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la crisi della costituzione repubblicana, Schemi e mappe concettuali di Storia del Diritto Romano

la crisi politica, economica e sociale degli ultimi anni della repubblica romana, che porterà alla formazione del principato

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2017/2018

Caricato il 30/11/2018

claudia93ale
claudia93ale 🇮🇹

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Scarica la crisi della costituzione repubblicana e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia del Diritto Romano solo su Docsity! LA CRISI DELLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA Le devastazioni compiute da Annibale, avevano pesato sui piccoli proprietari, cioè sul piccolo medio ceto agricolo che costituiva il nerbo della società romana, e li aveva costretti all’ abbandono delle terre. La concorrenza della produzione di grano delle province impediva una facile ripresa; lo sviluppo di colture intensive (olivo, vite…), avrebbe richiesto un largo impiego di capitali e la piccola proprietà non poteva affrontarne l’ onere. La nobiltà cercava di estendere i propri investimenti in proprietà fondiarie, e tendeva ad assorbire la terra dei piccoli in stato di abbandono, mentre insieme valorizzava i suoi ampi possedimenti di ager publicus. L’intenso mercato schiavistico rendeva preferibile nelle fattorie dei grandi proprietari, il lavoro servile a quello libero. Così la piccola proprietà andava riducendosi; gli antichi contadini proprietari si avventuravano nelle province o andavano in città a vivere in gran parte di ozio e di favori dei potenti. Le cariche dello Stato si andarono cristallizzando in un certo numero di famiglie che formavano la nobilitas, classe dirigente che trovava il suo fulcro nel senato; la loro economia era basata sulla proprietà e sul possesso fondiario. Nei contrasti fra questa classe e le aspirazioni della massa popolare, si contrapponevano i due partiti degli optimates e dei populares. Abbiamo poi l’ ordo equester (i cavalieri), la cui origine si ricollegava ad uno scopo militare. I censori infatti, formavano delle liste di cittadini il cui alto censo avrebbe loro permesso di servire nella cavalleria procurandosi il cavallo a proprie spese (equites equo privato). Si formò così un vero e proprio ceto, un ordine, l’ ordo equester, che rappresentava l’ aristocrazia della finanza e degli affari, che monopolizzava il commercio, gli appalti di lavori pubblici e di imposte, formando la grande società di publicani. Era naturale che fra i due ordini vi fossero attriti e rivalità (tra senatori e ordine equestre). Se anche i senatori dovevano spesso dipendere da cavalieri per anticipi di denaro o per partecipare indirettamente ad affari che a loro erano vietati, nelle province i cavalieri incontravano, nella loro opera di sfruttamento e vessazione, la concorrenza dei governatori, appartenenti al ceto senatorio, e viceversa. I cavalieri spesso si alleavano con le masse dei meno abbienti, nella lotta contro la nobilitas. Si venne così a creare un urto di classi e di partiti. Un altro punto di crisi toccava la struttura della società, fondata sulla schiavitù. Era un istituto antico anche se gli schiavi non potevano essere individuati come una classe sociale. Le dure condizioni di lavoro e di sfruttamento determinarono rivolte di schiavi, che dovettero essere represse militarmente. Altro problema riguardava la questione Italica. Finché Roma aveva mantenuto la sua espansione nella Penisola, l’ incorporazione nel territorio romano doveva apparire soprattutto come una punizione, il mantenimento della sovranità con la qualifica di socius era un ambito riconoscimento. Di fronte alla posizione di Roma e del cittadino romano, era naturale l’ aspirazione degli Italici all’ acquisto della cittadinanza romana, aspirazione che si traduceva da prima in un moto di singoli che cercavano vari espedienti (ad es. riduzione in schiavitù verso un cittadino romano e manomissione da parte di questo). Ma questo movimento migratorio metteva le stesse città italiche in difficoltà per lo spopolamento, e obbligava i Romani (che ne risentivano per ciò che riguarda le leve italiche e i tributi) a correre ai ripari e stabilire misure restrittive. Ad una generale estensione della cittadinanza, ostavano poi ragioni inerenti alla stessa concezione e struttura dello Stato