37. Scorgendo nella concorrenza sleale un’arma di natura eccezionalmente duttile, malleabile «in cui tutto riposa sul contegno dell’agente, sulle sue male arti», ancora Bonfante, nella citata nota del 1908, si rammarica proprio del fatto che su questo elemento soggettivo, spirituale si concentrino l’indagine e la prova dell’illecito. La sua impressione è che «la tendenza generale elimini assolutamente o per lo meno lasci nell’ombra la lesione del diritto, il danno giuridico»38. Le difficoltà sono molte e lo schema recepito della responsabilità per atti illeciti non risponde adeguatamente alle esigenze concrete39. Si esita tra profilo soggettivo, cioè il fine di sviamento della clientela che si persegue generando ‘confusione’ – la parola ‘chiave’ della concorrenza sleale – e profilo oggettivo, il danno. L’ottica comunque rimane quella repressiva, si vogliono colpire con una sanzione comportamenti illeciti, che per essere tali devono ledere un diritto40: se il diritto di proprietà sulla clientela non soddisfa, si preferisce invocare un supposto diritto alla concorrenza lecita. Tra gli altri, il già citato Marghieri, nei primi anni Venti, quindi ben oltre l’età della prima industrializzazione del paese, in un mutato clima politico e alle soglie di altri rivolgimenti economici, parte ancora dalla necessità di tutelare e difendere quella che egli chiama l’operosità di ciascuna azienda commerciale o industriale, impegnata nella lotta quotidiana degli affari a procurarsi una sua clientela in un regime concorrenziale. Se gli 35 A. MOREAU, Traité de la concurrence illicite, Bruxelles – Paris, 1904, pp. 37 ss. 36 M. BARBERIS, Sulla ditta, insegna e nome commerciale, estratto dalla Enciclopedia Giuridica Italiana, vol. IV, p. 5°, Milano, 1911, pp. 42-44. 37 Sulla flessibilità del principio della colpa, cardine del sistema ottocentesco della responsabilità aquiliana, CAZZETTA, Responsabilità aquiliana, cit., pp. 69 ss. 38 BONFANTE, Il diritto al nome commerciale, cit., p. 164. 39 Chiaro in proposito M. GHIRON, Il marchio nel sistema del diritto industriale italiano, in «Rivista di Diritto Civile», II (1915), p. 164: «Occorre convincersi che dire e ripetere di voler fondare la tutela contro la concorrenza sleale esclusivamente sull’art. 1151 equivale a dire di volerla fondare sul vuoto». 40 Così BONFANTE, Il diritto al nome commerciale, cit., p. 172: «Insisto adunque sui punti seguenti, che dovrebbero essere, a mio avviso, fuori di discussione: le svariatissime ipotesi che si raggruppano nella designazione e nello istituto, economico e non giuridico, o almeno non civilistico, della cosiddetta concorrenza sleale, debbono avere tutte a substrato la lesione di un diritto ..». Cf. CAZZETTA, Responsabilità aquiliana, cit., pp. 115 ss. e pp. 301 ss. 7 Alla luce di queste considerazioni, si pone l’incertezza che regna in dottrina e in giurisprudenza qualora si tratti di decidere se le contraffazioni del marchio e le appropriazioni di segni distintivi siano da considerarsi atti di concorrenza sleale, ovvero rappresentino una forma d’usurpazione della proprietà del nome commerciale (marchio) e quindi a violazioni di un diritto di proprietà53. Tutto questo al di fuori – e al di là – dei profili penali54. In estrema sintesi si può osservare come scienza giuridica e giurisprudenza giudicante concordino sul fatto che il marchio registrato, che ricade sotto la legge del 1868, è comunque protetto in forza di quella normativa, indipendentemente dalla sua diffusione e notorietà e quindi al di fuori di qualsiasi concetto di concorrenza. Il marchio non registrato, viceversa, benché non sia depositato è in uso, è noto al pubblico e quindi non può essere ‘disconosciuto’, perciò è posto sotto la protezione dei principi generali della concorrenza illecita e dell’azione di responsabilità civile, che funzionano come una tutela ‘residuale’55. Edoardo Bosio, avvocato torinese, nel suo Trattato dei marchi e segni distintivi di fabbrica edito nel 1904, pone una distinzione tra quella che egli chiama la proprietà assoluta, intangibile del proprietario di un’azienda industriale o commerciale, cioè dei marchi che egli crea o adotta, oltre che degli altri segni distintivi e il campo della ‘concorrenza sleale’, il