Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

La falsa inimicizia. Guelfi e ghibellini nell'Italia del Duecento., Sintesi del corso di Storia Medievale

Sintesi per paragrafi del libro "La falsa inimicizia". Il libro è parte della bibliografia a scelta per il superamento dell'esame di Storia Medievale da 6/9 cfu tenuto dal docente Paolo Grillo nell'anno accademico 2018/19 e precedenti.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 27/09/2019

GianmarcoMancuso
GianmarcoMancuso 🇮🇹

4

(2)

7 documenti

1 / 13

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica La falsa inimicizia. Guelfi e ghibellini nell'Italia del Duecento. e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! LA FALSA INIMICIZIA Guelfi e ghibellini nell’Italia del Duecento Introduzione “Guelfi” e “ghibellini” sono due termini nati negli anni Quaranta del Duecento in Toscana. Prima di ciò si parlava (con maggior precisione) di “parte delle Chiesa” (pars Ecclesiae) e “parte dell’Impero” (pars Imperii). È probabile che i due termini rimandino all’aspra contesa per il controllo della corona imperiale svoltasi tra il 1212 e il 1215 tra Federico II di Svevia e Ottone IV Brunswick. Ottone IV, infatti, discendeva dal duca Guelfo (Welf) di Baviera. Federico, invece, apparteneva alla casata di Svevia, il cui castello ereditato era Weiblingen (“Ghibellino” in italiano). Non risulta, però, che i due fronti abbiano mai utilizzato i rispettivi termini per identificarsi. I due termini furono riesumati a Firenze negli anni Quaranta del XIII secolo per identificare i membri della città che parteggiavano per la Chiesa o per l’Impero. Andrea Ungaro, un cronista angioino, nella sua narrazione della battaglia di Benevento composta verso il 1272 fu il primo a conferire ai due termini valore generale, valido per l’intera penisola. Le due parole ormai sono entrate nel linguaggio corrente fino a diventare un vero e proprio luogo comune, perdendo il loro significato originario. La complessità del mondo comunale non era, però, come si può credere, in nessun modo generalizzabile in un artificiale bipolarismo politico; le due fazioni erano, infatti, soggette a un continuo processo di ridefinizione, frantumazione e ricomposizione che le rendeva estremamente difficili da definire. La nascita delle parti (1236-1250) 1. POTERI UNIVERSALI A CONFRONTO: L’IMPERO CONTRO LA CHIESA Il 20 marzo 1239 papa Gregorio IX scomunicò l’imperatore e re di Sicilia Federico II, il quale replicò contestando le accuse del pontefice e chiamando i sovrani d’Europa alla ribellione. Questo atto di scomunica fu il punto di rottura definitivo dal quale non si sarebbe più tornati indietro. Le trattative tra curia romana e la corte sveva fallirono e Federico minacciò il papa di farlo imprigionare. Il papa, messo in salvo in Francia, lanciò un’invettiva spietata contro Federico, che fu nuovamente scomunicato. Lo scontro, prevalentemente verbale tra papa e imperatore si intrecciava strettamente alla guerra che si combatteva negli stessi anni nell’Italia centro-settentrionale tra Federico II e le città a lui alleate e i comuni che intendevano mantenere la loro autonomia, raggruppati attorno a Milano e appoggiati dal pontefice. Le parti dovettero così affrontare una guerra destinata a prolungarsi fino alla morte dell’imperatore, il 13 dicembre del 1250. 