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La donna nell'Antica Roma, Slide di Storia del Diritto Romano

Condizione della donna nell'antica Roma

Tipologia: Slide

2019/2020

Caricato il 23/06/2020

SabrinaNatale0000
SabrinaNatale0000 🇮🇹

4.8

(16)

11 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La donna nell'Antica Roma e più Slide in PDF di Storia del Diritto Romano solo su Docsity! LA DONNA ROMANA SABRINA NATALE - 27/04/2020 “Una matrona romana”, John William Godward (1861-1922) LA DONNA IDEALE Le parole chiave della rappresentazione ideale femminile matronale sono poche e sempre le stesse: • casta, cioè che ha rapporti sessuali solo all’interno del matrimonio e a fini procreativi; • pudica, modesta e riservata; • pia, dedita alle pratiche del culto e al rispetto della tradizione del Mos Maiorum, il costume degli antenati, considerato l’unico codice morale di comportamento valido per i Romani; • frugi, semplice e onesta; • domiseda, che sta in casa; • lanifica, che sta al telaio. MATRIMONIO CUM MANU Il matrimonio cum manu prevedeva il trasferimento della manus sulla donna dalla famiglia di origine a quella del marito, di cui entrava a far parte sottoposta alla patria potestas del marito o del suocero adottandone gli antenati, i legami familiari e gentilizi e il culto domestico (sacra privata). Sono attestate tre forme di matrimonio cum manu: • la confarreatio; • la coemptio; • l’usus. MATRIMONIO SINE MANU Il matrimonio sine manu, invece, non prevedeva il trasferimento della manus, e sia la donna che i suoi beni restavano sotto la patria potestas paterna, benché regolarmente sposata. Questa scelta non dipendeva dai due coniugi, ma dalle rispettive famiglie, dato che sollevava questioni patrimoniali di fondamentale importanza. Agli schiavi era consentito solo il contubernium, la coabitazione, sorta di riconoscimento dello stato di coppia di fatto, priva di validità giuridica e soggetta all'arbitrio del dominus, cioè il padrone degli schiavi. Fino al 445 a.C. vi era il divieto di connubio tra patrizi e plebei, questo perché i figli nati da matrimoni misti non avrebbero potuto accedere alle cariche pubbliche in quanto incapaci di prendere gli auspici. Nel 445 a.C., con la Lex Canuleia, vi fu l’abolizione di questo divieto: i matrimoni misti divennero legalmente validi e i figli nati da questi potettero accedere al patriziato e di conseguenza alle cariche pubbliche. CONTUBERNIUM LEX CANULEIA DIVORZIO Il divorzio, vale a dire lo scioglimento del vincolo matrimoniale, era ammesso a Roma in età classica nei casi in cui: • venisse meno il connubio per uno dei due coniugi; • venisse a cessare la volontà anche di un solo coniuge di convivere come marito e moglie. Fatto degno di nota è la presenza, nelle fonti latine, di due termini diversi: divortium e repudium. ESPOSIZIONE La società romana era patriarcale e le donne non potevano combattere, erano di peso e andavano eliminate, o tenute quel tanto che serve per procreare. Il punto è che secondo la mentalità romana una donna che fa la guerra non può essere sottomessa in tempo di pace. Nel mondo romano si nasceva ufficialmente solo con il rito del riconoscimento. Dopo il parto il neonato veniva deposto in terra. Se il capofamiglia lo sollevava in aria veniva accolto come figlio legittimo della famiglia, altrimenti veniva esposto, cioè abbandonato nella strada. I neonati più a rischio erano i deformi, gli illegittimi e le femmine. Un'antichissima legge, attribuita Romolo, obbligava il padre a mostrare i neonati maschi che voleva esporre a 5 vicini, i quali dovevano giudicare se mal formazioni o grac i l i tà ne giust i f icassero l'esposizione. Ma le neonate venivano esposte senza alcuna formalità. Romolo per evitare il loro eccessivo abbandono impose di allevare la primogenita. CAPACITÀ SUCCESSORIA E TESTAMENTARIA Le donne romane erano di fatto equiparate ai figli maschi nella successione