campo «delle cose comuni, o sulle quali, almeno, nessuno può accampare diritto di esclusività per impedire che altri ne approfitti; ma dove, tuttavia, il principio della libertà di ciascuno trovar deve la sua limitazione nell’uguale diritto altrui»56. Egli è perciò del tutto contrario a qualsiasi trattazione scientifica della concorrenza sleale, a suo parere in questo settore lo sforzo ermeneutico sarebbe necessariamente ridotto all’esposizione di casi pratici già risolti dalla giurisprudenza, «per cui lo scienziato diventa compilatore e il trattato repertorio». Il compito pregnante, in effetti, sarebbe solo quello del magistrato, chiamato a decidere dell’illiceità dei casi concreti ex articolo 1151 c.c., ricorrendo a «un paterno giudizio di equità e di buon senso» per districarsi in quel mare magnum, «risalendo dalle conseguenze del fatto dannoso … al concetto astratto del fatto che esso suppone avvenuto»57. Carnelutti, da parte sua, in una nota a sentenza del 1912, si rammarica di come la dottrina si limiti ad accostare marchi e concorrenza illecita, invece di giungere a una concezione organica dell’istituto, indispensabile per superare le difficoltà di coordinare e dirimere i conflitti ricorrenti tra diritto al nome e diritto al marchio, tra violazioni della 53 Cf. RAMELLA, Trattato della proprietà industriale, II, cit., pp. 330-332: l’illiceità della concorrenza risulterebbe dalla violazione dell’altrui diritto di personalità a seguito di un abuso della libertà di industria. 54 Rinvio alle pagine di MASSETTO, Note storico-giuridiche, cit., pp.127-145. 55 AMAR, Dei nomi, dei marchi, cit., pp. 505 ss. Cf. comunque MASSETTO, Note storico-giuridiche, cit., pp. 121 ss. 56 E. BOSIO, Trattato dei marchi e segni distintivi di fabbrica secondo la Legge italiana e il Diritto internazionale. Della contraffazione e della concorrenza sleale, Torino, 1904, p. 565. 57 Ibidem, pp. 566-570. 10 proprietà e atti di concorrenza: a suo giudizio, occorre acquisire la consapevolezza che «l’istituto del marchio rientra in quello della concorrenza illecita e che il marchio non è altro se non una forma di difesa dell’autore e dell’azienda nella concorrenza»58. La giurisprudenza, poi, è impegnata in un’opera incessante di affinamento del regime dei segni distintivi, per esempio in tema di imitazione e di contraffazione di marchio, che devono comunque sempre generare confusione nel pubblico dei consumatori; si cimenta con il problema della cessione d’azienda e della sorte dei segni distintivi, marchio e insegna; con la denigrazione della ditta e dei prodotti dei concorrenti; con la pubblicità comparativa59. In conclusione, riprendendo l’affermazione del francese Allart, in Italia, così come in Francia e a differenza della Germania60, non c’è una legge sulla concorrenza sleale perché la categoria sembra proprio svolgere una funzione di raccolta di prassi sleali mutevoli e difficili da inquadrare. Laddove si riesce a individuare una categoria omogenea, il legislatore detta una legge speciale, come la legge sui marchi. Trattandosi, poi, di tutelare un qualcosa di ‘immateriale’, si prendono a prestito schemi e soluzioni dalla legge sui brevetti e dal campo della proprietà intellettuale. E si pone sempre l’accento sulla concorrenza perché essa è l’anima del commercio. Lo si ripete, citando Pietro Verri61: la concorrenza è ormai legge fondamentale dell’economia sociale, che corrisponde all’altra legge della lotta per l’esistenza nella vita animale62. Si ammette altresì che lo studio più generale di questo ‘diritto di concorrenza’, forse avvolto in una nebbia ancora più impenetrabile di quella che avviluppa la concorrenza sleale, non raccoglie che pochi e recenti cultori benché, nel suo insieme, presenti un interesse particolare in un’epoca di rapido sviluppo economico e produttivo. Lo sguardo dei giuristi più curiosi corre alle esperienze straniere63. 58 F. CARNELUTTI, Diritto al marchio e registrazione, Nota a Corte d’appello di Venezia, 1 febbraio 1912, in RDC (1912), II, in part. p. 345. Nella nota Carnelutti si sofferma sull’elemento della ‘effettività’, ritenuto indispensabile per lo studio della disciplina giuridica della concorrenza. Sulle tesi di Carnelutti v. comunque anche oltre, par. 3. 