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La filosofia nel Medioevo. Dalle origine patristiche alla fine del XIV secolo, Sintesi del corso di Filosofia

Percorso filosofico medievale di tutti i più grandi autori che hanno caratterizzato il mondo occidentale e orientale.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica La filosofia nel Medioevo. Dalle origine patristiche alla fine del XIV secolo e più Sintesi del corso in PDF di Filosofia solo su Docsity! Étienne Gilson nacque a Parigi nel 1884, compì i suoi studi nella Facoltà di Lettere di Parigi. Il periodo in cui visse fu un’era di passaggio che vide il declino del positivismo e il conseguenziale recupero dei contenuti principali della tradizione cattolica. Proprio San Tommaso d’Aquino venne considerato il pensatore principale da cui si sarebbe dovuta ispirare, in campo filosofico, la restaurazione cattolica, in modo tale da inserirla nel pensiero moderno e contemporaneo. Gilson volse la sua attenzione al ripensamento filosofico della fede cristiana prendendo in considerazione la realtà storico-critica dell’età medievale. Egli mise in risalto il pensiero di Aristotele e di S. Tommaso, partendo dalla diversa concezione che ebbero i due grandi pensatori sul concetto di essenza e l’actus essendi. Tommaso considera il mondo delle forme come potenza, cui solo l’actus essendi conferisce concreta realtà nelle sostanze individuali; mentre Aristotele considera la realtà delle sostanze individuali collegate ad una gerarchia di strutture formali. Principale perno di quest’opera è la capacità di distinguere tra cos’è il cristianesimo e la filosofia. Il cristianesimo è una dottrina della salvezza e per questo è una religione; mentre la filosofia è una scienza che si rivolge all’intelligenza e le dice quel che le cose sono. Esse sono totalmente diverse e per sempre lo saranno. Gilson coglie nell’età medievale una forte presenza della fede cristiana permeata da una forte tradizione della filosofia antica. Sappiamo con certezza che gli scrittori sacri si servirono dei termini filosofici per esprimere la loro fede, sostituendo all’antico significato filosofico di quei termini uno religioso. Vediamo comparire tutta una serie di termini e concetti le cui risonanze filosofiche sono innegabili, come il termine Verbo. Tale concetto è di origine filosofica, precisamente stoica, presentato da Filone di Alessandria. Questo termine fu sostituito al Dio cristiano già a partire dal IV vangelo, e da qui iniziò l’incessante contatto che si venne a creare tra l’Ellenismo ed il cristianesimo. Fu proprio Giovanni nel vangelo ad informare i filosofi che ciò che essi chiamano Verbo è Lui, Gesù, che si è fatto carne e ha vissuto in mezzo a noi tanto che “noi l’abbiamo visto”. Dire che Cristo è il Verbo non era un’affermazione filosofica, bensì religiosa. Questo era il segno evidente che la religione cristiana si stava appropriando di tale termine. San Paolo, di Tarso, città aperta alle influenze greche, con le sue Epistole, afferma la grande sapienza dei filosofi greci, ma allo stesso tempo li condanna in nome di una nuova sapienza che è follia per la ragione: la fede in Cristo. San Paolo, comincia ad imporre ad ogni filosofo cristiano il dovere di ammettere che è possibile alla ragione umana conseguire una conoscenza sicura di Dio, partendo dal mondo esterno. Inoltre con le sue Epistole affermava che ogni uomo trova all’interno della sua coscienza la conoscenza della legge morale e la distinzione tra anima e spirito. La Patristica: Definiamo letteratura patristica, l’insieme delle opere cristiane che risalgono all’età dei Padri della Chiesa. Essa designa tutti i grandi scrittori antichi ecclesiastici. Per essere riconosciuto come Padre della Chiesa, un soggetto deve avere 4 caratteristiche: ortodossia dottrinale, santità di vita, riconoscimento da parte della Chiesa e relativa antichità. Si cercò in passato di distinguere i “santi” dai filosofi, categorizzandoli come Dottori della Chiesa; difatti fu proprio papa Bonifacio VIII ad elevare al rango di Dottori della chiesa S. Agostino, Gregorio Magno, Ambrogio, Gerolamo. Al di sotto di questi Dottori della Chiesa vi troviamo gli scrittori ecclesiastici come Origene, Eusebio di Cesarea. 