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La crisi delle certezze, Tesine di Maturità di Filosofia

Nel periodo compreso tra fine Ottocento e inizio Novecento si verifica una vera e propria rivoluzione che colpisce i più diversi campi del sapere e sancisce il passaggio all' uomo contemporaneo .

Tipologia: Tesine di Maturità

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francesca.flo.9 🇮🇹

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Scarica La crisi delle certezze e più Tesine di Maturità in PDF di Filosofia solo su Docsity! La crisi delle certezze E. Munch, Il grido, 1893 Mappa Concettuale Introduzione Nel periodo compreso tra fine Ottocento e inizio Novecento si verifica una vera e propria rivoluzione che colpisce i più diversi campi del sapere e sancisce il passaggio all' uomo contemporaneo . Questa crisi è data soprattutto dalla perdita della fiducia nel progresso e in tutta la filosofia positivista. In questo percorso interdisciplinare esamineremo l’influenza di questa “crisi delle certezze” nell’ambito filosofico con Nietzsche, nell’ambito scientifico con la crisi dei fondamenti matematici, e nell’ambito letterario con la poetica di Pirandello. Filosofia Nietzsche e il tema della maschera Nietzsche e il tema della maschera • Liberazione dal dionisiaco o del dionisiaco? Passando a parlare più specificatamente del tema della maschera nella Nascita della tragedia possiamo dire che il problema che inizialmente Nietzsche pone a proposito della tragedia come forma d’arte che aspira alla liberazione “dal” dionisiaco, cioè della fuga dal caos nel mondo delle apparenze, tende a trasformarsi in quello della liberazione “del” dionisiaco. Infatti nella tesi generale dell’opera, cioè che la tragedia come forma d’arte più alta esprime la complementarietà dei due principi, apollineo e dionisiaco, si risolve in ultima analisi nella riduzione dell’apollineo al dionisiaco, cioè nella ricollocazione della forma definita nel fluido caotico da cui è nata ed è nutrita. A conclusione delle pagine dedicate al Tristano, Nietzsche scrive: “nell’effetto complessivo della tragedia, il dionisiaco prende di nuovo il sopravvento; essa chiude con un’ accento che non potrebbe mai risuonare nel regno dell’arte apollinea. E con ciò l’inganno apollineo si dimostra per quel che è, cioè per il velo che per tutta la durata della tragedia ricopre costantemente il vero e proprio effetto dionisiaco: il quale è tuttavia così potente, da spingere alla fine, lo stesso dramma apollineo in una sfera in cui esso stesso comincia a parlare con sapienza dionisiaca, e in cui nega se stesso e la sua visibilità apollinea. Così si potrebbe in realtà simboleggiare il difficile rapporto fra apollineo e dionisiaco nella tragedia con un legame di fratellanza tra le due divinità: Dioniso parla la lingua di Apollo, ma alla fine Apollo parla la lingua di Dioniso.” Da Nascita della tragedia 22 Il mito tragico è da intendere solo come una simbolizzazione di sapienza dionisiaca attraverso mezzi artistici apollinei. Bisogna quindi volere il ritorno dell’apollineo in seno al dionisiaco che l’ha generato. Questo processo non è giustificato con la necessità di sfuggire alla sofferenza, intesa come paura e bisogno, in quanto la paura rientra anch’essa in una determinata configurazione storica. Essa è il modo di essere dell’uomo nell’epoca della decadenza; non può quindi essere assunta come radice universale del mondo delle apparenze e della maschera, giacché queste rientrano in una delle possibili connotazioni storiche, che questo mondo delle maschere assume. Bisogna quindi intendere questa sofferenza come interna multiformità dell’essere. • Lirica e tragedia come arti supreme La riduzione del mondo apollineo al suo fondo dionisiaco, è rappresentata anche dalla lirica, allo stesso titolo della tragedia, come la sintesi tra l’impulso apollineo (che guida il poeta epico e lo scultore) e l’impulso dionisiaco (che guida il musicista). Le immagini del lirico non sono nient’altro che lui stesso, quasi diverse sue oggettivazioni, e risultano più complete e autentiche di quelle dell’epico e del musicista. Se il problema fosse solo fuggire dal dionisiaco, l’epopea sarebbe l’arte suprema, se invece fosse solo immedesimarsi nel dionisiaco, l’arte maggiore sarebbe la musica (come accadeva in Schopenhauer quando avviene l’identificazione nell’Uno primordiale). Invece, come già detto prima, con le conclusioni sul discorso di Tristano nella Nascita della tragedia l’arte suprema è la tragedia perché si ha un processo di identificazione nelle immagini analogo a quello della lirica, che esclude sia l’oggettività propria della scultura e dell’epica, sia il confondersi caoticamente nel tutto, peculiare del musicista dionisiaco. E’ questo processo di identificazione la vera alternativa al “travestimento” per debolezza, proprio dell’uomo della decadenza. Anche il lirico e la tragedia vivono nel mondo della maschera. Quindi la maschera decadente è il travestimento dell’uomo debole, e più in generale è ogni maschera nata dalla paura e dall’insicurezza; mentre la maschera non decadente nasce dalla forza e dalla sovrabbondanza del dionisiaco. Questa diversificazione della maschera è implicitamente presente nelle sue opere giovanili. • La nascita della tragedia e l’importanza del Satiro Dalla tesi che Nietzsche elabora sulla genesi della tragedia dal coro tragico appare chiaro che non si tratta di fuggire dal dionisiaco come mondo di paura e di insicurezza, ma di ritrovarlo come mondo di libertà, creatività e di eliminazione di barriere anche sociali. Nel passaggio dal coro alla tragedia, la nascita dell’apparenza apollinea ha caratteri diversi dalla finzione e dal travestimento radicato nella paura e nella debolezza: anzitutto già la trasformazione dell’uomo in Satiro è di per sé una forma di “maschera”, di trasformazione in altro da sé, e certo non si può dire che risponde alla necessità di fuggire dal dionisiaco verso il mondo apollineo. L’intera vicenda inoltre è apollinea solo in quanto ha assunto una certa definitezza, ma il suo “contenuto” è dionisiaco. Le vicende tragiche dei personaggi-tipo della tragedia classica, sono in se stesse dionisiache, cioè non hanno il senso del rifugio nel mondo apollineo, ma, come la trasformazione dell’uomo in Satiro, significano anch’esse la rottura di ogni ordine rigido, di ogni confine, di tutte le regole. Il processo attraverso cui l’uomo comune diventa Satiro, non è un processo che va dal dionisiaco all’apollineo, ma piuttosto un circolo in cui si susseguono dionisiaco-apollineo-dionisiaco. La genesi della tragedia è tutto un gioco di immedesimazione in altro da sé. Il rapporto dell’uomo comune col Satiro è analogo a quello del lirico con le immagini della sua poesia: è un rapporto di immedesimazione così profonda che esclude l’assunzione della maschera come semplice travestimento perché ne sopprime la stessa esigenza di mascheramento. La paura, la debolezza e il bisogno di difesa sono tutti aspetti costitutivi del mondo puramente apollineo, dove ognuno ha una forma predefinita ( padrone- servo, padre-figlio). Il Satiro supera tutto il mondo delle divisioni e dei conflitti, proprio assumendo fino in fondo la maschera, operando una totale uscita da sè e una completa immedesimazione, tanto da riscattare la maschera da ogni elemento di inganno, e da trasferirsi in un mondo dove questa continua trasformazione, è vista come segno di una recuperata vitalità originaria. Queste premesse elaborate nella Nascita della tragedia subiranno una lunga rielaborazione e matureranno nell’idea dell’oltreuomo. • Esempi di “figure-Satiro”: Edipo e Prometeo Le figure nelle quali Nietzsche sembra voler riassumere tutto il senso del mito tragico greco sono quelle di Edipo e Prometeo. In esse, Nietzsche come Freud, leggono una rottura delle barriere e dei tabù familiari e sociali. Nella