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La critica cinematografica in Italia: dalle origini a Internet, Sintesi del corso di Analisi E Critica Televisiva

La storia della critica cinematografica in italia, dalla sua nascita in ritardo rispetto al cinema, fino all'era digitale. Della prima recensione cinematografica in italia, della ripresa dell'attività editoriale e della critica nel dopoguerra, e della trasformazione della critica con l'arrivo del cinema sul web. Vengono analizzate le contraddizioni e le evoluzioni della critica in questo periodo, nonché la figura del critico e il suo ruolo nella società.

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

Caricato il 27/01/2024

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Scarica La critica cinematografica in Italia: dalle origini a Internet e più Sintesi del corso in PDF di Analisi E Critica Televisiva solo su Docsity! LA CRITICA CINEMATOGRAFICA CAPITOLO UNO: L'IDENTITÀ INCERTA DELLA CRITICA 1.1 PROFESSIONE INGRATA, DIFFICILE E POCO NOTA chiunque può diventare un critico cinematografico: un regista deve accettare l’idea che il suo lavoro potrà essere giudicato anche da qualcuno che non possiede le giuste conoscenze e competenze per farlo. in molti non accettavano quest’idea, tra cui truffaut che, in un articolo del 1955, definiva quella del critico cinematografico come una professione “ingrata, difficile e poco nota”. i difetti riscontrati nei critici medi erano vari: il primo “l’ignoranza totale della storia del cinema”, seguito dall’assenza di immaginazione, lo sciovinismo (nazionalismo), la presunzione. truffaut esigeva una critica colta e competente, di storia e di tecnica. ad oggi, l’autore riflette anche sull’influenza del mercato che rende commerciali tutti i film, anche quelli che non lo sono, e osserva le sue battaglie giovanili con ironia. il momento in cui si diventa critici sarebbe quando si guarda un film apprezzato più volte e ci si accorge di quanto sia affascinante penetrare intimamente nell’opera, fino a provare l’illusione di riviverne la creazione. 1.2. TRA TEORIA, GIORNALISMO E ANALISI casetti sottolinea come l’espressione “critica cinematografica” sia ambigua e volta ad indicare varie realtà: - la critica è il singolo testo, la recensione scritta oppure orale (es. youtube); - la critica è un mestiere, non sempre riconosciuto; - la critica è un’istituzione e un fenomeno culturale; - la critica parla di film; - la critica informa, spiega, classifica, analizza, interpreta..; la definizione che ne dà prédal è “la critica è per vocazione ermeneutica, per fatalità normativa, per comodità impressionista e in pratica estetica”, ma non sempre svolge tutte queste funzioni; il prestigio della critica è ancora superiore a quello dell’informazione giornalistica, appare legata all’impressionismo e alla soggettività. fino alla seconda metà degli anni trenta, il termine critica equivaleva soltanto a quanto di meglio la pubblicistica sul cinema riusciva ad offrire (cherchi usai); fare critica cinematografica significava anche riflettere sul linguaggio delle immagini in movimento e progettare il cinema futuro (delluc/epstein). il cinema entra nella università italiane all’inizio degli anni sessanta: a pisa, nell’anno accademico ‘61-62, con l’insegnamento di “storia e critica del cinema”, tenuto da luigi chiarini. lo studio del cinema si affianca a quello della letteratura, presentando gli stessi valori estetici; nel mondo accademico italiano, il cinema viene insegnato come storia: storia degli autori, evoluzione delle poetiche, lotta delle ideologie, ma vengono trascurate l'analisi della tecnica e delle strutture economiche e produttive, aspetti ritenuti secondari rispetto al cinema come fatto artistico. il fenomeno non è però solo italiano: all’inizio degli anni sessanta, la diffusione di molteplici scienze umane (semiologia, psicoanalisi..) provoca l’esplosione dello studio della teoria, che si contrappone al semplice studio storico e rivendica una conoscenza più profonda dei meccanismi linguistici e simbolici del testo filmico. la teoria, da una parte, s’interroga sulla natura del cinema in generale, dall’altra ambisce al rigore della scienza, creando un proprio linguaggio e si distacca così dalla critica: per gli studiosi, la critica è priva di valore scientifico e paragonabile al semplice giornalismo (bertetto, 2003); si basa su impressioni e non su dati verificabili e si rivolge ad un pubblico non specializzato. è a questo punto che nasce uno scollamento tra teoria e critica, analisi accademica e mestiere del recensore. un’altra reazione al diffondersi delle scienze umane riguarda la specializzazione da parte della critica, che ha cercato strumenti di analisi più rigorosi e oggettivi. 1.3 REGISTI CONTRO CRITICI a contestare la legittimità della critica sono stati anche i registi: il critico sarebbe un invidioso che si sfoga contro i registi e la critica come uno strumento autoritario, aristocratico e astorico. secondo truffaut il rischio di essere giudicato fa parte del mestiere e del privilegio del regista e non lede alla sua “superiorità ontologica”, in quanto il critico sarà sempre qualcuno che “viene dopo”. 1.4 BAZIN: LA CRITICA INUTILE MA NECESSARIA le autocritiche da parte dei critici furono parecchie, in molti si sono definiti “parassiti”, specificando come, per certi versi, si tratti di una professione facile perché “si rischia poco e si approfitta del potere che si ha sui lavori che si giudicano”; allo stesso tempo hanno anche cercato di dimostrare l’utilità del proprio mestiere: bazin, ad esempio, sottolinea come, dal punto di vista quantitativo ed economico, la critica sia inutile, mentre per lo spettatore resta necessaria. per bazin il ruolo della critica è didattico: la missione della critica non è quella di spiegare l’opera ma di diffonderne il significato nella coscienza e nello spirito del lettore. la critica aiuta ma non crea, il risultato non è unico e inalterabile e si parla quindi di significati al plurale. per bazin, vi sono due concezioni: da una parte la critica è un mediatore tra film e lettore, dall'altra prolunga il piacere estetico. 