1. capitolo I PADRI GRECI E LA FILOSOFIA. Come abbiamo già detto il cristianesimo ha dovuto prendere in considerazione le filosofie pagane. Ad ogni modo, poiché la filosofia continua ad essere considerata come una realtà distinta dalla fede cristiana, è possibile scriverne la storia, ovvero la storia di ciò che i primi Cristiani ne hanno pensato. 1) I padri apologisti. Apologia: difesa o esaltazione di una dottrina religiosa. I Padri Apologisti, o Apologeti, comparvero nel II secolo dell’era cristiana. Il fine delle apologie era quello di legittimare la fede cristiana in un mondo pagano. Tra le prime apologie risalenti al 125 vi troviamo quella di Aristide, il quale presenta ogni movimento dell’universo come regolato da Dio, un solo Dio al quale tutte le popolazioni del mondo devono idolatrarlo, creatore dell’universo, come già affermato nell’antico testamento. San Giustino martire: egli nacque da genitori pagani; tra le sue opere più importanti annoveriamo Apologia I, II, il Dialogus cum Tryphone. In quest’ultimo egli ci informa quali fossero le motivazioni per le quali un pagano greco potesse approdare al cristianesimo tramite la filosofia. La conversione di S. Giustino al cristianesimo avvenne per mezzo di un incontro con un vegliardo (uomo anziano) il quale lo interrogò sull’anima e Dio; Giustino rispose mettendo in pratica gli insegnamenti platonici, i quali prendevano in considerazione la trasmigrazione delle anime e la concezione di Dio. Il vegliardo gli mostrò l’incoerenza della dottrina platonica, ponendo l’accento sul fatto le anime che hanno visto Dio debbono in seguito dimenticarlo. Il vegliardo mise in evidenza che se l’anima è immortale, non è perché è vita, bensì perché la riceve da qualcun altro, ovvero Dio. Giustino chiese lui dove poter trovare tali nozioni, ed egli gli rispose che sono all’interno delle sacre scritture, quali il Vecchio ed il Nuovo Testamento. Giustino nella Apologia II definisce la rivelazione cristiana antecedente all’incarnazione del Verbo come una “ragione seminale”, cioè un germe, di cui ogni uomo ha ricevuto una particella. Secondo Giustino anche coloro i quali hanno vissuto prima del cristianesimo, hanno avuto tale particella, però coloro che hanno vissuto una vita cristiana, in assenza del cristianesimo, hanno vissuto con il Verbo e con il Cristo; coloro i quali invece erano inclini ai vizi, erano categorizzati come gli anticristiani. Quindi potremmo dire che esistevano cristiani ed anti-cristiani anche prima della venuta di Cristo. Giustino concepisce Dio come unico, innominabile, creatore del mondo, che si è rivelato mandando un Dio diverso che egli stesso ha creato, come ha fatto con Mosé, ovvero il Verbo che è stato posto e costituito prima di tutte le creature. Per quanto concerne la Trinità, Giustino pone il Verbo subordinato al padre, mentre lo spirito santo è Dio in terzo luogo. Definisce anche l’anima come mortale, però questa dipende dal volere di Dio, cioè in base all’agire umano; le anime degli giusti andranno in un luogo felice, mentre quelle dei cattivi saranno castigate, quanto Dio vuole. In tal modo Giustino presenta il libero arbitrio come base per il giudizio di meriti e demeriti. femminile, ovvero il Silenzio. Dall’unione tra Abisso e Silenzio, nacquero Intelletto e Verità: tutti e 4 formano la prima radice di tutto ciò che esiste. Intelletto e Verità generarono il Verbo e la Vita che a loro volta generarono l’uomo e la chiesa. Da Verbo e