romano, che si era sviluppato secondo il tipo dello Stato-città. Le dimensioni raggiunte nelle successive estensioni portavano ad un contrasto tra l’ estensione dello Stato e la struttura cittadina. Non era dunque possibile estendere la cittadinanza a tutta la Penisola. Vediamo altri fattori di crisi : 1) il governo delle province annullava quei limiti che garantivano la costituzione repubblicana, a partire da quello della collegialità; 2)la riforma dell’ esercito, che costituirà lo sbocco fatale del decadere di quel ceto medio agricolo che aveva costituito il nerbo dell’ esercito cittadino, mobilitato per le campagne di guerra, a cui si sostituirà all’ epoca di Mario un esercito permanente di arruolati; 3) l’ influenza che sui costumi aveva il concentrarsi della ricchezza e l’ apporto delle conquiste, per cui penetrava in Roma tutto un complesso di elementi di civiltà e di cultura che scuotevano la rigida disciplina civica e morale di quel primitivo popolo di agricoltori partito alla conquista. È tutto un concorrere di fattori economici, sociali, politici, culturali, è tutto un processo successivo che porta allo sconquasso del regime repubblicano ed al superamento di esso nel principato. Vediamo le tappe di questa crisi. All’ esplosione della crisi si può dare una data, l’ anno del tribunato di Tiberio Sempronio Gracco, il 133 a.C. Questo tribuno della plebe, già questore in Spagna, mise a fuoco il problema sociale, con un programma che mirava alla ricostituzione di quel ceto di piccoli proprietari agricoli che era stato la base della società romana. Con una proposta di legge agraria egli propose che nessuno potesse possedere come ager occupatorius più di 500 iugeri di ager pubblicus, aggiungendovi 250 iugeri per ogni figlio, fino al limite di 1000 iugeri complessivi; erano vietate le occupazioni di ager publicus per l’ avvenire , e il terreno recuperato con le riduzioni sarebbe stato distribuito in lotti inalienabili di 30 iugeri l’ uno con il corrispettivo di un vectigal. Costituzionalmente Tiberio Gracco avrebbe dovuto inchinarsi alla potenza dell’ arma tribunizia. Ma egli non volle cedere a quanto gli appariva un sopruso, e allora compì un gesto rivoluzionario; dopo aver tentato inutilmente di ottenere una discussione in Senato, egli giustificandosi con la motivazione che il tribuno che tradiva gli interessi del popolo si spogliava esso stesso dalla dignità di tribuno, che gli veniva dal popolo, fece deporre Ottavio dal tribunato ad opera dei concilia plebis, e quindi fece approvare la sua lex agraria. L’ atto di Tiberio Gracco non poteva avere un fondamento costituzionale; era fedeli a chi meglio li allettava con i compensi, e per compensare i quali furono riprese assegnazioni di terre intese come compenso ai veterani. Mario fu rieletto console per ben 5 anni, dal 104 al 100 a.C.; nel 100 a.C. arretrò di fronte agli eccessi e alle violenze dei suoi partigiani, accettò l’ ordine che gli venne dal senato, attraverso il senatus consultum ultimum, ed attuò una spietata repressione, allontanandosi successivamente dalla scena politica. L’ ordine della civitas aveva ancora la forza di imporsi, ma ormai la corsa verso le guerre civili poteva dirsi avviata. Per ciò che riguarda invece l’ altro problema, messo a fuoco da C.Gracco, (la questione italica), furono respinte le successive proposte in favore dei Latini e degli Italici, e si arrivò anche a misure più gravi : di fronte al gran numero di coloro che si trasportavano a Roma, comportandosi come cittadini, una legge Licinia Mucia del 95 a.C., ribadì le delimitazioni e istituì una quaestio contro chi si comportasse come cittadino senza esserlo. Nel 91 il problema fu ripresentato dal tribuno M.Livio Druso, figlio di Livio Druso di cui si erano serviti i nobili contro Caio Gracco; Livio Druso presentò un complesso di leggi, una nummaria, una frumentaria, una agraria e una iudiciaria (con lo scopo di conciliare cavalieri e senatori sul problema dei giudici, stabiliva che i giudici si scegliessero da un complesso di 300 senatori e 300 cavalieri); di fronte ad alcune resistenze riuscì a far votare tutte e tre le leggi insieme, violando il divieto della rogatio per saturam e passando sopra alla dichiarazione di nullità fatta dal senato. Egli intendeva far passare con lo stesso sistema la legge sulla deduzione di colonie ed una de civitate sociis danda, ma fu ucciso da un