1. la prima concezione presuppone un critico-maestro, dotato di un’auctoritas non contestabile è in grado di condurre per mano il lettore alla scoperta della bellezza e complessità dell'opera; 2. la seconda presuppone un critico sodale del regista, armato di sensibilità ed empatia - non vi è un metodo critico preferibile, purché sia regolato dal gusto, concetto che vazin riporta, sottolineando il dato emotivo e sensibile delle esperienze estetiche (in contrasto con la volontà del periodo di rendere più scientifica la materia); 1.5 LA DECADENZA DELLA CRITICA NELLA SOCIETÀ DELLO SPETTACOLO all'interno della “società dello spettacolo” qualcosa è cambiato nel ruolo della critica: nell'epoca post-moderna, l'autore è un marchio di fabbrica e il critico non seleziona più, ma ratifica l’esistente, distingue “ciò che è da portare e ciò che non lo è”, come fosse un critico di moda; non si chiede più a colui che sa di condividere il suo sapere con il pubblico, ma si chiede a colui che non sa di rappresentare l'ignoranza così da legittimarla. alla critica classica si è sostituito il critico dalla parte del pubblico, che si pone al suo livello: per il critico c'è spazio solo se resta “dentro il ciclo” e svolge la sua funzione diligentemente al pari di un libraio. già nel 1937 vittorio mussolini affermava che il compito della critica fosse quello di portare al sole il parere del pubblico e farsi portavoce dei suoi desideri; con il tempo la società è 2.5 DOPO LA FINE DELLE IDEOLOGIE tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta si scrive molto di cinema e nascono parecchie nuove riviste; “ciak”, nel 1985, è un caso particolare, dedicandosi alla promozione di cinema e spettacolo. il giornalismo raggiunge un’autorevolezza e conquista spazi che farà però fatica a mantenere nel decennio successivo. appaiono film epocali come alien (riley scott) e videodrome (david cronenberg). critici di generazioni diverse tendono ad esprimersi in maniere diverse e sono in molti ad adottare una scrittura personale, quasi autobiografica; nello stesso periodo molti critici affrontano il tema della pornografia. negli anni novanta questo atteggiamento, però, decade nella goliardia e nel culto del trash. altri due film si pongono come veri e propri spartiacque: - apocalypse now (francis ford coppola), il critico è ridotto a divulgatore del verbo dell’autore e a eco mediatico dell’evento; - i predatori dell’arca perduta (steven spielberg), il critico si trasforma in cinefilo alla rincorsa di citazioni e riferimenti nell’opera; nell’epoca in cui il cinema manierista e postmoderno incontra il “cinema-cinema”, la critica specializzata spesso diventa un esercizio autoriflessivo e prosperano gli studi sui remake e la serialità, temi che continuano ad essere rilevanti anche il decennio successivo. la critica specializzata impara a usare le teorie sul postmoderno di fredric jameson e finisce spesso per celebrare un cinema che diventa trionfo della simulazione: lo spettatore non si identifica più con i personaggi ma con lo spettacolo nella sua totalità. batman (tim burton) inaugura un postodeno di massa. 2.6 DAGLI ANNI NOVANTA AL PRESENTE negli anni novanta il cinema entra in crisi, come industria e fenomeno culturale. le grandi teorie come lo strutturalismo vanno in crisi, mentre si affermano gli studi che analizzano il cinema delle origini. nascono comunque parecchie riviste e la cinefilia, proposta da marco giusti, prevede un goliardico rovesciamento dei valori secondo cui il cinema “raw” è visto come alternativa a quello dei grandi autori; si assiste così al tramonto della figura tradizionale del critico-auctoritas, arbitro del gusto e dispensatore di consigli di visione. nel nuovo millennio, su internet, fioriscono newsgroup, forum, blog, che, da una parte, contestano la credibilità della critica istituzionalizzata e, dall’altra, offrono spazi di discussione. in questo periodo, almeno in italia, il cinema perde centralità nel dibattito e nel consumo culturale e il discorso critico si frammenta tra specialismo e improvvisazione sul web. nascono tante nicchie, specialmente grazie ai video essays, su youtube. CAPITOLO TRE: FORME E LUOGHI DELLA CRITICA 3.1 LA RECENSIONE la recensione è il genere esemplare, ideale e forte, della critica e la sua natura è quella di parlare di un film o un gruppo di film; si trova su quotidiani, periodici, riviste specializzate, siti internet e bilancia informazione, interpretazione e giudizio. la recensione è il frutto di una lunga storia, articolata secondo uno schema fisso, riproposto fino ad oggi: cappello, trama, commento e conclusione. è il prodotto di un critico, un criterio per distinguerla dal materiale informativo per la stampa, dalla pubblicità o dalla cronaca giornalistica. nell’editoriale “e ai recensori”, césare cases stila una serie di regole – o condizioni minime – valide per libri e cinema: la recensione privilegia l’aspetto informativo, ma non è una scheda neutra ed esprimere una valutazione. l’elemento soggettivo è sempre presente. la recensione varia dai 400 caratteri di un quotidiano, all’ampio articolo pubblicato su una rivista, che può poi sconfinare nel saggio. lo scarso spazio sui quotidiani del dopoguerra imponeva recensioni fulminee: inventore della recensione breve è stato, probabilmente, filippo tullio marinetti. quando kezich, nel 1966, viene invitato a trovare una nuova formula per le recensioni nasce la “critica veloce” che, negli anni, avrà sempre più diffusione. la diffusione delle recensioni brevi è stata accompagnata da uno svecchiamento sia stilistico sia di giudizio. senza inibizioni e libero da pregiudizi ideologici, non ha impedito di svolgere un discorso pertinente anche profondo. prima di raccontare la trama, kezich inquadra lo stile narrativo del regista; il resoconto degli eventi avviene attraverso una serie di frasi e, spesso, non c'è bisogno di un giudizio esplicito: che il film sia riuscito o meno emerge dall'analisi. nella scheda c'è spazio per qualcosa di più complesso e non richiesto da un giornalismo prettamente informativo: la ricezione del regista che stenta a trovare credito nella società dei consumi, ma ottiene consensi e generiche lodi ai festival. 