tragedia che viene vista come forma di catarsi e di liberazione, ciò da cui il greco fugge è il mondo della “realtà” consolidata, delle gerarchie e dei tabù. Analizzando più da vicino questi personaggi possiamo dire che Edipo ha sciolto l’enigma della Sfinge perché ha ucciso il padre e ha sposato la madre, in quanto l’unico modo per costringere la natura a svelare i suoi segreti è contrastarla mediante ciò che comunemente è ritenuto innaturale. Quindi lo stesso Edipo che scioglie l’enigma della natura, deve anche violare, come l’assassino del padre e marito della madre, i più sacri ordini naturali. Anche la figura di Prometeo ha come carattere fondamentale la rottura dell’ordine naturale, delle gerarchie e delle leggi che regolano il rapporto con gli dei. Anche in Prometeo c’è un fondo edipico, in quanto anzitutto va contro la figura paterna rappresentata da Zeus. Il significato dei due miti, è analogo, anche se in Prometeo la ribellione ai tabù familiari, sociali e religiosi ha come scopo la fondazione di una civiltà in cui l’uomo non debba più temere la natura, ma la domini con la tecnica, di cui il fuoco è simbolo. Essendo la natura equiparabile al dionisiaco a prima vista, il mondo delle apparenze sembra potersi tutto unificare sotto il segno dello sforzo di una liberazione dal dionisiaco; qui rientrano sia la creazione degli dei olimpici, sia l’invenzione della scienza come sistema di finzioni utili per dominare la natura, sia, anche, il travestimento con cui l’uomo della decadenza cerca di nascondere la propria debolezza, insicurezza, paura. Il discorso sulla genesi e il significato della tragedia ci mostra che , di fatto, la liberazione operata dall’arte non è tanto una liberazione dal dionisiaco quanto una liberazione del dionisiaco. Nella tragedia è proprio il mondo delle apparenze definite che viene sconvolto e messo in crisi a tutti i livelli, e solo l’uomo, divenuto Satiro, conquista la possibilità di produrre liberamente apparenze non condizionate dalla paura né finalizzate alla conquista della sicurezza. Matematica La crisi dei fondamenti “Perché mai, o Dei, due e due dovrebbe fare quattro?” Alexander Pope Introduzione Fino ad ora l'attività più profonda dei matematici del XX secolo è stata la ricerca sui fondamenti. I problemi imposti ai matematici, e altri che essi hanno preso volontariamente in considerazione, riguardano non solo la natura della matematica, ma anche la validità della matematica deduttiva. alla logica: non è necessario alcuno degli assiomi propri di ciascuna delle teorie matematiche, che divengono 0 0 1 Fcosì semplici estensioni della logica e dei suoi as siomi. Tuttavia, per rendere possibile tale costruzione, i logicisti dovettero introdurre degli assiomi, quali l'assioma della scelta e l'assioma della riducibilità, che furono fortemente criticati, essendo molto lontani dall'evidenza intuitiva che solitamente si richiede a un assioma. Oggetto di forti critiche fu anche la complessiva artificiosità della costruzione logicista. • La scuola intuizionista 0 0 1 F i cui rappresentanti più importanti sono senza dubbio il fran cese Jules Henry Poincaré (1854-1912) e l'olandese Luitzen Egbertus Brouwer (1881-1966), si propone invece di rifondere la matematica su basi 0 0 1 Fcostruttive e finiti ste: il concetto di infinito in atto è, secondo l'intuizionismo, il peccato originale della matematica e la causa di tutti i paradossi. Si osservi che non viene respinto in blocco il concetto di infinito: 0 0 1 Fad esempio, il concetto di numero naturale è considerato legitti mo, in quanto ogni numero naturale può 0 0 1 Fessere costruito applicando la funzione suc cessivo un numero finito di volte a partire dallo zero; l'insieme dei numeri naturali può essere quindi considerato legittimamente, a condizione che lo si consideri come dato in potenza, in quanto ogni suo elemento è costruibile, ma non può essere considerato come dato nella sua totalità. 