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La Dinastia dei Tudor, Appunti di Letteratura Inglese

Con questo documento vi propongo uno schema breve e coinciso di chi sono stati nel tempo i regnanti Tudor e cosa hanno fatto per la loro Inghilterra.

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Caricato il 11/12/2017

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Scarica La Dinastia dei Tudor e più Appunti in PDF di Letteratura Inglese solo su Docsity! I TUDOR La dinastia dei Tudor è stata la più grande delle dinastie regnanti inglesi di tutti i Tempi. I Tudor di origini gallese regnarono sul Regno d’Inghilterra e sul Regno d’Irlanda dal 1485 al 1603. I regnanti furono in tutto cinque e furono in ordine di successione Enrico VII, Enrico VIII, Edoardo VI (il re fanciullo), Maria I ( la sanguinaria), Elisabetta I (la regina vergine). La dinastia dei Tudor ebbe un ruolo molto importante nella trasformazione dell’Inghilterra; da paese di periferia dell’Europa medievale diventa una delle più grandi potenze mondiali nei secoli avvenire. Enrico VII Il primo a salire sul trono inglese della dinastia dei Tudor fu Enrico Tudor. La grandezza di Enrico VII stava nella sua alta capacità politica interna ed esterna, segnando le basi fondamentali del potere assoluto dei Tudor. Infatti per rafforzare la propria posizione dinastica in Europa, fece sposare il suo primogenito Arturo con Caterina d’Aragona. Ma il futuro re d’Inghilterra Arturo dopo solo quattro mesi di matrimonio muore a causa di un’epidemia, quindi l’erede al trono diviene il giovane fratello Enrico. Re Enrico VII decide allora di far sposare al figlio Enrico la cognata rimasta vedova, ottenendo una dispensa papale perché il matrimonio non era stato consumato. Enrico VII fece quello che i regnanti prima di lui non erano riusciti a fare. Diede all’ Inghilterra un vero Rex Imperator. Enrico VII era un sovrano attento e ligio al dovere, astuto e coraggioso, buon amministratore e prudente in materia finanziaria; andò in guerra solo due volte. Un problema enorme per Enrico VII quando salì al trono furono le casse reali, perché a causa della guerra che tormentava il paese le trovò quasi vuote. Ma questo non lo fermò, infatti adottando una severa politica monetaria riuscì a sistemare le finanze lasciando al suo successore le casse reali piene. Anche la giurisdizione e il rispetto delle leggi e della Corona raggiunsero posizioni soddisfacenti sotto il regno di Enrico. Enrico VIII Il successore di Enrico VII fu il suo secondogenito, che salì al trono con il nome di Enrico VIII. Enrico VIII è conosciuto dalla storia perché fece nascere la Chiesa Anglicana, di cui si fece proclamare capo, si sposò 6 volte e perché ebbe il potere più assoluto tra tutti i re britannici. Nei primi anni del regno Enrico VIII era considerato da tutti un re molto affascinante, bello, di buona cultura, generoso con i suoi sudditi e propenso al dialogo. Solo negli ultimi anni di regno divenne molto grasso, crudele e tiranno. Enrico VIII era afflitto dal fatto che la moglie Caterina non riuscisse a dargli un erede maschio. Caterina diede alla luce due maschi che però morirono subito, ed una femmina, Maria. Per paura di non avere eredi maschi, Enrico VIII decide di chiedere al papa Clemente VII l’annullamento del matrimonio. Decisione non facile visto che Caterina è la zia dell’Imperatore d’Austria. Papa Clemente VII visto la situazione delicata non riesce a prendere una decisione adeguata anche perché il rischio era di scontentare la Spagna. L’anno successivo Enrico VIII prende la situazione nelle sue mani elaborando “l’Atto di Supremazia” dove afferma la sua volontà di diventare il Capo Supremo della Chiesa britannica. Tommaso Moro diventa arcivescovo, rifiuta di annullare le nozze e di confermare la supremazia di Enrico VIII sul Papa e sulla stessa chiesa Cattolica e per questo verrà condannato a morte per tradimento. L’anno successivo Enrico VIII sposa Anna Bolena ma ella non riesce a dargli un erede maschio e mette alla luce solo una femmina, Elisabetta. Dopo poco tempo il re condanna a morte Anna per adulterio e cospirazione. Il giorno dopo della decapitazione di Anna Bolena, Enrico VIII sposa la sua terza moglie Jane Seymour che riesce a dargli il suo tanto desiderato erede maschio, Edoardo. Ella muore di parto. Enrico VIII sposa la principessa tedesca Anna di Clèves, poi con Caterina Howard, e poi Caterina Parr. Edoardo VI (il re bambino) Alla morte di Enrico VIII sale al trono il suo erede maschio, con il nome di Edoardo VI. Edoardo VI sale al trono a soli 9 anni, sotto la reggenza dello zio Edward Seymour. Nei pochi anni di regno di Edoardo VI, fu approvato il “Book of Common Prayer” (Il libro delle preghiere comuni), per sostituire il messale di rito romano e che ebbe ruolo di diffondere negli anni la nuova pratica religiosa con elementi luterano-calvinisti. Nel 1553 sale al trono con il nome di Maria I. Maria I - (la cattolica o la sanguinaria) Appena salita al trono Maria I annunciò l’intenzione di volersi sposare con il figlio di Carlo V d’Asburgo, il cattolico Filippo II di Spagna. Agli inglesi questo matrimonio non entusiasmava, perché temevano che Filippo avrebbe usato il loro paese in guerre che non le spettavano. Thomas Wyatt nel 1554 organizzò una rivolta per togliere il trono a Maria I, per darlo alla sorella Elisabetta. Ma il piano fu scoperto e Maria I imprigionò Wyatt torturandolo nella speranza di farsi dire se anche sua sorella fosse coinvolta. Anche se Wyatt non menzionò mai il nome di Elisabetta, Maria I la imprigionò per un periodo nella Torre. La delusione di Maria I nel non aver avuto nessun erede, la sfogò nella religione decisa a far ritornare in Inghilterra il cattolicesimo. Mandò al rogo tantissimi protestanti, e per questo venne chiamata Maria la sanguinaria. Il suo regno non fu soltanto sanguinario, infatti introdusse un nuovo sistema monetario, diede nuove vie commerciali. Elisabetta I (la regina vergine) Agli inizi del suo regno Elisabetta I pubblicò due provvedimenti, “L’Atto di Supremazia” e “l’Atto di uniformità del 1559”, che approvavano ufficialmente la nascita della Chiesa anglicanacon Elisabetta I come Governatore Supremo della Chiesa d’Inghilterra. Elisabetta I non si sposò mai. Filippo II di Spagna manda contro Elisabetta I l’Invincibile Armata comandata da Alonso Pérez de Guzmàn. Ma nonostante