Vita nacquero 10 Eoni; mentre da uomo e chiesa ne nacque 12. L’insieme tra Decade e la Dodecade formano il Pleroma, ovvero 30 essere divini. Due membri della Dodecade e del Pleroma sono invece Volere e Sapienza. Sapienza cedette al suo desiderio di incontrare Abisso. Essa fu fecondata da questo desiderio e partorì Concupiscenza, ma questi era senza forma, poiché non ebbe un padre; difatti fu espulsa dal Pleroma, e per evitare che tutto questo potesse ripetersi un’altra volta, Intelletto e Verità pensarono di generare un'altra coppia di Eoni: lo Spirito Santo e il Cristo, che insegnarono agli altri Eoni a rispettare Abisso senza pretendere di eguagliarlo. Fu ristabilito l’ordine all’interno del Pleroma, ma l’unica cosa che rimaneva da fare era quella di purificare Concupiscenza, difatti arrivò Gesù. In realtà Valentino pensa che Concupiscenza sia il frutto del Demiurgo, il quale pensò erroneamente di essere il creatore, ma con la purificazione attuata da Gesù su Concupiscenza, il Demiurgo cesserà di produrre Concupiscenza e solo allora potrà entrare dentro il Pleroma, mentre tutto il resto perirà con la materia stessa che segnerà la fine dei tempi. In realtà molti testi gnostici sono andati persi, motivo per il quale è complesso cogliere il loro messaggio, però sappiamo con certezza che lo gnosticismo ebbe l’obiettivo di cercare di risolvere il problema del male, o meglio, cercare di capire se il male è nella creazione, e se fosse lì allora si dovrebbe indagare nell’atto del creatore, ma è certo che non può essere Dio, poiché egli è perfettamente buono. Proprio per far fronte a queste problematiche il cristianesimo della seconda metà del II d.C. iniziò ad aumentare le distanze dallo gnosticismo; difatti nacquero nuovi scrittori cristiani che cercarono di far luce su questo, come San Ireneo. San Ireneo: egli nacque da una famiglia cristiana e frequentò molto Policarpo, il quale era della generazione che conobbe Cristo e fu istruito dagli Apostoli. Ireneo scrisse Esposizione e confutazione della falsa conoscenza, nella quale confuta e critica lo gnosticismo, opponendovi proprio gli insegnamenti degli Apostoli ed il vero sapere. Cerca di smentire tutto ciò che è stato detto in precedenza: Che cosa faceva Dio Prima della creazione? Qual è l’origine del Verbo? Non possiamo pretendere di saperlo come vorrebbero gli gnostici, ma l’unica cosa che possiamo fare è quella di preservare Dio e considerarlo come unico e negare la figura del Demiurgo. Inoltre Ireneo sottolinea la grandezza di Dio poiché ha creato tutto dal nulla mediante il Verbo e pochezza degli uomini poiché questi non sono in grado di creare nulla senza una materia preesistente. Inoltre Dio ha creato il mondo per bontà, e non come credevano gli gnostici. Proprio perché ha creato gli uomini, questi inizialmente sono buoni, ma non perfetti. Gli uomini, disse Ireneo, sono composti da corpo e anima. Ogni anima è composta da un spirito che sopravvive alla morte dell’uomo, ma non può passare di corpo in corpo. L’anima è composta dall’intelletto e dal libero arbitrio. Non dobbiamo dimenticare che Dio ha creato l’uomo a propria immagine e somiglianza, difatti come il padre, l’intelletto contempla le cose, le esamina e ragiona e tale ragionamento lo esprime attraverso la parola, dunque il verbo. Ireneo descrisse anche la fine del mondo: vede venire l’Anticristo, la Bestia, il cui numero è 666, con il compito di distruggere il mondo, ma alla fine arriverà Cristo che regnerà in Gerusalemme. Alla fine, Cristo presenterà gli eletti a Dio padre, e solo allora Dio risusciterà i cattivi per giudicarli e condannarli. Questa sarebbe, per sommi capi, la visione delle anime per Ireneo. Ippolito: fu un discepolo di Ireneo. il suo obiettivo fu quello di dimostrare che le eresie non fossero di matrice cristiana, bensì di matrice filosofica. 