0 0 1 FQuesto approccio porta a rifiutare l'applicazione della legge del terzo escluso agli in siemi infiniti: dalla dimostrazione che non tutti gli elementi di un insieme infinito godono di una certa proprietà, non è lecito dedurre l'esistenza di qualche elemento che non gode di tale proprietà, a meno che un tale elemento non possa essere individuato con un procedimento costruttivo. Analogamente è respinta ogni definizione che non indichi esplicitamente il metodo necessario a costruire l'oggetto definito. Il concetto di numero reale, 0 0 1 Fcosì com'è a noi noto, non è legittimo: gli intuizionisti ac cettano solo i numeri reali ricorsivi, ossia quei 0 0 1 Fnumeri reali che possono essere effetti vamente approssimati con una qualunque precisione prefissata in un numero finito di passi. L'approccio intuizionista è apparentemente molto limitativo, in quanto nega validità alle dimostrazioni per assurdo così comuni nella matematica e, per questo, incontrò forti resistenze. Ciò nonostante gli intuizionisti riescono a ricostruire, sulle basi da essi proposte, buona parte della matematica classica e dell'analisi infinitesimale. • La scuola formalista rappresentata soprattutto dal tedesco David Hilbert (1862-1943), fu forse quella il cui programma ebbe, paradossalmente, più successo anche negli insuccessi. Il formalismo si propone di chiarire alcuni fondamentali concetti matematici e metamatematici, quali i concetti di coerenza, dimostrazione e lo stesso 0 0 1 F 0 0 1 Fcon cetto di verità, applicando a essi gli stessi metodi della matematica. Nel far ciò assu me e rielabora la 0 0 1 Flogica formale proposta dai logicisti e pone così le basi di molte frut tuose teorie, quali la logica matematica nella sua forma attuale, la teoria della ricorsivi, la teoria della dimostrazione, la teoria dei modelli. Pur accettando nella matematica il concetto di infinito e le dimostrazioni per assurdo, il formalismo, per mettersi al riparo dalle critiche intuizioniste e da eventuali paradossi, a livello metamatematico cerca di limitarsi all'applicazione di metodi finitisti e costruttivi. Non ci dilungheremo 0 0 1 Foltre nell'esposizione dell'approccio formalista, perché esso è, sostanzialmente, quello se guito nella parte teorica di questo capitolo. Ci limitiamo a osservare che il programma di Hilbert, che era quello di dimostrare la coerenza dell'aritmetica, fallì definitivamente nel 1931, quando l'austriaco Kurt Gödel (1906-1978) dimostrò l'indimostrabilità della coerenza dell'aritmetica con metodi finitisti: si tratta di un corollario del famoso 0 0 1 Fteore ma d'incompletezza. 1° teorema di Gödel: Se il sistema formale P è non contraddittorio, allora è sintatticamente incompleto, nel senso che esiste una proposizione G di P tale che tanto G quanto ~G sono indimostrabili in P. 2° teorema di Gödel: se P è non contraddittorio, la sua non contraddittorietà non può essere dimostrata in P; più precisamente scelta opportunamente una formula, diciamo N(P), che esprime la non contraddittorietà di P, si ha che N(P) è indimostrabile in P. Concludendo, si può dire che nessuna delle tre scuole riuscì a raggiungere gli obiettivi che si era prefissata: il logicismo e l'intuizionismo, per motivi diversi, non riuscirono a fornire un approccio alla matematica universalmente accettabile, mentre il formalismo, che ebbe indubbiamente più successo, si scontrò con i risultati di Gödel. Tuttavia, molte delle proposte di questi movimenti ebbero una notevole influenza e aprirono le porte a nuovi fruttuosi sviluppi che ancora oggi sono al centro della ricerca. Nonostante l'«impasse» a cui è giunta la ricerca sui fondamenti, la matematica resta viva e vitale. Italiano Pirandello tra vita e forma: Il fu Mattia Pascal Un personaggio, signore, può sempre chiedere ad un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre “qualcuno”. Mentre un uomo – non dico lei, adesso – un uomo così in genere, può non essere “nessuno”. Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore Introduzione Vissuto nel periodo a cavallo tra ’800 e ‘900, fra il naturalismo e l’inizio del decadentismo Pirandello, come Svevo, è definito uno scrittore isolato, difficile da inquadrare in un movimento letterario ben definito. Proprio a cavallo tra i due secoli si determina la crisi dei valori ottocenteschi, dove viene meno la fiducia nella scienza, nella razionalità e nei valori borghesi. Pirandello vive e rappresenta questa crisi sentendone le contraddizioni, e porta nella letteratura italiana alcuni dei caratteri fondamentali dell’avanguardia europea scaturiti proprio da questa crisi, come il relativismo, la tendenza alla scomposizione e alla deformazione, il gusto per il paradosso, la scelta dell’ironia e dell’espressionismo. Di questa crisi delle ideologie e dei valori morali e culturali, Pirandello ne mostra coscienza già nel saggio Arte e coscienza d’oggi pubblicato nel 1893. In esso descrive la crisi intellettuale e morale della sua stessa generazione dove sono “crollate le vecchie norme” e “non sono ancor sorte o bene stabilite le nuove”, e, a causa di questo, “nessuno più riesce a stabilirsi un punto fermo e incrollabile” perché “i termini astratti han perduto il loro valore, mancando la comune intesa, che li rendeva comprensibili”. A causa di questa “relatività di ogni cosa”, la modernità appare a Pirandello come un intreccio contraddittorio di spinte e controspinte, ciascuna delle quali relegata alla relatività del proprio punto di vista e perciò incapace di aspirare alla verità. accuse per l’inverosimiglianza del romanzo pirandelliano. Per questo quando Pirandello trova più tardi nella cronaca un fatto simile, aggiunge alla ristampa del ’21 un appendice al romanzo intitolata avvertenze sugli scrupoli della fantasia, per sostenere la plausibilità delle vicende raccontate. Così facendo, cioè entrando nel merito della verosimiglianza del racconto, di fatto svuota l’artificio del manoscritto in cui Pascal avrebbe raccontato la propria storia. Un’operazione analoga era stata compiuta anche da Svevo all’inizio della Coscienza di Zeno, avvisando, attraverso la premessa del dottor S., che quanto sta per raccontare è solo un cumulo di “verità e bugie”. Mentre il narratore ottocentesco intende persuadere il lettore di stare raccontando una verità, il narratore primonovecentesco, a causa della crisi delle certezze che pervade tutto l’inizio secolo, non crede più ad alcuna verità, neppure alla propria, e invita il lettore alla diffidenza e alla sorveglianza critica. La caratteristica fondamentale dello stile narrativo di Pirandello sta proprio nella sua straordinaria capacità di inventare situazioni, vicende e storie, ora comiche , ora pietose, ora grottesche, ma sempre strane, talvolta assurde. La scelta della vicenda, è il momento più importante della creazione artistica secondo Salinari, perché un sentimento del mondo così disgregato e contraddittorio, una visione della vita in cui domina il caos e l’irrazionale, non può che cogliere nella realtà che lo circonda tutti gli aspetti più assurdi e contraddittori, e metterli a confronto con i dati del senso comune, della società costituita. La trovata è dunque la caratteristica essenziale del suo stile. In questo senso Il fu Mattia Pascal rappresenta il romanzo della svolta. Inoltre in esso già si applica la poetica dell’umorismo; Pirandello vuole esplicitamente collegare il romanzo al saggio sia tramite le due premesse iniziali e il capitolo XII e XIII che sono veri e propri contributi teorici alla poetica dell’umorismo, sia tramite la dedica del saggio “alla buon’anima di Mattia Pascal bibliotecario”. • Le premesse iniziali e i capitoli XII e XIII Nelle due premesse il relativismo moderno e il conseguente umorismo sono fatti dipendere dalla scoperta di Copernico e dalla fine dell’antropocentrismo tolemaico: la rivelazione che l’uomo non è più al centro del mondo