l’esercito spagnolo fosse più numeroso di quello inglese, a causa del brutto tempo nella Manica ed a una buona abilità del conte di Nottingham e di Francis Drake nel gestire la situazione, Elisabetta I ha la meglio. Il suo regno durò 44 anni venne ricordato come età dell’oro, grazie alla successiva propaganda che faceva riferimento in particolare al culto di Gloriana, della Regina Vergine, della raggiunta pace religiosa e della vittoria sulla Invincibile Armata spagnola. Nel periodo elisabettiano notevoli furono anche i miglioramenti tecnici nel campo dell’ arte ( ricordiamo le miniature di Hilliard) e della musica che poteva avvalersi del mecenatismo regio e nobiliare. La Letteratura inglese in questo periodo poteva contare su personaggi del calibro di Edmund Spenser con il suo poema”La Regina delle Fate” dedicata proprio a Elisabetta; senza dimenticare pensatori e filosofi come Tommaso Moro e l’ influente Erasmo o il grande teatro elisabettiano con William Shakespeare e Marlowe con il loro quartier generale nel Globe Thatre. Cresceva l’ istruzione e l’ alfabetizzazione anche spinti dalla voglia di conoscenza sempre più sentita anche dalle classi meno abbienti. La sua morte segna la fine della dinastia Tudor. Giacomo I Estintasi la dinastia Tudor con la morte di Elisabetta I, salì al trono inglese il re scozzese Giacomo VI, con il nome di Giacomo I. Privo dell'abilità di governo della cugina, cercò invano di mediare tra le richieste del partito cattolico e di quello protestante, ma di fatto la tensione interna si accrebbe. Per rispondere alle richieste di riforma religiosa dei puritani, autorizzò una nuova traduzione inglese della Bibbia, nota come versione di re Giacomo; Durante il suo regno prese avvio un secolo di conflitti interni, dovuti perlopiù ai problemi ereditati dal regno precedente. Carlo I Appena salito al trono dovette affrontare l'ostilità del parlamento. per undici anni, C. governò senza convocare il parlamento, mentre si provvedeva dei fondi necessarî ricorrendo a nuovi e varî tipi di tributi. In questo stato di generale tensione, la scintilla fu accesa da una questione religiosa: il suo tentativo d'imporre alla Scozia presbiteriana l'anglicanesimo provocò la resistenza armata e Carlo. Nominò due tribunali speciali: la corte di alta commissione e la camera stellata, che servivano per placare il disaccordo religioso e politico. Il Parlamento presentò la “Petition of Right” dove chiedevano a re Carlo I di riconoscere l’illegalità delle misure prese da lui stesso. A questo punto visto la necessità Carlo I fu obbligato a firmare questa petizione, ma subito dopo che ottenne quello che voleva sciolse di nuovo nel 1629 il Parlamento. Dopo questa data, riuscì a risanare i bilanci, risistemare l’amministrazione e riorganizzare il Consiglio della Corona. La Guerra civile e la Repubblica La prima guerra civile durò dal 1641 al 1646; lo scoppio fu improvviso e ancor oggi è difficile stabilire una data esatta, tanto furono confusi e forse non voluti gli atti che portarono tutto a un tratto il paese nel conflitto e nel caos più assoluto. La scintilla nel 1642 fu il tentativo maldestro del Re di entrare in parlamento con le forze armate per fare arrestare 5 membri del parlamento. A comandare era in realtà una oligarchia militare comandata da Oliver Cromwell che agiva in maniera assoluto e tirannica. Il popolo intanto, anche a causa delle politiche estere e delle continue guerre e delle conseguenti tasse vive in condizioni di sempre maggiore miseria. Cromwell muore nel 1658 e gli succede il figlio. Questo non aveva le qualità paterne e non riusci a reggere i contrasti con i comandanti militari, essi stessi non più uniti come una volta. altro che una riproposizione di "Romeo e Giulietta") e Britten. Inoltre, la sua straordinaria modernità è testimoniata dalle decine di film ispirati ai suoi drammi. Conquistato un certo benessere, a partire dal 1608 Shakespeare diminuì dunque il suo impegno teatrale; sembra che trascorresse periodi sempre più lunghi a Stratford, dove acquistò un'imponente casa, New Place, e divenne un cittadino rispettato della comunità. Morì il 23 aprile 1616 e fu sepolto nella chiesa di Stratford. Problematica è anche l'iconografia relativa al grande bardo. Finora di Shakespeare si conoscevano solo due immagini "post mortem": il busto di marmo sulla tomba, e l'incisione usata nel frontespizio di una delle prime edizioni delle opere che da allora è stata riprodotta innumerevoli volte fino a oggi su libri, poster e magliette. Ma lo Shakespeare canadese ha scarsa somiglianza con l'effige"ufficiale" per via della folta chioma ricciuta castano-ramata. Amleto La sopravvivenza delle opere di Shakespeare al logorio del tempo e della storia, celebrata come controprova dell’immortalità della vera Arte è dovuta ad una secolare impresa d’innumerevoli studi e idealizzazione. Nel corso di tutto il diciannovesimo secolo e all’inizio del ventesimo, l’Amleto è stato considerato il lavoro più significativo e importante dell’era romantica: il conflitto tra azione e contemplazione. Da una parte condensa innegabilmente in sé, nella sua enigmatica ma assai eloquente inazione, tutta la crisi spirituale di un’epoca che volge al termine; dall’altra è il simbolo, con le sue intime e personalissime ragioni, dell’uomo eternamente in lotta con le antinomie della morale e con la necessità di scegliere ogni giorno il proprio agire. Nessun altro dramma ha analizzato i paradossi di azione e pensiero con tanta profondità, ma con Amleto la letteratura ha acquistato una chiarezza e un intensità senza precedenti. Molti critici, hanno formulato l’ipotesi che Shakespeare abbia descritto nell’Amleto la sua profonda esperienza emotiva. In un preciso momento della sua vita di autore-attore Shakespeare ha trovato nel repertorio teatrale il tema e l’intrigo di Amleto. Questo incontro tra autore in preda al lutto per la morte del padre, il tradimento da parte di una donna e un intrigo appartenente alla storia e alla leggenda insieme, in cui il tema del parricidio si congiunge a quello dell’incesto è diventata l’occasione di una tragedia sublime e misteriosa. È questo l’argomento del primo capitolo: il rapporto tra Amleto e Shakespeare come una proiezione sul personaggio dei conflitti interni del suo autore. La mutazione che Shakespeare fa subire ad Amleto rispetto alle fonti da cui attinse il