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La figlia del capitano, Appunti di Letteratura Russa

Scheda libro 'La figlia del capitano' di Aleksandr Puskin

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 24/05/2018

natalia-crepaldi
natalia-crepaldi 🇮🇹

4.4

(8)

6 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La figlia del capitano e più Appunti in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! ALEKSANDR PUŠKIN La figlia del capitano Si tratta di un romanzo storico in cui Puškin ha scritto di una vera e propria rivoluzione contadina, quella di Pugačëv. Del resto, Puškin voleva scrivere la storia della rivolta di Pugačëv (1773-1775), e l’ha fatto, ma non nella Figlia del capitano, bensì nell’opera Storia di Pugačëv. Che la Figlia del capitano vada letto come una “cronaca di famiglia” e non come “storia” lo dice lo stesso autore nel cap. X «Non starò a descrivere l’assedio di Orenburg, che appartiene alla storia, e non alle memorie di famiglia». Il romanzo di Puškin va appunto letto come romanzo, come un intreccio di varie linee narrative e compositive e non come un documento dal quale venga fuori che tipo fosse, nella realtà Pugačëv, o quali fossero le ragioni degli insorti. A parte che Puškin sta dalla parte dei nobili di provincia come la famiglia del capitano Mironov (lo si può vedere nel capitolo omesso). Si possono scorgere le seguenti linee: • Il romanzo storico che nel contesto di un “romanzo” assume anche l’aspetto di un romanzo d’avventura: tale è la vicenda di Grinëv e dei suoi rapporti con Pugačëv; • La cronaca di famiglia, dato che è lo stesso Grinëv che racconta la vicenda della sua famiglia, della famiglia della moglie, tragicamente perita nella sommossa; • La vicenda giudiziaria, per le accuse di tradimento mosse a Grinëv; • Il romanzo d’amore, un romanzo d’amore bello, appassionato, eroico fra Pëtr e Maša; • La fiaba: difatti l’intervento dell’imperatrice (Caterina II), che appare in incognito a Maša, nel giardino, che ascolta la sua supplica e poi risolve tutto felicemente, ha tutto del fiabesco. Del resto, è fiabesca la storia dell’incontro tra Grinëv e Pugačëv: il pellicciotto che Grinëv dona allo sconosciuto, e poi la riconoscenza di Pugačëv. In questa vicenda il “vilain” non è poi del tutto “vilain”, vista la sua umanità nei confronti del giovane ufficiale. La linea “romanzo d’avventura” è dominante nel capitolo omesso che assume la dinamica di un western, con gli ussari a cavallo che arrivano proprio al momento giusto. In questo capitolo cambiano i nomi: il cognome Grinëv è sostituito da Bulanin, mentre al posto di Zurin c’è Grinëv. C’è ancora il romanzo d’amore con la drammatica e delicata vicenda dell’amore di Grinëv e della figlia del capitano, e con la presenza di un rivale (traditore e violento: ma non al punto di approfittare del fatto che Maša sia sua prigioniera), e cioè Švabrin. I critici si son dati un gran da fare per sottolineare che il Pugačëv del romanzo era diverso dalla figura “demonizzata” come era rappresentata dalle relazioni governative. Del resto, non esita a far impiccare tutti quelli che gli si oppongono, che non si arrendono, che non gli promettono fedeltà. Il Pugačëv del romanzo è un personaggio verosimile, con i suoi stati d’animo, con una strana forma di paterna benevolenza nei confronti di Grinëv nonostante l’operato del ribelle. Occorre osservare che c’è ben poco di veramente “rivoluzionario” nell’opera di Pugačëv nella sua rivolta si inserisce la storia contadina russa, con le sue insurrezioni e “jacqueries”, che scoppiavano, avevano vittime questi o quei proprietari, poi interveniva l’esercito e puniva i veri o presunti colpevoli. La rivolta di Pugačëv ebbe dimensioni molto più ampie, ma il segno sotto cui il ribelle si mise era quello della legittimità e legalità: egli difatti si proclamò il vero Pietro III, e considerava l’imperatrice un’usurpatrice (Caterina II aveva fatto fuori il marito Pietro III). La conoscenza della rivolta permise a Puškin di ambientare benissimo il racconto: tutti i personaggi del romanzo sono personaggi immaginari. Il racconto procede quindi come un romanzo d’avventura e di amore, sullo sfondo della rivolta di Pugačëv. Intanto per il protagonista non si deve dimenticare che ha appena compiuto 16 anni e quindi la sua impulsività è dovuta all’età, anche se dotato di una buona cultura letteraria, così come gli errori che compie, invano contrastati dal suo servitore e aio Savel’ič. La sua conoscenza con l’ottima famiglia del capitano Mironov gli permette di aprire il suo animo all’amore per Maša, la figlia del capitano. Il romanzo procede in modo asciutto e armonioso secondo i ritmi di un romanzo cavalleresco, con la presenza del nostro cavaliere, ancora inesperto ma capace di capire e rafforzare il proprio carattere. Ci