testamentaria del patrimonio familiare. Secondo le XII Tavole solo i maschi erano eredi, ed era il pater familias che ricorreva al testamento; soltanto successivamente ottennero la capacità di ricevere un’eredità ab intestato, cioè nel caso che una persona fosse morta senza fare testamento; di conseguenza, la capacità femminile di ricevere un'eredità per via testamentaria sarebbe, di fatto, riconosciuta implicitamente. Successivamente anche la capacità testamentaria si rese accessibile alle donne: in poche parole, le donne potevano ereditare e fare testamento, ma comunque sottoposte a limitazioni di carattere giuridico ed economico. CAPACITÀ GIURIDICA E D’AGIRE Le donne sui iuris, di qualsiasi età e condizione civile e sociale, furono sempre soggette a tutela. Dalla tutela erano escluse le Vestali e successivamente anche quelle donne libere che avevano avuto tre figli, oppure quelle liberte che ne avevano avuti 4. La donna sui iuris aveva la possibilità di scegliersi essa stessa il tutore di proprio gradimento, attraverso gli istituti della tutoris optio (scelta del tutore) e della coemptio fiduciaria tutelae evitandae causa (sorta di compravendita della donna a un altro tutore). Le donne avevano la capacità giuridica, ma non quella di agire, cioè di disporre liberamente dei propri beni: pur essendo in possesso di diritti soggettivi in quanto sui iuris, non erano in grado di compiere atti giuridici importanti che presupponevano la piena capacità di intendere e volere. ABBIGLIAMENTO E ORNATUS La matrona era riconoscibile anche per gli abiti che indossava: tunica, stola e palla costituivano una sorta di diaframma che doveva proteggere la donna onesta. I vestiti, così come tutto l’ornatus femminile (acconciature, gioielli…), avevano il preciso compito di rappresentare lo status giuridico-sociale della donna, purché esibiti con moderazione. Le donne di condizione inferiore, ad es. le schiave o le prostitute, indossavano una toga scura oppure l'amiculum, corta e stretta sopravveste di lino trasparente, come pure le matrone condannate per adulterio, che, in tal modo, rendevano visibile il proprio declassamento morale e sociale. È il modo di pettinare i capelli che subirà l'influsso della moda. La mater familias poteva portare il tutulus, sorte di bende di lana che si annodavano a forma di cono attorno al capo per trattenere i capelli. Anche la tintura dei capelli aveva un preciso significato: ad esempio la tintura rossa era usata dalle prostitute. SERMO FEMMINILE La matrona romana non poteva parlare in pubblico , perché “parlare è come denudarsi”, secondo una norma che si faceva risalire al re Numa che istituiva un rapporto tra la parola femminile e il relativo concetto di pudore. Alla donna era concesso di esprimersi con la filatura e la tessitura e, in particolare, con immagini ricamate nel tessuto. LUCREZIA Rappresenta il modello della matrona virtuosa e la castitas che non deve essere violata. “Il suicidio di Lucrezia”, Guido Reni (1640-1642) “Il suicidio di Lucrezia”, Cristoforo Serra (1630-1635) Lucrezia (509 a.C.) moglie di Collatino, è una figura mitica della storia di Roma legata alla cacciata dalla città dell'ultimo re Tarquinio il Superbo. CLODIA Altro modello negativo (94 a.C. circa – post 45 a.C.). Sorella del famoso tribuno Clodio Pulcro, indipendente e spregiudicata, che ebbe numerosi amanti, e fu nemica giurata di Cicerone che l’accusò di comportarsi come una prostituta. Clodia seppe indubbiamente coniugare bellezza e intelligenza, per vivere in maniera indipendente in contrasto con il modello ideale matronale. Viene identificata con la Lesbia catulliana, la d o n n a c a p a c e d i suscitare passioni nel bene e nel male. FULVIA Fulvia tende a emulare il comportamento maschile anche con atteggiamenti e imprese maschili, addirittura militari. Viene descritta da Cicerone come crudele, avida e malvagia. La figura di Fulvia racchiude in sé gli stereotipi tradizionali e la loro negazione: moglie e vedova devota, esperta nella gestione del suo patrimonio e desiderosa di arricchirlo; occupa un ruolo determinante nella politica del tempo, fino essere un vero e proprio comandante armato che recluta personalmente i propri soldati. Fulvia con la testa di Cicerone Moglie di Marco Antonio e donna indubbiamente forte come poche. (77 a.C. – 40 a.C.) OTTAVIA Ottavia Turina minore, meglio conosciuta come Ottavia minore, è stata una nobildonna romana, sorella di Ottaviano Augusto e moglie di Marco Antonio. (69 a.C.