59 Per esempio, PESTALOZZA, Rassegna critica della giurisprudenza, cit., spec. pp. 203 ss. Cf. comunque MASSETTO, Note storico-giuridiche, cit., pp. 145-157. 60 Sulle scelte tedesche, ben note ai giuristi italiani e, specificamente, sulla legge del 1896, SCHMOECKEL, Rechtsgeschichte der Wirtschaft, cit., pp. 127-129. 61 P. VERRI, Elementi del commercio, in Scritti vari, ordinati da G. CARCANO, Firenze, 1854, vol. II, p. 17. Per una lettura recente, P.L. PORTA, Concorrenza e pubblica felicità nella economia politica di Pietro Verri: la «Scuola di Milano», in Economia politica, XXVI (2009), n. 2, pp. 241-263. 62 L. FRANCHI, La protezione del nome commerciale, dell’insegna e del marchio nel diritto italiano, saggio per il concorso alla cattedra di Diritto Commerciale nella R. Università di Macerata, Mantova, 1886, p. 3. 63 Sempre in tema di concorrenza sleale, ibidem, pp. 14 ss., per riferimenti non solo alla Francia, ma anche al mondo anglosassone; RAMELLA, Trattato della proprietà industriale, II, cit., pp. 308 ss., per un confronto anche con la Germania. 11 Quanto agli sviluppi della legislazione nazionale, un primo abbozzo di disciplina della concorrenza sleale in forma preventiva e non repressiva64, secondo le parole di Leone Bolaffio, si avrà con il progetto di codice di commercio preparato dalla commissione Vivante nel 1922, che a sua volta si pone come «terza incarnazione» di due precedenti progetti sulla concorrenza sleale a cura della Commissione per la riforma delle leggi sui marchi di fabbrica e dalla Commissione del Dopoguerra: ciò che muta, si dice, è l’ottica, non la sostanza, poiché si adotta ancora lo schema dell’atto illecito, nonostante le critiche accumulatesi nei decenni precedenti. Si insiste sull’intento moralizzatore e ci si rimette alla valutazione del giudice per determinare la sussistenza di una colpa e l’illiceità della concorrenza in concreto65. 3. Diritto industriale e concorrenza. La riflessione dei giuristi dell’Italia liberale in materia di concorrenza, senz’altro influenzata dalle teoriche dei colleghi francesi e tedeschi – ma non ancora in modo pregnante dall’esperienza anglosassone, di cui poco si conosce direttamente66 – e ispirata dalle vicende concrete della prassi nazionale, porta ad allargare questo ambito in varie direzioni. Così si individua un vasto settore di concorrenza ‘anticontrattuale’, dove confluiscono le cosiddette ‘clausole di concorrenza’ e le violazioni del divieto di concorrenza contrattualmente previste (per esempio, in tema di diritti di esclusiva di vendita; in caso di vendita, cessione, locazione d’azienda con il suo avviamento). In queste 64 Per l’impronta «nettamente protezionistica e corporativa» che di solito si riconosce alla repressione della concorrenza sleale tra otto e novecento, G. GHIDINI, Profili evolutivi del diritto industriale, II ed., Milano, 2008, pp. 339 ss. 65 L. BOLAFFIO, Relazione, in Progetto preliminare per il nuovo Codice di Commercio, Milano, 1922, pp. 211- 213. Cf. inoltre, P. BARBIERI, La tutela del nome commerciale e la concorrenza sleale sul n.c., Milano, 1937, pp. 196-197, 202-204. 66 Sulla concorrenza sleale, fonte di informazione preziosa era, per esempio, la Revue internationale de la propriété industrielle, il cui primo fascicolo esce nel 1903. V. comunque anche sopra, nt. 63. Quanto poi a cartelli e trusts, i giuristi dell’Italia liberale conoscono le vicende statunitensi soprattutto dalle pagine della Commerciale, il foglio più aperto e informato e per lo più attraverso traduzioni di opere in tedesco e in francese (per esempio, E. KEMPIN, Die amerikanischen Trusts, Berlin, 1893; C. BROUILHET, Essai sur les ententes commerciales et industrielles, Paris, 1895): v. tra l’altro i contributi di M. RICCA-BARBERIS, Sindacati industriali e la giurisprudenza, in RDC (1903), I, pp. 458-471; A. SRAFFA, L’«Holding trust» in materia di trasporti e la giurisprudenza nord-americana, in RDC (1903), I, pp. 239-240; ID., L’«Holding trust» e la Corte Suprema degli Stati Uniti, in RDC (1904), I, pp. 169-170; M. SARFATTI, Efficacia della legislazione nord-americana contro i trusts, in RDC (1909), I, pp. 327-329; P. ROSELLI, I trusts e la Giurisprudenza Americana, in RDC (1911), I, pp. 676-679. Degni di nota sono poi i saggi di C. BETOCCHI, Le coalizioni industriali nell’economia e nel diritto, Napoli, 1891, Reprint Kessinger Publishing, [Whitefish], [2010], che allarga la sua analisi ai vari paesi dell’Europa continentale e insulare, nonché di BOZZINI, I sindacati industriali, cit., spec. pp. 88 ss., 149 ss., ricco di riferimenti anche alle fonti nordamericane. Tra i contributi degli economisti del tempo spesso citati dai giuristi, C. SUPINO, La concorrenza e le sue più recenti manifestazioni, in «Archivio giuridico», LI (1893), pp. 307-360; E. COSSA, I sindacati industriali (trusts), Milano, 1901. 