2. IMPONENDO DALL’ALTO: LA PARTE DELL’IMPERO La neutralità al conflitto era impossibile, le città dovettero decidere se schierarsi da una parte o dall’altra. Esse erano governate a comune, quindi le grandi decisioni politiche erano determinate dalla volontà popolare che si esprimeva nei consigli e nelle assemblee. Chiesa e Impero cominciarono così a utilizzare tutte le risorse di cui disponevano. Nei centri filofedericiani veniva introdotta una novità: opporsi al governo in carica diventava direttamente opporsi all’Impero, e così si cadeva nel reato capitale di alto tradimento e di lesa maestà. Questo tipo di crimine era, inoltre, assimilato al sacrilegio data la natura divina del potere regio e imperiale. Per governare le città centro-settentrionali gli ufficiali imperiali non esitarono a perseguire duramente chi si opponeva al loro governo; i fuoriusciti erano visti come traditori e lo stesso trattamento era riservato ai prigionieri di guerra. Nel 1246 a causa della guerra che diventava sempre più costosa e lunga un gruppo di aristocratici meridionali tentò una rivolta contro l’imperatore. La congiura fallì e la repressione fu spietata e Federico rimase turbato e sospettoso verso tutti. Si deve notare che all’epoca una tale livello di violenza era estraneo alle consuetudini comunali. 3. OPERANDO DAL BASSO: LA PARTE DELLA CHIESA Per quanto riguarda la Chiesa, essa cercò di operare dall’interno e non al di sopra della società comunale, persuadendo, più che obbligando, i governi cittadini ad assumere uno schieramento a lei favorevole. Il suo apparato di pressione erano i frati Minori e i frati Predicatori: i due nuovi ordini fondati da San Francesco e San Domenico. Mentre la propaganda imperiale si affidava principalmente alla parola scritta e di conseguenza si rivolgeva così agli strati più alti della società, la Chiesa seppe agire su due piani diversi: i letterati della Curia replicavano agli scritti imperiali e i francescani e domenicani predicavano nelle chiese e nelle piazze raggiungendo, così, anche il popolo incolto. La popolazione veniva esortata a opporsi a eventuali scelte politiche filosveve compiute dai governi, anche perché nelle parole dei frati l’adesione alla parte sveva veniva descritta come contraria all’ortodossia. L’imperatore era parificato al capo di una setta e i suoi seguaci erano trattati a loro volta come eretici. Tuttavia, per quanto efficace, l’azione della Chiesa non si limitava ai predicatori, ma i pontefici tramite i loro delegati agivano anche per favorire i loro sostenitori e indurre i comuni a schierarsi nel loro campo. 4. I GHIBELLINI (E I GUELFI) FUGGIASCHI Con il radicalizzarsi progressivo delle posizioni, lo schieramento dei centri urbani venne sempre più spesso a coincidere con il successo di una fazione interna a danno dell’altra. Chi si opponeva era considerato un nemico pubblico da eliminare. In alcuni centri la frattura tra parte dell’impero e parte della Chiesa finì con l’innestarsi sulle rivalità che già esistevano tra le grandi famiglie delle diverse città e le loro clientele. Nella maggior parte dei casi, però, non esistevano due schieramenti contrapposti, ma molti gruppi e stirpi rivali tra loro. Opporsi al governo in carica divenne di per sé un reato, una colpa non più da attribuirsi ai singoli, ma all’intero gruppo di chi professava una posizione diversa da quella ufficiale. Una prova della divisione fu il proliferare di nuovi nomi, che marcavano l’identità delle parti in conflitto. Il caso più noto fu quello di Firenze dove le due parti presero il nome di “guelfi” e “ghibellini”. Nel momento in cui si decideva lo schieramento che il comune avrebbe assunto, agli esponenti della parte minoritaria potevano subire diverse conseguenze. Ezzelino da Romano (alleato dell’imperatore) divenne famoso per le retate che scatenava nelle città a lui soggette al fine di imprigionare i suoi avversari politici in carceri urbane o castelli descritti come veri e propri lager. Spaventati da questa possibilità molti decidevano di lasciare spontaneamente la città, anche per riorganizzarsi e ricominciare la lotta dall’esterno. Nel corso della guerra si diffuse sempre più la prassi di cacciare a forza chi era sospettato di contrastare le scelte politiche attuate dal governo. Il papa affermava che tutti coloro che “tramavano” con Federico dovevano essere allontanati, i loro beni confiscati e, infine, essi e i loro discendenti diretti dovevano essere esclusi dagli uffici pubblici. Per molti fuoriusciti ci fu poi la possibilità di rientrare, ma lo status acquisito prima della condanna non fu mai recuperato. 