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La crisi della Repubblica (II parte), Appunti di Storia Romana

La situazione politica dell'antica Roma dopo la morte di Cesare, con la lotta tra cesariani e cesaricidi e la formazione del secondo triumvirato. Vengono descritte le proscrizioni e la divinizzazione di Cesare. Il testo è utile per comprendere la storia romana e la transizione dalla Repubblica all'Impero.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 21/01/2022

chiaraaritaa
chiaraaritaa 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La crisi della Repubblica (II parte) e più Appunti in PDF di Storia Romana solo su Docsity! La crisi della Repubblica (II parte) All’indomani della morte di Cesare si ebbe subito un conflitto tra cesariani e cesaricidi. Questi ultimi però non avevano prospettive politiche nuove da contrapporre all’autocrazia, se non riproporre i vecchi schemi politici. Nell’anno dell’uccisione di Cesare sono consoli Antonio, che era un cesariano e Dolabella (nominato da Cesare per la durata della sua spedizione contro i Parti), che espresse solidarietà con i congiurati. Le forze in campo erano dunque prudenti. Il senato decise di trovare una soluzione moderata e fu approvata una “lex de actis Caesaris confirmandis” che si stabiliva che gli Atti di Cesare sarebbero stati validi (anche quelli trovati tra le carte e pubblicati da Antonio, che approfitterà della situazione). Al tempo stesso, si tenta di fermare il conflitto decretando l’amnistia per i cesaricidi. Alla pubblicazione degli Atti, il testamento di Cesare stabiliva (qualche studioso ha sospettato che Antonio abbia manipolato questi Atti a suo favore, ma in realtà ad uno studio più approfondito pare che non gli siano stati particolarmente convenienti): -la distribuzione di 300 sesterzi a testa alla plebe urbana; -Gaio Ottavio, homo novus, figlio di Gaio Ottavio di Velitre era stato primo della sua famiglia ad avere avuto accesso ad una carica curule e che muore quando Gaio Ottavio figlio, ovvero Ottaviano, aveva solo 4 anni. Gaio Ottavio padre è figlio della sorella di Giulio Cesare, Assia e per questo Gaio Ottavio figlio è pronipote di Cesare. Alla morte di Gaio Ottavio padre (il nipote di Cesare) questi decide di adottarne il figlio (che d’ora in poi prenderà il nome di Ocatavianus) e renderlo suo erede per ¾; -Antonio e Decimo Bruto secondi eredi. Vi fu grande esaltazione della plebe, ostile ai cesaricidi: Bruto e Cassio preferirono di allontanarsi da Roma come anche Cicerone si recò in villeggiatura a Pozzuoli. Furono confermati i comandi provinciali stabiliti da Cesare: -Decimo Giunio Bruto ottenne la Gallia Cisalpina; -i cesaricidi Bruto e Cassio ebbero le province orientali; -M. Emilio Lepido, cesariano, ottenne il controllo della Gallia Narbonese e della Spagna Citeriore. Ma all’interno stesso dei cesariani, comincia a determinarsi una competizione tra i successori di Cesare. Antonio doveva tenere a bada i conservatori e cercare di mettere in ombra Gaio Ottavio. Distribuendo favori e ottenendone, affermando che tali disposizioni fossero nelle carte di Cesare e cominciò ad arruolare veterani di Cesare. Intanto però anche il giovanissimo Ottavio stava arruolando il proprio esercito a proprie spese e per proprio conto. Adottato da Cesare, prender il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano e si mette d’accordo con il senato in funzone anti-antoniana. Il Bellum Mutinense Decimo Bruto aveva preso il comando della Cisalpina, secondo le disposizioni di Cesare e cominciava ad arruolare il proprio esercito. Dichiarato nemico dal senato, fu assediato da Antonio a Modena. Ma il senato (a quanto pare soprattutto convinto da Cicerone) revoca l’assegnazione della provincia ad Antonio e gli invia contro i due consoli del 23 a.c, Irzio (storico e cesariano, che ha completato l’VIII libro del “De bello gallico”) e Pansa, che morirono in battaglia. Sconfitto, Antonio si ritira. Bruto viene ucciso mentre tenta la fuga verso la Macedonia. Il senato è convinto a dare sempre più fiducia ad Ottaviano che viene nominato “consul suffectus” = il console supplementare dell’anno quando viene a mancare uno dei due consoli (in questo caso tutti e due insieme), insieme a Quinto Pedio che promulga la “lex Pedia” tramite cui si istituisce un tribunale per i cesaricidi. Dall’amnistia al Secondo Triumvirato Nel 43 a.c si stabilì un accordo tra Ottaviano, Antonio e Lepido, che noi moderni chiamiamo “secondo triumvirato” ma che in realtà ufficialmente rappresenta il primo; dal momento che quello tra Cesare, Pompeo e Crasso era stato un accordo privato. Questo nuovo triumvirato invece è una vera e propria magistratura perché ottiene il consenso del senato. Attraverso la “lex Titia” i tre uomini assumono la titolatura ufficiale di “triumviri rei publicae constituendae”= “triumviri con la finalità di ristrutturare la pubblica amministrazione” con potere consolare, che restano 5 anni in carica ed hanno la facoltà di nominare i magistrati. Appiano, Bellorum civilium liber quartus, 2-3 (Trad. T104, p.75 GDG): <<[Ottaviano, Antonio e Lepido] Dopo due giorni di riunione dall’alba al tramonto, presero queste decisioni: Cesare [Ottaviano, figlio adottivo di Giulio Cesare] doveva deporre la carica di console, mentre Ventidio l’avrebbe assunta per il resto dell’anno; una legge doveva attribuire a Lepido, Antonio e Cesare una nuova magistratura che sedasse le lotte civili, per cinque anni, con poteri consolari. Si ritenne opportuno evitare il titolo di “dittatori”, forse per rispetto della norma fatta approvare da Antonio, che proibiva la nomina di nuovi dittatori. I triumviri potevano da subito scegliere i magistrati annuali della città per i cinque anni successivi. Si divisero le province (…) così i tre divisero tra loro l’impero di Roma.>> Costituito il triumvirato, vi sono di nuovo le proscrizioni: -Le confische colpirono molti maggiorenti; -Cicerone, che aveva osteggiato Antonio (Filippicche), è una delle vittime. -Ci sono una serie di sconquassi in diverse città d’Italia, soprattutto nel nord. Nel 42 a.c, Cesare viene divinizzato tramite la “lex Rufrena”. L’usanza orientale di divinizzare post mortem fu adottata da molti imperatori, come testimoniano, tra l’altro, il tempio di Vespasiano e Tito o quello di Antonino e Faustina, sempre nel foro. In ogni caso, si stabilisce che bisogna provvedere all’eliminazione dei cesaricidi, perché ormai Cesare è una divinità a tutti gli effetti. Ci sono molti denarii di epoca augustea, emanati da Ottaviano, che attestano questa divinizzazione. Sulle monete emesse dal 37 al 34 a.c viene rappresentato l’ “Aedes Divi Iuli”. Questa rappresentazione crea non pochi problemi agli studiosi dal momento che sembra che l’edificio sia stato costruito da Ottaviano e dedicato a Cesare solo nel 29 a.c. Il fatto che il tempo appaia già sul rovescio di alcune monete precedenti questa data ha fatto pensare o che la dedica ufficiale fosse stata ritardata a causa della guerra civile o che si trattasse piuttosto di una raffigurazione simbolica, a fini propagandistici, di un edificio non ancora realizzato. Anche perché il tempio raffigurato sulle monete è tetrastilo (fatto di quattro colonne) invece il vero tempio sarebbe esastilo (anche se è difficile dirlo con assoluta certezza, dato che oggi ce ne rimane solo il plinto). L’eliminazione dei cesaricidi Antonio ed Ottaviano muovono contro Bruto e Cassio e li sconfiggono a Filippi in Macedonia, nel 42 a.c Vi è quindi una nuova spartizione delle province: -Antonio, si riserva l’Oriente e le Gallie; -Lepido, ottiene l’Africa (ma assume una posizione sempre più marginale) -Ottaviano, resta in Italia. 3) Nel gennaio del 27 a.c, vi erano state due sedute del senato in cui Ottaviano si sarebbe recato per restituire la “res publica” al senato ed al popolo romano. Ma in cambio il senato gli restituisce una serie di onori, come il titolo di console ed ottiene più “auctoritas” rispetto ai suoi colleghi, ma non più “potestas”. Si presenta come un magistrato repubblicano che ha in più questa caratteristica carismatica che è l’“auctoritas”. Oltre a conservare il consolato, ottiene anche “l’imperium proconsulare” per 10 anni sulle province non “pacatae” (ovvero non pacificate ed in cui stazionano gli eserciti di cui lui stesso è comandante). Riceve, in questa occasione, anche il cognomen di Augustus, termine di rilievo ideologico, perché si connette con “augurium” (in senso di buon augurio) ma anche ad “augeo” (accrescere) ed “auctor” (auctoritas= guida/potere). Augusto, Res Gestae,34 (Cfr. T4, p.157 GM): <<Nel mio sesto e settimo consolato (28-27 a.c), dopo aver sedato l’insorgere delle guerre civili e assunto per consenso universale il potere supremo, trasferii dalla mia persona al senato ed al popolo romano il governo della repubblica. Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di Augusto per delibera del senato e la porta della mia casa per ordine dello Stato fu ornata con rami d’alloro, ed una corona civica fu affissa alla mia porta, e nella Curia Giulia fu posto uno scudo d’oro, la cui iscrizione attestava che il senato ed il popolo romano me lo davano a motivo del mio valore e della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà. Dopo di che, sovrastai tutti per autorità (auctoritas) ma non ebbi potere (potestas) più ampio di quelli che mi furono colleghi in ogni magistratura>> <<In consulatu sexta et septima, postquam bella civilia exstinxeram, per consensum universorum potitus rerum omnium, rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Quo pro merito meo senatus consulto Augustus appellatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum popilumque Romanum dare virtutis clementiaque iustitiae et pietatis caussa testatum est per eius clupei inscriptionem. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt>> Nel 23 a.c, c’è una nuova fase: Augusto depone il consolato e conserva l’Imperium proconsolare (che gli sarà rinnovato per periodi decennali e quinquennali nel corso del suo impero). Riceve la “tribunicia potestas” completa (prima aveva avuto solo alcune prerogative dei tribuni, come il ius auxilii), che gli garantiva la sacrosantità e l’inviolabilità. Ciò gli permette di esercitare una serie di compiti anche all’interno della città. Inoltre riceve l’ “imperium maius” cioè maggiore rispetto a tutti coloro che hanno il compito di governare le province (i proconsoli). Ciò gli permette di intromettersi nell’attività dei promagistrati delle province che non sono da lui governate. Questi due poteri verranno conservati in tutta la discendenza imperiale. Cassio Dione, LIII 32.5 (TRAD. T5, p.157 GM): <<E per queste ragioni il senato deliberò che egli (Augusto) fosse tribuno a vita e gli concesse di trattare un qualunque affare quando volesse in ogni seduta del senato, anche qualora non fosse console; ed inoltre di avere per sempre l’imperium proconsulare, in modo da non doverlo deporre all’ingresso nel pomerium e poi riassumerlo di nuovo; e nelle province gli attribuì un potere maggiore dei rispettivi governatori>> Svetonio, Divus Augustus, 27.5 (Trad. T6, pp.157-158 GM): << Ottenne la potestà tribunizia a vita, in cui due volte si associò un collega per cinque anni rispettivamente. Ottenne anche il controllo dei costumi e delle leggi, sempre a vita. In virtù di tale potere, pur non essendo censore, fece tre volte [Nel 28 a.c, nell’ 8 a.c e nel 14 d.c; censimenti universali] il censimento della popolazione, per la prima e la terza con un collega, la seconda da solo.>> Nel 19 a.c, gli vennero conferiti: la “cura legum” e la “censoria potestas” per cinque anni, che gli permetteva di poter effettuare la lectio senatus ed il censimento. Negli anni successivi vi furono dei riaggiustamenti: Nel 12 a.c fu nominato Pontifex maximus. C’è l’ “Augusto di Via Labicana”, che è una statua che rappresenta Augusto rivestire questa carica. Nel 2 a.c, ottiene il titolo di Pater patriae (che significa la tutela rei publicae) L’organizzazione politica di Augusto Nel 28-27 a.c Ottaviano prese delle misure che miravano a “restaurare la repubblica” almeno formalmente. Svetonio, Divus Augustus, 28 (Trad. T1, p.156 GM): <<Pensò due volte di restaurare la repubblica: una prima subito dopo aver sconfitto Antonio, memore del fatto che costui molto spesso lo aveva rimproverato come se per colpa sua non fosse ancora ristabilita; poi, di nuovo, quando, fiaccato da una lunga malattia, fatti venire magistrati e senatori nella sua casa, offrì loro il rendiconto della amministrazione del suo impero. Ma considerando che egli, da privato cittadino, sarebbe stato esposto ai pericoli e che non meno rischioso sarebbe stato affidare la repubblica all’arbitrio di più persone, continuò a tenerla sotto il suo controllo; è dubbio se fosse migliore il risultato o l’intenzione. Oltre a parlarne spesso, una volta manifestò tale intenzione anche in un editto con queste parole: ”Così mi sia concesso di assestare sana e salva la repubblica nella sua sede di trarre da ciò il frutto che desidero: essere detto fondatore di un ottimo stato, e morendo, portare con me la speranza che le fondamenta della repubblica che io avrò gettato rimarranno salde”. Ed egli portò a termine quel voto, sforzandosi ad ogni modo perché nessuno si dolesse del nuovo stato. Abbellì a tal punto la città, finora adorna in modo inadeguato alla maestà del suo impero e spesso soggetta ad inondazioni ed incendi, che a buon diritto potè vantarsi di lasciarla di marmo avendola ricevuta di mattoni. Inoltre, per quanto era umanamente concepibile, la rese anche sicura per il futuro.