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LA FILOLOGIA AL SERVIZIO DELLE NAZIONI, Sintesi del corso di Filologia romanza

Riassunto dei temi principali del libro: genesi della filologia, paradigmi della filologia romanza.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 22/02/2021

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Scarica LA FILOLOGIA AL SERVIZIO DELLE NAZIONI e più Sintesi del corso in PDF di Filologia romanza solo su Docsity! FILOLOGIA ROMANZA ORIGINI Si può affermare che la filologia nasca con Lorenzo Valla nel 1400, e già presenta le caratteristiche che saranno le peculiarità delle filologie nel corso della storia: essere al servizio di qualcuno, essere animata politicamente e soprattutto ideologicamente. Partendo da questo presupposto possiamo già capire perché la filologia vive e ha vissuto una forte crisi: essa ha bisogno di essere animata da temi politici che siano caldi, attuali. Dalla filologia senza aggettivi si formeranno le filologie con gli aggettivi, ovvero quelle specializzate in qualche ambito (romanza, salva, etc.) fino a quando nell’Ottocento la filologia vivrà il suo massimo splendore. In questo periodo, infatti, il paradigma filologico dominante è quello nazionalistico, dove lo scopo del filologo è costruire identità, creare alterità: partendo da testi letterari medievali è possibile dare determinate interpretazioni che possano dimostrare o sostenere una data ideologia, e di conseguenza creare un’identità nazionale, una memoria collettiva, una differenza tra “noi” e “loro” tesa a mettere in evidenza la superiorità del “noi”. È un lavoro che consiste nell’appellarsi alle radici, alle tradizioni, talvolta inventandole se è necessario. È proprio quello che fecero gli stati nel grande secolo delle nazioni: usare lo strumento nazionalistico per rafforzare la propria autorità dentro e fuori lo stato. Dentro funziona da collante, crea l’identità di un popolo, il quale si riconoscerà nel suo poema epico e nel suo eroe nazionale, come nel caso della Francia con la Chanson de Roland. Dal punto di vista esterno, crea una certa superiorità all’interno del sistema interstatale. La Francia, infatti, a differenza di altre nazioni, non poteva vantare di un testo che dimostrasse la propria tradizione bellica, il che avrebbe determinato una forma di umiliazione. Non a caso in questo periodo fu recuperata la Chanson de Roland, che sarebbe ben presto diventata il testo nazionale. Perciò è questo il clima in cui nasce la filologia, un clima di competizione tra stati e costruzione di identità, ed è qui che la filologia è calda, è viva, in quanto è animata da temi politici attuali, è spinta da un’ideologia e si presta al servizio delle nazioni. Tuttavia, oggi i filologi non godono più dello stesso prestigio di una volta, non hanno autorità, infatti la filologia oggi sembra essersi raffreddata, e addirittura alcuni studiosi come Maninchedda si chiedono se abbia ancora motivo di esistere il lavoro del filologo. Il primo problema della filologia risiede proprio nel suo nome, poiché è vago e a prima vista è difficile delineare correttamente la sua definizione e l’oggetto di studio (filos: amore, logos: parola). Oltre a ciò, per comprendere il motivo della crisi della filologia bisogna guardare ai temi che alimentano la filologia: essa per esistere ha bisogno di un’ideologia, di un tema caldo, di un elemento politico e se questo non è presente la filologia smette di essere appassionata, smette di parlare al pubblico, si raffredda diventando inutile e polverosa. Essa non si interessa delle cose del mondo e il mondo non si rivolge più ad essa. Quella che sa di vecchio però non è la filologia in generale, ma la filologia on gli aggettivi perché essi si addicono a un mondo che non esiste più; la filologia ha allora bisogno di essere ripensata in un nuovo scenario globale. Quando parliamo di filologia, infatti, possiamo intenderla in due modi: filologia come scienza universale, e filologia con gli aggettivi. La prima è quella scienza necessaria a ogni civiltà fondata sulla scrittura, serve a comprenderne e analizzarne i testi, a esaminare quell’agire umano che produce elementi linguistici, i quali si tramandano nel tempo fino ad arrivare ai nostri giorni. Le filologie con gli aggettivi sono invece settoriali, specializzate