3.2 L’INTERVISTA la scrittura giornalistica sul cinema comprende, oltre alla recensione, molti altri generi: il reportage dal set sulla lavorazione del film, la cronaca da un festival, l'intervista, l'inchiesta, ecc.. non tutti questi generi appartengono alla critica ma possono rientrarvi. con ”il cinema secondo hitchcock”, truffaut ha dimostrato che si può fare critica anche in forma di conversazione: partendo da una sintonia di fondo, come intervistatore, non ha paura di esprimere dissensi, si lascia correggere e sa quali sono le domande che piacciono al soggetto. l'osservazione presuppone il concetto tipico della politique des auteurs, secondo cui i film esprimono l'idea del mondo, ossia la visione del mondo del regista; hitchcock concorda con questa affermazione: era, infatti, necessario fosse così e supporta l'idea di critica di truffaut che lascia intendere che la preoccupazione del regista sia di ordine pratico, ovvero rendere la storia interessante, prima ancora che morale e poetico. l'intervista conserva valore di documentario. 3.3 ALTRI GENERI in campo editoriale, il saggio monografico è la forma di scrittura critica più diffusa: appare come un'espansione della recensione e spesso si presenta nella forma di una serie di recensioni. le prime monografie sul registi appaiono negli anni quaranta. la monografia privilegia come oggetto il regista; il tema è circoscritto e necessita di meno ricerche. i saggi pionieristici su singole cinematografie rimangono a lungo rari e solo a partire dalla fine degli anni sessanta si infittiscono le pubblicazioni di questo tipo. il saggio critico sul singolo film è stato protagonista negli ultimi vent'anni di collane fortunate. un'altra forma di critica diffusa, a partire dalla fine del secolo scorso, è il dizionario: ogni scheda fa seguire, a una sinossi, un commento più o meno articolato; il giudizio sul film viene sintetizzato con stellette e/o pallini. 3.4 DALLA SALA AL DIGITALE la teoria del cinema e di media ha studiato a fondo le radicali trasformazioni dei modi di vedere i film: i film che in passato esigevano una visione ininterrotta, collettiva e al buio nella sala cinematografica, sono stati rilocati prima sugli schermi televisivi, poi su quelli di pc e altri device portatili; la pellicola è stata sostituita da cassette analogiche, dvd, blu-ray, file scaricabili e streaming. a partire dalla diffusione dell’homevideo, i critici spesso si sono interrogati se il nuovo supporto e le nuove modalità di visione dei film comportassero dei cambiamenti; tradizionalmente i cinefili si sono divisi in due fazioni: da una parte c'erano gli entusiasti del nuovo mezzo, dall’altra c'era invece chi rivendicava l'insostituibilità dell'esperienza della sala cinematografica per caratteri sociali e rituali associati alla visione collettiva. al diffondersi delle vhs è legata alla nascita delle fanzines, riviste a basso costo che si rivolgono agli appassionati di un settore; con l'avvento del dvd, il film diventa consultabile a capitoli e permette una fruizione potenzialmente interattiva: saltare, ripetere, cambiare lingua e sottotitoli, accedere ai dietro le quinte e sentire interviste. 3.5 LE FORME DELLA CRITICA SUL WEB il primo effetto delle tecnologie di compressione digitale sul web è stato di liberare il film dalla dipendenza da un oggetto fisico, trasformandolo in un file condivisibile, scaricabile legalmente e illegalmente; ciò ha aumentato la disponibilità, sia dei film recentissimi che di film provenienti da cinematografie ed epoche in precedenza inaccessibili. la nascita del cinema sul web è legata al tramonto delle riviste cartacee e alla diffusione della critica online esercitata su forum, blog, riviste web, siti tematici e monografici, social media come facebook, twitter, youtube, ecc. accanto a portali che emulano o ripropongono le formule della critica cartacea, ci sono blogger che contestano apertamente critici tradizionali. dal punto di vista dello stile del discorso coesistono forme consuete e forme nuove: diari, articoli-elenco, videorecensioni (youtube). emergono nuovi soggetti: fan e critici amatoriali che non hanno una preparazione tradizionale ma che finiscono per riprodurre ruoli e dinamiche consolidate, esprimendosi con argomentazioni tradizionali. i ruoli tendono a scambiarsi e mescolarsi molto più fluidamente che in passato: il lettore spettatore che mette like e commenta brevemente una recensione altrui spesso scrive recensioni in prima persona; la partecipazione convive con la gerarchizzazione. i nuovi soggetti scrivono o si esprimono in luoghi nuovi. emerge anche un legame stretto tra la recensione, il suo valore commerciale e pubblicitario e l’uso degli algoritmi per indirizzare le scelte del consumatore. vi sono inoltre nuovi strumenti come gli aggregate sites, ad esempio rotten tomatoes, che raccolgono i link di migliaia di recensioni, ne fanno la media e consentono di farsi un'idea istantanea sull'accoglienza di un film. 3.6 DAL DOCUMENTARIO AL VIDEO ESSAY per parlare di un film o di un autore si può anche girare un documentario: spesso i registri hanno usato la macchina da presa e il tavolo di montaggio per parlare di un regista ammirato; la diffusione dei dvd e la domanda di extra da allegare ai film hanno aumentato la produzione di documentari, spesso realizzati in forma di intervista. alla fine degli anni sessanta risalgono anche esperimenti di uso didattico delle immagini in televisione. 