3) La scuola di Alessandria. Durante il III secolo Alessandria fu il centro più attivo del pensiero cristiano. In questa città vi erano diversi culti religiosi che convivevano, ovvero il culto egiziano, romano ed ebraico; accanto a tali culti vi era anche una piccola comunità cristiana che diede avvio al culto cristiano alessandrino. I primi cristiani venuti dall’Egitto erano gnostici. Fu eretta ad Alessandria anche una scuola cristiana nel 190 con a capo il maestro Panteno che fu fonte di ispirazione per Clemente di Alessandria. Clemente: le sue opere più importanti furono l’Esortazione ai greci, il Paedagogus e gli Stromata. Con l’Esortazione, Clemente prova ad esortare i pagani a convertirsi al cristianesimo e quindi al vero Dio che mostra la verità ed il bene, mettendo in ridicolo i loro culti. La seconda opera, il Paedagogus, funge da vera e propria guida per i pagani convertiti che saranno costretti a modificare i loro costumi, ed in quanto peccatori, il Verbo che si ha assunto la funzione di pedagogo potrà mettere fine ai loro peccati impartendo loro a vivere bene. Clemente è molto risoluto nel sottolineare che la salvezza è uguale per tutti i cristiani e che questi siano tutti figli di Dio, non come gli gnostici, i quali credevano che la salvezza fosse riservata ad una piccola cerchia istituendo una sorta di aristocratica della salvezza. Non occorre nulla di più se non la fede stessa. Il Pedagogo come ammaestra? Clemente ci dice che ammaestrerà con bontà, ma anche con severità e giustizia quando sarà necessaria per imporre la disciplina che li salverà. Clemente critica il lusso e tutto ciò che abbellisce la vita, poiché le cose materiali con servono in quanto il vero sapere sta nel conoscere se stessi e solo conoscendosi si può conoscere Dio: conoscendolo ci si scopre più simili a lui e si è dunque abbastanza belli per fare a meno degli ornamenti, perché il cristianesimo del vero cristiano è interiore all’anima. Dopo il Pedagogo dei costumi, gli Stromata c’invitano ad ascoltare il Dottore dell’intelletto. Il vero obiettivo di quest’opera fu quello di mostrare che la filosofia è buona cosa perché è stata voluta da Dio, in quanto nell’Antico Testamento è proprio Dio che parla di uomini con un pensiero saggio che necessitano di un senso particolare, l’intelligenza. Essendo quest’ultima un dono di Dio non si può dire che la filosofia, che è opera sua, sia una cosa cattiva e condannabile dinanzi a Dio. Dio non parlava direttamente ai filosofi, ma li guidava indirettamente con la ragione. Clemente sostiene che la filosofia sia servita ai greci per prepararli alla fede cristiana ed alla voce di Dio, per questo bisogna utilizzare le “scienze profane”. Difatti la filosofia ha il fine di preparare alla sapienza e ricercare la verità. Il Dio di Clemente è un Dio che sta al di sopra della stessa Unità. Noi lo conosciamo solo per mezzo di suo Figlio, il Verbo, che è contemporaneamente Colui dal quale è stato creato il mondo a sua immagine e somiglianza. Origene: superò di gran lunga tutti questi pensatori. Egli nacque ad Alessandria e venne ordinato sacerdote. Si ritirò a Cesarea dove vi fondò una scuola ed una biblioteca. Egli scrisse la sua confutazione di Celso e il trattato De principiis rivolto a due categorie di lettori: quelli che hanno accettato la fede e vogliono approfondire la loro conoscenza nelle scritture, e poi ai filosofi, gli eretici, nemici della fede. Origene vuole offrire a questi ultimi la verità cristiana, ovvero Dio. Sostenne inoltre che i veri cristiani hanno ricevuto la Sapienza dallo Spirito Santo rivelando così una sorta di aristocraticismo spirituale composto da cristiani semplici che si attengono alle Scritture, e cristiani più perfetti, che tramite l’interpretazione dei testi raggiungono la “gnosi”, ovvero il senso biblico del “conoscere”, infine vi sono dei cristiani ancor