>> Tacito, Annales, III 28.2 (TRAD. T2, p.156 GM): <<Infine nel suo sesto consolato (28 a.c) Cesare Augusto, sicuro del suo potere, abolì le disposizioni emanate durante il triumvirato e diede norme da utilizzare in pace e sotto un principe>> 14/04/2021 Il nuovo ordinamento augusteo (II parte) La caratteristica dell’ordinamento augusteo è che da un lato Augusto mantiene la forma delle istituzioni repubblicane ma ne muta in maniera radicale la sostanza. Augusto ha tutta una serie di poteri magistratuali, pur non essendo un magistrato vero e proprio. Si può dire che la nuova organizzazione politica è una sintesi tra due modelli significativi che hanno caratterizzato il Mediterraneo antico, cioè tra il modello della città-stato e quello dello stato dispotico orientale. Roma, ormai arrivata ad un impero tale, non può più essere retta dalle istituzioni tipiche di una città-stato, quale era stata fino a quel momento. Il mondo antico non è arrivato a concepire il modello della democrazia rappresentativa, quindi era possibile governare un impero territorialmente così esteso come Roma solo attraverso la figura di un monarca. Sebbene negli anni augustei vi sia un tentativo, in questo senso, verso la “democrazia rappresentativa”: Svetonio racconta di un progetto di Augusto di far votare i magistrati a Roma da parte dei decurioni delle 28 colonie da lui create in Italia. Ma il progetto, a quanto pare, non riuscì. Persistenza formale delle istituzioni repubblicane -Magistrature: Continuano ad esistere, ma la cosa essenziale adesso è garantire un numero adeguato di governatori provinciali. Per cui si avrà una procedura nuova ovvero i magistrati ordinari vengono eletti per la durata di un anno, ma ad un certo punto dell’anno essi decadono ed al loro posto sono eletti dei consoli suffetti, ovvero dei sostituti. In questo modo si viene ad incrementare il numero dei consulares, gli ex- consoli che andranno a governare le province. -Comitia: Il fenomeno della “infrequentia comitiorum” è aumentato, per cui i comizi rappresentano essenzialmente la plebe urbana di Roma. Con la riforma di Cesare si era venuta a creare una netta distinzione nel corpo civico tra abitanti di Roma ed abitanti dei municipia. Svetonio, Divus Augustus, 40.2 (Trad. T24, p. 166 GM): <<Ripristinò anche l’antico potere dei comizi e frenato il broglio elettorale con svariate pene, ai Fabiani ed agli Scaptiensi, suoi compagni di tribù, il giorno delle elezioni distribuiva a sue spese mille sesterzi ciascuno, affinchè non desiderassero qualcosa da un qualche candidato>> Il potere dei comitia però era stato fortemente limitato, a causa di una nuova procedura introdotta (lex Valeria Cornelia, 5 d.c), come un fortunato documento epigrafico ci dimostra, ovvero la Tabula Hebana (Museo Archeologico e d’Arte della Maremma, Grosseto). E’ una tavola in bronzo ritrovata nel 1947, durante lavori agricoli, in località Sassaie dove probabilmente sorgeva la colonia romana di Heba. La “Tabula Hebana”, redatta nel 20 d.c, contiene una delibera (rogatio) dell’assemblea popolare a Roma, che tributava onori funebri a Germanico (morto nel 19 d.c), designato erede al trono. Una parte dell’iscrizione fa riferimento ad una riforma precedente, la “lex Valeria Cornelia” (5 d.c), che introduce una nuova procedura per la “destinatio” dei consoli e dei pretori, ovvero prima che i comizi si pronuncino, si pronunciano delle centurie miste senatorie ed equestri (formate attraverso un complesso procedimento di sorteggio), che devono “destinare” i candidati alle cariche. Queste centurie a cui si fa riferimento vengono dedicate a Germanico morto, ma ne esistono già cinque più cinque dedicate a Gaio e Lucio Cesare, che sono i due figli della figlia di Augusto, Giulia. Questi, come Germanico, erano stati designati come eredi al trono del principe ma purtroppo a loro volta muoiono prima di Augusto; uno nel 4 d.c ed un altro nel 2 d.c. Da questa nuova procedura emerge quindi un elemento sacrale, ovvero le centurie “parlano” a nome dei componenti defunti della domus augusta. Dal documento epigrafico rappresentato dalla “Tabula Siarensis” emerge che dopo la morte di Druso Minore (figlio di Tiberio) nel 23, si aggiungono altre 5 centurie alle 15 prima citate. La “Tabula Siarensis” è una tavola di bronzo scoperta nel 1981 in Spagna. Tabula Hebana, II. 6-13 (Trad.T26, p.166 GM): <<E che alle dieci centurie dei Cesari, che sono solite votare sulla designazione di consoli e pretori, ne siano aggiunte altre cinque; e le prime dieci centurie che saranno chiamate siano dette di Gaio e Lucio Cesari, le cinque successive di Germanico Cesare; e in tutte quelle centurie esprimano il loro voto senatori e cavalieri di tutte le decurie che sono o saranno costituite per i processi pubblici; e chiunque convocherà nel recinto i senatori e coloro ai quali sarà lecito esprimere la propria opinione in senato e parimenti i cavalieri per votare per la designazione dei magistrati secondo la legge che i consoli Lucio Valerio Messalla Voleso e Gneo Cornelio Cinna Magno proposero, faccia in modo che i senatori e parimenti i cavalieri di tutte le decurie che sono o saranno create per i processi pubblici esprimano il loro voto nelle quindici centurie.>> Cassio Dione, LIII 21.6-7 (Trad. T25, p.166 GM): province imperiali] fossero scelti da lui stesso e fossero chiamati legati Augusti pro praetore, anche qualora fossero ex consoli. >> Roma ed Italia Augusto aveva dato un volto nuovo alla città di Roma e la trasformò da una città di mattoni in una città di marmo (come ci dice Svetonio). Nelle “Res Gestae” possiamo leggere l’elenco delle opere che Augusto fece costruire. Un esempio è il Teatro di Marcello, che fece costruire per suo nipote e genero. Ancor oggi si è parzialmente conservato nel Palazzo Orsini, nella zona del Foro Boario. RG. 21: <<In privato solo Martis Ultoris templum florumque Augustum ex manibiis feci. Theatrum ad aede Apollinis in solo magna ex parte a privatis empto feci, quod sub nomine M. Marcelli generi mei esset.>> <<Sul suolo privato costruii il Tempio di Marte Ultore ed il Foro di Augusto con il bottino di guerra. Presso il Tempio di Apollo su suolo comprato in gran parte dai privati costruii un teatro, che volli fosse intitolato a mio genero, Marco Marcello>> Il Teatro di Marcello è solo uno dei tanti esempi. Agrippa, ad esempio, fu molto attivo, nel Campo Marzio, con il suo piano edilizio ed urbanistico. Il Pantheon è costruito proprio da Agrippa, come anche le Terme di Augusto. Un’altra testimonianza importante è l’ “Horologium Augusti” che sarebbe stato costruito seguendo le teorie del matematico Manlio. Lo gnomone dell’orologio, oggi si trova davanti al Campidoglio, quindi sarebbe stato spostato dalla sua collocazione iniziale che era il Campo Marzio. L’elemento ideologico è molto importante nel nuovo regime. Anche l’arte dunque è usata in modo propagandistico per la ricerca del consenso. L’ “Ara pacis Augustae” è l’altare dedicato nel 9 a.c in Campo Marzio da Augusto alla dea Pace. Simboleggia i valori della Pax Romana instaurata dal suo regno. I motivi della pace, della prosperità, del vagheggiamento del passato (Enea sacrifica ai Penati), della famiglia (il corteo della Domus Augusta), con una finalità dinastica, sono tutti elementi che si trovano nell’ideologia augustea. Il culto di Augusto Nelle province fu introdotto il: -il culto della dea Roma e di Augusto; -A partire dal 14-13 a.c si introducono, come culto statale, gli “honores” al Genius Augusti; -Il 1 maggio fu introdotta la celebrazione del Genius Augusti e dei Lares Augusti. Contestualmente vi fu una riforma dei “Compitalia” (processione de Lares Compitales), che venne organizzata secondo i vici (i responsabili di questi “quartieri” sono i vicomagistri). L’amministrazione della città di Roma Augusto introduce importanti innovazioni nell’amministrazione dell’Urbs. Roma è una città che non ha precedenti ed è unica nell’antichità: possiede una popolazione di circa 1 milione di abitanti, che richiede una notevole organizzazione per garantire alla cittadinanza: -controllo dell’ordine pubblico -approvvigionamento alimentare -approvvigionamento idrico Roma è divisa in 14 distretti urbani. L’amministrazione dell’Italia Augusto introduce delle innovazioni anche nell’amministrazione dell’Italia. Questa si configura in un certo qual modo in senso “negativo” nella realtà dell’impero, perché non è Roma, né provincia, ma una sorta di “territorio”, di prolungamento di Roma. Le città, i municipia, che sono ormai nella Penisola più di 400, mantengono la loro autonomia con rari interventi imperiali nei loro confronti. La grande innovazione di Augusto è la divisione dell’Italia in XI regiones. Plinio, Naturalis Historia, III 6.46 (Trad. T17, p. 163 GM): <<Ora passerò in rassegna il territorio e le città di quella (l’Italia), nel fare la qual cosa devo premettere che seguirò come guida il divo Augusto e la divisione da lui fatta dell’intera Italia in undici regioni, ma secondo il tracciato della costa>> Dal passo di Plinio si capisce che una delle finalità di queste circoscrizioni fosse quella di facilitare la raccolta dei dati dei censimenti, svolti localmente nei municipia. E’ quanto sembra potersi dedurre dal passo di Plinio, ma non vi sono certezze al riguardo. Secondo alcuni, invece, il motivo di formazione delle circoscrizioni è da ricollegarsi al “cursus publicus” ovvero un sistema di posta imperiale. Le diverse riforme -Monetazione: Con Augusto vi fu anche una sistemazione delle emissioni monetarie, che furono stabilizzate in base al rapporto di valore oro/argento. L’aureus (1/40 libbra) equivaleva a 25 denari d’argento (1/84 libbra) e a 100 sesterzi di bronzo e poi rame (e lega di oricalco). Viene quindi ripristinato il peso del denario che rimaneva la moneta di riferimento il cui peso calato nel periodo delle guerre civili. Vi è una divisione delle competenze in quanto la monetazione di oro e d’argento spettava all’imperatore mentre quella enea (di rame o leghe) spettava al senato. Tra le altre novità introdotte da Augusto ricordiamo la fine delle zecche di emergenza, il ripristino della carica di triumviri monetali e la definitiva presenza del volto dell’imperatore sulle monete. 19/04/21 Già in età repubblicana esisteva la cassa del popolo, detta anche aerarium populi o aerarium saturni. Si pone accanto alla cassa pubblica il fiscus cesari, il cui primo significato è cesta per le monete. E’ difficile dare una definizione del fiscus, poiché in esso confluivano sia i redditi dell’imperatore in quanto cittadino privato, sia quelli che provenivano dalle province. Oggi si è soliti utilizzare una definizione che supera quella del Mommsen : il fisco è la cassa in cui confluiscono i beni dell’imperatore aventi una destinazione pubblica. Bisogna distinguere il fisco dal patrimonium che invece accoglie i beni che appartengono solo all’imperatore (beni della corona). Non bisogna dimenticare il significato di “publicus”, per i romani è tutto ciò che è di spettanza del popolo. La gestione del fiscus, dato il suo carattere in certo modo privato, era riservata ai servi ed ai liberti imperiali. Successivamente si specializza. La gestione unitaria è affidata ad un liberto particolare, il PROCURATOR A RATIONIBUS. SENECA, DE BENEFICIIS TRAD T14 p 219 RB & ULPIANO T15 p 219 RB NOVITA’ DELLA FISCALITA’: Augusto operò una grande riorganizzazione dell' apparato fiscale. Era necessario fare una ricognizione della capacita' tributaria delle singole aree dell’impero : urgeva un censimento. Erano ormai 42 anni che non si svolgevano più censimenti dopo la pausa sillana. Da questo momento in poi saranno costanti. Sia universali, di tutto limpero, sia con il concorso delle amministrazioni locali. In particolar modo si impegnò nella riscossione di due tributi principali pagati dai provinciali, IMPOSTE DIRETTE: -TRIBUTUM SOLI, imposta fondiaria TRIBUTUM CAPITIS, imposta personale (di capitazione) Ricordiamo che Pidna non veniva pagato più il tributo ex censo. ricordiamo le varie fonti: Velleio Patercolo( T2p 214 RB) Gaio Istitutiones (t4p 21 RB, Luca,T8p 216 RB) Augusto (t28 p 167 GM). Augusto introduce anche un’altra cassa nel 6 d.c. AERARIUM MILITARE,in cui confluivano i redditi delle imposte pagate dai cittadini romani in particolare la vicesima hereditatum (5%) e la centesima venalium (1%) Mediante le imposte indirette venivano pagate le spese dei veterani uscenti. Risultava molto vantaggioso poichè sostituiva le donazioni di terre, cause di problemi durante le guerre civili. ESERCITO: Augusto riduce il numero di legioni che prima erano addirittura 60, fissandole a 25.Ognuna conteneva circa 5000 uomini divisi in 10 coorti. La ferma (periodo obbligatorio di servizio militare) venne prolungata da 16 a 20 anni. Gli eserciti si stanziarono nei luoghi più caldi dell’ impero. Importantissimi per Roma erano i cosiddetti “stati cuscinetto”, i regni clienti che erano sottoposti all'autorità imperiale. L’esercito è costituito da legionari e ausiliari. Gli ausiliari sono rappresentati dalle forze delle popolazioni provinciali peregrine ancora escluse dalla cittadinanza romana, che costituiscono i contingenti delle corti di fanteria e di cavalleria. TRAD 35 p169 GM CASSIO DIONE. La riforma dell’esercito va di pari passo con le novità relative alle CARRIERE SENATORIA ed EQUESTRE. Ancora una volta il principato augusteo si fonda sull'ARMONIA UTERQUE ORDO,in cui l'ordine senatorio esprimeva la tradizione,mentre quello equestre la rivoluzione borghese.Proprio le inncrinature di questa armonia spiegano le vicende della legislazione sull elezione dei magistrati ed in gran parte del principato. La carriera senatoria poteva essere intrapres da chi aveva un censo minimo di 1000000 sesterzi. Da giovani ci si impiega nel vigintivirato (durava per un anno,venivano ricoperte cariche minori), successivamente si veniva inviati in una provincia. Si diviene tribunus legioni [laticlavio: che indossa una fascia larga, era una striscia di porpora che veniva portata sulla spalla, fissata su una tunica bianca, e che cadeva avanti e dietro in senso verticale per la lunghezza della tunica stessa. Il nome deriva dal latino latus (largo) e clavium (letteralmente "chiodo", ma indicante anche i vari tipi di ornamento che venivano appuntati, ovvero fissati sugli abiti). Quindi significa letteralmente ornamento largo. Il laticlavio (la striscia più larga) era riservata inizialmente ai senatori. Invece, i personaggi di ordine inferiore (i cavalieri) avevano diritto a portare sulla tunica solo una striscia di porpora più stretta, ovvero l'angusticlavio.] La carriera politica si sviluppava in queste tappe: questura, tribunato o edilità, pretura , consolato. Si veniva nominati legati augusti legionis quando si era a capo di una legione in provincia. eccessive proposte dagli eruditi di 6 e 700 (alcuni parlavano di 4 milioni o 14 milioni); ma anche le cifre ribassiste proposte di recente (300/400 mila). Tra la fine dell’epoca repubblicana ed il IV d.C., la popolazione di Roma è stata di circa 1 milione di abitanti, cosa che fa classificare Roma come una metropoli della antichità. Non vi sono molti elementi su cui basarsi per conoscere l’entità della popolazione di Roma in epoca rep. Tuttavia si deve immaginare che fosse cospicua se si guarda al tracciato delle mura Serviane che ne facevano il centro urbano più grande della penisola. Qualcosa in più conosciamo per il periodo tardorep., in cui la popolazione cresce a tal punto che Cesare è costretto a ridurre il numero di benificiari delle frumentationes. Con le cifre conosciute, si può individuare una popolazione cittadina di 700/800 mila abitanti. Per l’età imperiale abbiamo informazioni più precise: in un passo delle Res Gestae, Auguto elenca anche i congiaria (donazioni in natura) e i donativi (le distribuzioni di danaro) che ha distribuito alla plebs romana (che in alcuni casi è definita plebs frumentaria). Spesso gli imperatori si basano su queste liste per tutte le altre distribuzioni , ma possono fare donativi anche al resto della popolazione. Un esempio di come abbiamo dati numerici e quantitativi in alcune fonti: capitolo 15, Res Gestae . Da tutte queste cifre sembra potersi dedurre che la popolazione di Roma si aggirasse intorno a 600 mila persone, a queste, comprendenti maschi,femmine,adulti e bambini bisogna aggiungere schiavi e peregrini, si è arrivati a 1 milione. La popolazione di Roma era in grado di riprodursi? In epoca imperiale il processo di immigrazione diminuisce notevolmente; ci si è chiesti allora se la popolazione di Roma fosse in grado di riprodursi oppure no. Alcuni studiosi, ponendo la popolazione di Roma a confronto ad es. con quella della Londra del XVI-XVIII sec, sostengono che essa non fosse in grado di riprodursi. Avrebbe cioè necessitato dell’apporto dell’immigrazione per evitare di diminuire. Sostengono che le condizioni igienico-sanitarie di Roma e l’affollamento avrebbe determinato un notevole prevalere dei morti sui nati. Tuttavia, non vi sono elementi per dire che la popolazione in età imperiale dovesse diminuire. Quella che sembra una legge ferrea per l’età preindustriale non è poi così ferrea. Inoltre, le condizioni dei cittadini di Roma, malgrado l’affollamento, erano comunque rese favorevoli da una serie di servizi da una quantità notevole d’acqua, da distribuzioni alimentari. E’ solo ad un certo punto che vi è una diminuzione della popolazione di Roma, ma in seguito ad un evento traumatico, a seguito di periodi, come sono chiamati dai demografi, di “mortalità di crisi”, ovvero periodi caratterizzati da epidemie, come le epidemie di vaiolo e peste che cominciano a diffondersi nell’età di Marco Aurelio e poi nel III secolo, come nel caso della peste antonina. Si è pensato dai sintomi descritti che si tratti di vaiolo e non di peste, nelle fonti romane si parla di morbus. Questa peste dall’Oriente, dalla Mesopotamia (alcuni oggi discutono che si tratti di una peste proveniente dalla Cina) , sarebbe arrivata a Roma.