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La dottrina della vacuità in nāgārjuna, Guide, Progetti e Ricerche di Filosofia

Breve tesina di filosofie dell'India sulla vacuità di Nagarjuna

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2014/2015

Caricato il 28/10/2015

shalalalashelly
shalalalashelly 🇮🇹

4.3

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Scarica La dottrina della vacuità in nāgārjuna e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Filosofia solo su Docsity! La dottrina della vacuità in Nāgārjuna Nāgārjuna (II sec. d.C.) fu il principale espositore e sistematizzatore del Buddhismo del Grande Veicolo (Mahāyāna) e fondatore di una scuola denominata Madhyamaka, o Mādhyamika: “Scuola del Cammino di Mezzo”. Tra le innumerevoli opere attribuitegli, le più importanti sono la Madhyamakakārikā (Le stanze del cammino di mezzo) e la Vigrahavyāvartanī (La sterminatrice degli errori). «Il termine di «vacuo» e di «vacuità» non era ignoto ai testi del Piccolo Veicolo, in pali o in altri dialetti, nei quali esso ci appare per lo più nei significati di «privo» o di «privazione» [...]. Il concetto di vacuità o di privazione si afferma tuttavia in tutta la sua importanza soltanto colle scuole del Grande Veicolo».1 Infatti, la dottrina della vacuità (il śūnyavāda) rappresenta la concezione centrale del Madhyamaka. Nāgārjuna recupera il concetto di vuoto (śūnya) dai testi della Prajñāpāramitā, la letteratura della «Perfezione della Gnosi» e «ne fa il cardine interpretativo della dottrina della «coproduzione condizionata»».2 «Quale la coproduzione condizionata, questa e non altro noi chiamiamo la vacuità. La vacuità è una designazione metaforica. Questa soltanto è Via di Mezzo».3 Detto altrimenti, la vacuità designa l’interdipendenza e l’impermanenza di tutte le cose, gli esseri, i fenomeni. Questi sono privi di «natura propria» (svabhāva) poiché si producono in dipendenza gli uni dagli altri. Il reciproco condizionamento a cui tutti sono sottoposti fa sì che di nessuno si possa affermare una natura definita e immutabile, essi quindi risultano in ultima analisi ugualmente «vuoti». «In ragione di tale interdipendenza tutto ciò di cui si dice “è” non è in sé e per sé , ma è solo nell’inter-essere, nell’essere “per”, “tra”, “con”».4 In contrasto con la dogmatica dell’Abhidharma, Nāgārjuna afferma che anche i dharma (gli elementi ultimi e istantanei della realtà) sono vuoti. Secondo il Madhyamaka il linguaggio, il pensiero discorsivo, le coppie degli opposti non sono nient’altro che coperture mentali che hanno solo valore strumentale. Il śūnyavāda si propone di andare al di là delle coppie degli opposti. Anche la coppia 1 E4 3 1 E 4 7sa sāra- nirvā a dal punto di vista della vacuità perde di significato. Infatti si sostiene che tra essi non vi sia differenza. Il termine «vacuità» assume perciò due significati: il primo (negativo) indica la mancanza di natura propria di tutte le cose, il secondo (positivo) esprime l’assenza di coperture mentali. In accordo con il carattere prammatico e soteriologico dell’insegnamento del Buddha (il quale si era metodicamente rifiutato di rispondere a quesiti di ordine metafisico) il śūnyavāda critica la consistenza logica di ogni tesi positiva o negativa. «Le opinioni, le teorie sono come un’erba o una pozione di cui ci si serva per curare un malato, e che, in se stessa, senza valore o realtà alcuna, prende valore e realtà dagli effetti che essa vale a determinare».5 La vacuità non è né una tesi né una negazione perché è ineffabile. Perciò il compito di ogni buddhista è eliminare ogni opinione. « La vacuità - han detto i Vittoriosi - è eliminazione di tutte le opinioni. Coloro poi per cui anche la vacuità è un’opinione, questi li han detti inguaribili».6 Il Madhyamaka non ha proprie tesi, dottrine o argomenti da difendere, tutto ciò che gli si può attribuire è il metodo della «confutazione senza 1 Sironi, A. (a cura di), Nāgārjuna, Lo stermino degli errori, BUR, Milano 1992, p. 9. 2 Marchignoli, S., L’India filosofica. Un percorso tra temi e problemi del pensiero indiano. Parte I: dalle origini al sec. VIII, Eurocopy, Bologna 2005, p. 60. 3 Madhyamakakārikā, XXIV, 18. 4 Meli, M. e Magno, E. (a cura di), Nāgārjuna, Il cammino di mezzo (Madhyamakakārikā), UNIPRESS, Padova 2004, p. 159. 5 Gnoli, R. (a cura di), Nāgārjuna, Le stanze del cammino di mezzo, Boringhieri, Torino 1961, p. 21. 6 Madhyamakakārikā, XIII, 8. implicazioni assertorie».7 Questo metodo consiste nella critica e nella confutazione di ogni dottrina, tesi o opinione (buddhista o meno) senza averne una propria e senza quindi esporsi ad accusa alcuna. «Se io avessi una qualche tesi, allora sarei soggetto a questo controsenso, ma io non ho una mia tesi e quindi non sono soggetto a nessun controsenso».8 Nella confutazione delle dottrine avversarie, Nāgārjuna utilizza spesso la struttura argomentativa del tetralemma ( 1 E6 3 1 E 6 Dcatu ko i). A tale critica sono sottoposte anche le verità buddhiste, quindi Nāgārjuna deve rispondere alle obiezioni secondo cui anche le quattro nobili verità del Buddha, la dottrina del Buddha, la comunità monastica, e infine il Buddha stesso sono «vuoti». Da queste obiezioni all’interpretazione del śūnyavāda come espressione di una teoria nichilista il passo è breve. In realtà il śūnyavāda non è una dottrina nichilista, bensì una «via mediana» tra eternalismo e nichilismo (ucchedavāda), nel senso che li supera entrambi, va oltre questi estremi. Nāgārjuna affronta queste obiezioni ricorrendo alla dottrina delle «due verità»: quella «relativa del mondo» ( 1 E4 3 1 E 5 Blokasa v ti) e quella «assoluta» (paramārtha). Infatti, il Buddha non insegnò la verità assoluta, ma solo quella relativa, perché pensò alla difficoltà che avrebbero avuto gli uomini di «corto vedere» a comprenderla. Il dharma buddhista e le quattro nobili verità possono essere considerate vuote dal punto di vista dell’assoluto, ma non da quello relativo. Essi sono indispensabili perché sono l’unico mezzo attraverso cui si può raggiungere la realtà assoluta. Riferimenti bibliografici Gnoli, R. (a cura di), Nāgārjuna, Le stanze del cammino di mezzo, Boringhieri, Torino 1961. 7 Meli, M. e Magno, E. (a cura di), Nāgārjuna, Il cammino di mezzo (Madhyamakakārikā), UNIPRESS, Padova 2004, p. 156. 8 Vigrahavyāvartanī, 29.
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