-11 a.C.) Incarna il modello tradizionale femminile. Le fonti che la riguardano tendono a enfatizzare le qualità fisiche e intellettuali. Nonostante Marco Antonio la tradisca con Cleopatra, Ottavia si comporta come la perfetta moglie e gli rimane devota. Il nobile comportamento gli viene riconosciuto da Ottaviano, che nel 35 a.C. concesse a Ottavia e Livia (sua moglie) una posizione speciale, che tutelava sia la loro vita che la gestione dei loro beni, venne accordata l’esenzione dalla tutela. PORZIA Un'altra donna che viene elogiata dai romani è Porzia, figlia di M. Porzio Catone e moglie dal 45 a.C. di M. Giunio Bruto. Porzia, in un drammatico confronto con il marito, rivendica il diritto di essere messa al corrente dei suoi progetti politici, proprio perché moglie legittima e non concubina, con cui dividere solamente il letto e la tavola. Coerentemente, quando apprende della morte del marito Porzia si suicida ingoiando carboni ardenti. “Porzia”, Fra Bartolomeo (1490-1495) “Porzia e Bruto” Ercole de’ Roberti (1486-1490) LE DONNE E L’IMPERO Con l’avvento del principato, cambia anche il ruolo femminile, perché cambia il centro del potere. D’ora in poi governa un solo uomo, il princeps o imperatore, che ha bisogno, innanzi tutto, di una moglie legittima che gli assicuri un erede al trono. Perciò la dimensione femminile viene ad assumere connotazioni pubbliche che non possono non esserle riconosciute. Le donne non hanno mai ricoperto in età romana cariche politiche né militari, anche se, in alcuni casi, sia a Roma che nelle singole città dell’impero i grandi patrimoni femminili potranno avere una notevole influenza politica. Faustina Minore, moglie dell’imperatore Marco Aurelio Bruzia Crispina, moglie dell’imperatore Commodo Nella società imperiale incomincia ad affermarsi un'ideologia che invita alla continenza e alla moderazione, per l’influenza del pensiero stoico prima e, successivamente, della predicazione cristiana. Coerentemente ai modelli tradizionali, la moglie va amata senza passione, soprattutto sessuale. La buona moglie deve essere solidale con il marito, condividerne gli interessi intellettuali e i valori morali: non solo compagna di letto e di tavola, come le concubine, ma consorte nel senso più pregnante della parola, partecipe alle attività e alle idee politiche del marito a tutti gli effetti, fino alle estreme conseguenze, come la condivisione del suicidio, nel caso in cui il coniuge sia condannato a morte dall’imperatore. Poppea Sabina, moglie dell’imperatore Nerone Pompeia Plotina, moglie dell’imperatore Traiano Faustina Maggiore, moglie dell’imperatore Antonino Pio MESSALINA L'imperatrice perdente, nella vita e nell'immagine, è la terza moglie di Claudio, Messalina (25-48), descritta da Giovenale come prostituta di fatto. Costretta da Caligola a sposare Claudio, ebbe due figli: Claudia Ottavia e Cesare (in seguito soprannominato Britannico). Perde la vita quando vuole sposarsi con Gaio Silio, descritto come il più bell'uomo della Roma del tempo, appartenente a un circolo aristocratico ostile all'imperatore, mentre ancora moglie di Claudio. Dalle fonti è ritratta come massimo esponente al femminile dei tria vitia tirannici: avaritia, saevitia e libido, rispettivamente avidità di denaro, crudeltà ed eccessi sessuali. Messalina e Britannico EVERGETISMO Per evergetismo si intende