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"La fava e la murena: gerarchie sociali dei cibi a Roma" M. Corbier - sintesi, Sintesi del corso di Scienza Alimentare

Concetti fondamentali, proposti in modo chiaro e sintetico, del contributo di Mireille Corbier, 12° capitolo del volume "Storia dell'alimentazione" a cura di Flandrin e Montanari.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 14/05/2020

Festina.lente
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Scarica "La fava e la murena: gerarchie sociali dei cibi a Roma" M. Corbier - sintesi e più Sintesi del corso in PDF di Scienza Alimentare solo su Docsity! La fava e la murena: gerarchie sociali dei cibi a Roma (Mireille Corbier) Il cibo come marcatore sociale Esiste per i Romani il binomio ricchezza-cibo di pregio e povertà-cibo ordinario, vedi i libri 14° e 13° degli Epigrammata di Marziale e una lucerna di Aquileia raffigurante una “pauperis cena: pane vinu radic” cioè rafano, che insieme alle verdure (quali la “faba” legata a “faber” operaio, o la bietola) e ad altri cibi erano considerati cibi da poveri/lavoratori. Fonti Testi prescrittivi – descrittivi – solo allusivi: 1) riferimenti a norme emanate da padroni o burocrazia statale nei confronti dell’alimentazione fornita a schiavi e soldati; 2) ricevute su papiro o tavolette dell’approvvigionamento dei soldati in campagna di guerra, alimentazione che poteva variare da luogo a luogo 3) leggi suntuarie nei confronti dei consumi delle classi superiori (III – I sec a.C.). Letteratura: 1) di natura didascalica (Catone, Varrone, Columella, Plinio il Vecchio), presentano ricette di uso corrente e importanti informazioni su come conservare gli alimenti 2) letterati e satirici, che guardano l’alimentazione nel suo contesto sociale, che prendono come bersaglio 3) elementi religiosi abbondantemente diffusi in tutti i generi letterari, i quali si legano all’alimentazione nella pratica del sacrificio di animali viventi Fonti iconografiche: 1) pitture e mosaici, spesso raffiguranti nature morte, risultato della pratica dei doni alimentari 2) monumenti funerari di uomini professionisti in mestieri legati all’alimentazione (vd. quello di Eurisace a forma di enorme forno) Resti archeologici: 1) resti animali e vegetali carbonizzati ed essiccati (non tutti ovviamente erano mangiati) > vd. Ercolano e Pompei/ un villaggio nel deserto egiziano attiguo alle cave del Mons Claudianus che presentava resti di pesci, molluschi, maiali, qualche asino, grano duro e orzo (cereali), lenticchia pisello fava lupino (legumi), noci nocciole pinoli mandorle (noci), dattero oliva prugna uva melone fico melagrana giuggiola (frutti), cipolla aglio sedano coriandolo cumino (condimenti)/ villa di Settefinestre (tra Capalbio e Orbetello) con parte centrale per il dominus avente resti di maialini e buoi di ottima qualità pollame selvaggina, mentre nella parte servile di scarsa qualità e meno maiali e ovini. 2) Contenitori (anfore) di vino, olio, garum (salsa di pesce), olive (impossibile trovarne i resti) 3) Analisi delle latrine, utili perché evidenziano il consumo effettivo e la presenza di alimenti come i cereali, di cui è quasi impossibile trovarne i resti e/o il contenitore (messi alla risfusa o in sacchi deperibili) La base comune dell’alimentazione di ricchi e poveri è l’appartenenza all’area mediterranea Il che porta alla ricorrenza di alimenti come: cereali, vino, olio/ legumi secchi, legumi verdi/ frutti secchi, frutti freschi, succhi di frutti/ miele/ noci (in senso lato: noci nocciole pinoli mandorle castagne)/ latte e formaggi/ carne e pesce, insieme a prodotti selvatici come: funghi, asparagi, bacche e frutti, lumache. Piante edibili vigeva la distinzione tra: - legumina: se ne mangiavano i semi (ceci, lenticchie, lupini, fave le quali