4.3 PREMESSE E GERARCHIE DI VALORI l'adesione preventiva dell'uditorio a una determinata premessa o gerarchia dei valori rafforza la capacità di persuasione dell'oratore; al contrario, se il pubblico fatica ad accettare un valore, condurlo alla tesi desiderata sarà molto più difficile. il modo in cui la critica presuppone i valori su cui fonda i propri giudizi è di rado oggetto di discussione: la retorica classica aveva studiato e catalogato le premess dell'argomentazione sotto il nome di luoghi comuni: magazzini di argomenti, elenchi di schemi per costruire un ragionamento, e raccolti a mo' di repertorio per comodità dell'oratore. la natura dei luoghi è complessa e ambigua: nascono come cassetti vuoti che, man mano, vengono riempiti di contenuti e spesso critico cinematografico non si rende conto che, mentre dà forma al proprio giudizio, attinge a un repertorio di premesse consolidate. 4.3.1 I LUOGHI DELLA QUANTITÀ sono i luoghi comuni che affermano che una cosa vale più di un'altra per ragioni quantitative, ad esempio un numero maggiore di beni è preferibile a uno minore. applicazione nella critica: un film di grande successo è preferibile a uno di nicchia; un film girato con un grande budget è migliore di uno a basso costo, il presupposto di chi proclama la superiorità del cinema spettacolare che si rivolge al grande pubblico e di chi preferisce i film massimalisti e sovraccarichi a quelli minimalisti. in questo ambito rientra l'esaltazione del piacere fisico della visione, la quantità di emozioni diventa parametro di valore e i film che divertono ed eccitano sono migliori di quelli austeri e punitivi 4.3.2 I LUOGHI DELLA QUALITÀ sono quelli che contestano la virtù del numero e che si fanno forti della singolarità, della novità, della complessità e della profondità. applicazioni nella critica: un film d'autore è migliore di un film commerciale; un film indipendente è migliore di un prodotto da studio; un film sperimentale è migliore di un film tradizionale; un film impegnato è migliore di uno che cerca solo il divertimento. l'argomentazione fondata su questo presupposto è particolarmente persuasiva quando si contesta una qualità apparente rivendicando una qualità più profonda. 4.3.3 I LUOGHI DELL’ORDINE sono quelli che affermano la superiorità dell'anteriore sul posteriore l'anteriorità; vale sia in senso cronologico, sia nel senso di una gerarchia ideale. applicazioni nella critica: i film dei maestri sono migliori di quelli degli epigoni. coloro che preferiscono il cinema contemporaneo a quello del passato contestano questo presupposto, ma i luoghi dell'ordine possono essere usati anche in senso opposto quando la discendenza dal passato è usata per valorizzare il presente. entro i luoghi dell'ordine si possono far rientrare alcune classiche dicotomie critiche che fondano ciò che si considera essenziale nell'interpretazione: quella tra formalismo e contenutismo; si può attribuire attribuire un valore prioritario a ciascuno dei due termini. la dicotomia tra film di regia e quelli di sceneggiatura presuppone, invece, una gerarchia non invertibile; l'origine di questa gerarchia si trova, naturalmente, nella politique des auteurs, che partiva da una demolizione del cinema letterario francese per esaltare, invece, registi come howard hawks. 4.3.4 I LUOGHI DELL’ESISTENTE sono quelli che affermano la superiorità di quanto esiste e di quanto attuale, di quanto è reale sul possibile, l'eventuale, l'impossibile. l'applicazione più diffusa nella critica è il principio secondo cui i film verosimile e realistici sono migliori di quelli inverosimili; questo è il presupposto di chi è il nemico del bizzarro. le applicazioni possono avere anche implicazioni politiche: un film che denuncia le magagne della società può venire criticato con la scusa di non essere realistico e di deformare la realtà. 4.4 INTERPRETAZIONE E SELEZIONE DEI DATI la retorica classica si articola in cinque parti: - l’inventio, il momento in cui l'autore trova tutti gli argomenti con i quali intende persuadere l'uditorio; - la dispositio, il momento in cui l'oratore organizza la struttura del suo discorso; - l’elocutio, si riferisce all'elaborazione stilistica del discorso; - l’actio e la memoria, sono cadute in disuso; il discorso critico, in quanto epidittico, ha una specificità che lo distingue dagli altri generi retorici; il suo compito è quello di confrontarsi con un oggetto preesistente e interpretarlo, oltre che persuadere, stabilisce l'utile, lo giudica, lo elogia o accresce l'adesione a un valore, spiega, analizza e, eventualmente, porta alla luce un significato in precedenza ignoto al lettore. costruire un discorso critico significa argomentare una tesi sulla base di una serie di premesse e con il sostegno di una serie di dati rinvenuti nel film. la scelta degli elementi concreti che serviranno come materiale dell'argomentazione non è mai neutra, è un atto interpretativo e presuppone che si abbia chiaro quali tesi si vogliono sostenere; si tratta di un circolo ermeneutico inevitabile in ogni tipo di attività interpretativa. il critico seleziona solo i dati che gli fanno comodo, in ciò risiede la differenza tra argomentazione e dimostrazione scientifica. il fatto che non esista un unico modo di interpretare i dati fa sì che lo spazio dell’interpretazione sia sempre dialogico: “nasce da un gioco di interpretazione innumerevoli e dalla lotta per imporne alcune e scartarne altre”; le interpretazioni si influenzano a vicenda e ogni discorso non è un evento isolato: da una parte deve tener conto della situazione concreta e adattarsi ad essa, dall'altra si oppone ad altri discorsi che l'hanno preceduto o che lo seguiranno. si situa in una dimensione