sicario. La morte di Druso fu il segnale della rivolta. Scoppiò una guerra odiosa , da cui Roma uscì praticamente sconfitta, in quanto dovette cedere nonostante le vittorie militari. Già nel 90 a.C., il console L.Giulio Cesare, presentò la lex Iulia de civitate Latinis (et sociis) danda, con cui si concedeva la cittadinanza romana ai latini e a quelle città alleate rimaste fedeli che avessero dichiarato di accettarla (accettando il diritto romano); nell’ 89 la lex Plautia Papiria de civitate sociis danda accordava la cittadinanza a tutti i soci italici che fossero domiciliati in Italia, fino all’ Arno e all’ Esino, che entro 60 giorni avessero fatto domanda al pretore urbano. Una lex Pompeia dello stesso 89 attribuì la latinità alle comunità della Gallia transpadana. Queste concessioni erano però menomate da restrizioni, soprattutto quella di costringere i nuovi cittadini in poche tribù, mentre le città, soggiogate con la forza, non solo erano escluse, ma venivano ridotte nella peggiore condizione di città dediticiae. Il malcontento degli Italici si venne a mescolare con la lotta di partito. L’ 88 vedeva console L.Cornelio Silla, giunto cinquantenne al consolato con un onorevole passato militare, ma senza una risonanza politica. Era tribuno nello stesso anno Publio Sulpicio Rufo (erede dell’ idea di Livio Druso), che pose con vasta apertura il problema della sistemazione dei nuovi cittadini. Egli fece una serie di proposte a favore degli esuli seguaci di Druso, e una legge che vietava ai senatori di avere debiti superiori a duemila dramme. Queste proposte passarono solo mediante violenze contro l’ opposizione del senato e dei consoli L.Cornelio Silla e Q.Pompeo Rufo (che aveva ordinato con un editto feriae imperativae onde impedire la votazione) ; Pompeo dovette fuggire e Silla revocare il decreto di feriae imperativae. La risposta di Silla fu pronta : egli marciò su Roma con le sue legioni e conquistò la città sbaragliando gli avversari mediante una cruenta battaglia per le strade. L’ ambizione di un uomo come Mario, che, privato, chiede al console la consegna di un esercito, la fedeltà delle legioni al generale e l’ espugnazione militare della città entro il pomerio da parte di Silla : si apre la fase della guerra civile, la fase tragica della crisi della repubblica. Silla una volta ottenuta la ratifica di ciò che aveva compiuto per ristabilire la sua autorità, mediante un senatus consultum ultimum che attribuiva ai consoli i pieni poteri, fatti dichiarare hostes rei publicae Mario, che fuggì, Sulpicio che fu ucciso, ottenuta dal Senato la dichiarazione di nullità delle leggi Sulpicie come imposte con la forza, insieme con il collega Pompeo Rufo, convocò i comizi e fece approvare alcune leggi fondamentali (una sui debiti e una sulla deduzione di colonie); con una lectio senatus veniva aumentato di 300 il numero dei senatori scegliendo i nuovi da famiglie di sentimenti aristocratici. Silla partì per la guerra mitridatica. Le elezioni portavano al consolato per l’ anno successivo un partigiano di Mario, Cinna, mentre il console Pompeo Rufo veniva assassinato. Secondo Plutarco, Silla avrebbe ottenuto da Cinna il giuramento che nulla sarebbe stato mutato delle leggi dell’ 88 fino al suo ritorno; quindi egli partì per l’ Oriente per la guerra contro Mitriade. Ma appena partito Silla, i popolari ripresero la loro azione; proposte, veti, lotte cruente, guerra civile per cui Roma veniva di nuovo presa con le armi, questa volta da Mario, Cinna, Sertorio e Carbone con il concorso degli Italici, in particolare di Sanniti. Il partito Mariano si assicurò così il dominio della città. Mario assunto il settimo consolato con Cinna, moriva nell’ 86; le spedizioni tentate in Oriente per togliere il comando a Silla fallirono, mentre Silla passava di successo in successo; lo stesso console Cinna nell’ 84 fu ucciso dai suoi soldati all’ atto dell’ imbarco verso la Grecia. Carbone organizzava allora la resistenza in Italia, quando Silla, vincitore in Oriente, sbarcò a Brindisi nell’ 83 e riuscì con dure battaglie, alternate a trattative, a sconfiggere gli avversari e conquistare la città conla vittoria alla porta Collina del 25 agosto 82. Le rappresaglie furono feroci; le tabulae proscriptionis, che contenevano gli elenchi di coloro che erano votati alla morte ed i cui beni erano confiscati, servirono per lo sfogo di tutte le vendette