5. AMBIGUITÀ E TRADIMENTI Non è possibile inquadrare rigidamente le città “filoimperiali” o “antimperiali”, bisogna più che altro parlare di gruppi dirigenti che orientavano in una posizione o nell’altra la politica comunale. 1 inviò direttamente nel Meridione Ottaviano degli Ubaldini a combattere Manfredi. Ottaviano condusse le operazioni di guerra con una lentezza a dir poco sospetta per poi abbandonare il Regno senza consenso del papa. L’11 agosto 1258 Manfredi di Svevia assunse solennemente la corona di Sicilia, e così lo schieramento filoimperiale aveva nuovamente il suo campione. Egli doveva però ancora giustificare l’incoronazione a discapito di Corradino, legittimo re. Per questo fece circolare la notizia che Corradino era morto e, quando i parenti svevi inviarono degli ambasciatori a chiedere spiegazioni, li fece uccidere. L’Italia di Manfredi (1258-1265) 1. LA BATTAGLIA DI CASSANO D’ADDA Intanto, la corona imperiale vacante era oggetto di interesse da parte di molti principi europei. Il papa, alla ricerca di un proprio candidato, scelse un nobile inglese, Riccardo di Cornovaglia, che fu eletto nel 1257 e riuscì a esercitare una certa autorità sulla Germania. Altri principi tedeschi cercarono un altro principe interessato e lo trovarono nel re di Castiglia, Alfonso X. Questi rappresentò un importante fattore di divisione nel campo ghibellino, dato che alcune città italiane lo riconoscevano come legittimo imperatore e altre no (Siena si era schierata dalla parte di Manfredi). La frattura più grave si ebbe nel Settentrione. Qui Oberto Pelavicino e Ezzelino da Romano, mostravano un’amicizia di facciata, ma in realtà erano rivali che si contendevano la supremazia. Entrambi si proclamavano filoimperiali, ma interpretavano lo schieramento in maniera molto diversa. Oberto appoggiava Manfredi, Ezzelino credeva, invece, in Corradino, ma, essendo ancora molto piccolo, si volse verso Alfonso X. La rivalità si trasformò velocemente in conflitto e il casus belli lo diede Milano. Qui vi era una forte conflittualità interna, dovuta alla frattura sociale tra l’aristocrazia urbana e il Popolo. Milano precipitò nel caos, ma alla fine prevalse il Popolo guidato da Martino della Torre. Un gruppo di aristocratici, guidati da Guglielmo da Soresina, lasciò Milano e chiese aiuto a Ezzelino da Romano che non esitò a preparare un esercito da far marciare contro Milano. Martino della Torre, allora, si rivolse a Oberto Pelavicino, il quale a sua volta cercò l’appoggio di Azzo VII d’Este, signore di Ferrara. La situazione precipitò rapidamente e Ezzelino oltrepassò l’Adda, ma fu costretto a ritirarsi a causa della pronta reazione di della Torre che gli sbarrò la strada davanti a Monza. Ai primi di ottobre del 1259 si giunse alla battaglia presso Cassano d’Adda, in cui Ezzelino fu sconfitto, morendo poco dopo. Papa Alessandro IV si dimostrò incapace di sfruttare le fratture della fazione imperiale e rifiutò la riconciliazione con Manfredi. Inoltre, scomunicò Martino della Torre e l’intero consiglio comunale di Milano e così i della Torre si trovarono sospinti direttamente nel campo ghibellino. Oberto Pelavicino, però, e gli esuli di Ezzelino da Romano si riavvicinarono al papato e fecero nominare arcivescovo di Milano uno dei loro esponenti, Ottone Visconti, che assunse rapidamente il controllo della città. 