intertestuale. la critica vale all'interno di un determinato contesto e per un determinato territorio e tiene conto degli altri discorsi pronunciati sullo stesso argomento. CAPITOLO CINQUE: LE FORME DEL RAGIONAMENTO 5.1 TECNICHE DI ARGOMENTAZIONE il lavoro della critica si appoggia una serie di ragionamenti consolidati che casetti chiama “dispositivi ricorrenti”; per coglierne le diverse caratteristiche è utile riprendere, in parte, le ripartizioni della retorica aristotelica che studiava le tecniche di argomentazione sotto il nome di “prove”, dividendole in non tecniche e tecniche: le prove tecniche sono create dall'oratore, quelle non tecniche esistono già nella realtà, è il caso di legge e contratti. le prove non tecniche hanno un interesse relativo per la retorica. nel caso della critica cinematografica, una classica prova estrinseca è la dichiarazione del regista, che può venire impugnata da un critico a favore della propria tesi. le prove tecniche si dividono in tre specie: quelle che fanno appello al carattere dell'oratore (ethos), quelle che fanno appello alle emozioni dell'ascoltatore (pathos), e quelle dialettiche che usano il discorso (logos) e mirano a convincere. le prove dell’ethos coincidono con i tratti di carattere che assume l'oratore per fare buona impressione su chi l'ascolta: egli deve essere sensato, sincero, ragionevole e autorevole; il lettore è più facilmente persuaso quando riconosce al critico un ruolo o un’auctoritas garante dei suoi giudizi (il fatto che sia quel critico a pronunciare quel giudizio costituisce una prova a favore della bontà di quest'ultimo). le prove del pathos suscitano il coinvolgimento dell'uditorio, puntando sull'impatto emotivo; nella critica ciò avviene ogni volta che si sottolinea per il divertimento, la paura, la noia, il disgusto provocati dal film. quanto alle prove dialettiche, la retorica classica assegna a ogni genere di discorso una prova specifica: al discorso deliberativo l’exemplum; al discorso giudiziario l’entimema; al discorso epidittico, l’encomio. L’ASSOCIAZIONE questo tipo di argomentazione costruisce un legame tra un fenomeno generale e un fenomeno particolare, tra un’assenza e una manifestazione. il trattato chiama questi legami di coesistenza, perché pretendono di fondarsi su un rapporto tra cose reali ed evidenti. un film può venire considerato come manifestazione di un autore, di un genere, di una società, di un’epoca, di uno stile, di una poetica o movimento culturale, di un atteggiamento esistenziale o, addirittura, dell'essenza stessa del cinema e della vita. questa tecnica argomentativa è amata dai critici poeti e impressionisti. i legami di coesistenza fondano un giudizio di valore attraverso un entimema, un ragionamento paralogico, le cui premesse non sono universalmente vere. bordwell propone uno schema per spiegare come la critica giornalistica arrivi a formulare deduttivamente giudizi di valore: la proprietà x è manifestata da tutti i grandi film → questo possiede la proprietà x → questo film è importante o significante questo schema in realtà vale per qualunque discorso critico. il legame di associazione si presta a usi opposti. 5.2.1 AUTORIALISMI un caso particolare di legame associativo è quello della critica autorialista, che considera il film come manifestazione di un valore assoluto, che è il genio creativo dell'autore. si tratta della combinazione di due classici argomenti associativi, quello della persona e quello dell'autorità: il primo si basa sul legame tra le persone e i suoi atti, il secondo giustifica un'affermazione fondandosi sul valore del suo autore Il critico autorialista ragiona così: x è un grande autore che fa sempre grandi film → questo film è di x → questo film bello e importante la promessa dell’entimema non è una verità dimostrabile scientificamente e il valore di un film si decide in una lotta tra convenzione e autorialità. non sempre succede; i critici-scrittori e i polemisti sono quelli che più facilmente trasgrediscono queste regole ma la trasgressione delle regole fa parte del gioco ed è accettata all'interno delle sedi a cui si svolge. CAPITOLO SEI: LO STILE DELLA CRITICA 6.1 LA DISPOSITIO il critico, come qualunque oratore, organizza i suoi argomenti in una struttura (dispositio) e impiega lo stile più adatto per esprimerli (elocutio). la dispositio della recensione nasce con filippo sacchi e arriva, con poche variazioni, fino ad oggi, rispettando il seguente schema: - cappello introduttivo con eventuali considerazioni personali; - esposizione della trama; - analisi del contenuto; - giudizio sul film, sugli attori, la fotografia, la musica, ecc. questo schema è tipico della dispositio della retorica classica. nell'esordio si comincia il discorso, la parte centrale comprende narratio e confirmatio e per finire la peroratio, la conclusione. 6.1.1 L’ESORDIO l'esordio di una recensione stabilisce subito il tono e il rapporto tra critico e il lettore: colloquiale, dall'alto verso il basso, serioso, ludico, ecc.. fin dai tempi di sacchi, si usa spesso l'esordio in media res, a effetto, ma si può partire anche da una battuta di dialogo oppure da un'analisi del titolo, tutti casi in cui un particolare rimanda al significato complessivo del film; gli attacchi possibili sono innumerevoli: si può partire da considerazioni di tipo generalissimo, dall'inquadramento dell'autore, da segni storici, consigli di lettura o bibliografici, c'è chi è evoca altri critici, chi dichiara subito la propria tesi, ecc.. l'esordio può dichiarare l'argomento di cui si farà forte il recettore. chi inizia con una citazione del regista invoca subito l'argomento di autorità a suffragio della propria tesi. un ruolo importante viene giocato spesso dalla definizione. la bravura argomentativa del critico starà nel dimostrare quanto affermato in partenza. 