più perfetti che raggiungono il “senso spirituale” delle Scritture che li condurrà alla beatitudine. Origene pensa che noi uomini non possiamo rappresentare Dio, poiché egli per sua natura è oltre la materia. Il fatto che Dio sia allo stesso tempo Padre, Verbo e Spirito Santo non impedisce che sia uno, difatti Origene pensa che vi sia una sorta di subordinazione del Verbo e dello Spirito al Padre. In realtà Origene subordina il Verbo al Padre solo quando cerca di definire il ruolo del Verbo nella creazione, difatti parla del Verbo come di un “Dio” che genererà altri verbi dopo di sé e di conseguenza altri spiriti. Tali spiriti usando il loro libero arbitrio si attaccarono a Dio con maggiore o minore forza, mentre altri si attaccano ad esso completamente. Questi diversi gradi di attaccamento creano la gerarchia degli spiriti e degli angeli, più puri o meno puri, degli uomini, i quali sarebbero il risultato di spiriti imprigionati in dei corpi ma hanno la possibilità di compire uno sforzo per liberarsi da questa prigione e ritornare alla loro prima condizione, ovvero di spiriti puri. L’anima per compiere la sua liberazione deve elevarsi, tramite la dialettica, per raggiungere la verità, ovvero la luce che riscalderà la loro anima con i suoi raggi. Quindi il libero arbitrio è l’agente principale del sollevamento dell’anima, attraverso la capacità di preferire il bene o il male. Il mondo di Origene non è creato da un demiurgo, ma solo da Dio per sua bontà. Quando il male avrà raggiunto il limite che Dio ha fissato per esso, il mondo sarà distrutto da un diluvio di acqua e fuoco, e dai frammenti Dio ricostruirà un altro mondo, e dopo questo altri ancora, la cui storia dipenderà dalle decisioni degli esseri dotati di ragione. 4) Dai grandi di Cappadocia a Teodoreto. Ancora nel IV secolo gli scrittori cristiani furono in diretto contatto con la cultura classica greca, attraverso la quale basarono la loro formazione intellettuale. Assistiamo ad un periodo che attraversa il concilio di Nicea del 325, riunito per chiarire la controversia trinitaria provocata dalla dottrina di Ario. Eusebio di Cesarea: nacque a Cesarea, Palestina, nel 265 e fu un vescovo-storico. Egli scrisse importanti opere come Chronica che parla della storia universale; Historia Ecclesiastica che cerca di creare giustificazioni della religione cristiana contro i pagani. Ciò che Eusebio cercò di espletare attraverso le sue opere è quella di spiegare una reale parentela tra la verità cristiana e la filosofia greca, prendendo in esempio Platone. Di Platone Eusebio ci dice che ha riconosciuto lo stesso Dio di Mosè all’interno del suo Timeo, quando descrisse la creazione, pressappoco come l’aveva descritta la Bibbia; inoltre riconobbe il ruolo dell’idea del Verbo e insegnato l’immortalità dell’anima come fanno i cristiani. simili a Dio, di impegnarsi nella virtù o nel vizio, bene o male, premi o castighi etc... Così creato l’uomo era capace di muoversi e cercare di rimandare tutto ciò che è a Dio, ma invece ha deciso di disperdere ciò che era. Fu in quel momento che Dio decise di farsi uomo per salvare gli uomini dal pericolo che loro stessi crearono. Mise nella persona di Cristo ciò che è corporeo e ciò che è spirito, difatti Gesù prese tutto dall’uomo, tranne però il peccato perché doveva liberarci da questo. Quindi è solo muovendosi verso Dio ed assimilandoci a lui potremo conoscerlo ed iniziare ad amarlo ed entrare in un’estasi felice. Solo così Cristo potrà vivere dentro di noi. Giovanni Damasceno: fu uno dei più importanti intermediari tra i Padri greci e la cultura latina dei teologi occidentali del Medioevo. Scrisse un’opera importante La fonte della conoscenza che contiene una breve storia delle eresie e le verità sulla rivelazione cristiana. Egli parte dall’assunto che tutti gli uomini inizialmente hanno la conoscenza che Dio esista. Egli parte dal fatto che ogni cosa dataci in questo mondo è stato creato e di conseguenza deve esserci stato un creatore increato. Tale creatore però per noi è inconoscibile ed inafferrabile.  