sono due “vilain”, Pugačëv, il “mostro” delle relazioni uffiiciali, che prova simpatia e affetto paterno per il giovane ufficiale, e Švabrin: anche lui non osa andare oltre nei suoi rapporti con Maša, e si trova a mal partito perché Pugačëv vuole proteggerla anche quando viene a sapere che è la figlia del capitano Mironov, da lui fatto impiccare. Il nome è Figlia del capitano perché è appunto Maša che salva Grinëv dall’esilio lontano e dalla vergogna. Inoltre, è intorno a lei che gira tutta l’azione. Lo riconosce lo stesso Grinëv: la sorte di Maša gli interessava di più di quella dei suoi genitori, e la sua preoccupazione era quella di impedire a Švabrin di toccare la fanciulla. Pugačëv è rappresentato in modo assai complesso (è il personaggio più complesso del romanzo), ed è certo rappresentato in un modo interessante e coinvolgente. Certo è assai diverso dalle immagini stereotipate della propaganda governativa che ne faceva solo un “bevitore di sangue”. Puškin e Grinëv non nascondono la loro simpatia per il personaggio. Il primo incontro è con uno sconosciuto, di cui Grinëv capisce l’intelligenza: è un uomo con la barba nera e due occhi notevoli. Gli occhi saranno un segno costante dell’aspetto fisico di Pugačëv nel romanzo. «Finchè campo non scorderò la vostra bontà» ed effettivamente Pugačëv sarà sempre generoso con Grinëv. Il capitolo VI, intitolato La rivolta di Pugačëv, troviamo il sovrano seduto su una poltrona, con un alto berretto di zibellino e gli occhi scintillanti. Il rapporto tra Pugačëv e Grinëv appare un po’ strano, tanto che la moglie del pope, Akulina Panfilovna, chiede al giovane perché lo avesse risparmiato. In reltà era intervenuto Savel’ič che ha aveva perorato per la vita del padroncino ricordando al sovrano l’episodio dell’osteria e del pellicciotto di lepre. Con i successivi incontri con Pugačëv, Grinëv si fa un’idea diversa del ribelle: «i suoi tratti non denotavano nulla di feroce». Inoltre Pugačëv si rivela anche generoso, non solo non punisce Savel’ič, che gli fa elenco di tutto quello che i banditi avevano rubato al padroncino, ma gli da pure un cavallo e una pelliccia per il viaggio a Orenburg. L’assedio della città non è descritto se non in minima parte: quando Grinëv sente che Mar’ja Ivanovna si trova a Belogorsk, nelle mani di Švabrin, non riesce a trattenersi: corre accompagnato da Savel’ič nel quartiere dei ribelli. Naturalmente viene subito portato da Pugačëv. Costui diventa sempre più imponente, come se volesse mostrare di essere quello che dice di essere, Pietro III redivivo. Il trascorrere del discorso dal realismo alla fiaba caratterizza La figlia del capitano: così nonostante l’ostilità e cattiveria di Švabrin, Pugačëv si reca con Grinëv a liberare la fanciulla. Durante il viaggio in carrozza, Grinëv medita su Pugačëv: «in quel momento una vera simpatia mi attraeva a lui» e «desideravo salvare la sua testa». La testa di Pugačëv era in pericolo, non solo per le vittorie dei governativi ma anche per l’incertezza e non sicura fedeltà del suo esercito. Saranno proprio i suoi a consegnarlo alle truppe dell’imperatrice. L’ultimo incontro avviene proprio un momento prima dell’esecuzione capitale. Pugačëv nella sua gabbia lo riconosce e gli fa un cenno. Dopo di che la sua testa viene mozzata. Il romanzo fu terminato il 23 giugno 1836. Seguirono alcuni problemi di censura ma furono risolti da Puškin. L’autore ha voluto sottolineare il fatto che La figlia del capitano è un romanzo e non una novella. L’elemento fantastico e storico sono intrecciati, ma il racconto è un racconto di fantasia. La fortezza di Belogorsk non è mai esistita, il registro di beni rapinati ha un suo referente in un effettivo registro di beni perduti da un certo Butkevič (copia di questo documento, trascritto da Puškin, si è trovata nell’archivio personale del poeta). La definizione di romanzo storico è ambigua, inadatta. Si tratta di un’opera narrativa, di fantasia, sullo sfondo di una vicenda storica. Inoltre, può essere visto come romanzo di formazione in quanto ci narra la crescita di Grinёv da minorenne (come si definisce lui) fino ad arrivare ad un’età più adulta quando salva la sua amata. Le epigrafi iniziali sono tratte dalla cultura popolare russa. La prima epigrafe che parla di onore può essere vista come il riassunto ultimo della vicenda, infatti si parla di onore per tutta la narrazione: onore quando salva Mar’ja Ivanovna, onore come causa scatenante del duello con Švabrin, onore quando ormai in esilio gli vengono riconosciuti i suoi meriti. Il precettore francese (Beauprè) diventa più amico che educatore. L’altro precettore (Savel’ič) è invece uomo del popolo. Pertanto, lui cresce con questo dualismo di uomo nobile, educato da un uomo umile della terra.
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