12 A tal proposito e a titolo esemplificativo risultano molto istruttive le dispense dei corsi di ‘diritto industriale’ impartiti lungo i primi due decenni del secolo XX all’Università Bocconi e destinati a formare i futuri industriali dell’Italia del tempo76. Il corso ufficiale di diritto industriale dell’ateneo privato era una sorta di unicum e, invero, all’inizio non ha una sua precisa fisionomia e solo con il tempo i suoi contenuti evolvono e si precisano, in sintonia ovviamente con la sensibilità e gli interessi dei docenti incaricati del suo insegnamento: dal 1904-1905 al 1906-1907 le lezioni sono tenute da Angelo Sraffa, prima sotto la dicitura ‘diritto commerciale e industriale’77 e poi proprio come corso di diritto industriale, pensato per coloro che un giorno sarebbero diventati imprenditori e, quindi, incentrato sui temi dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e dei brevetti di invenzione78. Dal 1908 al 1912 il corso biennale di industriale è affidato a Francesco Carnelutti, già titolare in precedenza di due corsi speciali di legislazione del lavoro: a suo giudizio si trattava di «materia definita esclusivamente dalla scienza … che ha pertinenza al lavoro e soggezione a una disciplina speciale»79. Così, il corso comincia ad acquisire una caratterizzazione più marcata e risente dello sviluppo delle teoriche che lo stesso Carnelutti precisa nei suoi scritti degli anni immediatamente successivi80. Le sue lezioni, infatti, si focalizzano sulla «legislazione del lavoro o legislazione operaia», considerata una parte del diritto industriale, inteso quale complesso di norme che regolano i rapporti giuridici sorgenti dal lavoro con connotazioni sia privatistiche, sia pubblicistiche: più precisamente, il diritto industriale del lavoro si trovava ancora nella fase della legislazione eccezionale e avrebbe dovuto percorrere due fasi ‘evolutive’, quella della legislazione speciale e poi quella dell’incorporazione nel diritto comune81. 76 Sul programma didattico dell’ateneo privato, espressione di un innovativo connubio tra scienze economiche e scienze giuridiche, P.L. PORTA, Istituzioni e centri di elaborazione della cultura economica, in Milano e la cultura economica nel XX secolo, I, Gli anni 1890-1920, a cura di P.L. PORTA, Milano, [1998], pp. 172-175. Cf. anche M. CAVAZZA ROSSI, La cultura economica milanese e l’insegnamento universitario: le dispense di economia dell’Università Bocconi, ibidem, pp. 239 ss. Nel loro complesso, le dispense dei corsi ‘giuridici’ impartiti nel primo Novecento in Bocconi meriterebbero uno studio più approfondito, da rinviare però ad altra sede. 77 Diritto commerciale e industriale: anno accademico 1904-1905. Appunti raccolti sulle lezioni del prof. Angelo Sraffa, [a cura di Antonio Boni], Milano, [1905]: le dispense riguardano solo la parte del diritto commerciale, del fallimento e del diritto della navigazione. 78 Cf. Diritto industriale: UCLB, anno accademico 1906-1907, Appunti dalle lezioni del prof. Angelo Sraffa, Milano [1907], pp. 2-7. 79 Cf. Diritto industriale: anno accademico 1909-1910, cit., pp. 21 ss. 80 Sulla posizione di Carnelutti in tema di lavoro, G. CAZZETTA, Scienza giuridica, leggi sociali ed origini del diritto del lavoro, in ID., Scienza giuridica e trasformazioni sociali. Diritto e lavoro in Italia tra otto e novecento, Milano, 2007, pp. 155 ss.; P. PASSANITI, Storia del diritto del lavoro, I, La questione del contratto di lavoro nell’Italia liberale (1865-1920), Milano, 2006, pp. 480 ss. 81 Analoghe le vicende del diritto commerciale, per il quale ormai si auspicava il divenire legge comune ovunque, come in Svizzera: Corso speciale di legislazione del lavoro: anno accademico 1908-1909. Appunti raccolti alle lezioni del prof. Francesco Carnelutti dallo studente Attilio Scalabrini, Pavia, [1909], pp. 6-8. 