6.1.2 IL RACCONTO DELLA TRAMA la parte centrale della recensione corrisponde alla narratio e alla confirmatio: prima la narrazione dei fatti poi l'esposizione dei propri argomenti. la retorica classica raccomandava chiarezza, abilità e credibilità nell'esposizione dei fatti, mentre l'obiettività è solo apparente: gli oratori selezionano i dati a seconda delle proprie esigenze. raccontare la trama del film equivale ad esporre dei fatti, trovando i modi più creativi e indiretti per informare il lettore. il tono del riassunto può dirla lunga sul giudizio del critico. sia sulla stampa specializzata, sia sui rotocalchi, viene separata anche graficamente dalla recensione vera e propria, un espediente che presuppone l'ideale giornalistico di separare i fatti dai commenti. specie si è dedicata a un film importante, esordio e conclusione avevano una notevole ampiezza, mentre il commento spesso si sviluppava con respiro maggiore nel rispetto alla trama circa il 40%; in una recensione odierna da quotidiano, però, la trama può superare il 60% dello spazio e il commento può venire inglobato nella conclusione: si tratta di un comodo escamotage, quando il film ha scarsi motivi di interesse, non si presta a interpretazioni elaborate, mentre lo spazio da riempire è tanto, come capita durante i mesi estivi. 6.1.3 LA CONCLUSIONE nella retorica classica, la conclusione era il momento in cui gli argomenti patetici si spostavano a quelli più razionali; si può riassumere la tesi ed enfatizzarla, oppure coinvolgere il lettore e fare appello al pathos nel finale. 6.2 L’ELOCUTIO tra critica cinefila e recensione da un quotidiano non c'è differenza sostanziale, almeno per quanto riguarda le strutture formali; il tipo di strategie verbali e argomentative adottate mostra come la dispositio sia pienamente connessa con l’elocutio. nella retorica classica, l’elocutio concerneva la scelta dello stile, significava scegliere un certo registro lessicale, usare certe figure retoriche, ecc.. nel corso dei secoli, il declino della retorica ha comportato anche una restrizione del suo campo a quello della catalogazione delle figure di discorso e delle tecniche di argomentazione. il discorso critico come genere di scrittura ammette e, anzi, richiede un certo grado di elaborazione stilistica: una prosa grigia, arida, monotona, può aspirare al rigore della scientificità, ma probabilmente non si tratta di critica cinematografica. l'impiego di un certo registro (aulico, quotidiano, gergale) è sintomo preciso del livello al quale si colloca il critico; l'uso di metafore tratte da altri ambiti equivale a un rifiuto di specializzazione. un abbassamento del lessico è una caratteristica degli ultimi anni, condivisa da riviste specializzate, quotidiani e siti web; al tempo stesso, i cascami del lessico accademico si divulgano e termini come “metacinema”, “ontologico”, “diegetico”, si sono diffusi in ambiti molto diversi: da settimanali a libretti per i dvd. lo stesso vale per parole legate a varie mode culturali. un caso affine è la diffusione di uno stile di scrittura che usa i tecnicismi della semiotica in funzione poetico-letteraria: abuso di virgolette e corsivi per suggerire significati più profondi, periodi incisi, parentesi, parole frantumate tra trattini e parentesi (re-visione; di(s)soluzioni). 6.2.1 FORME DELL’ENUNCIAZIONE un’importante strategia stilistica è la scelta della forma enunciativa. critici-scrittori usano il pronome io in modo istrionico, per riportare ogni giudizio, reazione, scatto umorale, a una persona che sta a metà tra il personaggio autobiografico e la personalità pubblica; il loro è un io maiuscolo e autorevole e impongono un rapporto gerarchico con il lettore. ci sono altri tipi di io che non si mettono sul piedistallo e che fanno di tutto per celare le proprie svariate competenze specifiche: una delle figure retoriche ricorrenti è quella del ridimensionarsi; l'affermazione di fallibilità e, addirittura, autodegradazione. moravia preferisce il noi impersonale per farsi guida e portavoce di una società o di una comunità di persone ragionanti identificabili come la borghesia di sinistra. ogni discorso che mira all’oggettività rimuove, ovviamente, ogni traccia di soggettività e tende a non usare pronomi di prima persona. 6.3 IL CRITICO COME ARTISTA che la critica letteraria sia essa stessa un genere letterario è un fatto; che la critica cinematografica rientri nel campo della letteratura, almeno in italia, non è scontato invece. la tradizione secondo cui il critico è un artista ha una lunga storia: la critica diventa forma di scrittura creativa e artistica legata alla soggettività personale ogni volta che “il critico sublima il poeta che gli presta le parole per i suoi fantasmi muti”, traendo dalle sue parole “significati inserapati e colorazioni nuove”. in campo cinematografico si è arrivati alla concezione della critica come preparazione o prolungamento del cinema. molti critici hanno coltivato una scrittura raffinata e complessa; una strategia tipica di questa critica è la parafrasi lirica dell'intreccio del film: la parafrasi lirica diventa ricognizione nell'enciclopedia dell'immaginario del regista e arriva alla formulazione di un'analisi precisa. CAPITOLO SETTE:. METODI DI ANALISI tradizionalmente esistono diverse metodologie critiche con cui si analizzano i film, ciascun metodo ha un modo caratteristico di fare appello a valori condivisi, di selezionare i dati e di argomentare; privilegiando un metodo e non un altro la critica viaggia sul sicuro, guarda delle cose magari inedite, impiegando degli schemi già collaudati che bordwell chiama “routines”. esistono metodologie basate sul senso comune e che non aspirano ad analisi particolarmente complesse del testo; non si deve però arrivare a postulare una differenza ontologica tra diversi tipi di critica: ogni metodo si basa su determinate premesse e svolge un discorso verificabile all'interno dei principi e delle gerarchie di valore cui si ispira. uno stesso metodo può valere per diversi film: la forza della critica psicoanalitica è stata anche la duttilità, la facilità di applicazione a film molto diversi. viceversa uno stesso film può essere letto con diversi metodi: si possono studiare le dinamiche di gender o i fenomeni di fandom che genera; privilegiare un'analisi tecnica o estetica di elementi formali; leggere gli elementi formali come sintomatici di dinamiche dell'inconscio; ecc.. non tutti i metodi però hanno la stessa pertinenza. 