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La devianza. Teorie e politiche di controllo., Sintesi del corso di Sociologia della Devianza e della Criminalità

D. SCARSCELLI, O. VIDONI GUIDONI, (2008), La devianza. Teorie e politiche di controllo, Carocci, Roma

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018
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Federica467
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Scarica La devianza. Teorie e politiche di controllo. e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia della Devianza e della Criminalità solo su Docsity! La devianza 1.1 Beccaria e la scuola classica Una prima risposta al quesito relativo al perché certi attori commettono atti devianti e criminali è fornita dalla scuola classica. L'assunto di base di questa scuola è che le azioni degli individui sono rette da un principio di razionalità: un individuo privo di condizionamenti sociali è libero di scegliere l'osservanza la trasgressione delle leggi. Ciò esprime l'idea che nella scelta se commettere o meno un atto deviante, un individuo fa un calcolo costi benefici e deciderà di deviare qualora tale atto gli consente di massimizzare il proprio piacere. Il primo elemento sul quale occorre riflettere è legato al particolare meccanismo decisionale, quello della razionalità calcolatrice che conduce un individuo a compiere un reato: questo meccanismo è il medesimo che si adotta in tutte le altre scelte di vita. Pertanto il crimine è visto come una normale opportunità di azione e non come un evento estremo. Il secondo aspetto ha a che vedere con la personalità e le inclinazioni personali del criminale: questi non è considerato un soggetto anormale, psicologicamente fragile ma un individuo normale che può scegliere di commettere dei reati per realizzare i propri desideri. Infine se un attore non è costretto da fattori interni o sociali a delinquere allora va ritenuto totalmente responsabile delle proprie azioni. Beccaria sviluppa queste idee sulla base di due assiomi: - l'uomo è immaginato come un essere libero e razionale che agisce esclusivamente nell'interesse dei propri desideri. - lo stato è concepito come il prodotto di un contratto tra uomini liberi che decidono di privarsi di una parte della propria libertà per costruire una struttura che tutela e garantisce la pace sociale. Il giusto processo. Poiché secondo questa prospettiva i cittadini sono uguali di fronte alla legge, la giustizia penale deve essere amministrata secondo procedure che rispettino i diritti individuali. I reati e le pene devono essere stabiliti per legge, affinché la definizione puramente legale di cosa debba essere considerato un crimine e la determinazione delle relative pene garantiscono i diritti dei cittadini. La pena deve rappresentare il minimo strumento necessario per la conservazione del bene pubblico, ovvero, una pena giusta è quella che minimizzando il ricorso alla violenza riesce comunque a garantire l'ordine sociale. La funzione della pena. Se l'uomo è un essere razionale è necessario che le conseguenze di un’azione criminale procurino all'individuo un danno maggiore rispetto ai benefici, in modo tale che non sia più conveniente, utile o desiderabile trasgredire le leggi. La pena quindi dovrebbe avere una funzione deterrente, vero dovrebbe servire a scoraggiare gli stessi criminali dal commettere nuovamente un reato (la deterrenza speciale) e al resto della popolazione dall'interaprendere scelte criminali (la deterrenza generale). Affinché la pena sia utile e giusta è necessario che essa presenti qualità particolari. In primo luogo, la pena deve essere pronta ovvero, ad un reato deve seguire immediatamente una sanzione. In questo modo si risparmiano inutili sofferenze al reo e si riesce a produrre nell'animo umano una rapida associazione tra reato e pena. In secondo luogo, la pena deve essere anche infallibile, ossia ad una violazione della legge penale si deve rispondere sempre con una pena, in sostanza nessun reato deve rimanere impunito. In terzo luogo l'infallibilità è unita alla certezza della pena la quale deve essere interamente scontata senza la possibilità di accedere a clemenza o al perdono. Infine la pena deve essere conforme il più possibile alla natura del delitto e di infliggere al condannato soltanto la quantità giusta di sofferenza. 1.2 Azione razionale e devianza Per gli studiosi che si rifanno a questa prospettiva nota come individualismo metodologico, l'idea centrale è che per spiegare un qualsiasi fenomeno sociale bisogna partire dall'azione individuale e in particolare bisogna comprendere le ragioni per cui gli attori fanno quel che fanno e credono in ciò in cui credono. Qualsiasi azione sociale pertanto anche la più elementare può essere studiata come l'esito di scelte individuali che occorre spiegare. Elster suggerisce che un modo semplice per spiegare un'azione scomporla in almeno due operazioni selettive. La prima operazione è l'analisi dell'insieme dei vincoli giuridici fisici ed economici che caratterizzano il contesto in cui l'individuo sceglie. Tutte le possibili azioni che non vengono impedite da vincoli