15 Per il diritto industriale mancava una visione scientifica d’insieme, che fosse generale, unica e lo sforzo di Carnelutti è senz’altro rivolto alla ‘sistemazione’ di questo nuovo ramo vitale del diritto di cui egli descrive due macro-settori, del lavoro ‘collaborativo’ e ‘competitivo’, cioè della concorrenza, in cui rientra la tutela delle opere dell’ingegno e dei beni ‘immateriali’. Se poi la Francia appariva un modello avanzato nel campo della legislazione del lavoro e in quello della relativa riflessione scientifica82, il ‘movimento in atto’ gli sembra ‘meno accentuato’ nel secondo ambito, del diritto industriale assoluto, per il quale comunque può citare trattazioni complessive, se non sistematiche delle varie materie, «in cui la connessione tra di esse va rivelandosi»: tra gli autori ricorda Kohler, Pouillet, Allart e i due «recentissimi» volumi sulla proprietà industriale del Ramella83. «Timidissimi» sono a suo parere «gli accenni a una unificazione scientifica dei due grandi rami del diritto industriale»: come tentativo, giudicato mal riuscito, menziona quello di Pipia, sul quale si tornerà nel prosieguo84. Nell’insieme, le lezioni di diritto industriale di Carnelutti ruotano sempre più attorno alla nozione del lavoro, senza tralasciare il profilo della concorrenza, e chiaramente denotano il tentativo di ricondurre la materia ‘al sistema’85: per esempio, trattando delle limitazioni contrattuali alla libertà del lavoro, si afferma che due sono le vie: o si regola la concorrenza tra coloro che vi partecipano allo scopo di assicurare il massimo risultato per il lavoro di ciascuno con un sindacato industriale, oppure si regola la concorrenza per eliminare uno o più partecipanti allo scopo di assicurare il massimo risultato a coloro che rimangono, attraverso una clausola di concorrenza86. Quanto alle altre università italiane d’inizio secolo e, in particolare, per quello che riguarda le facoltà di giurisprudenza, la nuova materia ‘diritto industriale’ si insegnava solo a Torino, dove Amar tiene un corso libero, occupandosi sia di concorrenza sleale, sia di consorzi e sindacati industriali, come forme di concorrenza esercitate individualmente e a 82 In particolare, Carnelutti rinvia agli studi di PIC, Traité élémentaire de législation industrielle, cit. 83 Diritto industriale: anno accademico 1909-1910, cit., pp. 16-17. Cf. A. RAMELLA, Trattato della proprietà industriale, I-II, Roma, 1909, in part. vol. II, Marchi, nomi, concorrenza sleale e unioni industriali. 84 U. PIPIA, Nozioni di diritto industriale, Milano, [1901?]. 85 CARNELUTTI, Concorrenza illecita professionale cit., p. 166. In merito a questa teorica, con toni di apprezzamento per lo sforzo sistematico, pur non considerandone l’esito soddisfacente, Lezioni di diritto industriale del chiar.mo prof. Valeri, Firenze, 1933, pp. 5-6. In generale, le dispense delle lezioni di diritto industriale tenute in Bocconi tra il 1908 e il 1912 riflettono le idee che Carnelutti metterà a punto nei saggi raccolti in F. CARNELUTTI, Studi di diritto industriale, Roma, 1916. Quanto poi alle sue celebri pagine sulla necessaria e auspicata ‘sistemazione’ del diritto del lavoro (ID., Infortuni sul lavoro, I, Roma, 1913, pp. XI- XV), cf. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., pp. 125-128. 86 Diritto industriale: 1911-1912, del chiarissimo prof. Francesco Carnelutti, Pavia, [1912], pp. 50 ss. 16 danno diretto di altre persone, ovvero con atti collettivi che assumono forme diverse87. Nel 1910, poi, anche a Napoli è offerto un corso libero in materia, tenuto da Di Franco88. Quando poi, nel 1915-1916, l’insegnamento bocconiano passa a Alfredo Rocco, i connotati del diritto industriale vengono parzialmente ridefiniti: innanzitutto Rocco agli studenti precisa di poter dare loro solo un’idea sommaria del suo contenuto che, secondo la definizione corrente, comprenderebbe due gruppi di materie distinte fin dall’origine e sostanzialmente diverse89. Innanzitutto, dunque, rientrano nel diritto industriale le norme che disciplinano