Plinio considerava molto utili all’alimentazione) - olera o holera: se ne mangiavano la radice o la parte verde (lattuga, cavaolo “holus”) La carne acquista un ruolo centrale 1) prassi del sacrificio di animali viventi a cui seguiva il consumo delle carni da parte di eletti; 2) come alimento principe, cucinato per festeggiare e all’invito di un ospite; questa concezione comprendeva anche il pesce, considerato grasso tanto quanto la carne ma appannaggio non dei contadini ma dei ricchi. All’elogio del cavolo fatto da Catone, si contrappone l’elogio del maiale di Varrone e Plinio il Vecchio. Da dove proveniva la carne? - sacrifici (in piccola parte): ma non solo, altrimenti non si spiega come facessero i cristiani a mangiare comunque carne anche se era loro vietato mangiare quella derivata dai sacrifici pagani, e come fossero possibili vere e proprie distribuzioni di carne di maiale al popolo a partire dal III sec (in modo discontinuo). - caccia - armenti in casa o nei boschi: si consumava carne in base ai ritmi di riproduzione e rinnovamento - artificiale: riserve di animali selvatici + voliere + vivai di lumache + vero e proprio allevamento, sviluppatosi nei primi secoli dell’Impero e che coinvolgeva soprattutto i suini; sviluppatosi soprattutto in Gallia. Modello produttivo della città e Ingerenze di altre culture alimentari Inizialmente è simile a quello proposto da von Thünen a cerchi concentrici intorno alla città: orticoltura e viticoltura > grano > allevamento, ma poi si modifica con l’importazione di nuovi alimenti rappresentanti diverse culture alimentari: - Europa continentale (Gallia ecc…) = carne come prosciutti, carni affumicate… - Sud, Est zone semidesertiche = uccelli come la faraona cioè gallina d’Africa e lo struzzo, frutti esotici come i datteri… - (Oceano indiano) > Egitto, Arabia = spezie come il pepe, merci di lusso! - Africa ed Egitto = grano - Tripolitania, Andalusia = olio L’import era sollecitato da una richiesta proveniente da tutti gli strati sociali: quello popolare che poteva quindi avere in modo continuativo un approvvigionamento di generi Indispensabile per questi condimenti era il mortaio, che serviva a pestare le erbe. La cucina - ricchi: l’alta cucina era imperniata sul concetto di trasformazione e camuffamento e sugli accostamenti inconsueti a contrasto (vd. garum e miele di Apicio e ricette in cui a salati si accosta frutta), ma, come anche il popolo, erano ghiotti di cibi grassi e unti, per esempio i ricchi consumavano come antipasto testina e vulva di scrofa o della femmina del maiale. Cibi specifici di casta, cioè di lusso, erano le ostriche e, come già detto, il pesce e il pane cotto in casa (Cicerone). Quantità ma non qualità. - contadini, popolo minuto delle città, soldati: cibo monotono e per lo più freddo e crudo, la loro aspirazione era quindi mangiare pietanze cotte, calde e grasse. Importante era l’uso dell’acqua calda, nota come “calda”, che si acquistava e con la quale si tagliava il vino per averne una bevanda calorica e mediamente calda; questo rilievo resta nella tradizione (vd. VI sec d.C. Regula Magistri stabiliva che i monaci bevessero acqua calda con aceto = calda+posca). Alcuni alimenti vengono mangiati sia dalle classi superiori che da quelle inferiori ma in modi differenti; la puls ad esempio viene mangiata anche dai ricchi, ma fatta esclusivamente di semola e come accompagnamento ad un piatto più sostanzioso, di carne. Lo spazio per cucinare - domus (case dei ricchi, vd. Pompei ed Ercolano): luoghi appositi con strutture e strumentazioni fisse sono piccoli, a volte si ha un forno per pane in cortile - insulae (case del popolo, vd. Ostia): mediamente non ci sono istallazioni fisse (camini, forni ecc…) o altrimenti si trovano nei pressi delle latrine. Quasi tutto veniva cotto su