sono considerate opportunità. Il secondo filtro è il particolare meccanismo che determina quale azione all'interno di quelle possibili un individuo effettivamente sceglierà. È molto complesso tuttavia scegliere tra numerose opportunità. Generalmente gli individui si rifanno ad alcuni criteri: o si seguono determinate regole sociali che indicano quali opportunità è giusto accogliere in certe situazioni oppure ci si orienta in base ai propri desideri. Si deve tener presente che le opportunità sono sempre filtrate dalle nostre credenze, ovvero da ciò che noi riteniamo siano le nostre opportunità. Si può sostenere che un'azione è razionale quando l'attore sociale di fronte a diversi corsi di azione intraprendere quello che a proprio giudizio avrà il risultato migliore. Questa definizione evidenzia tre elementi principali: • L'azione è uno strumento per realizzare determinati fini, • Gli individui scelgono l'alternativa migliore, • Nessun individuo è in grado di raccogliere tutte le informazioni possibili per scegliere il corso d'azione ritenuto migliore. È possibile pertanto definire un’azione deviante come razionale se questa appare ad un attore la scelta più adeguata per raggiungere determinati fini. La teoria della scelta razionale. 2.2 La prevenzione situazionale. Secondo la prospettiva della scelta razionale il comportamento criminale si previene intervenendo sull'ambiente in cui si teme possa verificarsi un evento delittuoso con lo scopo di condizionare la decisione del criminale di compiere il reato. Gli interventi devono agire quindi sulle circostanze del crimine, riducendo o rimuovendo le condizioni che lo rendono possibile. La prevenzione situazionale è orientata verso forme specifiche di criminalità poiché le decisioni di coinvolgimento dipendono dalla natura del crimine. I programmi di prevenzione situazionale possono essere classificati in: • programmi di design ambientale che hanno lo scopo di ristrutturare gli spazi rendendoli maggiormente difendibili e quindi riducendo la possibilità di vittimizzazione • programmi che proteggono i bersagli appetibili rendendoli più difficilmente raggiungibili dei potenziali criminali motivati • programmi che si basano sul coinvolgimento dei cittadini residenti nella sorveglianza del loro territorio • programmi che prevedono un maggior controllo da parte della polizia anche attraverso un contatto diretto e quotidiano con i cittadini • programmi che informano i cittadini attraverso il ricorso ai mass media sugli accorgimenti che si possono adottare per evitare di essere vittimizzato. Se la prevenzione situazionale può aiutare le potenziali vittime dei reati a ridurre il rischio di vittimizzazione in determinate situazioni non è detto che riduca anche il numero degli atti criminali che si verificano in una data collettività. Esiste un possibile effetto di spostamento che fa sì che il criminale non rinunci a delinquere ma decida di orientarsi diversamente con la propria strategia criminale. Infatti tale soggetto potrebbe scegliere di commettere lo stesso reato in un altro momento, in un altro contesto utilizzando la tecnica che rende inefficace le misura di protezione del bene, oppure di compiere un reato differente. 2. Il paradigma sociale: Durkheim e la scuola di Chicago 1.Le teorie Nel corso del XIX secolo emerge una visione che considera la devianza un prodotto sociale, un fatto sociale. Questo paradigma sociale identifica le radici del comportamento deviante soprattutto in quelle condizioni che gli individui non possono controllare e che li predispongono a certi comportamenti. Secondo questa prospettiva le cause della devianza e della criminalità andranno ricercate in condizioni che non solo si pongono al di fuori della coscienza del soggetto ma che sono anche dotate di un potere coercitivo, in virtù del quale si impongono a lui con o senza il suo consenso. All'interno del paradigma sociale della devianza e del crimine troviamo tre importanti tradizioni teoriche e di ricerca: • la prima interpretazione sociologica della devianza nella società industriale è a opera di Durkheim, egli individua nella anomia la causa dei tassi di devianza e criminalità, • la scuola di Chicago evidenzia invece come la devianza e la criminalità non siano caratteristiche degli individui ma piuttosto di contesti sociali in cui tali individui vivono, utilizza quindi un concetto simile a quello di anomia ma che prende il nome di disorganizzazione sociale, • la teoria struttural-funzionalista che esamina il rapporto tra la devianza e la struttura sociale e culturale di una società. 