il diritto d’autore, i brevetti d’invenzione e i segni distintivi; lo sfruttamento «di quel complesso di beni di natura diversa, materiali e immateriali, che è l’azienda in senso generale»; e ancora la «materia che ha per scopo la repressione della concorrenza sleale, che è la violazione in fondo del diritto del proprietario dell’azienda». L’altro insieme di materie, sicuramente più omogeneo del precedente, comprende la cosiddetta legislazione del lavoro, «che ha preso grande sviluppo nell’ultimo trentennio …inoltre fa parte di questo gruppo anche una parte notevole del diritto del lavoro che non è stata ancora codificata, ma molto importante»90. Ciò detto – Rocco è molto sincero in questo senso – la prima impressione è che si tratti «di materia un po’ disparata»: tra i tentativi compiuti per darle un contenuto unitario ricorda quello del suo predecessore in quell’insegnamento, ma il tentativo «molto elegante» di Carnelutti, per cui diritto industriale è quello che regola i rapporti sorgenti dal lavoro, gli pare «artificioso». La sua proposta è un’altra e per accoglierla occorre rinunciare all’idea di un sistema unitario: «lo sviluppo della vita economica e specialmente dell’industria e del commercio, ha dato luogo a nuovi atteggiamenti di istituti giuridici, a nuovi rapporti non regolati bene dal diritto esistente, quindi il diritto industriale non è altro che un completamento, un’integrazione del diritto commerciale e specialmente del diritto civile in quei capitoli in cui esso è deficiente». Il suo corso tratta perciò della proprietà dei beni immateriali e della disciplina del lavoro operaio, senza tentare un’unificazione sistematica dei due ambiti91. 6. Verso una teoria generale della concorrenza? 87 Secondo la testimonianza dello stesso Carnelutti: Diritto industriale: anno accademico 1909-1910, cit., pp. 17-18 e cf. M. AMAR, Manuale della proprietà industriale, Milano, 1900. Sull’insegnamento torinese di Amar rinvio a FUSAR POLI, Centro dinamico di forze, cit., pp. 90-91. 88 L. DI FRANCO, Criteri di delimitazione e di sistemazione del diritto industriale, in Giurisprudenza italiana (1911), IV, coll. 1-14. 89 Lezioni di diritto industriale, tenute dal chiarissimo prof. Alfredo Rocco al III e IV corso, Milano, [1916]. 90 Ibidem, p. 4. 91 Ibidem, pp. 6-8: i campi ‘mancanti’ del diritto civile sono quelli della proprietà, che riguarda solo i diritti su beni materiali, e delle obbligazioni, che non tratta delle locazioni di opera. Il corso di quell’anno, poi, è sulla legislazione del lavoro. Durante il successivo anno accademico, dopo identica premessa, le lezioni trattano del diritto di invenzione: Lezioni di diritto industriale, tenute dal chiarissimo prof. Alfredo Rocco, [s.l., s.n. 1918]. 17 quasi costretti a usare metodi non leali, «pur di trionfare nella disperata battaglia […] potendo soltanto con l’astuzia tentare di vincere la forza strapotente degli avversari»102. Il giurista pisano, in sintesi, pare suggerire l’idea che la concorrenza sleale non sia altro che una delle nefaste conseguenze di una concorrenza sfrenata (concorrenza sfrenata che, d’altronde, nella sua ottica non può che condurre al costituirsi di cartelli e monopoli, con grave danno per i consumatori), e così ragionando pare intravedere una dimensione più ampia e dinamica del problema, svincolata dalle strette maglie dell’ordinamento vigente. La sua visione, però, non sarà portata a compimento e la sistematica tradizionale infine trionfa. In pagine recenti, Ghidini parla, infatti, dell’«originario destino ancillare» della concorrenza sleale e nella sua evoluzione si legge «una traiettoria iniziata al servizio della “proprietà escludente” dei beni immateriali e dell’avviamento commerciale, e tendente poi al servizio di un “mercato aperto”»103. Il pensiero di Sraffa non era sistematico, procedeva per intuizioni e dunque non è riuscito a imporsi, per cui sempre Ghidini individua un nuovo ruolo per la concorrenza sleale, con il suo «codice privatistico» di condotta individuale, quale parte coerente dello «statuto concorrenziale» dell’impresa, nel far sì che negli spazi di mercato tenuti aperti dall’antitrust, la libera competizione dei singoli non si svolga in contrasto con gli interessi generali