bracieri mobili posizionati vicino alle finestre e al posto del forno si usava il “clibanus”, una sorta di campana da brace. Chi cucinava e serviva - Cuoco: se lo potevano permettere sia gli appartenenti a un ceto alto che medio (manodopera servile a bassa portata), un bravo cuoco era motivo d’orgoglio, i cuochi sono anche caratteri ricorrenti nelle commedie. - Personale di servizio: il pasto festivo era caratterizzato nelle case dei ricchi dalla presentazione di un animale intero più o meno grande (da un maialino da latte/capretto/agnello a un maiale/cinghiale adulto), perciò c’erano specifiche figure di schiavi che si occupavano di ricavare dall’animale le “ofellae”, piccoli pezzetti, da servire ai convitati. Altri schiavi avevano la funzione di coppieri e così via. Com’era concepito il pasto Nello specifico il banchetto, cioè il pasto più eccezionale, di cui si hanno più notizie. I romani mettevano al primo posto il significato di “prendere posto a tavola tra amici” cioè persone con le quali si ha una “comunione di vita” (definizione di “convivium” che dà Cicerone), il che va oltre il tenore del menù, è un rituale di convivialità e ospitalità. La stessa paraetimologia degli antichi di “cena” si rifà a questo concetto, viene infatti fatta risalire al greco Κοινὸν “in comune”; il cibo non veniva concepito quindi come piacere solitario. Popina e taberna Per i ricchi la popina era l’ospitalità di campagna che essi potevano offrire ai loro ospiti, disponendo di villae, attrezzature culinarie e personale domestico addetto. Per i ceti inferiori della città esistevano anche luoghi pubblici adibiti a questo scopo; la “popina” in tal senso corrisponde alla nostra taverna e serviva cibi cotti (cocta) cucinati in una pentola sempre al fuoco e bevande calde (calderone per la calda) (cibo e bevande), la “taberna” era prima di tutto una bottiglieria ma vi venivano serviti anche dei cibi. Questi sono i luoghi della socialità maschile popolare ma non solo (frequentate anche da importanti personaggi pubblici) ed erano considerati luoghi malfamati (scommesse in denaro con i dadi, anticamera del postribolo), caratterizzati (secondo le fonti a noi giunte, redatte dalle classi superiori che accusano ma frequentano) da fumo e unto. Tentativo di controllo sociale delle autorità - contestato lo spreco dei ricchi che volevano fare del banchetto la consuetudine - vietata la vendita di calda nei periodi di lutto pubblico (I sec d.C.), e, periodicamente, di piatti (soprattutto di carne) cucinati = c’era l’usanza di comprare piatti cucinati e mangiarli per strada o portarli a casa. Divieti alimentari - Erano rari e caso mai attribuiti a specifici personaggi con ruoli rituali, ad esempio, dato che riconoscevano grande importanza al processo di trasformazione dei prodotti in alimenti, il flamine (sacerdote di Giove) non poteva per esempio toccare cibi non lavorati (carne cruda, farina con lievito). - Preparazione della carne (per i soldati): pranzo in piedi e con cibi crudi, cena con carne arrostita o lessa (Scipione l’Emiliano, assedio di Numanzia, 134-133 a.C.)/ carne solo arrostita o lessa (Metello, guerra giugurtina, 109 a.C.)/ vietato il pane da fornaio e altri cibi cotti (riporta Sallustio) = brocca, pentola di rame, pentolone come simboli dei cibi meno elaborati e quindi più utili e puri. - Leggi suntuarie su tipo di prodotto e quantità Criterio di alimentazione frugale delle classi dominanti Chi voleva evitare l’eccesso regolava il ritmo, l’ora dei pasti, i luoghi in cui venivano consumati, la quantità delle porzioni, il grado di complessità del cibo cucinato (più era semplice più era esaltato per la sua frugalità; all’opposto, c’erano alimenti cucinati con così tante spezie da renderli irriconoscibili).
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