1.1 Devianza e anomia il contributo teorico di Durkheim Secondo il sociologo francese è criminale un comportamento che viene giudicato negativamente dalla maggior parte dei membri di una collettività poiché viola le norme e i valori di tale collettività. Un atto pertanto può essere considerato deviante soltanto facendo riferimento al contesto sociale e culturale in cui si manifesta. Secondo Durkheim la criminalità è un fenomeno sociale normale poiché è presente in ogni tipo di società. La criminalità deve svolgere una funzione sociale specifica ovvero il mantenimento della coesione sociale. Infatti un atto criminale determinando una reazione della società rafforza i sentimenti collettivi contro la trasgressione della norma e quindi indirettamente contribuisce a rafforzare l'ordine sociale. La reazione della società serve quindi a mantenere intatta la coesione sociale, conservando la coscienza comune. Il mantenimento della coesione sociale non è però l'unica funzione della devianza, se non ci fossero comportamenti che trasgrediscono la morale vigente la società non potrebbe progredire. Durkheim ritiene pertanto che la devianza sia un fatto sociale normale perché rende la società aperta al mutamento sociale. Anomia e devianza. Secondo questa prospettiva se la devianza è un fenomeno sociale normale poiché non può esserci una società nella quale gli individui non divergano più o meno dal tipo collettivo, ciò che deve essere considerato un fatto sociale e patologico è il rapido incremento del tasso di devianza nell'ambito di una determinata collettività. L'aumento del tasso di devianza dovrà essere spiegato ricorrendo ad uno specifico fattore sociale che Durkheim definisce come anomia: ovvero la deregolamentazione che avviene nella società quando i legami sociali si indeboliscono e la società stessa non è più in grado di regolare i sentimenti e le attività degli individui. Durkheim sviluppa il concetto di anomia nello studio di suicidio identificandone tre diverse tipologie: il suicidio egoistico, altruistico e anomico. I cattolici si suicidano in misura maggiore dei protestanti, i celibi dei coniugati mentre nelle società attraversate da grandi scosse sociali come le grandi guerre popolari diminuiscono i tassi di suicidio. Esiste quindi un tipo di suicidio che possiamo definire egoistico risultante da un'eccessiva individualizzazione. Ci sono però condizioni sociali che possono spingere le persone al suicidio a causa di un meccanismo sociale opposto a quello precedentemente indicato, in questo caso la spiegazione del suicidio definito altruistico risiede in un eccesso di attaccamento al gruppo in cui l’io non si appartiene ma si confonde con cosa diversa da sé e dove il polo della condotta viene a trovarsi al di fuori. Un repentino aumento dei tassi di suicidio può anche essere considerato l'indicatore dell'azione di forze disgreganti che operano all'interno della società in un dato momento storico, a questo tipo di suicidio definito anomico i membri della società sono pertanto maggiormente esposti quando il potere delle norme sociali che dovrebbe regolare la loro condotta individuale si affievolisce. 1.2 La scuola di Chicago Gli studiosi della scuola di Chicago studiano il comportamento umano adottando il paradigma ecologico. Secondo questa prospettiva teorica gli esseri umani sono visti come animali sociali modellati dalla loro interdipendenza con gli altri e dalla loro dipendenza dalle risorse nell'ambiente in cui vivono. La comunità umana che essi studiano è quella della città. Devianza e disorganizzazione sociale. La città come ogni sistema ecologico non si espande in modo casuale ma tende ad allargarsi in modo concentrico seguendo un modello di sviluppo naturale basato sui processi di invasione e dominio. Al centro della città vi è il quartiere commerciale (la zona 1). Intorno ad esso vi è una zona di transizione in cui si trovano imprese commerciali e piccole industrie: in questa zona di deterioramento ci sono le cosiddette terre aride con le loro miserabili regioni di povertà, degradazione e malattia. La terza zona è abitata dagli operai specializzati e quindi benestanti che lavorano nell'industria, è un'area di insediamento di immigrazione secondaria generalmente della seconda generazione. Nella quarta zona risiedono i membri delle classi più agiate, è la zona in cui mirano a trasferirsi i residenti della zona residenziale operaia. Infine al di là dei confini della città vi è la zona dei lavoratori pendolari. Il modello di sviluppo della città mediante cerchi concentrici rileva la caratteristica principale dell'espansione, ovvero la tendenza di ogni zona interna ad estendere la propria superficie invadendo la zona esterna immediatamente successiva. Le variazioni dei tassi di devianza e criminalità non possono essere spiegate facendo riferimento alle caratteristiche degli individui poiché nelle diverse zone vi è un costante ricambio della popolazione. Tali variazioni pertanto possono essere spiegate soltanto facendo riferimento alle caratteristiche dei diversi contesti territoriali è quindi il livello di disorganizzazione sociale della zona in transizione che determina tassi di criminalità e devianza così elevati. Con l'espressione disorganizzazione sociale Thomas e Znaniecki indicano una situazione caratterizzata dalla diminuzione dell'influenza delle regole sociali di comportamento esistenti sui membri individuali del gruppo e dall'assenza di nuovi modelli normativi e nuove istituzioni in grado di sostituire le regole esistenti. Nelle aree della città caratterizzate da alti livelli di disorganizzazione sociale si affievolisce la capacità dei genitori di controllare i propri figli e il gruppo dei pari