che l’ordinamento garantisce rispetto alle dinamiche dell’attività economica104. In questi discorsi dell’oggi non si può non sentire un’eco delle osservazioni di Sraffa. Comunque, anche Ercole Vidari, tradizionalmente allineato nella ‘vecchia guardia’ della giuscommercialistica italiana, agli albori del nuovo secolo pare suggerire una riflessione analoga, poi invero subito lasciata cadere, quando, introducendo il tema della concorrenza sleale, rifletteva sul ruolo assunto dalla ‘réclame’ nell’attività economica, giungendo a sostenere che «la concorrenza deve essere libera a tutti, affinché l’esercizio delle industrie e dei commerci non diventi un immenso monopolio dei più forti, col sacrificio irreparabile dei consumatori, a cui quelli invece devono alla fin fine servire»105. Un pensiero che mi pare cogliere in modo più esplicito, in vari scritti, quello che sarebbe stato individuato come il cuore del problema della concorrenza nel suo complesso, cioè l’esigenza di avere una visione d’insieme delle relazioni economiche e giuridiche che la determinano e ne conseguono, da affrontare con schemi più ampi di quelli offerti dai codici e dalle legislazioni di stampo ottocentesco, è comunque quello di Alberto Marghieri, già in parte richiamato nelle pagine precedenti. 102 La lotta commerciale, cit., p. 31. 103 GHIDINI, Profili evolutivi, cit., pp. 13 ss. 104 Ibidem, pp. 352-353. 105 VIDARI, Corso di diritto commerciale, V ed., cit., I, p. 260. 20 In un saggio apparso nel 1898 sulla Riforma Sociale, il giurista partenopeo che a lungo tenne la cattedra di diritto commerciale all’Università di Napoli106 aveva affrontato il tema all’epoca nuovo dei monopoli e delle cosiddette coalizioni industriali, invocando un intervento legislativo per una compiuta disciplina del fenomeno, perché fossero stabilite norme direttive, criteri giusti e precisi per quelli che erano chiamati ‘sindacati per difesa industriale e commerciale’. Marghieri non chiedeva null’altro che una disciplina antitrust – che come noto l’Italia avrebbe avuto cent’anni dopo, nel 1990107 – professandosi in linea di principio favorevole alla liceità dei sindacati, a meno che essi si proponessero «l’altrui oppressione»108. Qualche tempo prima, nel 1886, introducendo il suo manuale di diritto commerciale aveva anche spiegato come la parola ‘commercio’ rivestisse vari significati, tra i quali quello più pregnante e di uso più comune, stesse a indicare «quel complesso di fatti che, sotto forma di rapporti giuridici, rappresentano le relazioni fra produttori e consumatori»109. Nel 1922, infine, continua a parlare di commercio e di speculazione come di due termini che integrano un’unica nozione, di dantesca memoria, «lo spirito del guadagno e la preoccupazione di non perdere». Secondo la sua esposizione, alla base dei contratti e dei rapporti commerciali, quale «vera e propria funzione organica della vita nei riguardi della generalità del pubblico» vi sarebbe perciò la speculazione, «elemento e fattore organico degli scambi»110. Quanto all’Italia liberale, egli osserva come dottrina e giurisprudenza, nel silenzio della legge, si fossero sforzate di tutelare i diritti soggettivi degli esercenti un’azienda, come visto sopra, senza particolari riguardi per la controparte non professionista, cioè i consumatori. I tempi però stanno cambiando, lo spirito ‘associativo’ sta trionfando su quello individualistico e Marghieri rileva come si sia operata «una radicale trasformazione di orientamento nei riguardi della concorrenza», perché a quella che egli chiama la concorrenza delle singole attività, cioè a quell’insieme di comportamenti tipici del mondo commerciale per cui aziende e imprenditori lottano per la clientela si è affiancata un’altra tipologia di concorrenza, propria di «attività coalizzate o concentrate». Come a dire che la tendenza monopolizzatrice dell’industria e del commercio, con l’avvento di concentrazioni capitalistiche, industriali e commerciali che prendono sempre più spesso la forma giuridica delle società anonime e danno origine a «società di società», 106 A. GUARRACINO, La Cattedra di Diritto Commerciale nella R. Università di Napoli e le sue vicende storiche dalla fondazione ai giorni nostri, in Scritti giuridici in onore di Alberto Marghieri, Roma, 1921, Prefazione, pp. XXXI-XLI. 107 Rinvio alle pagine di LIBERTINI, Concorrenza, cit., pp. 191-247. Cf. anche G. GHIDINI, Monopolio e concorrenza, in Enciclopedia del diritto, XXVI, Milano, 1976, pp. 786-825. 