(T1,pp.258-9 Ammiano Marcellino, dà una spiegazione un po’ leggendaria. In particolar modo ci dice che la peste giunge in occidente in occasione delle campagne orientali in Mesopotamia svolte tra il 162 e 166 di Lucio Vero; T2,T3,p.259 Orosio, Historia Augusta T4,T5, / T6 epigrafe dal Norico p.259, Cassio Dione T7, Erodiano (no fonte). Le epidemie successive, seconda metà del III secolo: Historia Augusta T66 e T77,p279; Eusebio di Cesarea T68,279-80 L’epoca tardoimperiale: rispetto all’età augustea, con questo evento c’è uno spopolamento in alcune aree dell’impero, ma nella curva complessiva non si assiste ad una diminuzione eccessiva. Il fatto che non vi sia una eccessiva diminuzione è suggerito da alcune leggi del Codice Teodosiano che danno un’idea di quale fosse il numero dei beneficiari di carne di maiale, la cui distribuzione avviene a partire da Aureliano T73- T74,p.281 H.A. (ci dice anche che distribuiva gratuitamente il vino, oltre ad olio,pane e carne di maiale; T27,p.374 Codice Teodosiano). Sembra che il solo discrimine per la popolazione di Roma sia rappresentato dal sacco di Alarico (410), quando la popolazione diminuisce notevolmente e non sarà pià, ad un certo punto, la popolazione di una metropoli. Alla metà del V secolo, la stima della popolazione contava ancora 350 mila persone. Il declino di Roma comincerà dopo questa data: nel 530 essa sembra avere non più di 60 mila abitanti. 21/04/21 Parte tematica I servizi e l’amministrazione delle città; L’approvvigionamento militare. Lo Stato romano forniva servizi ad una città densamente popolata. Gli studiosi mettono in evidenza l’agilità dei servizi romani, cioè la capacità di adattarsi in base alle esigenze, modificando ad es. le proprie strutture o aumentando/riducendo il personale. Vanno ormai attenuati quei giudizi che fanno dell’amministrazione romana una pesante macchina burocratica. Il princeps doveva garantire alla popolazione: servizi amministrativi adeguati, l’ordine della città, la giustizia civile e criminale, la lotta contro gli incendi (una piaga costante della città romana), il rifornimento di mercati e derrate alimentari da distribuire alla plebs, rifornimento idrico (per vari usi), l’abbellimento monumentale dell’Urbe. Il grosso cambiamento avviene con Augusto, coerentemente all’ideologia e al programma augusteo: non crea ex nihilo le magistrature, molte di esse esistono già ma, come dice Svetonio, le trasforma in nova officia; di funzioni specifiche se ne occupano non più magistrati, ma funzionari, un corpo specializzato scelto dallo stesso imperatore, ma pagato e nominato dall’erario pubblico. T11,p.161 Svetonio L’ordine pubblico viene garantito dalle prefetture. Sin dall’inizio, Augusto si occupa della direzione della polizia urbana e la affidò ad un rappresentante nominato da lui (26 a.C.), il praefectus urbi. Dal 13 d.C. questa carica diventa permanente a Roma. Il praefectus urbi è un funzionario, ma non ufficiale, questo è sottolineato dal fatto che veste gli abiti civili ed ha diritto a dei littori e due fasci (i fasces lectori sono simbolo dell’imperium, dei magistrati romani che entrano a Roma e preceduti dai lectori, coloro che portano in processione tali simboli). Gli imperatori da Augusto in poi avranno 12 fasci littori allo stesso modo dei prefetti; da Domiziano se ne avranno 24. Le coorti urbane istituite da Augusto e al servizio del praefectus urbi sono 3, in seguito 4 (non si sa se con Domiziano o Traiano) . Il prefetto assume sempre più importanza, quando l’imperatore non è a Roma ha il compito di sostituirlo, quindi diventa la carica senatoria più ambita. Egli deve garantire l’ordine pubblico, svolgendo i compiti di polizia, ha competenze giurisdizionali in ambito civile e criminale, tenendo sotto controllo la popolazione e gruppi pericolosi. Questa competenza giurisdizionale inizialmente riguarda tutta l’Italia, in seguito (con Marco Aurelio e Adriano I), con una serie di riforme, le competenze del prefetto urbano si limiteranno solo alla città di Roma. Il prefetto urbano disponeva di una forza militare di 1500 uomini, accasermati nei castra urbana nella regio VII, divisi in 3 corti di 500 uomini, sotto il comando dei tribuni di rango equestre (4 coorti con Domiziano). La sede della prefettura urbana sembra sia cambiata diverse volte: era la Basilica Iulia con Augusto (nel Foro), Foro della Pace con Settimio Severo. Praefectus praetorio: a capo delle coorti pretorie. Inizialmente il prefetto del pretorio stazionava con le sue coorti sul Palatino, dove c’è il palazzo imperiali; anch’egli vestiva abiti civili, ma portando le armi. A partire da Tiberio, si crea una caserma apposita (i casta praetoria), nella parte considerata extraurbana. La prefettura è il frutto di una evoluzione, si fissa, già nel periodo tardorepubblicano, gli imperatores si vogliono proteggere con una corte che deve difenderli; quando è ancora Ottaviano, egli si difende con una guardia di italici, non sappiamo che caratteristiche avesse, si tratta di 5 coorti. Dopo, Augusto, istituzionalizza nel 9 a.C. la guardia imperiale con coorti pretorie che diventano 9, poi saranno 10 con Domiziano o Traiano. Prendono il nome di legia pretoria, come fossero un piccolo esercito. La guardia pretoriana si istituzionalizza nel 9 a.C., ma la nomina dei primi due prefetti al pretorio avviene nel 2 a.C. Il principe conserva il comando supremo della sua guardia, di cui nominava i capi. I prefetti al pretorio hanno una formazione militare, sono di rango equestre (laddove il p.urbano è di rango senatorio), hanno responsabilità giurisdizionali oltre che civili; le coorti quindi rappresentavano la guardia imperiale, che si muove a Roma insieme all’imperatore; al tempo stesso devono garantire la concordia sociale in ambito cittadino. Da Marco Aurelio i prefetti al pretorio avranno sempre più funzioni civili. Il p al pretorio diventerà il funzionario dell’ordine equestre più elevato in grado (superando anche il prefetto d’Egitto, almeno a partire dall’epoca flavia). La prefettura dei vigili è istituita da Augusto per la prima volta: è un personale scelto (si tratta spesso di liberti) che costituisce sette coorti di vigili, al servizio di un praefectus vigilum di rango equestre. Ognuna delle coorti aveva la responsabilità del controllo di 2 delle 14 regiones in cui Augusto aveva ripartito Roma. Dei distaccamenti di vigili operavano in città di cruciale importanza, Ostia e Puteoli. La funzione dei vigili non è quella di spegnere gli incendi, ma anche prevenire gli incendi che potevano sopraggiungere di notte, perché sono frequentissimi (se pensiamo alla struttura delle case romane, a come erano vicine le une alle altre). Si aggiunsero poi competenze giurisdizionali: poiché sono i primi ad intervenire sugli incendi, devono capire se si tratti di incendi volontari o dolosi, possono punire e trovare colpevoli, ma non hanno il ius gladii (la capacità di emettere sentenze di morte). Si aggiunge con Augusto una serie di altri servizi, quelli garantiti dalle curatele urbane. L’idea fu quella di creare ufffici di tipo magistratuale, si tratta di funzionari (curatores), scelti anche qui dall’imperatore, la cui presenza è finalizzata al buon funzionamento delle strutture della città. Per Roma conosciamo 4 dipartimenti affidati a queste curatele.Augusto è il creatore di due di questi tre grandi servizi istituzionalizzati: cura aedium, che si occupa della costruzione e del restauro degli edifici profani e sacri costruiti sul suolo pubblico di Roma, la cura aquarum, cioè la cura degli acquedotti; sembra non essere stata creata da Augusto la cura alvei Tiberis, cioè la cura del Tevere. Sono servizi nominati “grandi curatele urbane”, affidate a dei funzionari di ordine senatorio. 1) Cura aedium sacrarum et operum publicorum: dovevano sovrintendere alle opere pubbliche, non solo gli edifici e monumenti pubblici – costruzione,opere di restauro, manutenzione-,ma anche ad esempio alla maniera in cui il suolo pubblico veniva occupato. Si occupano della assegnazione delle aree pubbliche in cui era possibile costruire monumenti e anche l’assegnazione ai privati. Sono numerosi i cippi e le iscrizioni con la formula “Locus adsignatus a…” seguita dal nome del curatore o dei curatori coinvolti. Non sembra che fossero i curatori a delimitare il suolo pubblico o privato o a dirimere le controversie relative all’occupazione di loca publica. 2) Cura aquarum ne parleremo nella prossima puntata 3) Cura alvei Tiberis: per lungo tempo si è creduto sulla base di Svetonio che la creazione delle curatela dell’alveo di Tevere e delle sue rive risalisse ad Augusto, ma si è visto che andava attribuita a Tiberio (Cassio Dione, Tacito, i Cippi). La cura dell’alveo del Tevere e delle sue rive era fondamentale perché erano frequenti le esondazioni del fiume, che allagavano ampie zone della città. Secondo Tacito, ad introdurre questa curatela sia piuttosto Tiberio. Poiché nel 15 d.C. il fiume straripa di nuovo, Tiberio prende tale provvedimento . Anche Cassio Dione attribuisce a Tiberio del 15 una commissione di 5 senatori, destinati a sorvegliare permanentemente la riva del fiume. I compiti dei curatores alvei Tiberis erano vari: attività di pulizia dell’alveo del Tevere, il drenaggio del letto del fiume, che si impedisse ai privati di costruire sulle rive, che non si occupassero spazi pubblici necessari alla cura del fiume. Tale curatela conservava la collegialità: dei cinque senatori uno solo è di rango consolare. La prova è fornita dai cippi che fiancheggiavano le rive Tevere per delimitare le proprietà pubbliche e private. Bisognava inoltre garantire il trasporto e il traffico fluviale: è dal Tevere infatti che arrivavano gli approvvigionamenti per Roma, sia dall’It. Centrale sia dalla foce (Ostia,quando ci sarà il porto)- navi caudarie, trasbordo da nave oneraria a navi caudarie. commerci della città. La funzione del piazzale non è nota. Si trova alle spalle del teatro e fu costruito insieme ad esso verso il II secolo a.c. Il piazzale è articolato in piccoli ambienti, ciascuno per ogni attività, si pensa che fosse una sorta di foro commerciale con gli uffici di rappresentanza degli armatori, commercianti ed associazioni di mestieri. In questi mosaici si trovano rappresentati i commercianti di stoppa di corde, i conciatori di pelli, i granari, i commercianti d’avorio, gli armatori di Cartagine, di Cagliari, di Syllectum in Africa, di Norbona, di Alessandria, i trasbordatori di anfore, l’ufficio di rappresentanza di Egitto, gli importatori di animali dall’Egitto, i traghettatori, i venditori e scaricatori di anfore olearie. Distribuzioni alla plebe di Roma Oltre al grano ed all’olio, nel corso del III secolo, tra le distribuzioni alla plebe di Roma, si aggiungono la carne di maiale gratuita ed il vino a prezzo politico. La popolazione di Roma nel tardoantico riceve l’alimento base (carne, grano=pane), il condimento (olio), la bevanda (vino) gratuitamente (o quasi) dallo Stato. Della carne di maiale non è il prefetto dell’annona ad occuparsene ma il prefetto urbano. A partire dal regno di Aureliano, la carne di maiale comincia ad essere distribuita gratuitamente in maniera regolare. Prima dell’introduzione del “munus suarium”, l’imperatore comprava la carne dai commercianti. Inoltre, già a partire dal III secolo, le distribuzioni di grano si trasformano: non ci sono più distribuzioni mensili di grano, ma distribuzioni quotidiane di pane (di 2 libbre). Le ragioni di un tale cambiamento ci sfuggono per mancanza di fonti. Queste distribuzioni non possono più allora avvenire in un solo luogo (impossibile far spostare ogni giorno centinaia di migliaia di persone per ricevere il pane), ma sono decentrate. L’identificazione di questi spazi, o edifici, che la legislazione tardoantica chiama “gradus” è molto incerta. E’ in questi gradus che ogni giorno viene distribuito il pane (panis gradilis). Qualche studioso ha ipotizzato che i “gradus” fossero i gradini interni dei cortili delle insule di Roma e che quindi la distribuzione si facesse quartiere per quartiere. Non ne siamo certi ma sappiamo che anche dopo che la residenza dell’imperatore si è trasferita a Costantinopoli, l’amministrazione garantisce ad un numero di beneficiari ,che resta grosso modo stabile, distribuzioni gratuite o a prezzo ridotto di derrate sempre più varie: olio, vino, carne, oltre che pane. Oltre a queste distribuzioni, l’annona si preoccupa di garantire un approvvigionamento regolare di tutto il mercato. Questo approvvigionamento è assicurato dalle distribuzioni a prezzo controllato. Non vi sono testimonianze esplicite secondo cui la creazione della Nuova Roma si sarebbe realizzata a detrimento dell’approvvigionamento dell’Urbs. E’ solo alla fine del IV secolo e poi nel V, con la ripresa dei disordini alle frontiere e con la minaccia delle invasioni barbariche, che sorgono difficoltà più gravi. Difficoltà che provocheranno l’arresto dell’arrivo delle merci da una delle principali “province frumentarie” dell’Impero, l’Egitto. Tuttavia, malgrado l’impatto di questo arresto non sia così disastroso, sembra che la popolazione di Roma avesse cominciato a diminuire sensibilmente. L’Approvvigionamento idrico La costruzione degli acquedotti Siamo molto bene informati sull’approvvigionamento idrico di Roma, grazie alla conservazione del trattato di Sesto Giulio Frontino: “De acquae ductu urbis Romae” (conosciuto anche come “De aquis”). Frontino era “curator aquarum” a Roma, ovvero sovrintendente agli acquedotti, nel 97 sotto l’imperatore Nerva. Inoltre siamo ben informati dai resti monumentali degli acquedotti e da un documento epigrafico molto importante rappresentato dalle “fistulae aquariae” ovvero i tubi di piombo che portavano l’acqua e dalle loro iscrizioni. Oggi sappiamo che il piombo è dannoso per la salute umana, ma i romani non avevano questa conoscenza e facevano passare l’acqua potabile proprio in queste tubature di piombo. (Esiste una teoria “estremista” [io direi al limite del complottismo ihihhi] per cui l’impero romano sarebbe avvenuto proprio a causa dell’avvelenamento da piombo della popolazione). La costruzione degli acquedotti Riguardo alla costruzione degli acquedotti romani si può supporre, ma non sicuramente, l’influenza di maestranze e tecniche greche. Per quanto attiene però alle conoscenze idrauliche, sembra che i Romani fossero debitori nei confronti degli Etruschi. Tuttavia il livello tecnico ed ingegneristico raggiunto dai Romani è unico. Dal punto di vista delle tecniche costruttive e dell’ingegneria, è stato notato che i Greci facevano passare i loro acquedotti lungo le pendici dei monti, facendoli scendere lentamente verso la meta. I Romani invece utilizzano anche ponti ed arcate che attraversano fiumi e valli e gallerie che perforano i monti. Un esempio è il Ponte del Gard del I secolo a.c. I Romani partono da una sorgente ed incanalano l’acqua che passa sia attraverso gallerie sotterranee (attraverso i monti) sia attraverso i ponti. L’acqua si muoveva in direzione della città grazie alla forza di gravità: l’acquedotto agiva da “continuo scivolo” per tutta la distanza che separava le sorgenti dal punto del suo sbocco. Per ottenere tale risultato ogni singola parte del lungo tracciato veniva progettata in modo tale da correre leggermente più basso di quella precedente. Una creazione ingegneristica tutta romana è il sistema del “sifone rovescio”: laddove il caratteristica morfologica lo richieda, laddove ci sono delle conche, l’acqua scivola nelle conca e successivamente, per la pressione stessa, l’acqua riesce poi a risalire. Dovendo sfruttare quanto più possibile l’altezza naturale del territorio attraversato, diversi acquedotti arrivavano a Roma seguendo un percorso quasi identico; quindi due o persino tre “acque” potevano condividere lo stesso viadotto. Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae, III,13: <<Mi sembra che la grandezza dell’Impero romano si riveli mirabilmente in tre cose: gli acquedotti, le strade e le fognature.>> Uso dell’acqua Ci si è chiesti il motivo della costruzione del primo acquedotto di Roma. L’acqua poteva essere utilizzata per diversi scopi: -come acqua potabile da bere; -per terme e bagni; -per ludi e spettacoli; -per scopi industriali; -per sciacquare le cloache; -per la lotta agli incendi; -per irrigazione di giardini e coltivati; -per i mulini da cereali; E’ chiaro che la qualità e quantità dell’acqua richiesta dipenda dagli utilizzi: l’alimentazione richiede acqua di qualità mentre il lavaggio e le attività varie richiede acqua in quantità. Per l’igiene personale, la pulizia degli edifici, il lavaggio di indumenti, la circolazione nelle fogne, l’agricoltura, l’artigianato abbisognano di acqua in grande quantità. Gli acquedotti a Roma sono numerosi. Nel III secolo d.c erano 11 (bisognava anche considerare il rifacimento di alcuni di essi). Questi acquedotti trasportano un volume di acqua enormemente elevato e sono perfettamente in grado di rispondere alle esigenze di consumo della città di Roma. Il primo acquedotto è costruito da Appio Claudio, durante la sua censura nel 312 a.c; sembra contestualmente alla costruzione della via Appia. Le diverse fonti d’acqua, utilizzate fino a quel momento, probabilmente non erano più sufficienti alle esigenze della città, ovvero le cisterne, i pozzi, le sorgenti e l’acqua del fiume. Una delle ipotesi recenti sulla costruzione dell’ ”Aqua Appia” sarebbero state le esigenze “industriali” del Porto Tiberino al Foro Boario (Velabro), dove l’acquedotto finiva. Ma non può essere la sola spiegazione: probabilmente è legato anche a motivi cultuali. Vi erano una serie di rituali sul Tevere che prevedevano l’utilizzo dell’acqua. Non abbiamo i resti dell’Aqua Appia, che sappiamo- diversamente dagli acquedotti successivi- correva per lo più sotterraneo per 19 km. Dal punto di vista della costruzione, la tecnica doveva già essere collaudata, la stessa di quando si costruivano cunicolo per drenare le acque. La novità consisteva nell’utilizzare le gallerie sotterranee per portare l’acqua potabile in un centro urbano. Gli acquedotti successivi invece superano le asperità del terreno con opere ingegneristiche con sostruzioni, ponti ed arcate. Una volta giunti a Roma, gli acquedotti dovevano infatti attraversare la città. Le tecniche divennero sempre più sofisticate. Si fece ricorso soprattutto a ponti, a substructiones e ad arcate che oltrepassavano le valli e permettevano di realizzare la discesa libera dell’acqua. Con questa tecnica furono costruiti, neanche cinquanta anni dopo il primo, il secondo acquedotto di Roma e quelli successivi. Frontino ci informa che il secondo acquedotto “l’Anio Vetus” fu costruito dal censore M.Curio Dentato tra il 272-274 a.c, con il bottino della guerra di Pirro. Esso traeva l’acqua dall’Aniene, nella Sabina, conquistata poco tempo prima dallo stesso Dentato. Il corso del condotto è abbastanza ben noto e la sua lunghezza è di 64 km. Il terzo acquedotto è invece l’Aqua Marcia, seguito poi dall’Aqua Tepula, L’Aqua Iulia, l’Aqua Claudia, l’Aqua Traiana etc… Il più lungo acquedotto costruito dai Romani è quello di Cartagine (132 km), poi abbiamo quello di Misero di 96 km e tutti gli altri. Con questo sistema di arcate, ponti e sostruzioni, gli acquedotti portavano l’acqua fino ai quartieri centrali della città e fino alle residenze imperiali sul Palatino, come nel caso dell’Aqua Claudia (38-52 d.c). Un’importante testimonianza epigrafica è per noi rappresentata dalla Porta Maggiore, costruita sotto Claudio (52 d.c) per consentire all’acquedotto Claudio di scavalcare le vie “Praenestina” e “Labicana”. Realizzata in travertino con i blocchi in bugnato. Riporta tre livelli di iscrizioni: oltre a quella di Claudio, anche le iscrizioni di Vespasiano e poi Tito che effettuarono dei restauri. (CIL, VI, 1256 = ILS 218): << Tiberius Claudius Drusi filius Caesar Augustus Germanicus pontifex maximus / tribunicia potestate XII consul V imperatore XXVII pater patriae / aquas Claudiam ex fontibus qui vocabantur Caeruleus et Curtius a milliario XXXXV / item Anienem navam a milliario LXII sua impensa in urbem perducendas curavit >> La portata degli acquedotti E’ possibile calcolare la portata degli acquedotti romani attraverso il diametro dei tubi, di cui ci informa Frontino. La quantità di acqua di cui disponeva Roma era enorme, soprattutto se confrontata con quella dell’abitato di una qualsiasi città dell’Europa moderna della fine del XIX secolo. La cura aquarum In epoca repubblicana, per garantire il regolare funzionamento degli acquedotti, vi era un specifica amministrazione delle acque. Tuttavia, non sembra che vi fosse una ripartizione fissa delle competenze. Tra -da un “castellum” (cisterna) con tre immissari per ricevere l’acqua, -l’acqua è distribuita, tramite tre tubature (fistulae) e tre serbatoi minori (receptacula) -da cui l’acqua va alle fontane, ai bagni (popolo) ed ai privati. Riguardo alla distribuzione dell’acqua, Frontino e Vitruvio ci forniscono dunque un’informazione molto indicativa: sappiamo che dall’età augustea è stato possibile chiedere all’imperatore il beneficio di una concessione di acqua. Naturalmente coloro che avevano diritto a questa concessione erano i più ricchi, i senatori anzitutto o i consolari. I nomi dei proprietari che appaiono sulle “fistulae” di piombo ci danno conferma di ciò. Infatti, su circa 100 nomi conservati c’è una predominanza non solo dei senatori, ma anche dei consolari (cioè quei senatori promossi al consolato dall’imperatore che quindi godeva della sua fiducia). La quantità d’acqua che giungeva fino a Roma era davvero enorme. Essa veniva utilizzata anche per tutta una serie di strutture e servizi, in primo luogo naturalmente le terme, numerosissime e che ogni giorno accoglievano masse di cittadini. Tutti questi elementi ci mostrano come la distribuzione dell’acqua è anche indicativa di come fosse costruita la gerarchia sociale a Roma. Strabone, Geogr., V, 3-8: << I Romani hanno pensato soprattutto a ciò che i Greci avevano trascurato: a pavimentare le vie, incanalare le acque, costruire fogne che potessero evacuare nel Tevere tutti i rifiuti della città. (…). Tanta è l’acqua condotta dagli acquedotti da far scorrere fiumi attraverso la città e attraverso i condotti sotterranei: quasi ogni casa ha cisterne e fontane abbondanti. >> Legislazione sull’acqua Frontino fa riferimento ad un’antica legge (senza purtroppo fornire la data), secondo cui i privati non avevano il diritto di prelevare acqua pubblica tramite un condotto, ma potevano usufruire di quella parte in più (che per esempio colava da fontane o bacini pubblici), la cosiddetta “aqua caduca” e questo solo per il funzionamento di bagni pubblici o di fulloniche e soltanto dietro pagamento di un canone (aq.94, 3-4). Tra le disposizioni legislative dell’epoca repubblicana, Frontino riporta anche un divieto di inquinare le fontane pubbliche rifornite dagli acquedotti. Nel caso di una infrazione della legge, il colpevole veniva multato di 10.000 sesterzi (aq.90, 5-6). Altre leggi dell’epoca repubblicana stabilivano che qualora si usasse illegalmente l’acqua pubblica per l’irrigazione di un campo, il campo venisse confiscato dallo stato. Per la legislazione sotto Augusto conosciamo le date esatte e i testi delle leggi, tramandatici da Frontino. Sappiamo che vi è una disposizione sulla struttura della cura aquarum. Alcuni senatus consulta regolano il “ius ducendae aquae in privatis” e vi sono norme emanate dall’imperatore sulla capacità dell fistule. La concessione d’acqua era un “beneficium”, ma sembra che i beneficiari dovessero pagare per il privilegio. Sembra che in origine la concessione decadesse con la morte del concessionario, ma ai tempi di Frontino si poteva sperare che il principe concedesse l’acqua agli eredi (aq., 107-109). Secondo Frontino, l’ammontare annuo dei “vectigalia ad ius aquarum pertinentia” pagati a Roma dai privati è di 250.000 sesterzi (aq; 118.1) che è un prezzo piuttosto esiguo, come è stato notato, tuttavia utile all’erario per alleviare le spese necessarie al mantenimento della “familia publica” (il personale di schiavi e liberti preposti alla cura degli acquedotti, mentre la “familia Caesaris” è sovvenzionata dal fiscus). Frontino non riporta il numero dei privati privilegiati, ma tramite dei calcoli è possibile pervenire ad una stima approssimativa compresa tra i mille ed i duemila beneficiari (C., Bruun). Probabilmente non vi erano molti dinieghi da parte dell’imperatore e dell’amministrazione. L’acqua veniva utilizzata per i più svariati usi pubblici e privati: -negli horti e nei balnea privati, nei bagni pubblici; -per usi “industriali”: per le fulloniche, per la lavorazione dell’argilla e, fuori della città, per l’irrigazione dei campi, nelle miniere, nei mulini ad acqua (in epoca tardoantica) etc… Plinio il Vecchio, NG, XXXVI, 123: <<L’abbondanza delle acque distribuite per uso pubblico nelle terme, nelle piscine, nelle fontane, nei canali, nelle case, nei giardini, nelle ville suburbane ed il gran numero di acquedotti che le conducono a Roma su lunghe sostruzioni arcuate, attraverso le montagne perforate e le valli colmate, si dovrà convenire che non esiste in tutto il mondo opera più meravigliosa di questa>>. Storia romana 27/04/2021 I modi dell’abitare Riguardo alle abitazioni di Roma, abbiamo svariati tipi di fonti: -la produzione letteraria -la documentazione archeologica -i nomi dei proprietari su “fistulae” di piombo -registrazioni ufficiali: piante e liste di edifici La produzione letteraria Si tratta di autori, come Marziale e Giovenale, che forniscono un’immagine poco positiva dell’abitare a Roma, soprattutto per quanto attiene alle abitazioni del ceto meno abbiente. Giovenale, Saturae, III. 190 ss: << Chi teme o mai temé che gli crollasse la casa nella gelida Preneste o tra i selvosi gioghi di Bolsena […]? Ma noi viviamo in un’urbe che quasi tutta si sostiene su esili puntelli; questo rimedio gli amministratori alle mura cadenti oppongono solo, e poi, quando tappato hanno alle vecchie crepe gli squarci, vogliono che si dorma placidi sotto gli imminenti crolli. >> Marziale, Epigrammata, XII.57: << Perché, mi domandi, io mi rinchiuda nel piccolo arido podere nomentano e desideri il sudicio focolare della mia casa di campagna? A Roma, o Sparso, per un povero non esiste luogo né per pensare né per riposare. La mattina i maestri di scuola, la notte i fornai e per tutto il giorno i calderai rendono la vita impossibile: di qua l’ozioso cambiavalute scuote il sudicio tavolo col mucchio di (monete) Neroniane, di là il battitore pesta col lucido mazzuolo la frantumata pietra aurifera di Spagna; e non si placa la fanatica turba della dea Bellona, e non smette di ciarlare il naufrago avvolto nelle bende, né di elemosinare il giudeo istruito dalla madre, e neanche di gridar cessa il cisposo venditore ambulante di zolfanelli. Chi può enumerare le interruzioni d’un indolente sonno? Ti dirà quante mani battano in città vasi di bronzo quando la luna tagliata [dall’eclisse] è colpita dalla magica ruota della Colchide. Tu, Sparso, ignori questo, né puoi capirlo, dedito ai piaceri nel confortevole palazzo di Petillia, (…) Io sono svegliato dal riso della folla che passa e l’intera Roma è presso il mio letto. Quando son stanco dei fastidi e desidero dormire, mi reco al mio podere. >> Seneca, Epistularium moralium ad Lucilium, VI. 56.1-6: << Che io possa morire se, quando uno se ne sta appartato a studiare, il silenzio è necessario come si pensa. Ecco, intorno a me risuonano da ogni parte schiamazzi di tutti i tipi: abito proprio sopra uno stabilimento termale. Immagina ora ogni genere di baccano odioso agli orecchi: quando i più forti si allenano e fanno sollevamento pesi, quando faticano o fingono di faticare, odo i gemiti e tutte le volte che trattengono il fiato ed espirano, sibili ed ansiti; quando capita qualcuno pigro che si contenta di un normale massaggio, sento lo scroscio delle mani che percuotono le spalle e che danno un suono diverso se battono piatte o ricurve. Se poi arrivano quelli che giocano a palla e cominciano a contare i colpi, è fatta. Mettici ancora l’attaccabrighe, il ladro colto in flagrante, quello cui piace sentire la propria voce mentre fa il bagno, e poi le persone che si tuffano in piscina e smuovendo l’acqua fanno un fracasso indiavolato. Oltre a tutti questi che, se non altro, hanno voci normali, pensa al depilatore che spesso sfodera una vocetta sottile e stridula per farsi notare e tace solo quando depila le ascelle e costringe un altro a gridare al suo posto. Poi ci sono i vari richiami del venditore di bibite, il salsicciaio, il pasticciere e tutti gli esercenti delle taverne che vendono la loro merce con una particolare modulazione della voce. >> La documentazione archeologica E’ quantitativamente meno importante rispetto alla documentazione letteraria, poiché le case sono state considerate di minore importanza rispetto agli edifici pubblici e sacri; ma anche a causa della straordinatia continuità di abitazione a Roma in un’area densamente concentrata, per un periodo di quasi tre millenni. Un esempio di questa mentalità e del fatto che si sia capita tardi l’importanza dell’indagine archeologica anche nell’architettura domestica è la distruzione soltanto alla fine degli anni ’40 del ‘900 in occasione della costruzione della nuova Stazione Termini a Roma, di interi quartieri di abitazione di epoca romana. I lavori per il rifacimento della Stazione Termine, risalenti al 1949 e la Metropolitana hanno riportato alla luce pitture, mosaici da “domus”, le “antiche stanze di Termini”, dove una volta sorgeva la grandiosa Villa Montalto. Di questi quartieri abitativi romani oggi non rimane più niente se non una documentazione fotografica risalente al momento dei lavori per l’ampliamento della Stazione di Termini. NON RESTA PIU’ NIENTE DEL PREZIOSISSIMO MATERIALE ARCHEOLOGICO CHE ERA PRESENTE NELLA ZONA, se non qualche pavimentazione a mosaico e qualche suppellettile. Questo atteggiamento mette in evidenza un concetto ben evidenziato da Daniele Manacorda nel suo saggio intitolato “il piccone del regime” (Roma, 1985): << Contro la complessità topografica della città, vi sono i grandi progetti e piani rettilinei delle autorità, che desideravano fare della città un monumento dell’imperialismo >> (in riferimento alla politica “ricostruttiva” dei fascisti che ci ha fatto perdere tantissimi contesti archeologici). L’epoca repubblicana Conosciamo alcuni prototipi delle “case ad atrium” nelle domus aristocratiche individuate alle pendici del Palatino. Sono grandi case grossomodo rettangolari di grandi dimensioni (ca.900 mq), che risalgono alla fine del Vi secolo a.c e continuano ad essere, a quanto sembra, utilizzate fino alla fine del III secolo a.c. Nella forma sono simili a quelle ad atrium: -con uno stretto ingresso fiancheggiato da negozi; << In ea autem maiestate urbis et civium infinita frequentia innumerabiles habitationes opus est explicare. Ergo quum recipere non possent area plana tantam multitudinem ad habitandum in urbe, ad auxilium attitudinis aedificiorum res ipsa coegit devenire. Itaque pilis lapideis structuris testaceis, parietibus caementiciis altitudines extructae contignationibus crebis coaxatae cenaculorum ad summas utilitates perficiunt despectationes. Ergo moenibus e