acquista maggiore importanza nell'orientare il comportamento dei giovani. I giovani che vivono in queste aree hanno la possibilità di interagire con i soggetti devianti e criminali in misura maggiore rispetto ai loro coetanei che risiedono in contesti territoriali socialmente non disgregati. È attraverso il contatto con persone che adottano comportamenti devianti che avviene la trasmissione dei valori devianti. Lo sviluppo di programmi per rafforzare i legami sociali si ispirano alle teorie ecologiche e della disorganizzazione sociale tutte quelle iniziative che hanno lo scopo di rendere più efficace il controllo sociale informale intervenendo: •sulle condizioni che consentono di rafforzare i legami sociali tra i membri di una stessa comunità; •sulle capacità di empowerment (“potenziare”) della comunità; •sull’ambiente fisico, riorganizzando gli spazi di vita dei membri della comunità. 2.1 Le politiche per affrontare il conflitto culturale Se la devianza è il prodotto di un conflitto culturale, la persona che viola la legge non percepisce la propria azione come deviante, ma la considera conforme alle norme di condotta della propria cultura. In questo caso le politiche finalizzate ad affrontare il conflitto culturale devono promuovere il processo di integrazione tra differenti culture e/o subculture, promuovendo l’acquisizione dei valori e delle norme di condotta della cultura dominante. 3. Il paradigma sociale: la teoria della tensione e le teorie delle subculture. Lo struttural-funzionalismo è una teoria che si sviluppa negli Stati Uniti apartire dagli anni ’30 del Novecento. Le teorie struttural-funzionaliste studiano la società come (…) una “totalità di strutture sociali e culturali (…) tra loro interdipendenti, ciascuna delle quali fornisce un particolare contributo – detto funzione – a favore del mantenimento di una o più condizioni essenziali per l’esistenza e la riproduzione del sistema sociale osservato” (Gallino). Il sistema sociale è quindi in uno stato di equilibrio, paragonabile alla condizione sana di un organismo.Lo stato di equilibrio del sistema sociale si caratterizza per: - un sistema normativo condiviso dai propri membri; - il ruolo della socializzazione primaria e secondaria attraverso cui si apprende come agire in modo conforme alle aspettative di ruolo. Ne consegue che il deviante è un soggetto che, per una socializzazione inadeguata, agisce violando tali aspettative. 1.1 Merton: la teoria della tensione Per Merton il comportamento deviante deve essere considerato un prodotto della struttura sociale e culturale allo stesso modo in cui lo è il comportamento conformista. I membri di una società non sono liberi di perseguire qualsiasi fine e non possono scegliere (legittimamente) qualunque mezzo per raggiungere le proprie mete. In ogni società sono definiti culturalmente sia le mete a cui gli individui possono legittimamente aspirare sia i mezzi legittimi attraverso cui tali mete possono essere perseguite. Il criterio dell’accettabilità dei diversi mezzi per raggiungere le mete “non è dato dall’efficienza tecnica”, ma da norme istituzionalizzate a cui la maggioranza dei membri della società attribuisce valore e che definiscono i mezzi legittimi. Se la struttura culturale definisce mete e mezzi è la struttura sociale (ruoli /status), ossia la stratificazione sociale che offre agli individui un differenziato accesso ai mezzi legittimi. Partendo da questo presupposto Merton riformula la teoria dell’anomia di Durkheim. L’anomia non è una condizione che mina la capacità di una società di regolare il comportamento degli individui ma è una condizione della società in cui vi è tensione/ contrasto tra l’enfasi che si attribuisce alle mete culturalmente indotte dal sistema sociale e la scarsa importanza che si riserva ai mezzi legittimi che devono essere utilizzati per raggiungerle. Le mete culturali e le norme istituzionali In che modo la struttura sociale crea disposizioni ad agire? I membri di una società non sono liberi di perseguire qualsiasi fine e non possono scegliere (legittimamente) qualunque mezzo per raggiungere le proprie mete. In ogni società sono definiti culturalmente sia le mete a cui gli individui possono legittimamente aspirare sia i modi accettabili attraverso cui tali mete possono essere perseguite. Il criterio dell’accettabilità dei diversi modi “non è dato dall’efficienza tecnica”, ma da norme istituzionalizzate a cui la maggioranza dei membri della società attribuisce valore. Anomia L’anomia è quella condizione della società in cui si ha la dissociazione fra le mete prescritte culturalmente e i mezzi istituzionali disponibili per agire in modo conforme alle mete. La devianza è “un sintomo” di tale dissociazione: quando mete e mezzi istituzionali sono poco integrate, si verifica la demoralizzazione (le norme perdono il loro potere di regolare il comportamento degli individui) --> ogni mezzo può diventare ammissibile per raggiungere i propri obiettivi. Merton esemplifica il suo ragionamento facendo riferimento alla società americana. Tale società è caratterizzata da tre assiomi culturali: 1. ogni americano deve tendere al