personali dei sillani. Silla però ci teneva a giustificare il suo potere; allontanatosi dalla città, fece far luogo all’interregnum, e l’ interrex L.Valerio Flacco, per consiglio di lui, fece proclamare Silla dictator legibus scribundis et rei publicae constituendae. Silla riprese così l’ opera di restaurazione dello Stato che aveva già iniziato con le leggi proposte come console nell’ 88. Pare che Silla volesse compiere un’ opera di restaurazione mirando all’ antica res publica fondata sull’ aristocrazia, ma l’ ironia della storia ha voluto che proprio lui, il restauratore, per compiere la sua opera, violasse uno dei più sacri principi di quell’ antica repubblica, penetrando con i suoi armati e le sue stragi nella città. Silla dotato di un potere senza precedenti, ha mirato, come abbiamo già detto ad una restaurazione della repubblica sulla base dell’ oligarchia senatoria. Già nell’ 88 Silla aveva fatto votare una legge che prevedeva un ritorno dei comizi centuriati all’ ordinamento cosiddetto serviano, e un’ altra che limitava i poteri dei tribuni, subordinando i progetti di legge da essi proposti all’ autorizzazione del senato. Nominato dittatore nell’ 82, Silla rinnovò una legge de tribunizia potestate; in questa, oltre alla subordinazione della proposte legislative tribunizie al consenso del senato, si stabiliva che solo i senatori potessero essere eletti tribuni, che gli ex tribuni non potessero aspirare alle cariche curuli, che l’ intercessio fosse ridotta al caso di auxilii latio, cioè di aiuto al singolo cittadino minacciato da un provvedimento di governo; con ciò il tribunato era ridotto ad un’ imago sine re. Appartiene al periodo della dittatura di Silla, soprattutto agli anni dell’ 82 e 81, una lex de magistrati bus ribadiva l’ intervallo decennale per l’ iterazione della magistratura e precisava il cursus honorum stabilendo il limite minimo d’ età per la questura; una lex iudiciaria restituiva l’ ufficio di giudice nelle quaestiones ai senatori e regolava il procedimento nelle scelte dei giudici; una legge sui sacerdozi ristabiliva la cooptatio per la nomina dei pontefici e degli auguri; altre leggi portarono a otto il numero dei pretori e venti il numero dei questori. Con una legge sulle province si normalizzava e regolava il sistema della prorogatio imperii stabilendo che i pretori nell’ anno di carica esercitassero la giurisdizione in città, e i consoli esercitassero il governo civile rimanendo a Roma e in Italia, privi di comando militare, che non poteva essere esercitato in Italia. Così si stabiliva una netta distinzione tra l’ imperium in Italia e nelle provincie; sottraendo l’ Italia all’imperium militiae, si estendeva all’ Italia come regime normale il regime legale che valeva entro il pomerio di Roma. Con la generale concessione della cittadinanza, l’ Italia, dallo stretto di Messina alla Magra e al Rubicone, costituiva un grande stato cittadino con un’ organizzazione municipale. Silla, da un lato colpiva i suoi nemici con liste di proscrizione, stabiliva la confisca e la vendita dei beni dei proscritti, ne colpiva anche i figli e i nipoti con la perdita del ius honorum, dall’ altro lato confiscava territori per fondare le colonie dei suoi veterani, colpiva e puniva città ribelli, come Volterra e Arezzo, spogliate delle terre e private della cittadinanza. Rientra nell’ opera di Silla l’ abolizione delle frumentationes. Il fine di Silla era una restaurazione aristocratica. Nell’ anno 80 a.C. Silla, senza deporre la dittatura, fu eletto console, e in ciò già violava la sua legge de magistratibus, non essendo decorsi dieci anni dal primo consolato. Però egli rifiutava poi di essere rieletto console per il 79, e dopo che furono eletti i consoli, depose anche la dittatura, ritirandosi a vita privata, per morire nel 78. La costruzione sillana, non avendo un’ intrinseca vitalità, cadde con la scomparsa della personalità che l’ aveva imposta al duro prezzo della guerra civile, del potere dittatoriale, della strage e della vendetta. Il castello costruito da Silla andò così rapidamente sgretolandosi. Il periodo che segue è dominato dalla presenza di due personalità, Gneo Pompeo e C.Giulio Cesare, e culmina nel loro conflitto. Pompeo ebbe un inizio di carriera veramente brillante; giovanissimo, salutato imperator da Silla nell’ 83 a.C., autorizzato nell’ 81 a celebrare il trionfo reduce dall’ Africa, onorato