contignationibus variis alto spatio multiplicatis populus Romanus egregias habet sine inpeditione habitationes. >> <<Ma data la maestà dell’Urbe e la massa degli abitanti, c’è necessità di sviluppare molte abitazioni; e, poiché mancherebbero le aree per una sì grande estensione in piano della città, è giocoforza compensare coll’altezza degli edifici; e così, con pilastrate di pietra, con strutture di coccio e muri di calcestruzzo si tende in alto; e con spesse travature [contignationes] ben collegate insieme si sovrappongono, con somma utilità, e con bella vista, i piani superiori. Così le mura vengono moltiplicate e senza limiti in piani differenti, ed il popolo romano ha belle abitazioni in quantità. >> L’epoca imperiale Con l’istaurazione della dimora imperiale, il Palatino subisce una serie di trasformazioni. Infatti seguendo la tradizione repubblicana, anche Augusto scelse di avere la sua casa sul Palatino e non è una casa tanto diversa dalla “domus” dell’aristocrazia. La scelta di Augusto fu seguita dai suoi successori, che fecero costruire una serie di palazzi, trasformando, nel corso della prima età imperiale il Palatino in un unico grande complesso: la fastosa residenza imperiale che cominciò a essere designata con il nome stesso del colle divenne così il “Palazzo” per eccellenza (Palatium). Le dimore imperiali crescono sempre più, incorporando spazi ed edifici sacri ed allargandosi per permettere ai vari esponenti della “domus augusta” di avere la propria residenza separata. La casa repubblicana ad atrio era una casa per un’unità familiare. Adesso la residenza imperiale diventa il riflesso della “domus augusta”, per cui il suo modello si allontana da quello delle case ad atrio. Tuttavia, non vi è la costituzione di un complesso unitario. Si costruiscono la “domus Tiberiana”, la domus Transitoria di Nerone (poi distrutta nell’incendio). E’ con l’incendio del 64, che sono possibili radicali trasformazioni e vi è la definitiva scomparsa delle abitazioni repubblicane sul Palatino. La Domus Aurea neroniana, con la sua distribuzione ardita degli spazi, è il risultato di ciò. La “sala da pranzo rotante” di Nerone, di cui ci parla Svetonio, identificata da molti studiosi nella Sala ottagona, è probabilmente stata identificata in una poderosa struttura di cui sono stati ritrovati due piloni e degli incassi che con una piattaforma lignea dovevano permettere la rotazione. La domus Aurea è destinata a durare poco, inglobata in parte in altri edifici pubblici. Ma il grande costruttore del Palatino è Domiziano. Il Palazzo di Domiziano continuerà a conservare le caratteristiche delle grandi case della fine dell’età repubblicana, con una zona per ricevere un ampio pubblico. Il complesso del Palazzo di Domiziano comprende: -la Domus Flavia (il palazzo ufficiale) -la Domus Augustana/ Casa di Augusto (residenza imperiale) -il Circus Agonalis / Stadio di Domiziano (ippodromo) Tra gli interventi imperiali bisogna ricordare anche la sistemazione del Campo Marzio. Vi fu una “restituzione” al popolo di tutti gli edifici realizzati da Agrippa su suolo privato. Vi erano quindi grandi aree private che erano divenute dell’imperatore che le restituisce al popolo. Inoltre si assiste in ambito urbano alla crescita della proprietà imperiale gli splendidi Horti che erano appartenuti all’aristocrazia repubblicana appartengono ora all’imperatore, ad esempio, sul Pincio (Horti Luculliani, Horti Sallustiani etc…) o al di là del Tevere (Horti Caesaris). Domus e insulae Le insulae: sono grandi caseggiati d’abitazione a più piani, appartenenti ad un proprietario che affitta gli appartamenti. Sono di diverse dimensioni, alcune più piccole ed altre più grandi. Non per forza si trattava di abitazioni sordide, infatti doveva abitarci anche quella parte dell’elite che non trovava posto nelle domus. E’ vero che spesso si tratta di abitazioni precarie come ci testimoniano gli scrittori, che parlano di crolli, di rischi e di incendi etc… Dovevano esservi anche immigrati. Spesso sono le case dei più poveri a Roma. Un passo di Svetonio (nel “De vita Caesaris”, 41.3) fa riferimento ad una registrazione del censo vicatim per dominos insularum. Per mezzo dei proprietari delle “insulae”, attraverso delle professiones, si effettua il conteggio e quindi anche il controllo degli abitanti. Probabilmente anche in seguito, con la divisione di Augusto della città in 14 regioni, il ruolo dei proprietari deve essere stato fondamentale. Essi dovevano probabilmente fornire all’autorità un elenco dei propri affittuari. Da tale passo si può dedurre anche che vi è stata una ricognizione catastale, che ha permesso la definizione del numero e della localizzazione dei vari edifici. Tale ricognizione catastale è sicuramente provata da un documento come la “Forma Urbis” severiana, ovvero la pianta marmorea dell’età dei Severi, preceduta da un’altra di età vespasianea, poi distrutta da un incendio negli anni di Commodo. Questa Forma doveva basarsi su dei documenti d’archivio e forse proprio su una mappa catastale molto precisa. Inoltre, conferma che esistevano piante della città almeno a partire dal regno di Augusto. Essa era collocata presumibilmente nel Templum Pacis, ovvero il complesso costruito da Vespasiano e Tito dopo il trionfo giudaico. Di fronte alla pianta marmorea doveva esservi una “tabula picta” con una rappresentazione geografica almeno di una parte dell’ Italia, secondo l’area di competenza del prefetto urbano. L’archeologo Rodolfo Lanciani pubblica la Forma Urbis Romae (tra il 1893 ed il 1901), una pianta con tutti i resti noti di epoca romana fino al VI sec., composta da 46 tavole in scala 1:1000. Un altro documento molto importante, di epoca tardoantica (IV secolo), la cui funzione non è molto chiara, sono i “i Cataloghi regionari” che individuano regione per regione gli edifici più importanti (pubblici e privati), con una selezione che non comprendiamo, non capendone la finalità (vi sono degli edifici, ne mancano altri). Nell’opera il vicus è il nucleo su cui si costruisce l’espansione della città, pur nell’ambito delle 14 regioni augustee. Dopo i vici, sono elencati i vari edifici regione per regione: le case private, le insulae, le domus, gli horrea, i panifici, i pistrina, le strutture connesse con l’acqua, i lacus, i bagni, balinea, le latrine pubbliche, i lupanari etc… Le insulae elencate sono più di 40.000, un numero che sembra troppo elevato (alla base anche di calcoli troppo elevati della popolazione di Roma). Vi sono state discussioni a proposito di ciò e probabilmente bisogna intendere che “insula” sia un termine che si utilizza anche in ambito giuridico e definisce una porzione di edificio, non specificamente un edificio intero. Si tratterebbe quindi di una nozione catastale laddove i proprietari non erano proprietari di singoli appartamenti (per esempio di un solo piano). Secondo il diritto romano, chi era proprietario del suolo lo era anche di tutto ciò che veniva costruito sopra (principio secondo cui “superficies solo cedit”: “la superficie cede il suolo”). Per cui il numero complessivo di insulae nei Cataloghi avrà indicato il numero delle unità catastali presenti a Roma nel IV secolo, quando il documento è stato redatto. E’ probabile anche che insula non indichi un edificio privato, ma anche pubblico. A Roma sono sopravvissuti alcuni esempi di insulae: un caso esemplare è l’insula alle pendici del Campidoglio, che si è conservata grazie alla continuità d’abitazione (abitata ininterrottamente dal II secolo d.c; fino alla costruzione del Vittoriano alla fine del XIX secolo). Quest’insula conservata viene oggi chiamata “insula dell’Ara Coeli”, perché situata sotto la Basilica di Santa Maria in AraCoeli. Originariamente di 5 piani (già nel II d.c), vi si può scorgere la struttura tipica dell’insula con le “tabernae”, un mezzanino (ovvero un primo piano pertinente alle tabernae) e poi i piani elevati in cui si trovavano i “caenacula” dei vari appartamenti. Un blocco di insulae è ancora visitabile nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo sul Celio, lungo il pendio del “clivus Scauri”. Inoltre, lungo la via Lata (via del Corso), esistevano una serie di quartieri di insulae, la cui ricostruzione è stata più agevole, grazie ai confronti con i caseggiati d’abitazione di Ostia, dove il sito, abbandonato nel V secolo, si è conservato quasi intatto. Dalle domus alle insulae Nella prima età imperiale vi è un ampliamento degli spazi pubblici, la costruzione dei Fori, delle residenze imperiali, dei templi per il culto imperiale etc… Ma vi è anche una trasformazione del tessuto urbano che riguarda le case d’abitazione. Le domus sono sostituite progressivamente dalle insulae (vi sono casi in cui le case mantengono la loro struttura di domus, ma sono trasformate gradualmente in insula). Ciò traduce un bisogno di spazio per edificare nuove abitazioni. Vi è una pressione della popolazione di Roma che è alquanto consistente. Va letto in questo senso anche l’ampliamento della città al di là del circuito delle mura cittadine. Marziale, Epigrammata, I. 117: << Ogni volta che ci incontriamo, Luperco, immediatamente mi dici:” vuoi che mandi il mio servo, in modo che tu possa dargli il tuo libretto di epigrammi, che prontamente ti restituirò dopo averlo letto?” Non c’è motivo, Luperco, di affliggere il tuo servo. E’ lontano, se vuol venire al Pero, ed abito al terzo piano, ma gli scalini son di quelli alti. (…) >> Marziale, Epigrammata, I.86: <<Novio è il mio vicino e dalle mie finestre con la mano si può toccare. Chi non mi invidia e non ritiene ch’io sia beato ad ogni istante, potendo godere d’un tanto intimo compagno? >> L’urbanistica del tardoimpero Nel IV secolo assistiamo ad un processo inverso in quanto vi sarà una progressiva trasformazione delle insulae in domus, segno questo che la popolazione comincia a diminuire. Si investe nelle domus private, di cui le tracce visibili mostrano la ricchezza. A caratterizzare le abitazioni di questo periodo sono l’aula absidata, i rivestimenti in marmo ed il riutilizzo di edifici precedenti. Vi sono grandi spazi per sottolineare l’importanza del ricevimento, segno distintivo di questo periodo. Un esempio è la splendida aula absidata di Giunio Basso (console del 331) sull’Esquilino, di cui oggi abbiamo soltanto i pannelli in “opus sectile” che la decoravano. Nel 1930 gli ultimi resti dell’edificio (già trasformato nella chiesa di Sant’Andrea Catabarbara nel V secolo) furono definitivamente demoliti. I luoghi ed i momenti della socializzazione Abbiamo già detto che a Roma non si rileva mai una separazione tra i luoghi della vita politica ed i luoghi della vita sociale. Non vi è nemmeno una netta specializzazione di funzioni fino ad un’età piuttosto avanzata. Un esempio sono i luoghi di spettacolo. Si tratta di luoghi che sono legati agli spazi riservati al culto. Lo spettacolo stesso, come in Grecia, è in funzione del culto. Legati al culto sono anche gli uffici amministrativi di diversi funzionari (per esempio gli uffici che ospitano gli archivi). Ad esempio, l’ AERARIUM prende il nome di A. SATURNI, perché era custodito nel Tempio di Saturno. Il Foro e i vici Il foro è il luogo di incontro per eccellenza, in cui si svolgono una serie di attività politiche, giudiziarie, commerciali e mercantili. Mano a mano vengono espulse dal Foro le attività mercantili, che permangono nelle piazze di mercato rivolte verso il Tevere come il Foro Olitorio ed il Foro Boario. Proprio nel Foro si incontrano tutti i tipi umani presenti in una città, come si legge in un noto passo di Plauto. Plauto, Curculio, 470ss (TRAD. F.Coarelli, Roma imperiale, 2000, pp.231-32): dimostra che i capi di accusa per cui viene giudicato a processo Pisone sono due: lesa maestà ed il suo negativo governo di Siria tra il 17 ed il 19 d.c. Pisone viene condannato ma si suicida prima di attendere il responso. Da un lato si pensa che dietro di suicidio di Pisone ci sia stato Seiano, ovvero il prefetto al pretorio e consigliere personale di Tiberio; dall’altro si nega alla famiglia di Pisone di manifestare pubblicamente i segni del lutto. Con il processo di Pisone inizia un periodo particolare costellato da una serie di processi per lesa maestà contro chi osava semplicemente contrapporsi all’imperatore o alla domus augusta, di cui è ispiratore ed autore Seiano. A partire dal 19 d.c il numero delle centurie aumenta (perché ne vengono istituire ulteriori 5 in onore di Germanico) e nel 23 d.C. ne vengono aggiunge ulteriori in onore di Druso minore, figlio di Tiberio. Tiberio sembrerebbe credere che la morte del figlio sia avvenuta perché portava avanti una vita particolarmente sfrenata, ma sempre più nella casa imperiale si insinuerà il sospetto che esecutore della morte (forse per avvelenamento di Druso) sia imputabile sempre a Seiano. Tra l’altro Tiberio, addolorato dalla morte del figlio, proprio su consiglio di Seiano decide di allontanarsi da Roma e se ne va in Campania. Dal 27 d.c, l’imperatore di instaura a Capri dove ancora oggi c’è la villa di Tiberio, senza mai più fare ritorno a Roma, fino alla sua morte nel 37 d.c. Ci vuole tempo a Tiberio per realizzare che forse Seiano non è la persona adatta a mantenere il potere in sua vece. Tiberio ovviamente, pur stando lontano da Roma, continua ad avere poteri magistratuali e nel 31 d.c diviene addirittura console insieme a Seiano. E’ proprio nel corso di quest’anno che i membri femminili della casa imperiale mettono a Tiberio la pulce nell’orecchio, mostrandogli la pericolosità di Seiano, informandolo del fatto che stesse mettendo a repentaglio la vita di altri membri della casa imperiale, attentando alla loro vita. Tiberio a questo punto decide di far uccidere Seiano, diventato ormai un personaggio troppo scomodo. Quando si va ad analizzare il regno di Tiberio appare evidente che sia caratterizzato da due momenti: -un primo, in cui Tiberio si mostra molto ben disposto nei confronti del senato al punto da sembrare incline addirittura a voler lasciare il potere ai senatori. In questo primo quindicennio di regno, tra il 14 ed il 30 d.c, riesce a realizzare quel progetto augusteo della “concordia ordinum”. -un secondo, dopo l’uccisione di Seiano nel 31 a.c fino alla sua stessa morte nel 37 a.c. Questo periodo viene considerato dalla critica come un fallimento completo della politica di “concordia ordinum” in quanto non essendoci più Tiberio a Roma ed essendo morto anche Seiano che spadroneggiasse, il senato riacquista un potere enorme. La crisi del credito Malgrado la testimonianza poco nobilitante di Tacito che ci descrive Tiberio come un autarca, oggi si tende a rivalutare la figura del secondo imperatore di Roma. Ad oggi appare che, in realtà, Tiberio sia stato un amministratore abbastanza accorto. Una questione, che è importante ricordare, in relazione a Tiberio è la cosiddetta “crisi del credito”. E’ un frangente economico in cui il buon governo di Tiberio si evidenzia. Nel 33 d.c, c’è un momento di stallo economico (crisi del credito) che è stata spesso paragonata ad un frangente di crisi economica moderna, ovvero la crisi del 1929 degli Stati Uniti ed, in tempi ancora più recenti, è stata paragonata alla crisi del 2009 (dove l’allora presidente della Banca Centrale Europea, Jean Paul Trichet, tenne un’orazione in cui citò la maniera in cui Tiberio intervenne in un momento di stallo economico, come esempio da seguire). Nel 33 d.c, a Roma, i piccoli proprietari si erano indebitati sempre di più ed avevano chiesto sempre più prestiti ai grandi latifondisti (prevalentemente senatori). Noi sappiamo che per il “plebiscito Claudio” i senatori avessero il divieto di fare prestiti ad usura, ma che sempre fossero riusciti ad aggirare questa norma servendosi di