perseguimento delle mete ambiziose in quanto esse sono raggiungibili da tutti; 2. un eventuale insuccesso deve essere considerato soltanto come una tappa intermedia che prelude al raggiungimento della meta finale; 3. il vero insuccesso consiste nell’abbassare le proprie ambizioni e nel rinunciare a perseguire mete ambiziose. I tipi di adattamento individuale Gli individui, che vivono in un contesto culturale nel quale vi sia una tensione tra le mete da raggiungere e le procedure istituzionalizzate per realizzarle, possono reagire in cinque modi. Questi tipi di adattamento non sono categorie che si riferiscono a particolari caratteristiche psicologiche degli individui, ma al comportamento di ruolo in situazioni specifiche. Conformità: gli individui si conformano tanto al criterio del successo quanto ai mezzi necessari per conseguirlo (individuo non deviante) Innovazione: l’individuo rifiuta i mezzi legittimi per conseguire il successo economico e si affida a quelli illegittimi, in particolare al crimine (il criminale “classico”) Ritualismo: l’individuo abbandona la meta del successo economico ma continua a rimanere vincolato alle norme istituzionali (il“burocrate”) Rinuncia: si abbandonano sia le mete che i mezzi; (il barbone) Ribellione: l’individuo rinuncia a mete e mezzi istituzionali, ma per sostituirli con altri (il rivoluzionario). Assunzioni principali della teoria dell’anomia: • gli esseri umani sono socializzati a perseguire - nei diversi ambiti sociali- determinate mete culturali adottando specifici mezzi istituzionali; • in una società in equilibrio stabile, le persone adottano una condotta conforme alle aspettative di ruolo; • in una società caratterizzata dall’anomia, gli individui sono indotti ad una condotta non conformista; • il comportamento deviante è una “normale” risposta a particolari condizioni sociali. Le teorie delle subculture delinquenti Vi sono alcuni tipi di devianza che non possono essere spiegati dal modello mertoniano, tra questi in particolare la devianza collettiva (quella delle bande), la violenza giovanile e la condotta deviante espressiva. Negli anni ’50 queste forme di devianza divennero sempre più oggetto di attenzione. In particolare, diventò sempre più rilevante una particolare forma di devianza: la delinquenza dei membri delle bande giovanili. I contributi più importanti che hanno analizzato questo fenomeno sono stati quelli di: • Cohen (1963) • Cloward e Ohlin (1968) Cohen spiega le caratteristiche di questa subcultura utilizzando il meccanismo psicodinamico della formazione reattiva (ossia la lotta contro la fonte dell’impulso a conformarsi). Le norme della classe media, nella misura in cui sono state interiorizzate, continuano a premere per essere riconosciute, creando una situazione di angoscia, anche quando il ragazzo di strada della classe operaia cerca di ottenere una propria qualificazione sociale ripudiandole. Cohen ritiene che il fascino della subcultura delinquente stia proprio in questo: evita al ragazzo di strada, nella sua ricerca di una posizione sociale rispettabile, di dover venire a patti con le norme ed i valori della classe media. Facendo riferimento alle teorie della trasmissione culturale e dell’associazione differenziale, Cohen afferma che la probabilità che un ragazzo con un problema di adattamento diventi un criminale dipenderà dal tipo di legame che intreccerà con i membri della subcultura delinquente. Se intratterrà relazioni stabili con tali membri, è probabile che inizierà a considerare la subcultura come una efficace soluzione ai propri problemi di adattamento. La teoria di Cloward e Ohlin Cloward e Ohlin sostengono che i giovani che risiedono nei quartieri urbani abitati dalla classe inferiore (gli slums), per realizzare le loro aspirazioni, hanno a disposizione una struttura illegittima delle opportunità. Essi introducono, pertanto, una nuova variabile per spiegare il meccanismo attraverso cui le tensioni strutturali danno origine a forme devianti di adattamento: l’accesso differenziato alle opportunità illegittime. Gli autori evidenziano, infatti, come al soggetto che ritiene di non potercela fare con i mezzi legittimi non siano “ugualmente accessibili una miriade di mezzi illegittimi”. La natura della risposta deviante è influenzata dall’ambiente in cui vive l’attore. Interesse degli autori è rivolto “alle differenze socialmente strutturate di accesso alle possibilità illegittime. Tali differenze sono strettamente connesse con il tipo di subcultura delinquenziale che si sviluppa”. Cohen aveva individuato soltanto una particolare subcultura delinquente(“maligna”, “distruttiva” e “gratuita”). Cloward e Ohlin ne esaminano tre: • la subcultura criminale, che consiste in un tipo di banda i cui membri utilizzano mezzi illegali (furto, estorsione, rapina, ecc.) per procurarsi il denaro; • la subcultura conflittuale, che è caratterizzata da un tipo di banda i cui membri ricorrono alla violenza per acquisire uno status; • la subcultura astensionista, che consiste in un tipo di banda in cui si consumano droghe. Lo sviluppo delle subculture delinquenziali Anche secondo Cloward e Ohlin, giovani