2. LA BATTAGLIA DI MONTAPERTI La Toscana fu un altro territorio in cui si verificarono movimenti politici complessi. Manfredi cercò prima l’appoggio di Firenze, ma non riuscendo ad ottenerlo ripiegò su Siena, che il 16 maggio del 1259 gli giurò fedeltà. Questa alleanza allarmò Firenze, che aprì i contatti von i rappresentanti di Corradino presso il papa. Il 4 settembre 1260 un grande esercito composto da Fiorentini, e da truppe di Lucca, Pistoia, Prato e altri centri si scontrò a Montaperti, una piana a pochi chilometri da Siena. L’esito dello scontro fu nettamente favorevole alle truppe di senesi, Firenze non fu più in grado di combattere e fu costretta ad aprire le porte ai ghibellini, guidati da Farinata degli Uberti. Il papa, Alessandro IV, assisteva in pratica impotente davanti alle vittorie di Manfredi. 3. L’ITALIA DI MANFREDI (O QUASI) Date le vittorie di Cassano d’Adda e Montaperti il re di Sicilia cominciò a rivendicare la piena affermazione del suo potere in tutta la penisola. Si precluse, inoltre, qualsiasi possibilità di accordo col papa e mirava a piegare la curia romana politicamente e militarmente. Di fatto egli si pose a capo di uno schieramento che possiamo definire ghibellino o “filosvevo” (non imperiale). Bisogna, però, aggiungere che i guelfi erano sconfitti, ma tutt’altro che scomparsi, e i ghibellini non erano affatto compatti. La situazione a Siena (in teoria la più grande alleata di Manfredi) era di malcontento diffuso verso il re di Sicilia, i banchieri protestarono violentemente contro i ghibellini e scoppiarono continui disordini. A nord il trionfo di Oberto Pelavicino non era a sua volta privo di contrasti interni e Manfredi sembrava che cercasse di ritagliarsi una rete di relazioni autonoma anche nel nord. Insomma, per quanto imponente, il trionfo ghibellino presentava aspetti di debolezza. 4. LA PACE E I FLAGELLI Fra il 1258 e il 1260 si erano verificati periodi di grande maltempo, che provocarono gravi difficoltà alle famiglie più povere. Questa ondata di maltempo fu dovuta all’eruzione devastante di un vulcano in Indonesia che sollevò una grande massa di materiale che oscurò il sole. In questo difficile contesto ambientale ebbe successo il movimento dei “battuti” o “flagellanti”. Questo era un movimento religioso che predicava l’ira di Dio sulla terra e invitava gli uomini alla penitenza e all’autoflagellazione pubblica per evitarla. Il loro scopo finale era la pace generalizzata, grazie alla completa rinuncia alla violenza. La devozione ai flagellanti fra il 1260 e il 1261 si diffuse in gran parte in Italia centro-settentrionale, ma questa stessa devozione poteva essere manipolata a fini di parte e non per pacificare la città. L’esperienza del movimento si esaurì nel 1261, ma in molte città nacquero associazioni laiche che richiedevano la pace. A Bologna nel 1261 sorsero i “cavalieri della beata Maria Vergine gloriosa” o, più semplicemente, “frati gaudenti”, e, anche per loro, l’obiettivo primario era la pace. La richiesta di una soluzione ai conflitti espressa sia dai movimenti religiosi popolari sia dalle élite cittadine tentava di supplire all’assenza di una politica regia in tale direzione. Re guelfi e papi ghibellini (1266-1282) 1. LA SPEDIZIONE DI CARLO D’ANGIÒ Manfredi aveva assunto un atteggiamento sempre più ostile verso il pontefice e così Urbano IV cercò un appoggio esterno e nel 1263 lo trovò in Carlo d’Angiò. In questo periodo il campo ghibellino era profondamente diviso e particolarmente grave era la frattura apertasi a Milano. Nel 1263 morì Martino della Torre e a lui succedette il fratello Filippo che guardava con timore il potere che Oberto