7.2 I TEMI COME REPERTORI DI ARGOMENTAZIONI secondo bordwell si può dire che, per analizzare e interpretare un film, il critico usa vari metodi: questi gli servono per definire i temi (campi semantici) a cui attribuire rilevanza e che poi adatta al film. bordwell distingue due grandi tipologie di analisi: quella one to many e quella many to one; nella prima il critico, una volta deciso che tema è rilevante, lo ritrova in ogni elemento del film, mentre nella seconda, il critico analizza lo stesso elemento tematico del film con diverse metodologie (ad esempio citazioni pittoriche analisi storiche sociologiche). nella pratica le due tipologie si fondono senza soluzione di continuità. i temi vengono definiti trovando elementi comuni e ricorrenti in gruppi di film omogenei o all'interno di un film solo e possono riguardare il contenuto, la forma o entrambi. i temi sono più o meno comprensivi o specifici: possono servire a caratterizzare un solo autore oppure un'intera epoca. ogni metodo ha i propri temi preferiti; metodo e temi si giustificano a vicenda, oltre a essere uno il prodotto dell'altro. la critica non ne può fare a meno: essi sono il sunto di argomentazioni complesse e specifiche; sono quelli che bordwell chiama black boxes: strumenti per avere pronto il lavoro dell'interpretazione e che sono stati costruiti attraverso un lavoro di comparazione tra 7.5 I GENERI autore e generi sono visti spesso come temi in vario modo incompatibili. la critica dei “cahiers du cinéma” si prefiggeva di dimostrare come la soggettività dei registi americani potesse emergere all'interno dei limiti imposti da determinati modi produttivi (hollywood) e vincoli espressivi (i generi). anche per questo, la critica ha studiato il concetto di autore ma non ha fatto altrettanto con il genere, che rimane spesso un a priori accettato senza essere discusso. lo studio dei generi è stato appannaggio della storiografia e della teoria: uno dei risultati più innovativi è stato il saggio di rick altman che studia il genere secondo un approccio pragmatico, sia dal punto di vista dell'industria che da quello della ricezione. per la critica, invece, il genere è spesso un'essenza indiscutibile e universalmente accettata, che crea classi di film utili a posizionare le pellicole da giudicare. non tutti i generi hanno lo stesso valore. i paradigmi cambiano nell'era del postmoderno, quando si intrecciano strettamente lavoro critico e riflessione teorica sui generi. negli anni ottanta, crollano le gerarchie culturali tradizionali: la contaminazione tra i generi diventa una prassi diffusa e viene apprezzata da una critica che aspira a conquistare nuovi territori, fondare nuovi canoni e fondere metodologie diverse. 7.6 L'AUTORIFLESSIVITÀ il concetto di auto-riflessività ha avuto la sua prima elaborazione organica all'interno del formalismo russo, secondo cui l'arte è un mezzo per distruggere l'automatismo della percezione, attraverso lo straniamento. la lingua poetica attira la percezione del lettore sulle proprie caratteristiche formali. il tema dell'autoriflessività prevede che un elemento del film diventi una metafora del cinema, ma si tratta, soprattutto, di uno strumento per dimostrare, ancora una volta, il magistero morale dell'autore. si tratta di un concetto che prende importanza, soprattutto grazie alle analisi dei giovani turchi. 7.6.1 METAFORE DELLA VISIONE spesso un elemento del film diventa metafora di cinema; lo stesso vale per i film che hanno come protagonisti registi o attori: dato che parlano di come si fa il cinema, è facile attribuire un significato autoriflessivo. lo stesso avviene per i film ambientati in una sala cinematografica, metafora della condizione dello spettatore e così via. qualunque elemento del film legato alla visione può diventare metafora dello sguardo, quindi autoriflessivo. il critico legge in modo autoriflessivo elementi tematici o formali: un personaggio ha un sogno, visualizza i suoi ricordi in un flashback, scrive una lettera o un romanzo che diventano così metafore del film. a diventare autoriflessivi possono essere anche elementi formali. la critica cinematografica, quando vuole dimostrare che un film parla di cinema, continua a preferire l’interpretazione simbolica di un dettaglio, dell’azione di un personaggio o di un episodio dell’intreccio. 7.6.2 AUTORIFLESSIVITÀ , POLITICA E MODERNITÀ quello dell’autoriflessività è anche un esempio di come i temi cambino significato a seconda del contesto culturale. negli anni settanta, questo tema aveva una spiccata connotazione ideologica, per influenza delle teorie di bertolt brecht; nel suo teatro, lo straniamento è uno strumento didattico usato per sviluppare il senso critico dello spettatore; ne discendeva, nel campo della critica cinematografica, la distinzione tra due tipi di cinema: da una parte il cinema borghese, che produceva un’illusione realista, dall’altra il cinema d’avanguardia, che metteva a nudo i materiali evitando l’inganno. compito della critica era di smascherare i film impegnati ma che in realtà adottavano le forme del cinema spettacolare borghese e, viceversa, valorizzare i film che riuscivano a demistificarla efficacemente. in seguito, il tema dell’autoriflessività si intreccia a quello della modernità: con la modernità, il cinema comincia a riflettere su sé stesso e i registi prendono atto che la realtà è inconoscibile e che le immagini sono fittizie; rimaneva viva una tensione morale. 