prestanome. Ora proprio perché la tensione era salita alle stelle a causa di questo forte indebitamento di gran parte della popolazione, il senato interviene e da un lato stabilisce che bisogna ridurre il limite degli interessi richiesti e dall’altro lato impone ai proprietari di investire due terzi del capitale in terreni in Italia. Dovendo rispettare la legge, i senatori ritirano i capitali prestati e comprano nuove terre in Italia come stabilisce il decreto. Chiaramente questo provvedimento non funziona comunque perché i piccoli proprietari si vedono strozzati, devono restituire in fretta e furia questi capitali ai grandi latifondisti e si vedono costretti a mettere in vendita le loro proprietà a prezzi molto bassi. (perché quando la domanda è inferiore all’offerta, i prezzi crollano e c’è una grossa svendita di massa). Questo provoca il crollo del valore dei prezzi di questi terreni ed al tempo stesso l’impossibilità, per i piccoli proprietari terrieri, di saldare i propri debiti. A questo punto interviene l’imperatore in maniera molto prudente, come hanno messo in evidenza anche gli studiosi di economia antica. Tiberio infatti non decide semplicemente di cercare una soluzione a breve termine al problema, ma si dimostra essere più lungimirante: mette a disposizione, di tasca propria, 100 milioni di sesterzi alle banche perché potessero fare prestiti triennali, ma senza interessi (quelli che noi oggi chiamiamo “mutui agevolati”) ai piccoli proprietari terrieri per chiedere in cambio una cauzione al doppio del valore del terreno. Quindi chi è piccolo proprietario non è più costretto a vendere in tutta fretta a prezzi bassissimi la sua terra, ma dà in garanzia alla banca il proprio campo e può ottenere in denaro il valore della metà di quello che vale il proprio campo, in questo mondo era possibile rifondere i latifondisti che avevano prestato loro il denaro che a loro volta potevano ricominciare ad investire in nuove terre e così la macchina economica si rimette in moto. Da un punto di vista economico questo intervento risolleva la situazione ma, è stato notato dagli studiosi, che non fa che acuire le divergenze sempre maggiori tra i grandi ed i piccoli proprietari terrieri. Politica estera Questa prudenza di Tiberio emerge anche nella sua politica estera. Riprende il concetto, sostenuto da Augusto, di “consilium coercentis intra terminos imperii” = decisione di rafforzare i territori già contenuti tra i confini dell’impero piuttosto che andarne a conquistare di nuovi. Tiberio annette all’impero quei territori in parte già conquistati da Augusto (non abbiamo, nella maggior parte dei casi, datazioni precise riguardo queste annessioni.): la Pannonia, la Mesia e la Cappadocia. La morte di Tiberio Tiberio muore in circostanze un po’ strane: aveva deciso di recarsi a Roma, ormai anziano (aveva 67, quasi 68 anni). Durante il viaggio fa una sosta presso la fastosa villa di Lucullo (tra la Campania ed il Lazio) ed ad un certo punto si sente male e muore. Morirebbe quindi di morte naturale, secondo Svetonio, che a sua volta si rifà alla testimonianza di Seneca di cui non abbiamo documentazione diretta. Invece Tacito aggiunge un elemento al racconto dicendo che, dopo il malore, Tiberio sarebbe stato costretto a lungo a letto praticamente in stato catatonico. Quando poi venne avviata la successione al trono di Caligola (pronipote di Tiberio, figlio di Germanico), secondo Tacito, Tiberio si sarebbe svegliato dal suo stato comatoso. Pertanto poi, secondo il racconto tacitiano, il prefetto al pretorio avrebbe deciso di affogare con un cuscino Tiberio onde evitare problemi dinastici. Caligola Caligola rimane al potere solamente 4 anni. Secondo diverse testimonianze, in questo periodo di tempo così breve, sarebbe stato capace di dilapidare le casse dello Stato. Il nome vero è Gaio Giulio Cesare, detto Caligola (piccola caliga) in quanto la caliga era questa calzatura militare che l’imperatore, fin da bambino, prediligeva portare. Caligola viene dipinto dalle fonti in maniera molto negativa, come un vero e proprio pazzo soprattutto per questo suo atteggiamento orientale volto alla celebrazione del culto dell’imperatore vivente (a Roma era infatti concesso solo il culto dell’imperatore una volta morto e divinizzato). Secondo le testimonianze di Tacito e Svetonio, sappiamo che avesse la tendenza ad indentificarsi come la reincarnazione di una serie di divinità e che avesse l’abitudine di far cambiare il volto delle statue degli dei con la rappresentazione del suo. Non abbiamo molte informazioni riguardo l’attività politica di Caligola perché tutta la critica negativa nei suoi confronti ne ha oscurato le azioni positive. Probabilmente viene ucciso da una congiura di palazzo da un pretoriano. Appare evidente che la figura della guardia pretoria, già con Seiano e poi successivamente con le guardie personali degli altri imperatori, assuma sempre più potere e diventi un personaggio decisivo per le sorti dell’impero. Svetonio, “vita di Caligola” : <<Fin qui abbiamo parlato del principe, ora non ci resta che parlare del mostro. Non contento di aver preso moltissimi soprannomi (infatti lo si chiamava “Pio” ovvero figlio dell’accampamento, padre degli eserciti ed il migliore ed il più grande dei Cesari), quando un giorno sentì che alcuni re vennero a Roma per rendergli omaggio, discutere a tavola sulla nobiltà delle sue origini gridò:” Ci sia un solo capo, un solo re” e poco mancò che prendesse subito la corona e sostituisse con il reame la funzione del principato. Dal momento in cui gli fecero capire che egli si era posto al di sopra dei re e dei principi, si arrogò la maestà degli dei. Dato l’incarico di andare a cercare in Grecia le statue più venerate e più belle di tutti gli dei, tra le quali quella di Giove Olimpico per sostituire la loro testa con la sua, fece prolungare fino al Foro un’ala del Palatino e trasformato il vestibolo del Tempio di Castore e Polluce, se ne stava spesso in mezzo agli dei suoi fratelli e mescolato con loro si offriva all’adorazione dei visitatori. Alcuni arrivarono a salutarlo con il nome di Giove Laziale e dedicò anche alla sua divinità un tempio speciale, un collegio di sacerdoti e vittime rarissime*. In questo tempio si ergeva la sua statua d’oro, in grandezza naturale, che ogni giorno veniva rivestita con l’abito uguale a quello che lui stesso indossava. La dignità del sacerdozio veniva ottenuta, di volta in volta, a forza di brogli e di offerte sempre più elevate dai cittadini più ricchi.>> *soprattutto uccelli pregiati e lussuosi che ci riportano a quello che leggevamo in Vitruvio a proposito del commercio consentito delle specie animali più rare. “Le vittime erano fenicotteri, pavoni, galli, polli di Numidia, galline faraone, fagiani ed ogni giorno nel sacrificio si cambiava l specie” Claudio Alla morte di Caligola viene nominato imperatore Claudio, dai pretoriani. E’ fratello di Germanico, figlio di Druso maggiore (fratello di Tiberio). Claudio era considerato, per il tempo, già abbastanza attempato in quanto ha 51 anni quando sale al potere ed è anche zoppo. E’ un grande studioso di etruscologia (sembra che ne avesse studiato l’alfabeto ed avesse proposto delle riforme perché anche quello latino si adattasse all’etrusco) e non ha mai avuto particolare ambizione a governare. Forse proprio perché scarsamente interessato al potere, nelle Domus Augusta viene considerato uno sciocco (perché costantemente con la testa fra le nuvole). Le fonti (in particolare Svetonio) ci spiegano come Claudio si sia ritrovato inaspettatamente imperatore. Svetonio, “vita di Claudio”: << In mezzo a vicissitudini di questo genere ed ad altre simili, passò la maggior parte della sua vita finchè a cinquant’anni divenne imperatore; sia pure per un caso straordinario. Respinto insieme a tutti gli altri dagli aggressori di Caligola, che avevano allontanato la folla con il pretesto che l’imperatore volesse restare solo, egli si ritirò in una stanza chiamata “ermeo”. Poco dopo, spaventato dalla notizia dell’assassinio, si trascinò sulla vicina terrazza e si nascose dietro le tende tirate davanti alla porta. Un soldato, che correva da tutte le parti, aveva scorto per caso i piedi e, curioso di sapere chi ci potesse essere, lo stanò dal suo nascondiglio e lo riconobbe. Mentre Claudio, atterrito gli si gettava ai piedi, (il soldato) lo salutò come imperatore. Poi lo L’apoteosi di questo giudizio negativo che l’elitè aveva di Claudio è proprio rappresentato dall’ “Apokolokiuntosis” di Seneca [testo del dialogo tra Mercurio e la Parca Cloto, nell’antologia nelle fonti]: <<Claudio cominciò a condurre fuori la sua anima ma non riusciva a trovare l’uscita. Allora Mercurio, che si era sempre compiaciuto dell’intelletto di quello, prende in disparte una delle Parche e disse: ”Perché, donna crudelissima, permetti che si tormenti tale uomo? Non si riposerà mai, dopo essere stato così a lungo torturato? Sono 64 anni che lotta con la sua anima. Perché sei ostile a lui ed allo Stato? Lascia che, per una volta, abbiano ragione gli astrologi che, da quando è principe, ogni anno ed ogni mese gli rendono gli onori funebri e tuttavia non meraviglia il fatto che si sbagliano e che nessuno conosca la sua ultima ora, dato che nessuno lo ha mai considerato nato. Fa quello che bisogna fare, dagli la morte e lascia che uno migliore regni nella reggia liberata della sua presenza!”. Ma Cloto rispose:”Per Ercole” disse “avrei voluto accordargli ancora un po’ di tempo da vivere almeno finchè non avesse concesso la cittadinanza a quei pochi che sono rimasti. Infatti si era posto come obiettivo di vedere togati tutti i Greci, i Galli, gli Spagnoli ed i Britannici; ma poiché hai deciso che qualche straniero rimanga come semenza e tu così ordini, così sia!” Politica estera Claudio introduce le “proculatele” delle province ovvero le province procuratorie. Ciò significa che si crea un legame più stretto tra certe province più difficoltose da gestire e l’imperatore, tramite il governo di procuratori di rango equestre. Ad esempio, questo è il caso della provincia di Tracia. Diventa provincia imperiale (ma non procuratoria) la Britannia. Diventa provincia procuratoria il Norico (Austria ed Insubria), la Mauretania, la Giudea, la Licia e la Panfilia (unite in un’unica provincia). Ad oggi è stato totalmente rivalutato l’operato di Claudio, che appare alquanto accorto e positivo per l’impero. Sappiamo che però tra i suoi contemporanei non godette di grandissima stima. Sarebbe passato alla storia come un uomo debole, anziano e dominato dalle donne della sua vita. Innanzitutto da Messalina che apparteneva ad una famiglia molto importante dell’elite, imparentata con i Giulio-Claudi e che le fonti descrivono in maniera molto negativa. Tacito ci dice che addirittura Messalina aveva rapporti incestuosi con i fratelli e che fosse dedita a rapporti adulterini; fino a spingere il marito a farla uccidere. Successivamente Claudio sposa la nipote Agrippina, figlia di Germanico e sorella di Caligola. Agrippina aveva già avuto un figlio da un precedente matrimonio con Gaio Domizio Enobarbo, ovvero Lucio Domizio Enobarbo (Nerone). A Nerone verrà data in sposa, giovanissimo, la figlia di Claudio e Messalina ovvero Ottavia; per saldare maggiormente i rapporti familiari. Secondo Svetonio, sarebbe stata proprio Agrippina ad avvelenare Claudio per far salire al trono il figlio. Sembrerebbe avvalorare questa ipotesi la fretta che mostra Agrippina nel far divinizzare Claudio (Tiberio non venne divinizzato perché inviso al senato e Caligola venne sottoposto addirittura a “damnatio memoriae”). La moglie gli avrebbe fatto costruire un maestoso tempio che oggi è ancora visibile in parte sul Celio. Il tempio viene parzialmente distrutto dall’incendio di Roma, sotto Nerone, del 64 d.c e viene poi ristrutturato in parte sotto Vespasiano. Restano oggi pochi blocchi del podio del tempio, incastonati nella facciata della magnifica Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Nerone Convenzionalmente il regno di Nerone viene diviso in due periodi, secondo la divisione fatta da Aurelio Vittore, autore tardo di IV secolo d.c: -Il periodo dei primi 5 anni, definito “quinquennio felice”; in cui effettivamente il giovane Nerone ascolta a pieno gli insegnamenti del suo maestro Seneca ed i consigli del prefetto al pretorio Afranio Burro e quelli della madre Agrippina. -Un secondo momento che porterà Nerone alla sua stessa disfatta: ripudia la moglie Ottavia, sposa Poppea, fa uccidere la madre, Afranio Burro e Seneca. In questo periodo Nerone si trasforma in maniera quasi repentina in quel mostro che la tradizione ci ha trasmesso. Il quinquennio aureo Aurelio Vittore ci dà testimonianza del fatto che Traiano, quello che verrà considerato l’ “optimus princeps” per eccellenza, cercò di emulare il primo quinquennio di governo di Nerone in quanto lo considerò il miglior periodo di cui avesse goduto la storia di Roma. Aurelio Vittore, Vite dei Cesari: << In tal modo Lucio Domizio (Enobarbo), infatti questo era certamente il nome di Nerone dal padre Gaio Domizio, divenne imperatore. Ed egli avendo governato l’impero da molto giovane per un numero di anni pari al suo patrigno, tuttavia nei primi cinque anni fu tanto grande soprattutto nell’accrescere la città; che giustamente Traiano molto spesso dichiarava che tutti i principi molto differivano dal “quinquennium Neronis”>> Interventi di Nerone Probabilmente in seguito all’incendio del 64 d.c, Nerone interviene con una riforma monetaria. Nerone interviene sul peso della moneta e diminuisce sia quello dell’ “aureus” (1/40 di libbra sotto Augusto e che diventa 1/45 di libbra sotto Nerone. Questo significa che se prima con una libbra si coniavano 40 aurei, adesso se ne coniano 45) e da un “denarius” di 1/84 di libbra si passa ad un denarius di 1/96 di libbra. Ovviamente lo Stato emettendo monete con un peso diminuito, ci guadagna. Questo lo possiamo capire se pensiamo a come funzionava la moneta romana. Noi abbiamo la carta-moneta (dotata di un valore nominale stabilito dalla Banca Centrale) e quindi questo meccanismo non sarebbe applicabile. La moneta romana era invece metallica e quindi costituita da metalli preziosi. Quindi sebbene ci sia sempre un valore intrinseco della moneta (ovvero dato dal metallo in sé per sé) ma c’è anche un valore nominale (cioè imposto dall’autorità). Riducendo il valore intrinseco della moneta, lo stato può coniare con lo stesso quantitativo di metallo più monete. Ma soprattutto questo va a favorire la circolazione monetaria e questo va a favorire la piccola e media borghesia, che sono anche le classi più attive commercialmente. Soprattutto aumenta di gran lunga la circolazione monetaria perché questo provvedimento inaugura un processo che, oggi, in economia è chiamato “legge di Gresham”: la moneta buona scaccia la cattiva. E' chiaro che chi si trovava ad avere degli “aurei” e dei “denari” del periodo precedente di Nerone e quindi più pesanti (perché contenevano più metallo) le tesaurizzano e spendono la moneta cattiva. (ovvero si conservano la più pesanti e spendono le nuove). Tutte queste dinamiche danno un nuovo lustro al “denarius” che è la moneta propria delle transazioni commerciali, che aumentano esponenzialmente. Questo ci dimostra che Nerone fa anche una serie di buone riforme. Ma le fonti malevole ci dicono che Nerone avesse fatto questa riforma semplicemente per guadagnarci dopo l’incendio del 64 d.c, che distrugge i quartieri centrali di Roma e per avere i fondi per ricostruire la Domus Aurea. Secondo le stesse fonti sarebbe stato Nerone stesso ad appiccare l’incendio, utilizzando i cristiani come capri espiatori. La congiura di Pisone Ordita nel 65 d.c contro Nerone. La congiura si stringe intorno alla personalità di Gaio Calpurnio Pisone e vi prendono parte letterati, senatori e tutta una serie di esponenti della società. Laddove però la congiura viene smascherata prima del tempo e molti personaggi famosi rimasero vittima della vendetta di Nerone. Tacito, il racconto della vicenda di Epicari [cerca sull’antologia delle fonti]. La politica estera di Nerone Nerone è alquanto ben voluto da alcuni re stranieri. Intesse importanti rapporti diplomatici con l’Armenia tant’è che Tiridate quando riceve l’investitura di re dai Parti dice di aver ricevuto l’investitura direttamente da Roma (e quindi da Nerone), in quanto accetta la sovranità romana. La morte di Nerone Nerone viene dichiarato “hostis publicus” perché vi era stata la sollevazione delle legioni della Gallia Lugdunense, capeggiate da Giulio Vindice che sostiene Galba. Infatti il senato aveva nominato un nuovo principe da contrapporre a Nerone, che viene dichiarato nemico pubblico. Nerone, volendo evitare di cadere in mano nemica, si uccide prima che lo prendano. 