materiale riguarda prima di tutto il rovesciamento della prospettiva teatrale: lo scopo principale del teatro è mostrare sulla scena la storia delle azioni dei protagonisti. Con Shakespeare abbiamo un rovesciamento dei canoni del genere che sfrutta le risorse drammatiche dell’azione sostituendole con un valore drammatico contrario l’inazione. L’Amleto è ricco di narrazioni di avvenimenti, l’azione scenica è tutta costruita sulle parole. Ma accanto al dramma esteriore se ne sviluppa un altro nel profondo, nell’intimo, che scorre nel silenzio perché non c’è niente che possa esprimere ciò che è dentro di lui. Ecco il paradosso incontrato da Shakespeare, recitare ciò che supera la possibilità di rappresentazione: il dolore psichico. La tragedia viene a dividersi così in due parti, una è la tragedia stessa words, words, words, il suo racconto, l’altra èthe rest, il silenzio, quanto nel dramma non viene raccontato, ciò che viene occultato da Amleto. Dal silenzio cercheremo di portare alla luce il suo segreto, al linguaggio teatrale verrà accordato il primato in quanto è l’unico a poterci dire ciò che non si può mostrare. L’inazione del principe non è più concepita come manifestazione di una debolezza psicologica ma verrà a trovarsi strettamente legata alla scoperta del complesso edipico la cui presenza ci è rivelata unicamente come avviene in una nevrosi dagli effetti inibitori. Questo è l’argomento che verrà affrontato nel secondo capitolo che si baserà sulla vasta esperienza delle ricerche psicoanalitiche condotte da Freud, infatti secondo quest’ultimo l’Amleto non è altro che la rappresentazione di una variante del complesso di Edipo. Nel capitolo finale, si proporrà una lettura psicoanalitica della rappresentazione. La tragedia diventa una struttura simbolica da scoprire, il suo grande successo è quello di contenere lo spazio psichico nei limiti della scena. Il teatro diventa matrice simbolica che riflette la nostra stessa mente. Amleto non è un uomo, ma un personaggio tragico, frutto di una fantasia. Lo scopo degli esseri di fantasia è di farci credere alla loro esistenza, al teatro più ancora che altrove, poiché la loro rappresentazione si incarna negli attori. Se non fosse così non solleverebbero in noi tante emozioni, tanti pensieri, tante speranze di percepire attraverso loro il nostro mistero. AMLETO E SHAKESPEARE 1.1 La creazione poetica In ogni creazione poetica deve esserci sempre una corrispondenza, mascherata o metaforica, tra i sentimenti che un poeta descrive e quelli che ha provato di persona in qualche forma, altrimenti l’atto della creazione sarebbe del tutto incomprensibile. Ad immaginare Amleto, dettargli un comportamento, dotarlo di pensieri ed emozioni è stato un genio di grande creatività. Tutti questi elementi che caratterizzano questo eroe tragico esistevano in qualche modo in Shakespeare, nelle più intime profondità della sua psiche. Molti critici hanno formulato l’ipotesi che Shakespeare abbia descritto in Amleto il nocciolo fondamentale del proprio io. Scrive Boas: “Shakespeare dà l’impressione d’aver scelto un tema che gli consentisse di esprimere i pensieri che gli urgevano dentro”. Si potrebbe affermare che solo da un irresistibile impulso soggettivo poteva venir fuori l’Amleto. Anche Heine comprese l’intima connessione fra la sofferenza psichica e il bisogno di sfogo attraverso la creazione poetica. Abbiamo validi motivi per credere che nella sua personalità si sia verificato un mutamento assai significativo dopo il 1600. Come diceva Dover Wilson: “La svolta decisiva dello stato d’animo shakespiriano va collocata nell’anno 1601 o giù di lì”. “Per tutto il grande periodo tragico, il tono predominante verso tutto ciò che riguarda il sesso è di assoluto disgusto e ripugnanza”. Un grande mutamento nella personalità non può che derivare da una profonda esperienza emotiva. 1.2 Data e trasmissione del testo In certe annotazioni scritte intorno al 1600-01 nei margini della sua copia delle opere di Chaucer, uno dei più brillanti docenti dell’Università di Cambridge, Gabriel Harvey, commentava i gusti dei suoi contemporanei per la poesia moderna. Oltre a menzionare Shakespeare negli“our flourishing metricians”, egli osservava: “The younger sort takes much delight in Shakespeares Venus & Adonis: but his Lucrece e his tragedie of Hamlet Prince of Denmarke have, it in them to please the wiser sort”. Si cita questo giudizio non solo e non tanto perché fu pronunciato prima ancora che la tragedia shakesperiana di Amleto venisse pubblicata, ma perché dimostra che essa era apprezzata nell’ambiente universitario elisabettiano non alla stregua di altre opere drammatiche, ma come opera letteraria al pari di quelle di Sir Philip Sidney ed Edmund Spenser. I termini di composizione e rappresentazione sono dunque ristretti fra il tardo 1598 e gli inizi del 1601, infatti la compagnia lo fece iscrivere il 26 luglio 1602 nello Stationer’s Register dal suo uomo di fiducia, il tipografo James Roberts, come “A book called “The Revenge of Hamlet prince of Denmarke” as it was latelie acted by the Lord Chamberleyne”. Si trattava di una registrazione cautelativa, come quelle fatte dal Roberts negli anni precedenti per Il mercante di Venezia, Enrico V,Molto rumore per nulla e Come vi piace, per assicurarsi che altri non pubblicassero versioni non autorizzate del dramma. Ma la precauzione a nulla valse: nella seconda metà del 1603 gli editori Nicholas Ling e John Trundell fecero stampare dal tipografo Valentie Simmes la famigerata edizione in quarto pubblicata senza permesso . Il frontespizio ricorda la circostanza che il dramma era stato recitato già più volte “by his Highness seruants” e cioè dalla compagnia dei King’s Men, cui apparteneva Shakespeare, sia nella“Cittie of London” che nelle Università di Oxford e Cambridge, e altrove. La reazione a questa pubblicazione abusiva si ebbe a poco più di un anno di distanza, probabilmente in seguito ad un accordo fra la compagnia e l’editore Ling. All’inizio del 1605 il Ling pubblicava a cura del Roberts la versione ufficiale che non menzionava più il nome della compagnia e dei luoghi ove il dramma era stato rappresentato, ma specifica invece:“newly imprinted and enlarged to almost as much againe as it was according to the true and perfect Coppie”. L’affermazione è sostanzialmente corretta: la stampa riproduce un testo, si parla appunto