della classe inferiore sono indotti a desiderare mete che non sono in grado di perseguire ricorrendo ai mezzi legittimi che sono alla loro portata. I canali legittimi per il successo utilizzabili dai ragazzi della classe inferiore: scuola, sport e spettacolo. Tali strade per il successo sono però limitate. Gli ostacoli strutturali al perseguimento del successo per vie legittime determinano una condizione di profonda tensione e frustrazione. Come aveva sostenuto Cohen, una soluzione collettiva ai problemi di adattamento si sviluppa quando più persone, che condividono lo stesso problema, interagiscono fra di loro. Cloward e Ohlin ritengono però che la tensione prodotta dalla frustrazione di status non conduca necessariamente a soluzioni delinquenti di tipo collettivo. Gli adattamenti collettivi tendono a emergere quando il fallimento nel perseguimento degli scopi convenzionali viene attribuito all’ordinamento sociale anziché a difetti o incapacità personali. Nel momento in cui il giovane individua la causa del proprio problema nell’ingiustizia del sistema, egli può mettere in discussione la legittimità di tale sistema alienandosi dalle norme sociali convenzionali. Come si forma una subcultura? In primo luogo, i giovani “devono liberarsi della adesione e della credenza nella legittimità di certi aspetti della esistente organizzazione dei mezzi”. In secondo luogo, si devono unire ad altri nella ricerca di una soluzione dei loro problemi di adattamento anziché tentare di risolverli da soli. In terzo luogo devono essere forniti di mezzi adeguati per controllare le emozioni di colpa che esperiscono in seguito al compimento degli atti devianti. Infine è necessario che non siano ostacolati dal ricorso ad una risoluzione collettiva dei problemi. Il ruolo della reazione sociale La reazione sociale degradante ed escludente degli adulti e delle istituzioni della comunità agli atti collettivi di devianza contribuisce al consolidamento della subcultura delinquente. Le subculture delinquenti Il contenuto delle subculture delinquenziali varia “con il variare di certe caratteristiche dell’ambiente in cui queste culture emergono”. Cloward e Ohlin identificano tre tipi di subcultura delinquente che sono espressione di “specifiche forme di organizzazione sociale del quartiere”. Tali forme di organizzazione sociale rendono disponibili ai ragazzi scontenti certi mezzi illegittimi piuttosto che altri. La stabilità ed il mutamento di tali subculture delinquenziali sono direttamente collegate ai cambiamenti della struttura sociale degli slums in cui si sono sviluppate. Cloward e Ohlin utilizzano due variabili per classificare le forme di organizzazione sociale degli slums che tendono a promuovere subculture delinquenziali distinte: 1. il grado di integrazione tra trasgressori di differenti livelli di età 2. il grado di integrazione tra criminali e non-criminali. La subcultura criminale La subcultura criminale tende a nascere negli slums integrati in cui vi sono stretti legami tra i criminali di differenti livelli di età e fra soggetti criminali e soggetti non criminali. Il comportamento criminale è considerato un mezzo per raggiungere lo scopo del successo (adattamento tipico dell’innovatore di cui scrive Merton). Il comportamento criminale viene appreso interagendo con i membri adulti delle organizzazioni criminali. Lo stretto legame dei criminali con la società convenzionale favorisce la stabilità del ruolo criminale. Negli slums integrati esiste una organizzazione criminale stratificata in base all’età e gli adulti criminali esercitano un efficace controllo sociale sulla condotta dei giovani criminali. La subcultura conflittuale La subcultura conflittuale si sviluppa negli slums caratterizzati da una organizzazione sociale precaria ed instabile. La “comunità non organizzata” non è in grado di fornire ai giovani l’accesso ai mezzi legittimi per perseguire lo scopo del successo economico. Non vi è né una organizzazione criminale stratificata sulla base dell’età, né una integrazione tra criminali e non criminali: in tali comunità non si può sviluppare una stabile struttura illegale delle opportunità. La precarietà e l’instabilità della vita sociale producono sui giovani forti pressioni verso il comportamento violento. Le bande combattono per acquisire una reputazione. La subcultura astensionista La subcultura astensionista è caratterizzata dal consumo di droghe. Sia le bande criminali che quelle conflittuali scoraggiano l’uso di sostanze psicoattive. I membri della subcultura astensionista vivono una condizione di doppio fallimento in quanto hanno fallito nel tentativo di perseguire il successo sia con i mezzi legittimi sia con quelli illegittimi. Le attività svolte dai membri della subcultura astensionista sono finalizzate ad ottenere il denaro necessario all’acquisto di droghe. Le politiche Se il comportamento deviante è sintomo della dissociazione tra le mete prescritte culturalmente e le procedure strutturate socialmente per realizzare tali mete, le politiche di controllo della devianza avranno l’obiettivo di ridurre o rimuovere tale dissociazione in due modi: 1. da un punto di vista strutturale, intervenendo sulla ineguale distribuzione delle opportunità per rendere più accessibili i mezzi legittimi a tutti i gruppi sociali; 2. da un punto di vista culturale, evitando di promuovere aspirazioni che enfatizzino il perseguimento del successo personale “a qualsiasi costo”. Le politiche strutturali La devianza e la criminalità si prevengono attraverso politiche sociali che favoriscano una maggiore redistribuzione delle risorse in favore dei soggetti appartenenti alle categorie più svantaggiate. Queste politiche non si pongono l’obiettivo di punire i devianti, quanto piuttosto quello di contrastare le cause della criminalità intervenendo sulla struttura delleopportunità attraverso: • la creazione di posti di lavoro; •il miglioramento del rendimento scolastico dei ragazzi e la riduzione della dispersione scolastica •l’offerta di servizi sociali agli individui, alle famiglie, nonché ai membri delle bande •l’istituzione di programmi di formazione professionale per soggetti svantaggiati, ecc Le politiche culturali La devianza e la criminalità possono essere prevenute non soltanto modificando la struttura sociale, ma anche: •contrastando a livello culturale quei valori che inducono le persone ad attribuire molta più importanza alle mete che alle procedure istituzionalizzate che si dovrebbero seguire per raggiungerle; o evolutiva). La teoria dell’associazione differenziale spiega “il processo attraverso cui il singolo individuo giunge a intraprendere un comportamento criminoso”. La teoria si articola in nove i punti: 1. Il comportamento criminale è appreso. 2. Il comportamento criminale è appreso attraverso l’interazione con altre persone in un processo di comunicazione. 3. La parte fondamentale del processo di apprendimento del comportamento criminale si realizza all’interno di gruppi di persone in stretto rapporto tra loro. 4. Quando si apprende il comportamento criminale, l’apprendimento include: a) le tecniche di commissione del reato, che sono talvolta complesse, talvolta molto semplici; b) lo specifico indirizzo dei moventi, delle iniziative, delle razionalizzazioni e degli atteggiamenti. 5. L’indirizzo specifico dei moventi e delle iniziative viene appreso attraverso le definizioni favorevoli o sfavorevoli ai codici della legge. 6. Una persona diviene delinquente perché le definizioni favorevoli alla violazione della legge superano le definizioni sfavorevoli alla violazione della legge. Questo è il principio dell’associazione differenziale. 7. Le associazioni differenziali possono variare in frequenza, durata, priorità ed intensità. 8. Il processo di apprendimento del comportamento criminale attraverso l’associazione con modelli di comportamento criminale ed anti-criminale coinvolge tutti i meccanismi che sono coinvolti in ogni altro apprendimento. 9. Benché il comportamento criminale sia espressione di bisogni e valori generali, questi bisogni e valori non possono spiegarlo, dato che il comportamento non criminale è espressione dei medesimi bisogni e dei medesimi valori. Due elementi fondamentali della teoria dell’associazione differenziale: il processo attraverso cui avviene l’apprendimento del comportamento criminale ed il contenuto di che cosa si apprende. La teoria dell’associazione differenziale non si concentra sulle caratteristiche delle persone che si associano, ma sui modelli di comportamento che tali associazioni forniscono agli individui. Quattro modalità dovrebbero essere quantificate per descrivere il comportamento criminale di una persona: • La frequenza, il tempo che una persona trascorre interagendo con gruppi che incoraggiano il comportamento criminale o non criminale; • La durata della sua esposizione a tali modelli di comportamento • La priorità, ovvero il momento in cui, nella storia individuale della persona, si è verificata l’associazione con tali modelli. • L’intensità emozionale dell’associazione e il prestigio di coloro che manifestano il comportamento osservato. La criminalità dei “colletti bianchi” La teoria dell’associazione differenziale fornisce a Sutherland gli strumenti teorici per spiegare un tipo di criminalità fino ad allora poco studiata: la cosiddetta criminalità dei colletti bianchi. Sutherland parte dalla considerazione che non esistono gruppi immuni dalla devianza e che l’equivalenza tra povertà, emarginazione, disagio, ecc. e criminalità sia in parte fallace. Con espressione “criminalità dei colletti bianchi” Sutherland definisce tutti i reati commessi da persone rispettabili e di elevata condizione sociale nel corso della propria occupazione. Associazione differenziale e crimine dei colletti bianchi Secondo la teoria dell’associazione differenziale, il criminale del colletto bianco apprende il comportamento criminale interagendo con soggetti che definiscono tale comportamento favorevolmente ed è isolato dalle definizioni sfavorevoli di esso. Anche la persona più idealista e piena di scrupoli può imparare dai colleghi a definire determinate situazioni come adeguate per la commissione di un reato e può acquisire specifiche tecniche per commetterlo. Inoltre, il criminale dal colletto bianco grazie alla propria appartenenza di classe è in grado impedire/contrastare la reazione sociale e conservare la propria reputazione anche agli occhi di coloro che non appartengono alla sua organizzazione. La teoria della neutralizzazione di Matza e Sykes Si è visto come per Sutherland le razionalizzazioni, che rendono possibile la trasgressione della norma, sono un elemento essenziale dell’apprendimento. Le definizioni favorevoli alla trasgressione della norma non agiscono soltanto dopo che l’atto è stato compiuto (ex post), proteggendo l’attore dai sensi di colpa, ma precedono il comportamento deviante stesso rendendolo possibile. Tale idea è stata sviluppata da Matza e Sykes (Techniques of neutralization: a theory of delinquency, 1957) . La subcultura della delinquenza Studiando la delinquenza giovanile, Matza e Sykes criticano gli assunti e le spiegazioni fornite dalle teorie delle subculture delinquenti. Il ragazzo delinquente è collocato nel più ampio mondo di coloro che osservano le norme. Egli ha contatti frequenti con i membri della società convenzionale, quindi è difficile pensare ad un suo totale isolamento da quel mondo. I giovani delinquenti provano spesso vergogna e rimorso per le loro azioni, talvolta provano ammirazione per persone che rispettano la legge, operano distinzioni tra coloro che possono essere vittimizzati e coloro che non possono esserlo e, soprattutto, interrompono la loro carriera criminale entrando nell’età adulta. Tutto ciò è la conferma che i giovani non sono isolati dal mondo convenzionale. Esiste una subcultura della delinquenza, ma non una subcultura delinquente. La subcultura della delinquenza consiste in “precetti e costumi” che sono “in delicato equilibrio tra convezione e crimine”. La subcultura della delinquenza è integrata nella società più ampia. I meccanismi di tale integrazione sono due: 1. la neutralizzazione delle norme che si intendono violare mantenendo contemporaneamente l’adesione al sistema normativo e valoriale della società; 2. la convergenza sotterranea tra i valori della subcultura della delinquenza e quelli della cultura dominante. La neutralizzazione Perché gli uomini violano le leggi in cui credono? Secondo Matza e Sykes molta delinquenza è basata su forme di giustificazione della devianza. Il ricorso a tali giustificazioni, o scuse, precede il comportamento deviante e lo consente poiché disattiva i controlli sociali che dovrebbero inibire tale comportamento. Matza e Sykes definiscono tali giustificazioni “tecniche di neutralizzazione” Le tecniche di neutralizzazione descritte dagli autori sono cinque: • negazione della responsabilità: “Non è colpa mia perché ero sotto l’effetto di droghe”; • negazione del danno: “Non ho fatto male a nessuno”; • negazione della vittima: “Si meritava di essere violentata perché mi ha provocato”; • condanna di chi condanna: “Ce l’hanno con me”; • richiamo a lealtà più alte: “L’ho fatto per il bene dell’azienda”. I valori sotterranei La cultura dominante è caratterizzata da valori sotterranei in cui si riconoscono i giovani che appartengono alle subculture devianti. Tali valori, che secondo i teorici delle subculture sarebbero patrimonio delle classi sociali inferiori, sono in realtà condivisi dai giovani di ogni estrazione sociale e tollerati anche dagli adulti. Ad esempio l’enfasi sul divertimento e sull’avventura, l’uso di alcol e droghe illegali, guidare senza patente, il “marinare la scuola”, ecc., sono comportamenti regolati da valori che vengono ritenuti ammissibili se praticati nell’ombra (in modo sotterraneo, quindi non pubblicamente), in determinati contesti (particolari luoghi del divertimento) e fasi del corso di vita (periodo adolescenziale e giovanile). Per infrangere le norme, gli adolescenti non devono entrare necessariamente in una banda delinquente poiché possono acquisire i valori sotterranei nella normale socializzazione. La volontà del deviante Con l’allentamento del legame morale (grazie l’utilizzo delle tecniche di neutralizzazione) il soggetto si viene a trovare in una condizione di deriva (drift) che rende la delinquenza possibile. Tale condizione non è però, sufficiente a spingere il soggetto verso l’atto deviante. In tale condizione al soggetto si aprono due strade: può scegliere di infrangere la norma oppure può scegliere di non infrangerla. La spinta, attraverso cui l’atto deviante si realizza, è fornita dalla volontà dell’attore. Secondo Matza nessuno è “costretto” a diventare un deviante. La volontà non è però libero arbitrio: “Il libero arbitrio, come indica l’espressione stessa, separa la volontà dal contesto, trasformandola inesorabilmente in una astrazione” (Matza). Il deviante, invece, sceglie all’interno delle condizioni e dei problemi dati dalla realtà concreta di fronte a lui (vincoli e opportunità all’azione). Il suo è un agire situato. La reazione sociale riduce la libertà del deviante. Secondo Matza, la volontà (cioè la decisione di trasgredire una norma) può essere attivata da due condizioni: 1. la preparazione, che fornisce l’impulso per la ripetizione di vecchie infrazioni
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