in un particolare ambito, come la filologia romanza, la filologia nazionale, regionale e così via; ma queste nascono in un momento di necessità e muoiono dopo aver raggiunto il loro scopo, quando il mondo è orientato in una direzione opposta e le ideologie che le sostenevano sono venute meno. Possiamo addirittura parlare di paradigmi della filologia romanza (nazionalistico, semitico, Curtius...) Del resto, questo è ciò ci dimostra la storia: nell’Ottocento la filologia metteva in atto il paradigma nazionalistico, ma dopo le Grandi Guerre quelle stesse nazioni non avevano più l’urgenza di definire la propria sovranità, anzi adesso volgono lo sguardo verso qui sistemi interstatali e sovranazionali che oggi conosciamo bene, come l’Europa. In questa nuova era della globalizzazione, la filologia nazionalistica, che ha raggiunto ormai i suoi obiettivi, non ha motivo di esistere, ha lasciato così il posto prima al paradigma Curtis fino a giungere ad una nuova World Philology. La filologia romanza è una scienza che mette continuamente in discussione sé stessa, per questo è possibile assistere al cosiddetto paradigm shift, ovvero un cambio improvviso di paradigma; talvolta è possibile che più paradigmi possano coesistere. . PARADIGMA NAZIONALISTICO Nel periodo tra XVIII e XVIV secolo, la filologia in Germania assume un nuovo significato che la distingue da altre filologie. Questo tipo di filologia inizialmente mira ad essere una scienza universale che abbia come obiettivo la comprensione profonda, “comprensione totalizzante” di una comunità attraverso lo studio dei suoi testi, letterari e non letterari. La filologia appare così come una tecnica di conoscenza globale che presto diventerà uno strumento al servizio del Principe: “la filologia […] serve a formare un nuovo ceto di funzionari dei pubblici uffici, attraverso l’esercizio della “comprensione totalizzante”.” Poco dopo il ruolo della filologia, inserita così nel contesto di Nation-building, sarà esclusivamente mirato alla costruzione di identità, e come conseguenza smetterà di configurarsi come ermeneutica generale per diventare una disciplina specialistica. L’obiettivo deli Stati, infatti, è di rafforzare la propria autorità e per farlo si servono dello strumento nazionalistico, il quale agisce attraverso istituzioni come la scuola. È qui che entra in gioco il lavoro dei filologi: essi, considerando il medioevo come il momento di nascita della nazione, devono far suscitare nei cittadini quel senso di appartenenza alla nazione, devono enfatizzare e talvolta creare una memoria collettiva, appellarsi alle radici, creare un’identità nazionale che possa dare unità al popolo: devono insomma formare uomini utili al servizio dello Stato. Particolare importanza ha avuto tale paradigma in Germania, dove addirittura è possibile definire la filologia come la “prosecuzione della politica con altri mezzi”, mezzi intellettuali. (Clausewitz) e dove i filologi sono agguerriti come se fossero in battaglia. La supremazia tedesca suscitò nei Francesi quella che viene chiamata “umiliazione nazionale”: essi non potevano tollerare che dopo essere stati sconfitti e umiliati in guerra, i tedeschi li umiliassero anche culturalmente studiando i testi della lingua e della letteratura francese. L’interesse dei francesi rimarrà scarso fino al 1870, infatti negli anni successivi nasceranno molteplici cattedre di letteratura e vedremo emergere autori come Gaston Paris, anche se non mancheranno dibattiti per quanto riguarda il metodo della disciplina, la quale in quanto scienza dura deve essere lenta. Per la Francia si presentava un ulteriore problema: essa mancava di un testo delle origini appartenente al genere epico che potesse dimostrare la tradizione bellica della nazione, e che includesse la figura di un eroe Tuttavia, l’Europa, che avrebbe potuto approfittare dell’occasione di riflessione, se ne disinteressa mostrando un atteggiamento di distacco e di sufficienza. Nonostante ciò, le peculiarità della “filologia materiale” italiana sembrano molto vicine alla New Philology statunitense, come si evince in Filologia al servizio delle nazioni “l’obiettivo è […] partire dal “manoscritto” come base materiale del testo per giungere alla sua interpretazione tramite lo studio della “storicità effettuale” di ogni