ma costituisce un’entità minima e trascurabile di un’ universo infinito e inconoscibile rende assurde le sue pretese di conoscenza e di verità e “relative” tutte le sue fedi. Secondo Pirandello, che qui si esprime tramite Pascal, le strutture narrative dei romanzi di tipo tradizionale, li rendono incapaci di rappresentare la reale condizione umana successiva alla scoperta di Copernico. Nel Cap.XII si descrive quanto succederebbe in seguito ad uno strappo nel cielo di carta di un teatrino: l’eroe tradizionale, Oreste, che crede in valori assoluti, che sa distinguere nettamente il bene dal male ed è perciò pronto ad uccidere per fare giustizia., si distrarrebbe di fronte all’imprevisto, all’”oltre” che gli si spalanca davanti: improvvisamente cesserebbe di vivere e comincerebbe a “guardarsi vivere” trasformandosi in una sorta di moderno Amleto e divenendo di fatto un’antieroe, un inetto incapace d’azione.Lo strappo nel cielo di carta rappresenta il nostro comprendere di non essere al centro dell’universo, e la consapevolezza della propria piccolezza insignificante nell’economia della storia e dell’universo. Se il cielo si strappasse, all’uomo alimentato da grandi valori, si sostituirebbe l’uomo contemporaneo pensoso, diviso, contraddittorio ed incapace di decisioni e azioni. Questo brano va collegato a quello sull’impossibilità dell’epica e della tragedia nel mondo moderno che abbiamo già trovato nel saggio sull’umorismo. Un’altra parte che l’autore riprenderà quasi integralmente nel suo saggio l’Umorismo, è parte del testo del capitolo XIII sulla teoria del lanternino che ripropongo qui di seguito: • I temi del romanzo: la “lanterninosofia” Gli estratti sopra citati fanno parte del discorso sulla “lanterninosofia” come la definisce Barilli. Paleari sostiene che la coscienza umana è come un lanternino debole e fumoso che, col suo stesso accendersi, interroga l’intatta continuità dell’Essere, la Notte compatta e uniformemente distesa, generando dubbi e problemi. Solo per un autoinganno l’uomo può ritenere che la luce del lanternino della propria coscienza sia la luce stessa delle cose poiché l’uomo ha bisogno di verità assolute per credere che i propri valori siano certi e che quindi la realtà sia oggettiva. In realtà queste non sono che proiezioni soggettive da cui ne deriva il carattere illusorio di qualunque certezza, anche di quelle date dalla religione e dalla scienza. A complicare le cose va aggiunto che gli stessi lanternini delle coscienze individuali cessano di illuminare il cammino nei momenti di trapasso e di crisi: infatti essi perdono la luce dei lanternoni, cioè delle grandi ideologie collettive che sono storicamente determinate. Quando questi lanternoni cessano di fare luce a causa dello sviluppo storico che rende improponibili i valori del passato, allora anche i lanternini si spengono. • La libertà Alla luce delle teorie di Anselmo Paleari, si può dire che uno dei temi portanti è quello incentrato sulla crisi d’identità, ma secondo alcuni critici, tra cui Enzo Lauretta, non rappresenta il motivo principali di fondo come invece è in Uno, nessuno e centomila. Piuttosto quella di Mattia risulta una storia di libertà. Posseduta nella prima parte del romanzo, nella “zona campestre”, la libertà viene persa con il “laccio” del matrimonio e quindi della forma, per poi essere recuperata a pieno, grazie alle infinite potenzialità della nuova vita. Sennonché nel duro confronto con l’esistenza, Mattia comincia a rendersi conto di dover porre “un certo freno alla mia libertà” ”così sconfinata ma anche un tantino tirannica” perché “nella mia libertà sconfinata mi riusciva difficile cominciare a vivere in qualche modo”. Senza la maschera che portava prima infatti Mattia si sente “sperduto in quella nuova libertà illimitata”. • La famiglia, lo spiritismo, l’inettitudine Nel tema della libertà abbiamo accennato al matrimonio, visto come “laccio”. La duplicità della