108 A. MARGHIERI, Sindacati di difesa industriale, in «Riforma Sociale» (1898), pp. 305-325, in part. pp. 310 ss. 109 A. MARGHIERI, Il diritto commerciale italiano esposto sistematicamente, II ed., vol. I, Napoli, 1886, p. 103. 110 MARGHIERI, Manuale di diritto commerciale, I, cit., p. 13. 21 22 stesse soppiantando le pratiche di concorrenza sleale attraverso un annullamento della stessa libera concorrenza e l’affermarsi di imprese di grandi dimensioni e della grande industria111. Da giurista attento, Marghieri osserva un mutamento in atto nei rapporti economici e nelle stesse relazioni sociali. Nella sua ‘teoria della concorrenza’ si valorizza la «visione del traffico» nel suo intreccio e i legami profondi tra fenomeno economico e mondo giuridico112. Questi elementi così considerati nel loro integrarsi riflettono, a giudizio di Marghieri, il tentativo delle singole aziende di orientare la concorrenza secondo la situazione economica generale, nello sforzo di raggiungere un equilibrio «col quale si crede congiunta la vera prosperità del mercato»113. Al quadro così tracciato occorre tuttavia aggiungere un tassello, tutt’altro che secondario: si tratta dello Stato, che si è ormai addentrato nel «movimento dei traffici» esercitando «nel comune interesse» e in regime monopolistico attività commerciali quali i trasporti terrestri e marittimi o le assicurazioni, tanto da rappresentare uno dei fattori principali della vita economica114, non solo in Italia115. Il quadro è dunque complesso e il tema della concorrenza non può essere eluso, forte anche è la tendenza al sistema, che frena le teorie più innovative. In ogni caso sembra di poter condividere quello che l’avvocato Torquato Carlo Giannini, provvisto di una certa cultura economica, scriveva nel 1898 «Forse può dirsi che la concorrenza, o meglio la grande e libera concorrenza, è un fenomeno non necessario, ma transitorio, proprio della costituzione economica odierna della società» – anch’essa, perciò è destinata a modificarsi, per varie ragioni, non ultima per l’intervento dello Stato – « …Ad ogni modo qualunque sia la sorte che l’avvenire serba alla concorrenza, essa deve essere studiata quale oggidì si manifesta, e non può essere abbandonata a se stessa»116. 111 Ibidem, pp. 158 ss. e soprattutto pp. 179 ss. 112 «Su di un fondo economico, quale è la concorrenza, è dato scorgere in perfetto rilievo, l’azione che, nei rispetti di essa, è andata svolgendo la costante tendenza delle aziende a giuridicamente organizzarsi, sia per distinguersi suriettivamente le une dalle altre (ditta, nome, insegna), sia per identificare le merci ed i prodotti (marchi e segni distintivi), sia per dare a questi una specifica tutela d’indole patrimoniale (privative industriali), sia infine per conseguire la conformazione meglio adatta ad assicurarsi, senza lotta, un più alto profitto (sindacati)»: MARGHIERI, Manuale di diritto commerciale, I, cit., pp. 160-161. 113 Ibidem. 114 Ibidem, pp. 237-238. Sulla realtà italiana, G. COTTINO, Ascesa e tramonto dello Stato imprenditore: morte e resurrezione?, in Legge Diritto Giustizia, a cura di L. Violante, Storia d’Italia, Annali, 14, Torino, 1998, in part. pp. 301 ss. 115 Per una ricostruzione attenta al ruolo della giurisprudenza nell’esperienza francese, J.-L. HALPÉRIN, French Courts and Public Intervention in the Economy During the Nineteenth and Twentieth Centuries (January 1, 2011), in M.A. ROGOFF, M. DIXON, E. BITHER (eds.), The financial crisis of 2008: French and American responses – Proceedings of the 2010 Franco-American legal seminar, Portland (Maine) – Les Mans, 2011, pp. 135-150, available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=2013406. Per l’Italia una ricerca di questo tipo manca e sarebbe auspicabile, per verificare il grado di consapevolezza e di partecipazione dei giudici ai meccanismi economici del mercato e del monopolio. 116 GIANNINI, La concorrenza sleale, cit., pp. 26-27.
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