singolo testimone”. Sebbene la filologia materiale sia vicina a quella statunitense, la prima sembra essersi bloccata in una fase intermedia senza riuscire ad arrivare alla stazione finale, ovvero la ricostruzione del testo. Così è possibile notare che mentre la filologia statunitense, sia la New Philology che quella delle Romance Arabists, è tornata ad avere a che fare con temi caldi, quella italiana sembra invece distaccata e disinteressata da ciò che accade nel mondo. Si tratta di una disciplina che si è raffreddata, che non ha più presa sul mondo e come conseguenza i filologi non occupano più una posizione di prestigio nel sistema statale, al contrario ci si chiede se ne valga la pena il tempo speso negli studi e persino il loro stipendio. Le uniche forme di filologia romanza che sembrano sopravvivere sono quelle regionali, per esempio siciliana, friulana, veneta, che ripropongono il paradigma nazionalistico, ma si tratta di un paradigma ormai uscito di scena. WORLD PHILOLOGY La filologia nasce in un clima dove lo scopo principale è quello di esaltare le differenze, dunque in un mondo sempre più globalizzato che tende ad annullare ogni forma di differenza e a uniformare che compito potrà avere la filologia? A entrare nello scenario globale è il nuovo paradigma di World Philology che si configura come una filologia con gli aggettivi, ma il suo è un aggettivo che riguarda tutto il mondo, per questo sarebbe meglio di parlare di World Philology come somma di World Philologies. La filologia qui è a servizio di ogni civiltà basata sulla scrittura, e ha il compito di analizzare la produzione testuale della determinata comunità includendo gli elementi che ne fanno da cornice: le modalità di trasmissione dei testi, la loro fruizione, conservazione, la loro collocazione nel tempo e nello spazio, al fine di fornire una corretta interpretazione che eviti che se ne formino altre incontrollate. Questa nuova filologia sembra riconfigurarsi in quella ermeneutica generale tanto auspicata da Auerbach, e in qualche modo comprende il “ritorno alla filologia” di Said; inoltre, essa ha bisogno di un tema politico, di un tema caldo, perché senza politica non può esserci filologia; quando un tema è freddo la filologia diventa inutile e polverosa. Con il concetto di World Philology torna in qualche mondo quella filologia universale auspicata da Bochk che mira a una comprensione che sia profonda e globale; qui il lavoro del filologo non è microscopico, specializzato, ma tiene insieme più parametri per avere un quadro completo del contesto. La nuova filologia dovrà essere allora una disciplina comparativa perché dovrà tenere insieme molti più elementi assumendo una dimensione universale e allontanandosi dalla specializzazione, ma non c’è ancora garanzia della sua riuscita. Per fare un esempio possiamo immaginare la formazione di una filologia euro-mediterranea: essa comprenderà lo studio della storia dei paesi dell’intero bacino del mediterraneo, quali Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Turchia, e altri ancora; inoltre dovrà studiare la cultura delle molteplici civiltà che hanno occupato tali territori e che di conseguenza hanno lasciato tracce della loro occupazione. Come afferma Stefano Rapisarda dovrebbe essere definita filologia delle “zone di contatto” poiché si occupa dei contatti geografici, linguistici, sociali e culturali, avvenuti tra queste popolazioni. L’oggetto di studio dei filologi allora non saranno le letterature medievali o le lingue medievali -che come appreso sono una costruzione posteriore- ma analizzeranno i prodotti del contatto come glossari, testi multiculturali, i prodotti del mozarabico, per esempio si occuperà delle questioni dell’influenza araba di cui parlavano le Romance Arabists come nel caso della Divina Commedia. Si deduce che la world philology esprime allora l’intento di ripensare la disciplina a partire dalla rimozione della visione eurocentrica. Da tutto ciò è possibile evincere che l’auspicio per la filologia è che essa possa tornare a dibattere attorno a temi caldi, ricordando che senza politica e ideologia la filologia non ha motivo di esistere, essa funziona quando ha uno scopo, quando è al servizio di qualcuno. “o la filologia è politica, o non è”.
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