di“copy”, cioè testo scritto, non “book”, cioè copione teatrale, ampio e nel complesso accurato, quello che Shakespeare aveva scritto per la lettura più che per la rappresentazione nei teatri pubblici forse con l’aggiunta dell’episodio della cattura di Amleto da parte dei pirati, che alluderebbe alla stampa picaresca del 1603 del testo della tragedia. Questo testo venne ristampato tre volte dopo che, alla morte del Ling, il copyright delle opere drammatiche da lui pubblicate fu trasferito, nel 1607 a John Smethwick. La prima delle ristampe apparve nel 1611, la seconda non indica alcuna data, mentre la terza è molto più tarda 1637. In un recente e interessantissimo studio comparato dei due testi e, Dover Wilson arriva alle seguenti conclusioni. Il primo in quarto pubblicato alla macchia, e il secondo, sicuramente shakespiriano, derivavano della stessa fonte, il copione d’un attore in uso nel teatro dal 1593 in poi. Wilson attribuisce a prima del 1588 la composizione del dramma di Kyd e ritiene che Shakespeare l’abbia in parte emendato intorno al 1591-2; questa revisione era sostanzialmente limitata alle scene dello Spettro. Perciò l’Amleto elisabettiano che figurava nel repertorio dei Lord Chamberlain Players nell’ultimo decennio del 1600 sarebbe una combinazione dell’opera di Kyd e di Shakespeare, probabilmente rimaneggiato da questi e persino da altri drammaturghi di quando in quando. È evidente, comunque, che Shakespeare si oppose all’edizione abusiva del 1603 pubblicando quella che praticamente era una tragedia scritta in modo diverso, e le date concorrono a confermare l’ipotesi di Freud che ciò avvenne mentre egli era ancora scosso per la morte del padre, avvenimento che di solito rappresenta la svolta decisiva nella vita psichica d’un uomo. Fra gli altri dettagli su cui ci si è basati per datare la tragedia vi sono: “the late innovation”(II,2,v.331) che si pensa alluda alla congiura di Essex alla regina Elisabetta (6 febbraio 1601), quando, la proclamazione avvenne in forma che ricorda molto la ribellione di Laerte nella tragedia; l’allusione all’espressione “eyrie of children” (II,2,vv.337-338) si riferisce alla guerra dei teatri 6, che farebbe risalire all’estate del 1601 la primissima data della tragedia; e “we go to gain a little patch of ground that hath in it no profit but the name” (IV,4,vv.19-20), che si è pensato alluda all’assedio di Ostenda, il quale ebbe inizio verso la fine del giugno 1601. Riesaminando le varie discussioni, si è indotti a concludere che i critici più competenti concorderebbero con Dover Wilson nell’attribuire la data dell’Amleto all’estate o all’autunno del 1601. Tutto ciò che abbiamo sono due dati e una supposizione, e purtroppo è in quest’ultima che probabilmente è racchiuso il segreto che cerchiamo di scoprire. Il dato più certo è che il conte di Essex fu giustiziato il 25 febbraio 1601, cioè prima della stesura dell’Amleto. Nella rivolta di Essex era implicato il conte di Southampton, primo protettore di Shakespeare. Essex era un uomo affascinante, un tempo favorito dalla regina Elisabetta II e forse suo amante, la più in vista ai suoi tempi, e Dover Wilson ha prodotto ampie testimonianze che dimostrano come Shakespeare dovesse averlo ben in mente quando descriveva l’impulsivo, instabile carattere d’Amleto, con la sua tendenza a procrastinare e ad autodistruggersi. Polonio, si pensa sia la caricatura di Burleigh, l’uomo che sconfisse Essex, e Claudio quella del conte di Leicester, che si credeva avesse assassinato il precedente conte di Essex dopo aver commesso adulterio con la moglie. L’altro dato è che il padre di Shakespeare morì nel settembre del 1601, purtroppo ignoriamo la causa e le circostanze della sua morte. Già molti anni fa Henderson mise in evidenza questa concomitanza e sostenne ch’essa ebbe un peso importante nella stesura dell’Amleto; egli sottolinea il senso di morte che pervade tutta l’opera e osserva che Shakespeare in quel periodo si volse dalla commedia alla tragedia. Freud le attribuì grande importanza, osservando che per molti uomini la morte del padre è forse l’avvenimento fondamentale della loro vita; il momento in cui un uomo succede a suo padre, cioè ne prende il posto, può far rivivere i desideri proibiti della sua infanzia. Arriviamo da ultimo alla supposizione: essa può rivelarsi meno ipotetica di quando sembri, anche se dobbiamo basarci più su prove interne che esterne; le prove indiziarie, com’è ben noto, sono più spesso attendibili di quelle dirette. Ora, è vero che i due dati appena citati, la morte del padre e dell’evidente sostituto del padre, danno credito in parte a questa interpretazione, ma non troviamo assolutamente in essi alcuna spiegazione della misoginia e del disgusto quasi fisico per il sesso che risultano così evidenti nell’Amleto. Come non farli dipendere da un senso di amara delusione verso il sesso opposto? Dovremmo quindi presumere l’esistenza d’una irresistibile passione che si concluse con un tradimento in circostanze tali da suscitare impulsi omicidi verso la coppia infedele ma senza ch’ essi potessero essere ammessi alla coscienza. Orbene, come si sa, lo stesso Shakespeare nei suoi Sonetti scritti in varie epoche fra il 1598 e il 1601 descrive in maniera lampante un’esperienza appunto di questo genere, e data l’intensità delle descrizioni la maggior parte dei critici l’hanno considerata un’esperienza personale. Ricordiamo il tema dei Sonetti: l’autore presenta imprudentemente un suo caro amico, nobile, giovane e bello alla sua donna, di cui era follemente innamorato. Le esitazioni della Nemesi di Guy Boquet Amleto è innanzi tutto la tragedia della riconciliazione cosmica, voluta dal fantasma di un re. Ma, come nella ricerca del Graal, il personaggio del figlio vendicatore del padre assassinato moltiplica le sue trasformazioni. L'assassinio accidentale di Polonio scatena una ironica tragedia di sangue che conduce Ofelia alla follia e Laerte, uomo d'azione impulsivo come Gauvain, vendica in modo semplicistico il padre buffone. E' solo uno degli elementi della storia di Amleto, irretito nel caos della propria coscienza, tra un fantasma che richiede sangue come fonte di pace per la propria anima e i dubbi etici e metafisici di un pensiero intellettuale affascinato da ciò che condanna...Dopo che il vecchio Amleto ha ucciso il vecchio Fortebraccio, "c'è del putrido in Danimarca", come