la pratica per cui un cittadino privato, in modo apparentemente disinteressato, compiva donazioni private a scopi pubblici. Il benefattore, indipendentemente dal sesso, acquisisce un'immagine pubblica, si potrebbe dire una visibilità mediatica. Tali attività erano ricercate da quelle categorie di persone che non potevano aspirare a un ruolo pubblico, come una donna, oppure, un ricco liberto. L’evergetismo romano risponde a finalità politiche e, quando si indirizza ai cives, non rispetta sempre la gerarchia sociale e giuridica, concedendo somme di denaro e privilegi vari in misura proporzionalmente maggiore ai notabili rispetto alla plebe. Non si tratta mai di carità verso i poveri, ma di riconoscimento di ruoli critici e sociali; e anche l’evergetismo al femminile non si discosta da queste regole. La generosità di queste donne riguarda soprattutto la realizzazione o il restauro di opere edilizie, il dono di statue, di cibo, la distribuzione di denaro e la costituzione di fondazioni con opportuni testamenti. L’evergetismo ha consentito alle donne romane ricche di mettere a frutto le loro capacità economiche e nel contempo di promuovere la loro famiglia di origine o quella del marito. Con queste azioni le donne hanno acquisito pubblici meritia, come scritto sui monumenti eretti in loro onore, in particolare statue, e sono entrate in un campo tradizionalmente di dominio maschile. L’ambito che costituisce il campo di intervento ideale per l’evergetismo femminile è l'allestimento dei giochi pubblici. 2. LEX IULIA DE ADULTERIIS COERCENDIS: emanata tra il 18 a.C. e il 16 a.C. per disciplinare l’adulterio e le varie fattispecie che vi rientravano: incestum, stuprum, lenocinium. Nel caso di adulterio o stupro, veniva istituito un processo contro la moglie infedele e il complice. La legge punisce la donna adultera con la confisca della metà della dote, la confisca della terza parte dei beni e la relegazione in un’isola. L’uomo adultero con la confisca della metà del patrimonio e con la relegazione in un’isola, purché siano relegati in isole diverse. 3. LEX PAPIA POPPAEA: aveva lo scopo di frenare il diffondersi del celibato, incoraggiando e rafforzando il matrimonio e la natalità. Si può dire che la legislazione augustea, in un certo qual modo, obblighi gli uomini tra i 25 e i 60 anni di età e le donne tra i 20 e i 50 anni a sposarsi (evidentemente i 50 anni della donna e i 60 dell'uomo sono considerati i limiti anagrafici della naturale procreazione). 1. LEX IULIA DE MARITANDIS ORDINIBUS: fatta approvare nel 18 a.C. limitava i matrimoni tra diverse classi sociali e puniva i celibi (chi non si sposava era tassato). AMICIZIA Il termine amicus o amica spesso allude ad un rapporto maturato all'interno del mondo del lavoro, soprattutto libertino. L'amicizia interpersonale in età romana è un rapporto complesso, che presuppone anche un coinvolgimento politico e clientelare. Ad esempio Plinio il Giovane eredita le amicizie femminili in quanto le sue amiche sono parenti o mogli dei suoi amici, vivi o morti; non mancano tuttavia nelle sue lettere accenti di sincero affetto per queste donne. LE DONNE E IL CULTO Esistono due livelli nella pratica culturale romana: pubblico e privato. Il primo è quello ufficiale, che riguarda la città, attestato dai calendari rituali e dagli autori classici. Questo livello prevede una serie di divinità, maschili e femminili e di genere indefinito, cui vengono tributati precisi atti di culto pubblico, secondo un complesso rituale, la cui conoscenza, per quello che si può evincere dalle fonti, è in mani maschili. Alcuni di questi culti però devono essere praticati dalle donne. Nel corso del tempo, alle matrone si riconosce un ruolo sempre più attivo nelle c.d. suppliche, cioè pubbliche preghiere di ringraziamento o di richiesta di intervento divino, con opportune offerte alle divinità, aventi in oggetto la salvezza dello stato. Sono i