Pelavicino esercitava in qualità di comandante dell’esercito milanese. Nel novembre del 1264 scadde il mandato del Pelavicino e Carlo d’Angiò sfruttò questo a suo favore stipulando una solenne alleanza coi della Torre. Il 24 maggio 1265 Carlo arrivò a Roma via mare e il grosso dell’esercito, che non trovò resistenza, via terra. Il 26 febbraio 1266, davanti alla città di Benevento, l’esercito di Manfredi fu disastrosamente sconfitto e il re in persona morì. 1 2. INTERMEZZO: LA PACE DI CLEMENTE IV Tra papa Clemente IV e Carlo d’Angiò c’erano già stati alcuni scontri e dopo la battaglia di Benevento i rapporti tornarono a guastarsi. Clemente non voleva che alla minaccia sveva si sostituisse quella angioina e cercò di limitare in ogni modo i poteri di Carlo. Solo la minaccia di una discesa in Italia da parte dell’imperatore Corradino fece avvicinare i due. Il papa dopo la sconfitta di Manfredi cercò di riconquistarsi l’appoggio del Italia centro- settentrionale affidando a Carlo il compito di “pacificare” (in realtà assoggettare) la Toscana. Nel 1267 le truppe angioine entrarono a Firenze, cacciando i ghibellini e instaurando un regime guelfo. Dopo la sottomissione di Firenze al re bastò poco tempo per conquistare Prato, Pistoia, Arezzo e altri comuni minori, fino ad arrivare ad autoproclamarsi vicario di tutta la Toscana. Nel Settentrione l’iniziativa pontificia ebbe risultati migliori. Dopo aver assolto da tutte le scomuniche, attraverso l’umiliante rito della flagellazione, Oberto Pelavicino e Ubertino Landi, la fazione guelfa riuscì a conquistare pienamente il potere senza ricorrere al supporto del militare angioino. 3. LA SPEDIZIONE DI CORRADINO I ghibellini superstiti cercarono un nuovo punto di riferimento in Corradino di Svevia, il quale acconsentì all’impresa e nell’autunno del 1267 scese in Italia. Egli poté avanzare senza praticamente incontrare opposizione da parte dei comuni della parte della Chiesa. Già ad aprile le sue forze erano raddoppiate ed erano scoppiate rivolte a lui favorevoli in Sicilia che obbligarono Carlo ad abbandonare la Toscana per rientrare nel Regno. A luglio raggiunse Roma e intanto il papa si era rifugiato a Viterbo lanciando scomuniche e interdetti verso tutti i sostenitori dello Svevo. Ma l’avventura di Corradino in Italia finì tragicamente. Il 23 agosto 1268 in Abruzzo nella piana di Tagliacozzo, Carlo d’Angiò intercettò le truppe dello Svevo ottenendo una vittoria schiacciante. Corradino fu così imprigionato e poco dopo condannato a morte. 4. L’ITALIA ANGIOINA La vittoria di Tagliacozzo segnò la definitiva affermazione del potere di Carlo d’Angiò. A questo punto era pronto per scatenare una vera e propria offensiva diplomatica nel Settentrione. Cominciò con lo scrivere fra il 1269 e il 1271 una serie di lettere ai suoi ufficiali nel nord delegando loro l’autorità di trattare la sottomissione delle diverse città. La maggior parte di queste iniziative non riuscì, ma poté comunque estendere il suo dominio in Piemonte. In Toscana riuscì a prendere Siena che cedette dopo la battaglia di Colle Val d’Elsa combattuta nel 1269. La sua politica cambiava di comune in comune: dove prevaleva l’aristocrazia Carlo la appoggiava, dove, invece, predominava il Popolo, ne riconosceva l’organizzazione e le rivendicazioni. Le organizzazioni popolari vennero sciolte e i territori comunali smembrati per ricavare feudi da concedere, ma, almeno nelle grandi città il regime che instaurava rispettava buona parte delle prerogative comunali. Carlo proponeva al complesso, ricco, ma anche conflittuale mondo delle città italiane un disegno politico alternativo, “monarchico”, che offriva maggior stabilità politica e l’inserimento di quadri territoriali più vasti. Non