a Londra dopo il complotto di Essex contro Elisabetta. Da quando Claudio ha ucciso il fratello con la complicità lubrica della regina Gertrude, c'è sempre qualcuno nascosto dietro i tendaggi di Elsinore; i cortigiani, ridotti allo stato di agenti del potere, non possono sopravvivere che con l'autocensura o la maschera della follia.....Roso dalla paura, ogni uomo è alla mercè degli altri; il consigliere sciocco fa spiare il proprio figlio e fa da spia al re per sorvegliare la regina. Perché ha fatto da esca per attirare Amleto nella trappola, perchè si è fatta complice d'un potere usurpato e criminale, Ofelia viene immolata alla nausea del sesso che assilla Anleto dopo la rivelazione del delitto materno... Il mondo della corruzione apre le porte alla morte in una società distorta in cui l'amicizia di Orazio, umanista come Amleto, di tentare un'ultima volta di scoprire le ragioni della condotta di Amleto mettendolo a confronto con la madre, Gertrude. ATTO TERZO, scena 2 Dopo avere dato le sue istruzioni agli attori, Amleto incarica Orazio di spiare le reazioni del re durante la rappresentazione. Il re, la regina e la loro corte vengono ad assistere alla rappresentazione. Amleto, la testa sulle ginocchia di Ofelia, si prepara a commentarle la pièce che è preceduta di un riassunto mimato dell'azione, seguito da alcune parole indirizzate al pubblico da un personaggio chiamato "Prologo". La pièce propriamente detta comincia. Mette l'accento sui temi del tradimento, dell'omicidio e dell’ incesto. Nel momento in cui Luciano versa del veleno nell'orecchio del re, Claudio si alza e lascia la sala, benché Amleto gli abbia garantito che si trattava di una pièce incentrata sull'omicidio del duca Gonzaga a Vienna. Ma Amleto in realtà è sicuro di avere ottenuto così la conferma dell'omicidio del padre. Il re invia Rosencrantz e Guildenstern, quindi Polonio, a comunicare ad Amleto il desiderio della madre di avere un incontro con lui. Amleto dichiara la sua intenzione di vendicarsi della morte del padre ma decide di procedere verso la madre solo con atti verbali. ATTO TERZO, scena 3 Claudio incarica Rosencrantz e Guildenstern di accompagnare Amleto in Inghilterra. Polonio s’appresta a spiare Amleto durante il colloquio con la regina. Rimasto solo, il re prova rimorsi. Si inginocchia per pregare ed ottenere il perdono dei suoi peccati. Entra Amleto. Potrebbe facilmente uccidere il re ma decide di risparmiarlo perché uccidere lo zio in preghiera avrebbe per risultato di fargli guadagnare il paradiso. ATTO TERZO, scena 4 Polonio, nascosto dietro una tenda, assiste all’incontro di Amleto con la madre. Il comportamento brutale di Amleto spaventa la regina che chiama aiuto. Polonio si muove e denuncia la sua presenza. Amleto lo uccide, credendo che sia il re. Rimprovera alla madre la sua condotta indegna e la sua mancanza di virtù. Lo spettro del re defunto appare allora e chiede ad Amleto di vendicarsi di Claudio ma di non aggiungere alle tante sofferenze anche quelle della madre. Amleto chiede alla madre di non andare più a letto con Claudio. Quindi, cambia parere e le consiglia di accogliere il re e di raccontargli quanto appena successo. Abbandona la scena trascinandosi dietro il cadavere di Polonio. ATTO QUARTO, scena 1 Gertrude ha ormai la certezza che suo figlio è in preda alla pazzia. Mette il re a corrente della morte di Polonio. Claudio si rende conto che era lui stesso il vero obiettivo di Amleto e incarica Rosencrantz e Guildenstern di partire immediatamente per l'Inghilterra. ATTO QUARTO, scena 2 Rosencrantz e Guildenstern tentano di scoprire il luogo in cui Amleto ha nascosto il cadavere di Polonio. Amleto li canzona e rifiuta di rispondere loro. Accetta tuttavia di incontrare il re. ATTO QUARTO, scena 3 Amleto rifiuta di rispondere alle domande del re ma sembra contento di partire in esilio. Lasciato solo, Claudio rivela che ha ordinato che Amleto sia assassinato subito dopo il suo arrivo in Inghilterra. ATTO QUARTO, scena 4 Prima di partire per l'Inghilterra, Amleto incontra Fortebraccio che attraversa la Danimarca per andare a conquistare alcune sterili terre in Polonia. Pensando alla semplicità della posta in gioco - vendicare la morte di suo padre e l'onore di sua madre -, Amleto si rimprovera della propria inerzia. ATTO QUARTO, scena 5 Ofelia appare, resa folle dal dolore per la morte del padre e il rifiuto di Amleto. La regina tenta di condurla alla ragione ma Ofelia non risponde e si limita a cantare delle tristi canzoni d’amore. Arriva Laerte, di ritorno dalla Francia, ed esige che gli dicano la verità sulla morte del padre come anche le ragioni per le quali non gli abbiano tributato i funerali di stato. Al momento in cui il re si prepara ad offrirgli spiegazioni, Ofelia entra in scena. Rendendosi conto di ciò che è successo alla sorella, Laerte si promette di punire i responsabili della morte di suo padre. ATTO QUARTO, scena 6 Orazio riceve una lettera di Amleto. Amleto vi scrive che la sua nave è stata attaccata dai pirati e che questi lo hanno risparmiato dopo avere ottenuto l’impegno di farli ricevere dal re della Danimarca. Amleto informa Orazio che Rosencrantz e Guildenstern sono sempre in viaggio per l'Inghilterra. ATTO QUARTO, scena 7 Claudio imputa ad Amleto la responsabilità della morte di Polonio e della pazzia di Ofelia. Confida a Laerte le ragioni che lo hanno spinto a risparmiare il nipote: oltre all'affetto che gli porta sua madre Amleto ha infatti il sostegno di tutto il popolo. Un messaggero entra ed annuncia loro il ritorno di Amleto. Il re pensa ad un inganno e suggerisce a Laerte di indurre il nipote in duello. Laerte accetta la proposta del re e gli comunica il proposito di cospargere la punta della propria spada di un veleno mortale. Anche il re pensa di offrire una coppa avvelenata ad Amleto durante il duello. Entra la regina ed annuncia la morte di Ofelia, che si è suicidata annegandosi. ATTO QUINTO, scena 1 Amleto ed Orazio incontrano due becchini in procinto di scavare la tomba di Ofelia. Amleto parla loro e si interroga sul senso della vita e della morte. Esaminando i crani dissotterrati dai becchini, si commuove di trovare quello di Yorick, il buffone che lo ha tanto divertito da piccolo. Arriva il corteo funebre. Laerte maledice colui che considera l'assassino della sorella e salta nella fossa. Amleto lo raggiunge e iniziano a battersi. Li