collegi sacerdotali maschili che detengono la conoscenza delle corrette procedure e conoscono i meccanismi per interpretare la volontà degli dei. Inoltre è stata sottolineata l'incapacità femminile di praticare la macellazione rituale, e proprio questa incapacità relega la donna in una posizione nettamente subordinata in campo religioso. Alle Vestali era imposta la verginità: se avessero avuto dei rapporti sessuali, la sicurezza dello Stato sarebbe stata in pericolo (infatti, generalmente, il crimen incesti delle Vestali era scoperto in seguito al verificarsi di avvenimenti negativi per la città): se riconosciuta colpevole, la Ves ta l e e r a condanna ta da l Pontefice Massimo a essere sepolta viva. E r a l o r o r i c h i e s t a l a preparazione della cosiddetta mola salsa, farina di farro e sale con cui si cospargevano gl i an imal i , v i t t ime del sacrificio cruento. Le Vestali avevano uno statuto giuridico e patrimoniale diverso da quello delle altre matrone: erano sottratte al la tutela maschi le , p o t e v a n o f a re t e s t a m e n t o e testimoniare in tribunale. Era loro r iconosciuto un ruolo pubblico, sottolineato dal fatto che avevano diritto a un littore che la precedesse nella pubblica via, come i magistrati cittadini. Le Vestali praticavano un culto che rappresentava lo st i le di vita ideale della matrona romana immediatamente percepibile anche nell'ornatus delle sacerdotesse, che coincideva con quello delle matrone. ATTIVITÀ DELLA DONNA Ricostruzione di un telaio Le schiave svolgevano professioni come quella di tessitrice, nutrice o prostituta, ma anche altre “meno femminili”: nell’agricoltura, nella pastorizia, negli ergastéria (fabbriche o laboratori). Le uniche attività concesse alla matrona romana erano la gestione della servitù per le faccende domestiche, la filatura e la tessitura, svolte in prima persona nella domus. FILATURA E TESSITURA Nel mondo del lavoro la manifattura e il commercio erano disprezzati a livello teorico dai romani, per cui la partecipazione delle élite aristocratiche a tali attività era soggetta a un opportuno camouflage, con l'utilizzo di prestanome e agenti, spesso di condizione servile o libertina: fenomeno che porta soprattutto le donne imprenditrici ad avere un intermediario, spesso un liberto, che si occupasse dell’amministrazione dei loro affari. Per quanto riguarda l'artigianato femminile, esso viene spesso identificato nella filatura e nella tessitura che è l'unica forma di lavoro manuale ammesso per le matrone, da gestire nell'ambito della domus. Esistevano produzioni tessili organizzate in veri e propri laboratori di tessitura, le cosiddette textr inae , che erano ind ipendent i dall'ambito domestico, affidati anche operaie specializzate, la cui professione può essere ricordata sulle pietre funerari: lanificae, potevano anche lavorare per grandi proprietà private; lanipendae, pesatrici della lana; quasillariae, filatrici; textrices , tessitr ic i ; sarcinatrices e vestificae, sarte. Le iscrizioni ci documentano i mestieri più umili, quelli che sono appannaggio degli strati più bassi della popolazione femminile, in molti casi di condizione servile o libertina. Le lavoratrici possono ricevere una qualche forma di rappresentazione dalle loro iscrizioni funerarie che, il più delle volte, si limita alla semplice citazione del nome e del mestiere, ovvero alla sua raffigurazione, anche attraverso i soli attrezzi di lavoro. Il ricordo dell'attività lavorativa sul sepolcro è strumento di affermazione personale, poiché queste donne raramente sono connesse ad un personaggio maschile. Per quanto riguarda i corredi funerari femminili sicuramente rammentiamo fusi, conocchie e pesi da telaio, che potevano essere raffigurati sulle iscrizioni funerarie. CORREDI E ISCRIZIONI FUNERARIE Pesi da telaio Fusi e conocchie Grazie per l’attenzione Sabrina Natale
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