7.7 LA CITAZIONE legato all’autoriflessività è un tema ricorrente nel postmoderno: la citazione come chiave per analizzare e valorizzare i film. la citazione è sintomo di un cinema che “non ha più né maestri né storia, ma si presenta come una grande riserva confusa di forme, motivi, miti interni, a cui si può attingere con la massima innocenza culturale". i registi degli anni ottanta e novanta citano e trasformano il cinema del passato e la critica ricostruisce questa stratificazione di allusioni, attribuendovi un giudizio di valore. è una riproposizione dell’argomento dell’autorità, che incentiva la creatività del critico nel trovare paragoni e rimandi. in termini estetici, può significare la fine del modello dell'autore alla bazin-nouvelle vague e la citazione è l’unica cosa che rimane quando non c’è più nulla di nuovo da dire. il fenomeno si è riproposto nel cinema di tarantino: un regista che costruisce i suoi film come enciclopedie di citazioni di altri generi e film, spesso oscuri e negletti. 7.8 UN PO’ DI FILOLOGIA prima di analizzare un film, un critico dovrebbe assicurarsi che la copia che sta vedendo, su qualsiasi supporto, sia quella più vicina alla volontà dell’autore. i criteri principali di cui tenere conto sono: - il formato (es. 1,33:1, 4:3, ecc..); - la velocità di proiezione = i fotogrammi (es. ai tempi del muto era più lenta); - l’integralità e l’assenza di censure; il director’s cut può spesso aiutare ma non sempre ripristina l’originale, spesso crea una versione nuova (es. star wars). il critico scrupoloso, nell’analisi di un film, dovrebbe tenere presenti tutte queste variabili. anche i restauri vanno valutati caso per caso. CAPITOLO OTTO: LE OSCILLAZIONI DEL GIUDIZIO 8.1 PRO O CONTRO IL GIUDIZIO DI VALORE un discorso critico convincente si basa sulla condivisione delle premesse evocate, sulla pregnanza delle argomentazioni, sul prestigio culturale dei metodi e dei percorsi interpretativi adottati; è espresso con stile appropriato, personale e il risultato è quello di far parlare il film: individuare temi pertinenti, rilevanti e originali per il contesto sociale e culturale in cui il film si svolge. per la critica è obbligatorio esprimere un giudizio? l’etimologia della parola deriva dal greco “distinguere”, “giudicare”. negli anni sessanta, un fattore chiave nel divorzio tra teoria e critica è stato l’espulsione del giudizio di valore e/o di gusto da ogni forma di analisi. bordwell parla di una “voragine” che si apre negli anni settanta tra critica cinefila e ricerca accademica, che sospende l’atto della valutazione. secondo bordwell, la teoria non elimina il giudizio ma lo dà per scontato, evitando di metterlo in discussione volta per volta; il teorico usa ogni film per trovare conferma della teoria che glielo fa scegliere come oggetto di studio, secondo un classico circolo ermeneutico. anche nelle analisi strutturaliste, ermeneutiche, però, c’è sempre una valutazione, anche se implicita. quello che fa diventare un determinato testo oggetto di studio è sempre un atto di giudizio. molti studiosi di letteratura sono tornati a legittimare, nel nuovo millennio, l’insostituibilità e l’eticità del giudizio di valore; si cerca di rifondare una dimensione civile del giudizio, in un’epoca che pare dominata dal relativismo e solipsismo. nel campo degli studi cinematografici, la rivendicazione della funzione giudicante della critica appare meno impellente. il divorzio tra critica e teoria perdura, a svantaggio di tutti. la soluzione che propone bordwell è quella di una “middle level research", che aggira le questioni teoriche o troppo generali, ma risponde a domande concrete: un’analisi che evita l’impressionismo della critica cinefila grazie a strumenti analitici che arrivano comunque a dei giudizi. 8.2 LA STORICITÀ DEL GIUDIZIO E LA RIVALUTAZIONE il numero di letture tollerate da un film può essere un criterio per giudicare il suo valore attraverso la storia della sua ricezione. spesso i “capolavori” sono quelli che reggono al mutare delle mode interpretative e che rispondono alle esigenze di ogni epoca. ciò non toglie però che si possano ritenere capolavori anche film su cui il consenso è relativamente recente. la critica si svolge nella storia e i suoi giudizi e i suoi metodi non sono assoluti. le rivalutazioni, le riletture e i pentimenti fanno parte della natura stessa della critica. il fenomeno della rivalutazione è quello in cui sono più evidenti sia la storicità sia la relatività del giudizio critico. nessuna revisione o rivalutazione è innocente e dipende, a sua volta, da paradigmi culturali o mode. esistono film sul cui valore c’è sempre stata unanimità di giudizio, ma l’evoluzione del gusto lascia alle spalle cadaveri ed errori. secondo kael, una delle prime attestazioni del termine trash, ad esempio, risalgono alle critiche fatte alla fantascienza. trash, in seguito, è stato applicato con duplice valore: prima di irrisione, poi di riappropriazione in chiave anti-culturale. la storia dell’arte è fatta di progressivi allargamenti e inclusioni e la critica è spesso protagonista, e vittima, di queste revisioni. il cinema ha impiegato decenni per avere un posto all’interno dei valori culturali riconosciuti. sul cinema di genere e popolare si sono combattute battaglie dai risultati molto duraturi: nel secondo dopoguerra, la critica francese è ricettiva nei confronti del noir americano, ad esempio. dalla politique des auteurs in poi, diventa, invece, materiale per le rivalutazioni e il rovesciamento dei valori. negli anni sessanta, gli studi sulla cultura di massa, sul midcult e il kitsch spingono gli studiosi ad occuparsi di film in precedenza ritenuti indegni di discorso critico, anche se
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