tutti, però, erano disposti a passare da una semplice alleanza a una sottomissione, inoltre, anche nelle città a lui assoggettate, Carlo non poteva accontentare tutti, dal momento che i diversi centri che componevano il suo dominio avevano interessi divergenti e operavano in concorrenza fra loro. Egli, allora, decise di esasperare la politica fazionaria, basandosi sul fatto che una continua minaccia ghibellina avrebbe costretto i gruppi dirigenti legati a mantenere con lui buoni rapporti. A secche della Meloria. I Genovesi ottennero una vittoria schiacciante, Pisa, però, si rifiutò di accettare le durissime condizioni di pace e decise di continuare la guerra. A questo punto il governo genovese non si fece nessuno scrupolo ad aprire trattative con le città guelfe nemiche di Pisa, che subì un drammatico isolamento. I Pisani nominarono come loro podestà Ugolino della Gherardesca, il quale, alleato di Firenze, non esitò a chiederle aiuto, facendola smarcare dall’alleanza contro Pisa. Intanto nel 1285 ad Arezzo il popolo aveva preso il potere, così gli aristocratici, sia guelfi sia ghibellini si coalizzarono e nel 1287 imposero nuovamente la loro supremazia. Il vescovo Guglielmo degli Ubertini prese il comando delle famiglie ghibelline, si fece nominare signore e cacciò i membri della parte della Chiesa. Firenze ormai da vent’anni aveva adottato la fedeltà al papa e agli Angiò e, così, nel 1288 e nel 1289 fece partire due spedizioni che presero il nome di guerre “guelfe”. Infine l’11giugno 1289 ci fu la battaglia di Campaldino, che terminò con una schiacciante vittoria per i fiorentini. Parallelamente alla guerra contro Arezzo, il 30 giugno 1288 il vescovo Ruggeri abbatté il potere del filofiorentino Ugolino della Gherardesca. 5. TENTATIVI DI PACE E CONSOLIDAMENTO DELLE FAZIONI Una delle ragioni della crisi delle istituzioni comunali a fine Duecento fu l’affermarsi, fallimentare, dell’idea che i conflitti andassero eliminati alla radice, imponendo alla popolazione un assoluto conformismo politico, etico e religioso. Questa era l’eredità avvelenata delle guerre di Federico II, poi il quadro fu ulteriormente complicato dal dilagare delle lotte sociali tra aristocratici e popolari e infine colo collasso dei grandi sistemi di alleanza su scala nazionale. In questo clima, dopo la guerra del Vespro, le iniziative volte a pacificare i conflitti interni alle città furono sempre più rare e di minor efficacia. Papa Niccolò III aveva intrapreso una grande campagna di pacificazione nell’Italia centrale, ma non ebbero alcun successo. Questi insuccessi erano provocati non solo da odi reciproci, consolidati da quasi mezzo secolo di conflitti, ma anche dai benefici economici che potevano provocare (come i beni dei fuoriusciti). Insomma, la pace intesa come riconciliazione delle fazioni, senza strumenti coercitivi destinati a mantenerla, era destinata a durare poco, dato che una parte della cittadinanza si era avvantaggiata dall’esito dei conflitti ed era intenzionata a conservare le ricchezze e i privilegi così ottenuti. Il papa e il poeta 1. BONIFACIO VIII Dopo il 1282 i due schieramenti “guelfo” e “ghibellino” avevano ormai perso ogni capacità di coordinare le forze locali e ciò era dovuto soprattutto all’assenza di leader esterni che potessero coordinare le due fazioni. Anche i pontefici paiono essersi disinteressati della politica nell’Italia comunale, la situazione, però, era destinata a cambiare rapidamente. Il 13 dicembre 1294 papa Celestino V abdicò clamorosamente e pochi giorni dopo fu eletto il cardinale Benedetto Caetani, che prese il nome di Bonifacio VIII. A causa di tutti i pregiudizi che gli gravano addosso questo papa è una figura difficile da studiare. Egli, dopo essere diventato pontefice, esibiva un‘aperta avidità, basti pensare che mise le risorse della Chiesa a disposizione degli interessi privati della sua famiglia, proclamando nel 1297 addirittura una crociata contro i Colonna, rivali della sua stirpe. È però indubbio che una delle caratteristiche di questo papa era, anche, la capacità di comprendere le complessità nel mondo cittadino italiano. Le sue ambizioni ne animavano la volontà di ridisegnare complessivamente la mappa politica della penisola, portandole tranquillità e ordine. 