separano. Prima di partire, Amleto grida il suo amore per Ofelia. ATTO QUINTO, scena 2 Amleto racconta ad Orazio come ha fatto a sostituire la lettera del re che chiedeva alle autorità inglesi la sua esecuzione con quella in cui si chiedeva invece di giustiziare Rosencrantz e Guildenstern, i latori del messaggio. In seguito, tenta di riconciliarsi con Laerte e gli porge le sue scuse per il dolore arrecatogli. Arriva Osric, un cortigiano, per assicurarsi della partecipazione di Amleto al duello. Amleto accetta la sfida. Laerte sembrerebbe accettare l'amicizia di Amleto tuttavia insiste per battersi in duello. Il duello comincia. Dopo i primi scambi, il re offre la coppa avvelenata ad Amleto, che la mette da parte. Amleto vince il primo assalto e la regina beve alla sua salute, bevendo dalla coppa avvelenata. Nella confusione che se ne segue, Amleto e Laerte si scambiano le armi e fatalmente ne restano entrambi avvelenati. La regina muore e Laerte rivela il suo stratagemma e quello del re. Amleto si getta allora sul re e lo trafigge con la punta della spada avvelenata quindi lo costringe a bere dalla coppa avvelenata. Laerte muore dopo essersi riconciliato con Amleto. Orazio vorrebbe anch’egli bere dalla coppa avvelenata ma Amleto lo dissuade e lo incarica di tramandare la sua tragedia. In quel mentre entra Fortebraccio di ritorno dalla Polonia ed Amleto esprime pubblicamente il desiderio che il principe della Norvegia regni sulla Danimarca. Amleto muore a sua volta. Gli ambasciatori entrano ed annunciano l'esecuzione di Rosencrantz e Guildenstern. Fortebraccio ordina che le onoranze funebri siano rese ad Amleto. Otello Il moro Otello, generale al servizio di Venezia, ha conquistato l'amore di Desdemona, figlia del senatore veneto Brabanzio (Brabantio), col racconto delle sue gesta e dei pericoli corsi; e l'ha sposata in seguito. Per questo è accusato da Brabanzio dinanzi al Doge di avergli stregato e rapito la figlia. Ma egli spiega come abbia lealmente conquistato il cuore di Desdemona, e la donna conferma il suo racconto. Intanto giunge nuova d'un imminente assalto turco a Cipro, e si richiede il braccio d'Otello per respingerlo. Brabanzio a malincuore cede la figlia al Moro che subito parte con lei per Cipro. Contro Otello nutre odio profondo l'alfiere Iago, il quale ha visto promuovere luogotenente, in sua vece, Cassio, e a cui è giunta la voce che il Moro abbia giaciuto con Emilia, sua moglie e cameriera di Desdemona. Iago dapprima riesce a screditare Cassio press Otello, facendolo ubriacare e turbare la pace pubblica, aizzato da Roderigo, amante non corrisposto di Desdemona. Cassio, privato del grado, vien indotto da Iago a pregar Desdemona d'intercedere a suo favore; al tempo stesso Iago instilla nell'animo di Otello il sospetto che la sua sposa lo tradisca con il disgraziato luogotenente. E lo zelante intervento di Desdemona a favore di Cassio sembra confermare i sospetti e fa nascere nel Moro una furiosa gelosia. Iago riesce a fare in modo che un fazzoletto, dato da Otello a Desdemona come prezioso pegno, e raccolto da Emilia quando la padrona l'aveva smarrito, sia ritrovato presso Cassio. Otello, accecato dalla gelosia, soffoca Desdemona nel letto. Poco dopo Cassio, che doveva essere ucciso da Roderigo a istigazione di Iago, è ritrovato ferito. Ma su Roderigo, trafitto da Iago per evitare che si scopra il suo piano, vengono trovate lettere che provano la colpa di Iago e l'innocenza di Cassio. Otello, fulminato dalla scoperta d'aver ucciso la sposa innocente, e ritrovata, nello stesso crollo del suo mondo, la sua lucidità di spirito, si uccide stoicamente per punirsi. Questa tragedia che ha per motivo dominante la gelosia è così abilmente costruita, e avvince talmente l'attenzione che non si notano senza un freddo e minuto esame l'improbabilità di molti elementi, la contraddizione nella psicologia di vari personaggi, e una insanabile inconsistenza nella durata dell'azione. I critici si sono sforzati di ovviare alle varie difficoltà presentate dal dramma. La più grave è quella della durata dell'azione: dallo sbarco di Desdemona e di Otello a Cipro alla catastrofe finale corrono solo trentasei ore; ma molte circostanze richiedono invece che l'azione abbia uno svolgimento più lungo e duri qualche settimana almeno. Si è cercato di conciliare la manifesta incongruenza in vari modi, per esempio supponendo che l'accusa di Iago contro Desdemona riguardi il periodo anteriore alla venuta a Cipro, dal momento che non vi sarebbe stato tempo nel soggiorno a Cipro per il supposto amoreggiamento. Ma tale spiegazione contrasterebbe poi con quanto Iago dice di Desdemona: così nell'atto terzo (3, 230 segg.) l'infedeltà di Desdemona è ascritta a un periodo ulteriore a quello della passione di lei pel Moro, durata fino a poco fa: ché nel periodo del fidanzamento essa sarebbe rimasta interamente presa dal suo morboso appetito per un uomo di colore. Dunque, nelle parole di Iago, l'infedeltà si sarebbe verificata in un'epoca recentissima. Contraddizioni vi son poi nel carattere di Otello; d'altronde Desdemona si mostra alquanto ottusa nel non accorgersi che Otello è geloso, nel raccomandargli Cassio nel momento più inopportuno, e più tardi, quando si è accorta della gelosia del marito, nel non cercare di scoprirne il motivo e d'aver subito una spiegazione con lui. Anche gli altri personaggi possono apparire degli sciocchi gabbati da Iago. Ma confusioni e contraddizioni nella psicologia dei personaggi, e soluzioni di continuità tra il loro carattere e il loro modo d'agire erano all'ordine del giorno nel teatro elisabettiano, che contava su effetti di prospettiva che implicavano inevitabili deformazioni non avvertibili alla recita. E, alla recita il dramma shakespeariano è forse il più lucido e classico di quest'autore, onde la sua fortuna sul Continente: Zaira di Voltaire, ove il personaggio d'Orosmane è calcato su quello d'Otello, è la prima adattazione francese di opera shakespeariana. Tragedia meridionale per la passione che ne forma il motivo (senza, per questo, voler con lo Schlegel vedere nel dramma un tentativo di studio culturale e ambientale, per cui Otello sarebbe la tragedia del barbaro male assimilato), è quella che più ha trovato frequenti tra noi le famose interpretazioni (Tommaso Salvini, Ermete Novelli, Ermete Zacconi); mentre il soggetto è parso sempre piuttosto