03/05/21 Il longus et unus annus di cui parla Tacito è il 68 d.C. I pretoriani eleggono come imperatore sostenuto dal senato Servio Sulpicio Galba, ma alcuni dei pretoriani, che avevano sostenuto Galba, dopo qualche tempo, sostengono Otone. Le legioni del Reno invece approfittano della crisi per iniziare a prendere il potere scegliendo Gaio Vitellio come nuovo imperatore. Il periodo è molto complesso, come spiega Tacito (T38 p.171 GM). Si scatena una vera e propria guerra civile nel contesto del 68-69. I tre imperatori erano valente generale che comandava le truppe di stanza in Germania: Marco Ulpio Traiano. Lo adottò e fu console insieme a lui nel 98, ma morì dopo soli tre mesi. Traiano gli fece tributare un funerale solenne e le sue ceneri saranno sepolte nel mausoleo di Augusto. Il principio dell’adozione e della libertà è un aspetto fondamentale per Tacito, che sottolinea la grandezza e la bellezza della libertà nell’Agricola (T55 p.178 GM). 04/05/21 Traiano (98-117 d.C.) Traiano succede a Nerva nel 98 ed è il primo imperatore provinciale, in quanto originario della Spagna. Plinio il Giovane scrisse un panegirico a lui dedicato e pronunciato il 2 settembre del 100 d.C. in occasione della sua elezione a consul suffectus (T41 p.171 GM). Traiano riprende la politica di espansione per finalità economiche. Fu protagonista di due spedizioni contro la Dacia di Decebalo (101-102; 105-107), che viene assoggettata e diventa provincia romana. La zona della Transilvania, in Dacia, è ricchissima di miniere d’oro e d’argento. La Dacia è nell’attuale Romania ed era ricchissima, anche di diverse popolazioni. Le varie imprese di Traiano furono ritratte nella cosiddetta “colonna Traiana”, colonna coclide, a chiocciola, inaugurata nel 113, posta nel Foro di Traiano, dietro la Basilica Ulpia, a lui dedicata. La conquista della Dacia risolve il problema delle emissioni monetarie e dà stabilità al sistema monetario, basato proprio sul rapporto oro-argento. Traiano fu un grande costruttore e si caratterizza per la grandezza delle opere pubbliche. Tra l’altro ricordiamo le grandi costruzioni del Foro di Traiano, con la colonna, la Basilica Ulpia, le due biblioteche; i Mercati di Traiano, adiacenti al foro; fa ristrutturare e ampliare il porto di Ostia, costruito sotto Claudio. Fa costruire la cosiddetta via Traiana che passa per Benevento e Ignazia, arrivando a Brindisi, come la via Appia. E proprio a Benevento si trovava un arco che celebrava Traiano. Sul colle Oppio a Roma, poi, sorgevano le terme di Traiano, delle quali abbiamo ancora troppo poco archeologicamente. Ma fondamentale a questo punto è l’aiuto dato dall’architetto fidato di Traiano, Apollodoro di Damasco, che avrebbe realizzato la maggior parte di queste opere. I mercati in particolare vengono individuati più come degli uffici. A Traiano si deve l’istituzione degli alimenta, studiata come una sorta di welfare-state, cioè di programma assistenziale dello stato per famiglie dell’Italia, e si trattava della distribuzione di assegni familiari ai figli della borghesia decaduta. Il fine era far studiare e formare i figli delle famiglie in difficoltà fino all’età adulta. Il sistema funziona secondo un sistema di prestiti che l’imperatore concedeva ai piccoli proprietari terrieri: costoro hanno bisogno di fondi per incrementare la produzione e possono chiedere un prestito a fondo perduto, sul quale coloro che l’hanno ricevuto pagano solo un interesse del 5%, e questi interessi formavano la struttura del fondo degli alimenta. Vengono giovate due situazioni: l’agricoltura da un lato, e le famiglie indigenti dall’altro. La misura imponeva però l’investimento agricolo di almeno 1/3 del prestito. Per capire le istituzioni alimentarie di Traiano, troviamo la tabula alimentaria Traianea di Veleia, un’iscrizione bronzea ritrovata a Veleia, presso Piacenza, nel 1747 e custodita oggi al Museo Archeologico Nazionale di Parma. Nelle tavole si indicano tante informazioni, come il nome della persona che prende il prestito, il numero di familiari, il capitale investito, ecc. Il testo è in sette colonne e presenta due serie di obbligazioni: una serie di cinque obbligazioni (risalenti al 101) con 72.000 sesterzi; e una seconda serie di 46 obbligazioni (106-114) per 1.044.000 sesterzi. Le rendite, calcolate con l’interesse del 5%, venivano distribuiti in natura o in denaro a 34 ragazze e 245 ragazzi. E Plinio, descrivendo la grandezza e la generosità di Traiano, parla anche del sistema degli alimenti (T40 pp.231-232 RB). L’espansionismo di Traiano mira a Oriente. Nel 106 l’Arabia Petrea diventa provincia, insieme all’Armenia nel 114. Le mire di Traiano tendono però al regno dei Parti. Nel 116 Traiano conquista la Mesopotamia nella cosiddetta presa di Ctesifonte, e anche l’Assiria, ma su questa non sappiamo se esista una vera e propria provincia di Assiria. Traiano muore nel 117 a Selinunte di Cilicia, mentre si apprestava a invadere la Partia e alla sua morte l’impero assume un’espansione suggestiva e grandissima: è la massima espansione dell’Impero Romano, che lascia come unico regno cliente il regno del Bosforo. Traiano, sul punto di morire, nomina come successore un suo cugino lontano, Publio Elio Adriano, anche su consiglio della moglie di Traiano, Plotina. A Traiano divinizzato e a sua moglie Plotina, morta nel 124, viene dedicato nel foro il cosiddetto Tempio di Traiano. Adriano (117-138 d.C.) Adriano sale al potere nel 117 e inaugura la cosiddetta pace romana, in quanto la sua fu una politica molto difensiva. Originario della Spagna, legato di Siria, arresta la politica espansionistica di Roma, soprattutto per una serie di sommosse scoppiate nei vari territori. Ciò causa una serie di scontri con il senato: Cassio Dione racconta di una cospirazione di 4 senatori consulares, che vengono condannati e fatti uccidere, anche se Adriano afferma di non aver mai voluto scontrarsi con loro. Adriano abbandona la politica espansionistica e consolida i territori conquistati con una serie di provvedimenti murari, il più famoso dei quali fu il cosiddetto vallum Hadriani, il vallo di Adriano, nel territorio tra Scozia e Inghilterra, che serviva a impedire le incursioni dei Caledoni, appartenenti alla popolazione dei Pitti. Fu un periodo definito “umanistico”, in cui Adriano ama molto viaggiare, specialmente in Grecia (ad Atene sarà nominato arconte), recandosi anche in Egitto, Gallia, Spagna, Britannia e Mauritania. Mentre, quindi, con Traiano si aveva a cuore le sorti dell’Italia, con Adriano troviamo un interesse verso le province e le economie locali. Le misure economiche prese da Adriano furono molto importanti: a favore delle colture in Africa, attua la lex de rudibus agris, una serie di condizioni favorevoli per chi voglia mettere a coltura terre incolte dei latifondi imperiali in Africa, ottenendo una possessio perpetua. Regolò poi il commercio dell’olio ad Atene, vietandone l’esportazione illimitata e prescrivendo che esso si vendesse nella città stessa. La norma voleva così favorire le classi più umili. Troviamo poi la lex metalli Vipascensis regolava l’estrazione delle miniere imperiali di rame e di argento di Vipasca (attuale Aljustrel, Portogallo). Il fisco dava in appalto le miniere, non le sfruttava. Un esempio di iscrizione relativa alla produzione dell’olio ad Atene è il CIL VIII, 25943, col.III (T39 p.231 RB). Adriano divide l’Italia in 4 distretti giudiziari, ognuno con a capo un consularis, incaricato di amministrare la giustizia. La misura viene abolita da Antonino Pio, ma ripresa da Marco Aurelio e i 4 funzionari si chiameranno iuridici (T58, T59, p.178 GM). Sempre con Adriano assistiamo a una riforma dell’amministrazione della giustizia, affidando al giurista Salvio Giuliano la revisione e la pubblicazione dell’editto dei pretori. Esso raccoglieva le norme a cui i pretori si uniformavano nell’esercizio delle loro funzioni giurisdizionali (T57 p.178 GM). Adriano effettuò anche una razionalizzazione dell’amministrazione dell’impero con l’organizzazione della carriera burocratica dei procuratori, con una struttura piramidale fondata sui salari dei funzionari; sostituì poi i liberti dando importanza a nuovi funzionari equestri. Preposti a diverse sezioni, si dedicavano al settore delle finanze, della giustizia, del patrimonio, della contabilità. Si crea un vero e proprio cursus, con gradi e sistematico avanzamento della carriera (T56 p.178 GM). La figura del procurator a rationibus è ben descritta da Stazio, in epoca domizianea (T54 pp.177-178 GM). Con Adriano una quota di spesa pubblica viene dedicata ai monumenti: il Pantheon viene infatti ristrutturato, assumendo la forma con cui lo conosciamo oggi. Il Tempio di Venere Roma sorge di fronte il Colosseo, accanto alla statua del colosso di Nerone. Ma con Adriano si pone un problema: sotto il suo principato si ha una grandissima sommossa degli Ebrei (132-135), capeggiati da Simon Bar-Kochba, domata solo dopo una lunga guerra. Il giudaismo subisce un duro colpo: Gerusalemme viene rasa al suolo e diventa una colonia romana, con il nome di Aelia Capitolina, a cui gli Ebrei non potranno avvicinarsi. Riguardo al cristianesimo, Adriano, seppur molto tollerante e moderato, condanna alcuni tra i cristiani più intransigenti. Questo perché il problema non è la religione in sé, ma il mancato rispetto dell’ordine pubblico. L’impero è in questo periodo un impero bilingue, si parla cioè greco e latino. Gli imperatori mostrano interesse per la filosofia e per la grecità. Adriano fonderà in Oriente nuove città: Adrianopoli in Tracia, Antinoopoli in Egitto, e altre (motivo del ktistes, cioè in greco del fondatore). La sintesi di questo filellenismo emerge nella costruzione della Villa Adriana a Tivoli, una villa di 120 ettari di estensione che ha tutte le caratteristiche tipiche di questo filellenismo. Adriano muore nel 138 a Baia a 62 anni per un edema polmonare. Il suo monumento funebre doveva ispirarsi al mausoleo di Augusto e fu fatto iniziare da Adriano nel 125, ma terminò solo nel 139. Il mausoleo di Adriano costituisce la base della costruzione di Castel Sant’Angelo (già nel V secolo diventa una fortezza, con Onorio, utilizzata come prigione da Teodorico, e poi come rifugio papale. Nel VI secolo Gregorio Magno avrebbe visto apparire un angelo che avrebbe annunciato la fine di una pestilenza a Roma: da qui il nome di Castel Sant’Angelo). Adriano si garantisce la successione con un espediente: non avendo figli, adotta un senatore, Tito Aurelio Fulvio Boionio Arrio Antonino, conosciuto come Tito Aurelio Antonino. Adriano stabilì che Antonino nominasse come erede l’ex console Lucio Elio Cesare, morto prematuramente. Vennero designati come successori quindi Lucio Elio Commodo (Lucio Vero, 23 anni) e Marco Aurelio Vero, troppo giovane, 17enne. -Pescennio Nigro è sostenuto dalle legioni in Siria Settimio Severo (193-211 d.C.) Fu settimio severo a distruggere i rivali. Organizzò una campagna contro i Parti (194-195 d.C.) e una seconda in Mesopotamia che terminò con la presa di Ctesifonte (197-198), entrambe con esito fortunato. La Mesopotamia settentrionale divenne provincia con a capo un praefectus mesopotamiae di rango equestre (come l’Egitto). Ottenne il titolo di parthicus maximus nel 198, già precedentemente fu arabicus adiabenus 195. Gli fu decretato il trionfo e fu eretto un arco (intitolato a lui nel 203) nel foro romano. Guadagnò un ingente bottino dalle sue spedizioni e dai beni dei sostenitori di Clodio Albino. L’arco di Settimio inaugurato nel 203, presenta un’iscrizione che si trova in traduzione in TRAD T38 p47. IN latino: CIL VI 1033= CIL VI 31230= CIL VI 36881= AE 2003,267 “Imperatori Caesari Lucio Septimio MArci Filio Severo Pio Pertinace Augusto patriae Parthico Arabico et Parthico Adiabenico (...) ob rem publicam restitutam imperiumque populi Romani propagatum (...)” [TRAD T25 p268 gs] Cassio Dione. Settimio Severo per presentarsi come successore legittimo di Pertinace, si autoadotta nella famiglia degli antonini e si proclama fratello di Commodo.Nell’iscrizione si legge che è figlio di Mario e anche suo figlio Caracalla prende il nome di Marco Aurelio Antonino. Amministrazione dell’impero: -riorganizzò l’Egitto.Questo era infatti inizialmente formato da metropoleis e nomoi, che si trasformarono in comunità cittadine -istituì dei senati locali riorganizzazione dell’esercito: -aumento del Soldo militare -diminuzione e successivamente soppressione delle detrazioni pagate dai soldati per acquistare le merci -raddoppiò le coorti pretorie -come in Mesopotamia, i prefetti del rango equestre sostituiscono i senatori al comando delle legioni. -colloca la Legio III parthica vicino Roma (una cosa del genere non accadeva dai tempi di Silla) Importante fu il ruolo dei giuristi, i quali facevano parte del consilium principis, e diventano spesso prefetti del pretorio. Riorganizzò le finanze imperiali con la creazione di un nuovo dipartimento: RES PRIVATA, che includeva sia i beni degli avversari sia il bottino delle conquiste partiche.Indice di una maggior intromissione dell’imperatore nelle finanze e nell’economia dell’impero.Un esempio è l’arrivo dell’olio dalla Betica, testimoniata dalle anfore di testaccio in cui sembra ormai che l'amministrazione imperiale si sia assunta la funzione del trasporto (olio di proprietà dell’imperatore). Vi fu una forte ripresa economica in alcune province dell’impero,ad esempio in Tripolitania. Qui la situazione è fiorente, vi è lo sviluppo di ovicoltura dovuto alle provvidenze della sua città di origine, ovvero Leptis Magna. Dovette però ridurre il fino della moneta fino al 50%. Il giurista Paolo ci ricorda di come egli potesse farlo e delle pene a cui sarebbe andato in contro chi non avesse accettato la moneta con il vultus dell’imperatore. [TRAD T40 p271-272 GS] Caracalla (198-217 d.C.) I successori di Settimio Severo erano Caracalla e Geta, associati al potere già nel 198: Caracalla come Augusto, Geta come Cesare. Nel 211 Settimio muore a York, Eburacum, in Scozia e Caracalla fa uccidere Geta colpendolo con la damnatio memoriae. Il tondo severiano (Berlin, Antikensammlung) lo dimostra. Caracalla regnò dal 211 al 217. Il senato gli fu ostile. Tentò, mediante un'unione matrimoniale, di risolvere il conflitto con i Parti. le interpretazioni del gesto sono differenti. Per Erodiano si sarebbe trattato di un tranello per Artabano, mentre per Cassio Dione, fu proprio il rifiuto a divenire un pretesto per la guerra. Caracalla organizzò un ingente spedizione che necessitava di numerosi e ricchi tributi. Famosa è inoltre la constitutio antoniniana 213, che offriva la cittadinanza a tutti tranne i dedicitii (chi sono? masse contadine? barbari non romanizzati?) di cui ci informa in papiro Giessen 40. Per Cassio Dione questo provvedimento aveva l'obiettivo di arricchirsi e far pagare le tasse ai provinciali. Caracalla introdusse inoltre, una nuova moneta , l’antoninianus, poichè di quelle precedenti si era ridotto troppo il fino.Inizialmente sembrò essere utile, ma ben presto venne svalutata Caracalla venne ucciso durante una campagna partica del 2017. Macrino Salì al potere un prefetto del pretorio, Macrino. Egli proveniva dalla Mauritania regnò soli pochi mesi I Parti invasero nuovamente i territori romani. Mentre l’imperatore si tratteneva in Oriente,a Roma scoppiò la rivolta. Fu giustiziato dalle truppe in Siria che nominarono imperatore Eliogabalo Eliogabalo Governò dal 218 al 22 d.C. Proveniva dalla Siria, apparteneva alla famiglia dei Severi. Viene presentato come suo figlio illegittimo Vario Avito Bassiano. Introdusse il culto di Bolide Sole. Si inimicò gli esponenti tradizionalisti e la tradizione vuole che furono proprio le donne della famiglia a farlo eliminare. Salì al potere Gessio Alessiano Bassiano,con il nome di Severo Alessandro. 