1 2. VESCOVI, CROCIATE E FAZIONI Bonifacio decise di sostenere le fazioni a lui fedeli nelle singole città, affinché potessero costruire governi stabili. L’iniziativa non si risolveva schematicamente nell’appoggio ai guelfi contro i ghibellini, ma il papa mirava, piuttosto, a costruire una propria rete di sostenitori, che in minima parte coincideva con gli schieramenti già esistenti. Il nuovo papa si muoveva con grande spregiudicatezza fuori dai campi predefiniti, perseguendo con lucidità il proprio disegno egemonico. È emblematico il rapporto stretto con il conte Guido da Montefeltro, acerrimo nemico della Chiesa schierato dalla sua parte. Nelle città del Patrimonio di San Pietro (Stato Pontificio) egli riconobbe i comuni come protagonisti del governo del territorio e ne favorì le libere istituzioni, al fine di contrastare le pericolose affermazioni dei signori locali. Egli, così, seppe costruire attorno al suo predominio un governo diffuso, che prescindeva dai precedenti schieramenti fazionari. Fuori dal Patrimonio sfruttò la possibilità di nominare i vescovi. In tal modo sistemò un gran numero di parenti e alleati, consolidando, grazie a questa rete di seguaci, la sua posizione a Roma. 3. GUELFI CONTRO GUELFI: LA TOSCANA Fra il 1297 e il 1298 scoppiò un duro conflitto tra il papa e la stirpe romana dei Colonna, dapprima solo verbale, poi nel maggio del 1297 armata. Bonifacio diede l’ordine di attaccare militarmente giungendo a proclamare contro di loro una crociata. L’atto era inusitato ed eccessivo, ma l’appello a fornire le truppe aiutò a identificare gli amici e gli avversari del pontefice e a seconda dell’adesione alla guerra. Entro il 1299 i Colonna furono annientati e il pontefice nel 1300 celebrò il suo trionfo con l’indizione del primo giubileo. 4. FIRENZE E “IL GHIBELLIN FUGGIASCO” Per meglio comprendere le drammatiche vicende di questo periodo possiamo disporre di un unto di vista eccezionale: Dante Alighieri. Dante crebbe in una Firenze solidamente guelfa e d’altronde gli Alighieri erano un casato guelfo fin dagli anni Trenta del Duecento. Nel 1295 dante intraprese la carriera politica che culminò nel priorato nel 1300. Valutazioni politiche, l’inserimento in reti di frequentazione e i rapporti basati sulla residenza in una medesima zona della città spinsero Dante a legarsi alla famiglia dei Cerchi, opposta a quella dei Donati. I Cerchi e i Donati e i loro rispettivi seguaci presero il nome di “bianchi” e “neri”. I due schieramenti avevano idee politiche assai differenti su diverse posizioni e in primo luogo sui rapporti con Bonifacio VIII. Nel 1301 Carlo di Valois fu inviato a Firenze da Bonifacio VIII. Il principe francese avrebbe dovuto pacificare le due fazioni, ma di fatto si alleò coi “neri” (Donati), interrompendo la prevalenza “bianca” (Cerchi) al governo. Fra il gennaio e il febbraio del 1302 i membri della famiglia Cerchi e i loro più stretti alleati furono condannati per corruzione, al confino, a pagare multe altissime o al sequestro dei propri beni. 5. 