da Silla con il sopranome di Magnus, egli acquistò un prestigio militare e quindi una serie di comandi e di poteri; nel 77 gli fu affidato come privatus cum imperio il compito di debellare l’ insurrezione di Lepido e Bruto; fu inviato quindi con potere proconsolare in Ispagna a combattere Sertorio e contro Perperna, in una guerra che durò alcuni anni, e dal quale nel 71 Pompeo uscì vincitore; ritornò quindi in Italia, contribuì all’ annientamento delle bande di schiavi ribelli, battuti da Licinio Crasso in guerra e della pace, quello di distribuire le provincie pretorie, quello di designare i candidati per le varie magistrature, il supremo comando degli eserciti; e tutta una serie di poteri, prerogative, titoli, cerimonie, insegne esteriori ed espressioni tangibili di esaltazione e divinizzazione, che ormai qualificavano una vera e propria instaurazione monarchica che si andava affermando e consolidando, in un crescendo che culmina nella fase che seguì alla vittoria di Munda nel 45. Cesare svolse un’ intensa opera di costruzione ed organizzazione operando nel campo legislativo e amministrativo. In base ad una sua legge agraria del 59, fece ampie distribuzioni di terre ai suoi veterani, e diede impulso alla colonizzazione delle provincie. Estese la cittadinanza romana alla Gallia Cisalpina preparando così l’ estensione dell’ Italia fino alla Alpi; regolò le frumentetiones; con una lex iudiciaria riformò la composizione dell’ album iudicum togliendone i tribuni aerarii; intervenne in materia penale con leggi de pecuniis repetundis, de vi e de maiestate, legiferò in materia di dogane, di credito, di pigioni; con una legge de provinciis limitò la durata del governo provinciale; con una lex municipalis diede definitivo assetto all’ ordinamento municipale. Codificò il diritto civile e disegnò un grandioso programma di opere pubbliche. L’ opera di Cesare fu interrotta dal pugnale dei congiurati alle idi di marzo del 44. Il conflitto da Cesare e Pompeo sembrava incarnarsi in due opposte concezioni per la soluzione della crisi romana. Pompeo uomo ambiguo ed infido, guidato soprattutto dalla sua ambizione, ha spesso oscillato nelle sue posizioni rispetto ai partiti, determinando diffidenze negli uni e negli altri; ma, nonostante le diffidenze, egli fu l’ uomo preferito dagli ottimati; Cicerone vedeva incarnato in lui il suo disegno di princeps. Cesare aveva invece una personalità più completa. La contrapposizione del disegno di Cesare al principato, quale fu realizzato poi da Augusto, può essere presentata anche attraverso indirizzi concreti; basta ad es. ricordare la politica di Cesare verso il senato, di cui egli svilì l’ autorità e il prestigio. Ma soprattutto è innegabile la tendenza monarchica di Cesare, nel senso della monarchia assoluta. Egli aspirava al titolo di rex. Va sottolineata anche la tendenza di Cesare, al livellamento fra l’ Italia e le provincie, tendenza che si esplicò nella larga concessione della cittadinanza romana, come nella concessione della latinità, come per altro verso nell’ ampia colonizzazione dell’ impero. Nel fatale confluire verso l’ affermazione e l’ inquadramento costituzionale di un potere personale, la forma del principato era quella che più si confaceva alla tradizione romana. Solo dopo un lungo sviluppo, a partire dal III secolo d.C. si affermerà quella monarchia assoluta. L’ uccisione di Cesare faceva precipitare lo Stato romano in ulteriori convulsioni, nelle quali si affermò la personalità del giovane Ottavio, pronipote di Cesare, da questo adottato nel testamento, e che diventò quindi C.Iulius Caesar Octavianus. Attraverso varie vicende, nel 43 si giungeva alla formazione di un triumvirato formato da Ottaviano, Antonio e Lepido (che fece larghe e spietate proscrizioni con le connesse spoliazioni) ; questo triumvirato trovava consacrazione nella lex Titia de III viris reipublicae constituendae, che convalidava questa magistratura straordinaria, con poteri illimitati per 5 anni; esso veniva riconfermato nel 37. Ma la rivalità fra Ottaviano e Antonio (Lepido scomparve dalla scena), dopo essere stata più volte contenuta e superata, esplose e si concluse con la deposizione di Antonio da triumviro nel 32, la guerra civile e la vittoria di Ottaviano ad Azio nel 31. Con questo evento si può registrare l’ atto di nascita del principato.
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