repellente alla mentalità inglese e puritana, onde in tempi recenti parte del pubblico seguiva con attrazione morbosa l'interpretazione del negro Paul Robson. Non è cosa facile accostarsi ad un testo quale l’Otello. Basta dare una rapida scorsa alla prolifica e discorde critica che ha suscitato, per capire che le diverse reazioni che in ogni epoca la tragedia ha saputo evocare non possono essere ascritte ad un semplice “dramma della gelosia”, quale non è anche ad una prima e superficiale lettura. Ci ritroviamo infatti subito catturati dal vortice delle emozioni, degli avvenimenti serrati, delle parole che prorompono solenni e di quelle tenute nascoste, lasciate fluire a metà, e sentiamo scorrere sottopelle quegli stessi ingorghi emotivi che causano, nel testo come in noi stessi, disorientamento, rifiuto, ATTO SECONDO, scena II L’Araldo di Otello proclama una notte di festeggiamenti per lo scampato pericolo turco e per il matrimonio del Moro. ATTO SECONDO, scena III Otello lascia il comando del corpo di guardia a Cassio, e si congeda con la sposa. Subentra Iago, che offre a Cassio una notte di baldoria a base di vino, ma questi è facile ad ubriacarsi e quindi oppone una blanda resistenza; alla fine, però, si lascia convincere. Comincia così il convivio con Montano ed altri ciprioti di spirito bellicoso, e in breve il Luogotenente è già alticcio. Si allontana per il turno di guardia, ma subito Roderigo irrompe inseguito da Cassio, reso furioso dal vino e dalle ingiurie ricevute. Montano cerca di placare gli animi, ma ottiene solo uno scontro con Cassio e viene ferito a morte. Roderigo, istruito da Iago, corre per le strade mettendo in allarme la popolazione, per cui non tarda ad arrivare Otello che subito ferma la contesa e chiede spiegazioni a Iago di quanto accaduto. Dopo il resoconto, un misto di verità supposte e ambigue falsità, Otello destituisce Cassio dal suo grado, e torna a letto con Desdemona. Intanto Cassio comincia a riprendersi, ma non ricorda nulla eccetto la lite e l’onore perduto. Seguendo il filo della sua beffa, Iago gli consiglia di supplicare Desdemona affinché intervenga in suo favore. ATTO TERZO, scena I È la mattina successiva. Cassio cerca di recuperare il favore perduto assoldando dei musicanti che suonino per Otello. Il suo Buffone li manda via e Cassio lo prega di fargli parlare con Emilia, moglie di Iago e dama di compagnia di Desdemona. Dopo essersi intrattenuto brevemente con Iago, entra Emilia e subito lo rassicura: la sua destituzione è stata dettata dalla prudenza, ma alla prima occasione sarà riabilitato. Riesce anche a farsi promettere un incontro con Desdemona. ATTO TERZO, scena II Otello impartisce alcune disposizioni militari. ATTO TERZO, scena III Cassio incontra Desdemona, accompagnata da Emilia, che lo rasserena assicurandogli il suo intervento presso il marito. Nel frattempo sopraggiungono Iago e Otello, e alla vista di questi Cassio, sentendosi a disagio, si allontana. Tale gesto viene subito considerato equivoco da Iago, che comincia a far sibilare le sue mezze frasi enigmatiche nella testa del suo signore. Dopo il colloquio tra Otello e Desdemona, in cui quest’ultima riesce a strappargli la promessa di un incontro con Cassio, Iago continua la sua lenta opera di convincimento. Parlando per frasi fatte, con molte reticenze, mai in modo diretto ma adducendo teorie astratte (che pure hanno un loro fondamento logico), svela a poco a poco ad Otello di temere che Desdemona lo tradisca con Cassio. Il Moro, pur essendo certo dell’onestà della sua sposa, comincia a turbarsi, e un’ombra avvolge le sue parole quando sopraggiunge la sua sposa. Desdemona perde il fazzoletto, che viene ritrovato da Emilia. Entra Iago, che le aveva chiesto tante volte di rubarlo, e glielo strappa di mano: vuole fare in modo che sia Cassio a ritrovarlo, in modo da alimentare ancora di più i sospetti in Otello. Ecco che questi ritorna, consumato dai pensieri angosciosi messi in moto dall’Alfiere, e per questo gli intima di trovare al più presto delle prove o porrà fine alla sua vita. Iago riferisce di aver udito Cassio parlare nel sonno, mentre rivolgeva dolci frasi a Desdemona, segno di una già avvenuta notte di passione; ma non basta, gli fa credere di aver visto Cassio asciugarsi la barba col fazzoletto di Desdemona (che invece aveva ritrovato Emilia poco prima). Gli occhi e la mente di Otello si colmano di sangue e di foschi propositi: affida a Iago (che nomina Luogotenente) il compito di uccidere Cassio, riservando per sé l’assassinio di Desdemona. ATTO TERZO, scena IV Intanto, Desdemona va alla ricerca di Cassio, e affida al Buffone il compito di ritrovarlo. Contemporaneamente si accorge di aver perso il fazzoletto. Entra Otello, col cuore a pezzi, e fingendo di avere un forte raffreddore chiede alla moglie il fazzoletto regalatole tempo addietro. Ai tentennamenti di questa, prorompe in tutta la sua furia, adducendo come scusa che il fazzoletto ha virtù magiche, e qualora l’avesse perso risulterebbe odiosa ai suoi occhi. Sopraggiunge Cassio, con Iago, che insiste nelle sue preghiere verso Desdemona, ma questa gli comunica che non ha più tutta quell’autorità di cui godeva presso di lui, in quanto investita dal sospetto e dalla gelosia (benché ribadisca di non averne dato mai motivo). Dopo un po’ Cassio rimane solo e incontra Bianca, la sua amante, alla quale affida il compito di copiare il ricamo del fazzoletto (di Desdemona) che ha trovato nella sua camera (appositamente lasciato lì da Iago). Si lasciano con la promessa di rivedersi presto, forse la sera stessa. ATTO QUARTO, scena I Iago continua la sua opera di sobillatore, parlando continuamente ad Otello del fazzoletto, e inventando che Cassio s’è vantato d’aver giaciuto con Desdemona. A tali parole il Moro sviene, proprio nel momento in cui arriva l’accusato, subito mandato via con una scusa da Iago con la promessa di un prossimo incontro. Questi propone al suo padrone di tendere una trappola a Cassio: Otello si nasconderà lì vicino mentre Iago lo farà parlare riguardo i suoi rapporti con Desdemona. Ma, al suo arrivo, Iago comincia a parlargli di Bianca, per cui Cassio si profonde in sorrisi e atteggiamenti ironici che vengono scambiati da Otello come ostentazioni della sua tresca con Desdemona. I due vengono raggiunti proprio da Bianca, che restituisce il fazzoletto a Cassio: alla vista di ciò, Otello decide di uccidere la fedifraga, mentre Iago si fa carico dell’assassinio dell’ex Luogotenente. Lasciati Cassio e Bianca, subentrano l’accusata e il cugino Lodovico, che da Venezia reca a Otello l’ordine di richiamo a Venezia e della nomina a Governatore di Cassio. Il Moro, leggendo la lettera, va su tutte le furie, e ai rallegramenti della moglie per il passaggio di grado dell’amico la schiaffeggia pubblicamente, mandandola poi lontano dalla sua vista. Lodovico, pur preoccupato per lo sconvolgimento del Moro, accetta il suo invito a cena. ATTO QUARTO, scena II Otello interroga Emilia sul colloquio avvenuto poco prima tra la moglie e Cassio, e la donna non può che difendere appassionatamente l’onestà della sua signora. Mandata a chiamare la sua sposa, le scarica addosso tutta l’ira ormai accresciuta a dismisura dai ragionamenti e dalle false prove dell’Alfiere, coprendola di insulti e di disprezzo. Lasciata sola con Emilia, Desdemona la prega di prepararle il letto con le lenzuola delle nozze. Accorre anche Iago, che non riesce a darsi una spiegazione del comportamento del suo signore. Emilia intuisce che ci sia un calunniatore che ha annebbiato la mente di Otello e lo maledice, ignara di star parlando del marito. Desdemona si allontana, schiantata dal dolore e sorretta da Emilia. Ecco giungere Roderigo, ormai stufo delle tante belle parole di Iago e deciso ad avere riscontro alle tante promesse fatte e ai tanti gioielli che crede donati a Desdemona, mentre in realtà sono stati sottratti dallo stesso Iago. Per evitare la resa dei conti, e allo stesso tempo continuare nella sua tragica beffa, adatta a suo vantaggio le nuove notizie appena sopraggiunte, proponendo a Roderigo di assassinare Cassio (ancora ignaro della sua nomina) per trattenere Otello sull’isola, con la vana promessa di un sicuro incontro amoroso con Desdemona. Il delitto dovrà avvenire dopo la cena presso Bianca, alla quale parteciperà lo stesso Iago. ATTO QUARTO, scena III Otello e Desdemona hanno appena terminato la cena, e si accompagnano con Lodovico ed il seguito. Il Moro manda a letto la moglie, e noi la seguiamo mentre si confida con Emilia. Comincia a intonare “La canzone del salice”, ed è sconfinatamene triste, a tratti presaga, mentre rinnova la sua professione di fedeltà anche a costo del mondo intero. Emilia, su precedente ordine di Otello, lascia sola la padrona. ATTO QUINTO, scena I Siamo al momento dell’omicidio di Cassio. Sono attimi concitati: dopo essersi nascosto dietro un muro, Roderigo ferisce Cassio, ma questi, protetto da una spessa armatura, lo ferisce a sua volta; mentre l’assalitore agonizza, Iago pugnala Cassio ad una gamba e fugge. Otello arriva a cose già fatte: ascoltando le grida nell’oscurità crede che il cavaliere agonizzante sia Cassio, dopodiché si volge furioso al proprio talamo. Inquietati dalle grida sopraggiungono Lodovico e Graziano (fratello di Brabanzio), che però non si avventurano nelle tenebre. Sbuca fuori Iago con una torcia, che si accerta delle condizioni di Cassio e pugnala Roderigo, da questi riconosciuto come l’assalitore. I due gentiluomini si avvicinano al luogo del misfatto e si fanno riconoscere. Sul posto piomba anche Bianca, subito incriminata dall’Alfiere come complice degli aggressori, e viene riconosciuto Roderigo, ormai cadavere. Iago manda Emilia, accorsa anch’ella sul posto, a portare la notizia dell’aggressione di Cassio ad Otello, che si trova alla cittadella, nella sua stanza nuziale. ATTO QUINTO, scena II Ci spostiamo proprio nella camera del Moro. Sta entrando, in silenzio, con in mano una lampada che illumina appena il letto e Desdemona, assopita. Otello parla a se stesso, quasi cercando una giustificazione ad un delitto che il cuore gli impedisce di commettere. Mentre la bacia, si sveglia. Comincia il doloroso scambio di battute, e in breve le comunica la sua volontà di ucciderla; ma anche adesso l’amore gli frena il braccio. Disperata, Desdemona gli chiede spiegazioni del suo gesto, ma Otello è ottenebrato dalla gelosia, la sua furia si abbatte su di lei e inesorabilmente gli fa stringere le dita attorno al candido collo. Al di là della porta, si odono le grida di Emilia. Otello la fa entrare, dopo aver tirato le cortine del letto, e lei gli riferisce dell’assassinio di Roderigo e del ferimento di Cassio. Ma ecco giungere dall’interno delle cortine la voce di Desdemona morente, che si accusa del suo stesso omicidio per scagionare il marito, dopodiché spira. Invece Otello fieramente confessa, e adduce come prove i ragionamenti di Iago. Emilia ormai non teme più il suo signore, e smentisce sia il Moro che il marito, urlando e facendo accorrere tutti gli altri. Iago ammette di aver riferito ad Otello del tradimento di Desdemona, e alle continue rimostranze di Emilia sfodera la spada per zittirla. Ma ecco la rivelazione: Emilia racconta di aver trovato il fazzoletto perduto dalla sua signora e di averlo consegnato a Iago la sera precedente. In un attimo Otello comprende tutto e si getta sulla canaglia, ma questi ferisce a morte la moglie e fugge, subito rincorso da Montano. Graziano viene messo a guardia della porta armato della spada del Moro; Otello si munisce di un’altra spada e vorrebbe lanciarsi anch’egli all’inseguimento del farabutto, ma è impedito dall’immenso dolore che lo paralizza e dall’arrivo degli altri, con Iago fatto prigioniero. Lodovico chiama a sé i due assassini per avere spiegazioni; non appena Otello è vicino allo schiavo maledetto lo ferisce, ma non mortalmente. Il Moro confessa di aver tramato per uccidere Cassio e di aver soffocato Desdemona per amore. Vengono ritrovate sul corpo di Roderigo delle lettere che questi aveva indirizzato a Iago, che svelano tutti i piccoli nodi che hanno composto la trama da questi ordita. Lodovico priva Otello di tutti i poteri militari e civili, e dispone di farlo prigioniero in attesa del giudizio di Venezia: ma egli, prima di lasciarsi condurre via, dannandosi per essersi lasciato sfuggire il tesoro più prezioso che avesse mai conquistato, si trafigge a morte e muore accanto a Desdemona, unendosi in un ultimo bacio. Lodovico, affranto, dà le ultime disposizioni: Graziano entrerà in possesso dell’eredità del Moro, Cassio giudicherà Iago in qualità di Governatore, ed egli stesso tornerà a Venezia a riferire su questa dolorosa vicenda.
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