1302: LA TOSCANA DIVENTA NERA Al momento della condanna Dante non era a Firenze, il governo fiorentino lo aveva mandato a Roma come ambasciatore nel tentativo di convincere il papa a fermare Carlo di Valois. Ma sulla via del ritorno gli giunse la notizia che i suoi compagni di parte e i suoi protettori erano stati cacciati e si erano dispersi per la Toscana. In un primo momento parve possibile ribaltare la situazione dato che il nuovo regime nero sembrava fragile. L’illusione durò poco e ai fuoriusciti si pose il problema di trovare una sede per riorganizzarsi e cercare di premere sulla città per rientrarvi. 6. RIMODELLANDO LE FAZIONI: LA LOMBARDIA Dopo aver rafforzato le proprie posizioni in Toscana e in Liguria il pontefice cominciò a concentrarsi sulla pianura padana. In Lombardia ormai erano inutilizzabili le etichette di “parte della Chiesa” e “parte dell’Impero”, dato che queste categorie ormai non contavano più. Nel 1302 Bonifacio riuniva alcune città (Piacenza, Cremona, Lodi, Vercelli e Novara) per cacciare da Milano Matteo Visconti. La grande alleanza coordinata dal papa fu ancora una volta l’occasione per una ridefinizione degli schieramenti, il discrimine era stare con il papa o contro il papa. L’esercito coalizzato entrò nel contado di Milano, ma, prima ancora che i due eserciti si scontrassero, la popolazione milenese insorse contro Matteo Visconti, che insieme al figlio Galeazzo fu costretto all’esilio. Milano diventò un comune autonomo e l’evento sembrò segnare il trionfo del progetto di Bonifacio. 7. 1303: LA RAPIDA CRISI DI UN PROGETTO A cavallo fra il 1302 e il 1303 la situazione del fronte avverso a Bonifacio migliorò, soprattutto grazie ai cambiamenti del quadro internazionale. Con la bolla Unam Sanctam e la successiva scomunica, i rapporti tra il pontefice e Filippo il Bello di Francia andavano peggiorando. Questo provocò un brusco cambiamento nella politica settentrionale, tanto che Matteo Visconti con un gruppo di fuoriusciti si preparava al colpo di mano. 8. PAPI “BIANCHI” E GUELFI “NERI” Furono sufficienti pochi mesi prima che il quadro cambiasse ancora. Il 7 settembre 1303 Guglielmo di Nogaret e Sciarra di Colonna piombarono di sorpresa su Anagni con un piccolo reparto di armati e catturarono il papa. In meno di tre giorni la popolazione di Anagni insorse, prese le armi e mise in fuga gli aggressori, liberando il pontefice. Egli avrebbe potuto riprendere la lotta contro il re di Francia ma un mese dopo morì. Il suo successore fu Benedetto XI, che non condivideva con Bonifacio le scelte nel quadro della politica italiana. Il nuovo papa provò a rovesciare il governo dei “neri” a Firenze, facendo organizzare una grande spedizione. A luglio ci fu l’assalto alla città, ma fu un disastro e la battaglia, detta della Lastra, terminò con un’irrimediabile disfatta. Dante prese ormai atto che le possibilità di rientrare a Firenze coi “bianchi” erano scomparse. Nel 1310 un imperatore eletto ebbe l’ambizione di riportare la penisola sotto il suo dominio; era Enrico VII, appoggiato da papa Clemente V. Le carte si rimescolarono ancora e le città che stavano dalla parte di Bonifacio ora erano ostili all’imperatore e a Clemente V. I partiti che si ricostruirono all’inizio del XIV secolo erano ormai qualcosa di profondamente diverso dal secolo precedente. La partizione “guelfi” e “ghibellini” perdurò almeno fino alle guerre d’Italia, ma si trattava ormai di nomi tradizionali, che non evocano più alcuna posizione significativa sotto il profilo ideologico. Conclusioni 1. CHI È GUELFO, CHI È GHIBELLINO? Come si è visto le dichiarazioni di fedeltà all’Impero o alla Chiesa coprivano in effetti una realtà politica e una prassi diplomatica elastiche e duttili. Esse potevano essere piegate o distorte lessicalmente per rivestire con una patina ideologica le scelte dei partiti al governo, oppure 1
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved