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Organizzazione familiare e ruolo delle donne nella Roma antica, Appunti di Latino

Storia antica greca e romanaSociologia anticaStoria romana

L'organizzazione familiare romana, caratterizzata da un vero e proprio strapotere del capofamiglia, il pater, su donne e figli. Le donne erano sottoposte a tutela perpetua e non considerate in grado di provvedersi da sole. Le femmine venivano discriminate fin dalla nascita, con la possibilità di essere abbandonate o vendute. Le donne romane erano anche strumento fondamentale di trasmissione di una cultura e educavano personalmente i figli. Con la fine della repubblica, roma vide donne più libere e consapevoli, con la trasformazione più profonda registrata dal matrimonio, che divenne una relazione personale paritaria. Le donne approfittarono delle possibilità di istruirsici e coltivare i loro interessi intellettuali, ma l'emancipazione femminile non riguardava tutte le donne, soprattutto quelle appartenenti alle classi sociali inferiori.

Cosa imparerai

  • Come le donne romane erano discriminate fin dalla nascita?
  • Come le donne romane hanno contribuito alla società e alla cultura romana?
  • Come le donne erano trattate nella società romana antica?

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 16/05/2022

roberta-tasca
roberta-tasca 🇮🇹

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Scarica Organizzazione familiare e ruolo delle donne nella Roma antica e più Appunti in PDF di Latino solo su Docsity! La donna romana L’organizzazione familiare romana si presenta come un’organizzazione solidamente patriarcale. Il diritto di Roma è caratterizzato da un vero e proprio strapotere del Capo del gruppo familiare, il pater, al quale le donne e i figli erano sottoposte. Nel diritto romano gli uomini erano considerati in grado di amministrare sé stessi e i propri interessi, ma le donne, appunto, erano sottoposte a tutela perpetua e non considerate in grado di provvedere a se stesse. E questo potere familiare si manifestava sulle donne in una serie di imposizioni e controlli ai quali erano sottoposte per tutto l’arco della loro vita. Il diritto romano considerava soggetti di pieno diritto solo i cittadini maschi capi di un gruppo familiare. È a partire dal momento della nascita che le femmine venivano discriminate: anche simbolicamente la loro presenza in famiglia valeva meno di quella di un maschio. Le femmine erano le vittime privilegiate della cosiddetta “esposizione” ossia l’abbandono dei figli. A quel tempo le donne partorivano molti figli, nel caso fossero state femmine, tolta la primogenita, era consuetudine che le altre venissero “esposte”. La possibilità di salvezza di un neonato esposto era legata al fatto che qualcuno lo raccogliesse. Raccogliere uno neonato soprattutto se di sesso femminile poteva essere un ottimo investimento economico: allevata in casa e utilizzata per i lavori domestici una ragazza poteva essere venduta per utilizzarla come schiava oppure per avviarla alla prostituzione. La ragazza romana veniva promessa in moglie nel corso di una cerimonia detta “sponsalia” ossia un vincolo (in cui le veniva consegnato un anello attraverso cui era legata allo sposo) che pur non essendo ancora matrimoniale le attribuiva un preciso ruolo sociale e le imponeva il dovere di fedeltà. Il matrimonio si svolgeva attraverso due istituti: uno, la coemptio e l’altro dell’usus. La “coemptio” era una forma più antica di compravendita nel corso della quale la donna come un oggetto veniva venduta all’acquirente. L’altro istituto era “l’usus, che corrisponde all’uso capione della donna: nel caso non fosse stata celebrata la coemptio il marito acquistava la manus sulla donna dopo che ella era stata usata per un anno. Col matrimonio la donna entrava nella sfera di potere del nuovo pater familias in condizioni anche peggiori della famiglia di origine, soprattutto, rispetto alle punizioni di alcuni comportamenti. Il primo di questi comportamenti era l’adulterio considerato così grave da consentire al marito di punire la moglie con la morte. Con la conseguente legislazione Augustea, anche se il marito non aveva più il diritto di uccidere la moglie adultera poteva però uccidere sia la figlia che l’amante. Il secondo comportamento considerato gravissimo era quello di bere vino. I Romani credevano che il vino avesse capacità abortive e che poteva indurre le donne all’adulterio. Affinché si fosse sicuri che la donna non bevesse di nascosto i parenti più stretti potevano esercitare lo “ius osculi”, vale a dire il diritto di bacio per accertarsi se avesse bevuto o meno. Però nella storia romana ci furono alcuni personaggi femminili che in qualche modo sono usciti dall’anonimato per diventare modelli celebrati ed esemplari di comportamento. Due di queste furono Lucrezia e Virginia. Lucrezia si uccise e Virginia fu uccisa dal padre per evitare che le venisse inflitto l’oltraggio. Struttura di questo meccanismo è che la donna era oggetto di illecito desiderio ma poi moriva per affermare il supremo valore della fedeltà coniugale per Lucrezia, e della verginità per Virginia. Vi erano però a Roma anche delle donne che rifiutavano il ruolo assegnatogli dalla società in nome di un altro modello di vita. Un esempio è Clodia, amata da Catullo da lui celebrata col nome di Lesbia. Clodia era una donna libera, siamo nel I secolo a. C ma era una protagonista tutt’altro che apprezzata. Cicerone, come molti altri, la considerava una dissoluta. Le iscrizioni funerarie dimostrano in modo inequivocabile quello che delle donne si ricordava, cosa era importante e quali erano le qualità che venivano messe in evidenza della loro vita: lanifica, pia, pudica, casta, domiseda sono gli aggettivi che ritornano con maggiore frequenza e che evidenziano la persistenza del modello. Per le donne infatti non valevano i valori del mos maiorum come per i maschi. Un esempio è il motto inciso sulla tomba di Clodia: domum servavit, lanam fecit. Accanto a questo, compare un cenno alla grazia estetica, qualità che comunque non definisce l’identità di una donna. Invece per Sempronia, nel De Catilinae Coniuratione 25, si definisce un vago riferiferimento a una certa qualità di ingegno che la contraddistingueva (ingenium haud absurdum).
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