10/05/2021 Severo Alessandro Caracalla viene ucciso durante la campagna partica nel 217. Viene nominato imperatore il prefetto al pretorio che ne aveva istigato l’uccisione: M. Opellio Macrino. Questi è il primo cavaliere a diventare imperatore. Non riuscirà a mantenere il potere per più di anno: vi è una rivolta a Roma in quanto le legioni di Siria acclamano Elagabalo, cugino di Caracalla, ma presentato come suo figlio illegittimo per preservare il principio dinastico. Introduce a Roma il culto del dio Bolide Sole (culto di Elagabalus Sol Invictus, di cui è sacerdote a Emesa in Siria). A questi segue Severo Alessandro, adottato da Elagabalo. Severo Alessandro è molto caro alla tradizione senatoria, quindi in particolare alla Historia Augusta (contrariamente a Caracalla ed Elagabalo). Viene ricordato come “il buon imperatore”, anche se dal punto di vista militare non si distingue particolarmente. Scriptores Historiae Augustae, De vita Alexandri Severi, 16.1 (TRAD. 765 E T66 P.181 GM): << Stabilii molte leggi moderate sul rapporto tra popolo e fisco e non emanò alcuna costituzione senza aver sentito il parere di venti giureconsulti e di non meno di cinquanta tra gli uomini più dotti, saggi ed eloquenti, affinchè nel suo consiglio non ci fossero meno voti di quanti necessari per un decreto del senato. >> Scriptores Historiae Augustae, De vita Alexandri Severi, 24.1:<< Affidò moltissime province amministrate da legati a governatori di rango equestre; regolò le province proconsolari secondo la volontà del senato. >> I problemi ai confini sotto Alessandro Severo E’ in questo periodo che l’equilibrio in Oriente cambia: si viene a costituire un nuovo impero persiano: l’impero Sasanide, fondato da Ardashir (Artaserse I, 224- 241) che dopo la sconfitta dell’ultimo re arsacide/ partico Artabano V (227) prende il controllo di tutto l’ex regno partico. L’impero Sasanide occupa parte dell’attuale Turchia Orientale, dell’Iraq, dell’Iran, della Siria Orientale, Armenia, Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan, Pakistan etc… Anche la politica verso i Romani cambia: - Ardashir riconquista Ctesifonte, che era al confine con l’impero romano. Severo Alessandro deve anche affrontare in Occidente le invasioni germaniche. Nel 235 fu assassinato dai soldati proprio durante una campagna contro le tribù germaniche. Finisce così la dinastia dei Severi. Il dibattito sul III secolo Il III secolo, soprattutto nella sua parte centrale, ha suscitato una discussione molto accesa tra gli studiosi. I cinquant’anni che intercorrono tra la morte di Severo Alessandro e Diocleziano (235-285), sono stati visti come una cesura, un momento di passaggio tra due mondi: quello del principato e quello del cosiddetto “basso impero” (come una tradizione di studi ha chiamato, che oggi preferiamo chiamare “tardoantico”). Indubbiamente il III secolo rappresenta un periodo di crisi, sebbene siano evidenti anche elementi di continuità oltre che di frattura con il passato. Gli studi recenti insistono soprattutto sugli elementi di continuità tra il principato ed il tardoantico. Uno dei motivi per cui i due periodi sembrano così differenti tra loro è la presenza di documentazione diversa: per l’epoca tardoantica abbiamo le consolidazioni giuridiche, che mostrano alcuni fenomeni che sembrano novità per il IV secolo, ma forse non è così. Massimino Severo Alessandro è ucciso dalle truppe in Germania meridionale (235) e viene acclamato imperatore ancora un cavaliere, un vero e proprio soldato che combatte nei ranghi, Massimino, detto “il Trace” per la sua origine. E’ il primo imperatore barbaro; infatti sembra che suo padre fosse un Goto e sua madre un’Alana. Quindi nasce barbaro, acquisisce in seguito la cittadinanza romana e poi intraprende la carriera militare. L’Historia Augusta mette in evidenza la straordinaria intelligenza di Massimino. Vi è anche una famosa leggenda su di lui per cui sarebbe stato l’uomo più alto del mondo perché alto 2 metri e mezzo. Erodiano, Ab excessu divi Marci, VI, 8, 1-3 (TRAD. T67 P.181 GM):<< Nell’esercito c’era un certo Massimino, di origine tracia e semibarbaro, proveniente da un villaggio in cui- come si raccontava- da ragazzo faceva il pastore. Nel fiore della gioventù per la grandezza e la forza del suo corpo fu accolto nella cavalleria, poi conducendolo il destino passò poco a poco per tutti i gradi della carriera militare, fino ad ottenere il comando di un accampamento ed il governo di una provincia. In virtù dell’esperienza militare registro su cui c’era l’obbligo di segnalare le celebrazioni dei culti pagani e su cui si spinge i pagani a denunciare i cristiani. Decio muore sul campo combattendo contro i Goti ed i Carpi. -Treboniano Gallo, al potere tra il 251-253 che associa al potere Ostiliano, figlio di Decio. Durante il suo regno incorre la peste, invasioni barbariche ed il cosiddetto “sacco di Antiochia” ad opera dei Persiani. -Emiliano, al potere nel 253 per soli 3 mesi. Sale al trono, nominato dalle truppe danubiane, rovesciando Treboniano Gallo che viene ucciso con suo figlio. -Valeriano, nominato governatore della Rezia da Treboniano Gallo, sconfigge Emiliano che marciava verso l’Italia. Le truppe riconoscono Valeriano imperatore. Il senato ratifica. Valeriano (254-260) e Gallieno (260-268) Valeriano, salito al trono, si associa al potere il figlio Gallieno. Si dividono i compiti: Valeriano si occupa dell’Oriente mentre Gallieno si occupa dell’Occidente. Si comprende che la strategia preclusiva deve ormai essere abbandonata. Non si riesce a difendere i confini di tutto l’impero. La soluzione è quella che è stata definita una “difesa in profondità o elastica”: si permettono scorrerie ai barbari, che si lasciano entrare nei territori entro i confini. Scontri con i Persiani ed i Goti In Oriente si verifica un evento inaudito: durante la battaglia di Edessa (Mesopotamia) nel 260, Valeriano è catturato da Shapur I e fatto prigioniero, morendo poco dopo. Quello che è ancora più drammatico di questo evento è che Gallieno non può correre in soccorso del padre perché, oltre alle incursioni di Goti ed Alemanni (ci sarà una battaglia a Milano nel 260 ed i nemici discendono fino a Roma) un nuovo gravissimo problema si presenta in Occidente. Infatti l’impero si sta ormai smembrando e si vengono a costituire due entità separate: -L’ ”imperium Galliarum” a Occidente: In Gallia si crea uno stato autonomo sotto la guisa di Postumo. -Il regno di Palmira a Oriente: Palmira, città commerciale della Siria molto ricca, viene dichiarata stato autonomo da Odenato, che ad un certo punto deve essere riconosciuto dall’autorità imperiale e diventa “corrector totius Orientis”. L’impero si riduce, secondo una definizione, al solo “torso”, alla sola parte centrale dell’Impero (secondo quanto ci dice la testimonianza di Santo Mazzarino). Le riforme di Gallieno -Riforma militare: Il problema dei barbari ai confini spinge Gallieno a proporre delle misure. I comandi militari vengono sempre più sottratti ai senatori per essere attribuiti ai cavalieri. Anche i governi delle province sono affidati sempre più cavalieri. Si cercava in questo modo di mettere l’esercito nelle mani di personale più competente, proveniente dai ranghi. Chiaramente il senato e la tradizione senatoria furono molto ostili a Gallieno. Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus, XXXIII 33-34 (TRAD. T69 P.182 GM): << E i senatori erano afflitti, oltre che dal male comune dell’impero romano, dall’oltraggio al loro ordine, poiché quello (Gallieno) per primo, per timore della sua stoltezza, affinchè l’impero non fosse trasmesso ai migliori dei nobili, vietò al senato il servizio militare ed impedì di guidare l’esercito. >> -Il tracollo del sistema monetario: l’ “Antoninianus”, la moneta argentea introdotta da Caracalla, era ormai rimasta la sola moneta argentea, dato che la coniazione del denarius era stata sospesa. La situazione economica obbliga a una serie di riduzioni del metallo fino della moneta, dal 40 % fino ad arrivare addirittura al 2-3 %. (il denarius di Settimio Severo era al 50%). La moneta argetea è ormai ridotta ad una moneta di rame bagnata nell’argento (“rame imbiancato”). Data la generale situazione politica, lo Stato non riesce più a riscuotere i tributi dalle province. E’ allora costretto ad emettere moneta con un valore intrinseco di gran lunga inferiore a quello nominale. Il rischio è che si generino gli effetti della già citata “legge di Gresham”: la moneta buona scaccia la cattiva, il che obbliga a emettere moneta sempre più svalutata, generando una spirale. Sulla morte di Gallieno ci sono diverse ipotesi: secondo alcune testimonianze (tra cui Aurelio Vittore) sarebbe stato vittima di una congiura di militari, mentre secondo altri sarebbe morto in battaglia nel corso di un successivo assedio di Milano da parte dei Goti. In ogni caso non abbiamo notizie certe sulla sua scomparsa. La ricostituzione dell’unità dell’impero: I restitutores illirici. E’ questo il periodo in cui vengono nominati alcuni imperatori di origine illirica, che ridanno unità all’impero: -Claudio II il Gotico (268-270): è il primo dei “restiturores illirici”. Porta a termine la guerra con i Goti (270, “Gothicus Maximus”). Muore a causa della pestilenza. -Aureliano (270-275): Aureliano riesce a porre fine a due tentativi separatisti. Di fatto sconfigge Zenobia (vedova di Odenato) con il figlio Vaballato (271). Il Regno di Palmira era riuscito ad occupare anche l’Egitto. Aureliano sconfigge anche Tetrico (273-274), l’ultimo degli imperatori dell’ Imperium Galliarum. Tuttavia l’imperatore deve rinunciare alla Dacia, sotto la spinta dei Goti, che significa soprattutto le ricche miniere della Transilvania (271-273). La Roma di Aureliano 1)Aureliano introduce a Roma il culto di una religione tendenzialmente monoteistica: il Sol invictus, il dio di Palmira, di cui costruisce un tempio in Campo Marzio (pendici del Quirinale- via Lata). Spesso il Sol invictus è rappresentato insieme a Mitra. 2)Aureliano aumenta le provvidenze destinate alla plebe di Roma: -viene introdotta la distribuzione gratuita di “caro porcina” (carne di maiale). -viene introdotta la distribuzione di vino a prezzo politico (distribuito nel portico del Templum Solis). -le frumentazioni si sono trasformate in distribuzioni gratuite di pane. 3) Sul fronte militare, nell’impero continuano a dilagare i barbari. In particolare si tratta di popolazioni germaniche con i Franchi e gli Alamanni nelle Gallie. Già intorno al 260 gli Alamanni avevano invaso l’Italia (battaglia di Milano contro Gallieno), arrivando fino a Roma. Rinunciarono ad attaccarla. Nel 270 Aureliano riesce a fermare, nei pressi di Piacenza, un’ennesima invasione di Alamanni e Goti. Ci si rende conto allora della necessità di una difesa concreta per l’Urbs. Le Mura Aureliane vengono costruite tra il 270 ed il 273, per difendere Roma dagli attacchi dei barbari. 4) Con Aureliano si assiste anche ad una riforma monetaria ed aumentano i prezzi. Aureliano cerca di Frenare la costante svalutazione dell’Antoniniano (ovvero dell’argento). Nel 274 introduce una nuova moneta argentea, l’ “Aurelianus”, che tuttavia doveva avere ancora un basso quantitativo d’argento. Questa moneta è oggi comunemente chiamata “radiato grande” perché sul dritto il busto dell’Imperatore con la testa radiata. In esergo presenta la sigla “XXI” diversamente interpretata. Infatti, secondo alcuni studiosi moderni, indica la “vigesima pars unius nummi” ovvero la percentuale di argento contenuta nella moneta (1:20 vale a dire il 5%). L’intento di introdurre una nuova moneta migliore (ritirando la precedente) era quello di rimettere ordine nelle emissioni monetali, per ridare potere d’acquisto alla moneta argentea e sostituire le monete false (secondo quanto ci testimonia Zosimo, in “Storia nuova”, I,61.3). Tuttavia la conseguenza della riforma monetaria di Aureliano fu quella di portare ad un incremento dei prezzi anche dieci volte maggiore rispetto a quelli precedenti. Questo avveniva perché la moneta emessa aveva un valore nominale di gran lunga superiore a quello intrinseco, permettendo allo Stato di guadagnare. Si viene a generare una congiuntura inflazionistica che per più di un secolo si cercherà di abbattere. -Anche Aureliano sarà vittima di una congiura privata. Altri imperatori illiriciani -Tacito (276): senatore (enfatizzato dalla tradizione senatoria). Fu avvelenato. -Probo (276-282): era un militare. Combatte contro i barbari. Viene ucciso in una congiura. -Caro (282-283): prefetto al pretorio, si associa i figli, Numeriano e Carino. Fu fautore di una grande offensiva contro i Persiani. Morto Caro nel 283, durante una campagna contro i Persiani, suo figlio minore Numeriano viene ucciso e viene acclamato imperatore a Nicomedia (in opposizione al figlio maggiore di Caro, Carino) un altro illiriciano, Gaio Valerio Diocle, che si fa chiamare Diocleziano (284). Nel 285 Diocleziano si scontra con Carino e lo sconfigge. La diarchia e la tetrarichia Diocleziano e Massimiano Diocleziano (284-305), sbarazzatosi di Carino, si associa al potere, prima come Cesare e poi come Augusto, Massimiano (285-305), dando così vita ad una “diarchia”. C’è in questo periodo una nuova legittimazione imperiale con l’associazione degli imperatori a delle divinità. Diocleziano prende il nome di “Giovio” mentre Massimiano quello di “Erculio”. I due imperatori si dividono le competenze e l’impero dal punto di vista territoriale viene diviso: Diocleziano si arroga il controllo dell’Oriente e Massimiano quello dell’occidente. Nel cerimoniale imperiale vengono mutuate alcune usanze orientali: Non c’è più la “salutatio” ma l’ “adoratio”, ovvero ci si inginocchia e si bacia l’orlo della porpora. Non si parla più di “consilium principis” ma di “consistorium” per cui si sta in piedi davanti all’imperatore. Eutropio, Brevarium ab Urbe condita, IX 26 (TRAD. T1 PP.285-286 GM): << Diocleziano fu un uomo astuto, inoltre scaltro d’ingegno oltremodo sottile, di natura tale che voleva giustificare la sua severità con l’odio altrui. Fu tuttavia principe molto scrupoloso e abile, per primo introdusse nell’Impero romano le forme del costume regio al posto della libertà romana ed ordinò che lo si adorasse, mentre fino ad allora a tutti gli imperatori ci si limitava a rendere omaggio. Fece applicare su vesti e calzari ornamenti di gemme. Infatti in precedenza unico segno del potere imperiale era la clamide purpurea, tutto il resto era comune. >> Ammiano Marcellino, Res Gestae, XV 5.18 (TRAD. T2 P.286 GM):
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