famiglia, sentita come nido o come prigione, rappresenta uno degl’altri temi che intercorrono il romanzo. La famiglia iniziale, fondata sul rapporto di tenerezza tra Pascal e la madre è sentita come idillio minacciata dall’avidità dell’amministratore; Il rapporto coniugale con Romilda e quello con la suocera, è considerato invece come una prigione. In questo secondo caso, sembra possibile solo l’evasione. Pirandello comunque tiene distinti il matrimonio e l’amore. Un altro dei temi presenti è quello del gioco d’azzardo che affascina molto Pirandello poiché l’importanza del caso e il potere della sorte contribuiscono a rafforzare la sua teoria della relatività della condizione umana, sottolineando i limiti della volontà e della ragione. Nella stessa direzione va l’interesse per lo spiritismo e per i fenomeni non spiegabili scientificamente, indotto dalla crisi del razionalismo positivista. Interessante è la somiglianza tra la seduta spiritica in casa Paleari con quella che impegna Zeno in casa Malfenti. Mattia ci si presenta come un “inetto a tutto” con una straordinaria corrispondenza con la figura di Zeno Cosini. Mattia sogna un’evasone che alla fine risulterà impossibile, trasformandosi consapevolmente in un antieroe reso inadatto alla vita pratica dalla sua stessa tendenza allo sdoppiamento, a vedersi vivere. • La struttura Oltre alla novità ideologica, questo romanzo Pirandelliano propone una novità anche sul piano strutturale. Anzitutto si tratta di una narrazione retrospettiva in prima persona, che inizia a vicenda conclusa e in cui l’inizio coincide con la fine. Il romanzo consta di tre parte che rappresentano tre diversi modelli di romanzo. Negl’ultimi due capitoli e nelle due premesse (che rappresentano i primi due capitoli) il protagonista è il “fu” Mattia Pascal. Egli vive in una condizione di non vita, di acronia, di totale estraneità rispetto all’esistenza, in un tempo fermo e in uno spazio morto (quello di una biblioteca che nessuno frequenta). Siamo in una situazione in cui non si può sviluppare alcuna storia, e il modulo narrativo quindi è quello dell’antiromanzo. Una seconda parte la possiamo individuare nei capitoli III-IV; qui il protagonista è il giovane Pascal e il romanzo è quello idillico-familiare, la “zona campestre”, dove la civiltà industriale moderna penetra a causa dell’amministratore ladro Batta Malagna che pone in crisi il precedente equilibrio. Lo snodo tra la seconda e la terza parte lo troviamo nel capitolo VII, dove Mattia decide di cambiare identità. Comincia a questo punto la terza parte del romanzo dove il modello romanzesco è quello del romanzo di formazione o buildingsroman. Lo spazio cambia ancora, e dalla campagna si passa a quello delle grandi città. Di questa terza parte il protagonista è la reincarnazione (se così è lecito definirlo) di Mattia, Adriano Meis, che cerca di costruirsi un nuovo io senza più obblighi di sorta. Ma in realtà la sua esperienza si risolverà in un fallimento e quindi si potrebbe definire si un romanzo di formazione, ma alla rovescia. A questo punto, giunti agl’ultimi due capitoli torniamo nell’antiromanzo in cui il protagonista, il “fu” Mattia Pascal, decide di restare nel paese natale come “fuori dalla vita” Ormai Pascal è diventato una maschera nuda, non vive più, ma guarda vivere. C’è chi vuole vedere nel discorso finale di Mattia, come ad esempio Benedetto Croce, una specie di morale manzoniana sostenendo che “ fuori dalla legge e fuori di quelle particolarità, liete o tristi che siano, per cui noi siamo noi […], non è possibile vivere”. Ma lo stesso Mattia può obbiettare che, sia pure per circostanze esteriori non gli è affatto accaduto di rientrare “né nella legge né nelle mie particolarità” . Pascal ha capito insomma che l’identità non può esistere, ne, tanto meno, può essere garantita da uno “stato civile” che semmai riduce l’uomo a forma, a maschera.
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