Da quello che possiamo dedurre, la patristica greca ha subito l’influenza di Platone; i primi Padri erano disposti ad accettare, come gli stoici, una concezione materiale dell’anima e che questa potesse resistere alla morte del corpo. Motivo per il quale si è parlato di “platonismo dei Padri”. Questo perché? Perché Platone presentò per primo la figura di un Demiurgo; di un dio provvidenziale; che esistesse un mondo soprasensibile divino di cui il mondo sensibile non è che l’immagine; della spiritualità dell’anima. È chiaro che si è cercato di trovare all’interno della filosofia platonica la Trinità. Difatti come sostenne Sant’Agostino: se i platonici avessero conosciuto il cristianesimo, non avrebbero dovuto che cambiare solo poche cose alla loro dottrina per divenire fedeli cristiani. 2. capitolo I PADRI LATINI E LA FILOSOFIA 1) Dagli apologisti a sant’Ambrogio. Tertulliano: è il primo degli apologisti cristiani che si espresse in lingua latina. Nacque a Cartagine e si convertì al cristianesimo, però subito dopo aderì al Montanismo diffusosi in Frigia, ovvero un movimento religioso contemporaneo al cristianesimo. Fu Montano a istituirlo, sostenendo di parlare in nome dello Spirito Santo e di avere visioni profetiche sui vari ambiti della fede, con prevalenza sul ritorno di Cristo. Tertulliano però fu insoddisfatto e decise di creare una dottrina, poiché critica il cristianesimo in quanto impone ai suoi fedeli di accettare la fede senza avere una scelta e di non poterla giudicare. Inoltre è contro lo gnosticismo e di conseguenza contro la filosofia, in quanto scienza eretica. Per quanto riguarda l’anima, egli pensa che si tratti di un corpo sottile, come l’aria, dotato di 3 dimensioni e si espande in tutto il corpo prendendo la sua forma. Partendo da questa idea, dice che l’anima di propaga per trasmissione dai genitori ai figli al momento del concepimento. Essa quindi è un essere costituito da propri organi, orecchie etc…ed ha anche un intelletto. Secondo lui quindi il peccato originale si è propagato da Adamo e s’è trasmesso di padre in figlio. Ma l’uomo è stato anche fatto a immagine e somiglianza di Dio quindi si è anche questa trasmessa; e considerando che tutto ciò che esiste è corporeo, lo è anche Dio ma è il più sottile di tutti. Quando iniziò a creare, Dio si generò da solo da una sostanza, ovvero il Verbo. Lo Spirito Santo invece si è solamente aggiunto senza guastare questo equilibrio tra il Padre ed il Verbo. Lattanzio: si convertì al cristianesimo verso il 300. Fu precettore del figlio dell’Imperatore Costantino. Scrisse diverse opere come Divinae Institutiones; De opifici Dei; De ira Dei; De mortibus persecutorum. Lattanzio lanciò un interrogativo ai pagani del suo tempo: “che cos’è la felicità se non la conoscenza del vero?”. Disse che la trovò proprio nel cristianesimo e invita tutti a convertirsi. Sostenne che la piaga che attanaglia il pensiero pagano sia stato il divorzio della sapienza e della religione; mentre il cristianesimo sposa religione e sapienza. Disse che i pagani accettano false religioni per mancanza di sapienza. Il rimedio a questo male è accettare il monoteismo che induce alla vera fede e filosofia. Lattanzio dice che la sapienza si riduce a questo precetto: il mondo è stato fatto in modo tale che noi potessimo venire al mondo e riconoscere che vi è stato un autore che l’ha creato e ci ha creati, ovvero Dio. Lo idolatriamo per far si che ci possa concedere l’immortalità e divenire così degli angeli e servirlo per sempre e rimanere nel suo regno eterno. Sant’Ambrogio: egli lo potremmo definire come una delle fonti più sicure degli “anti-dialettici” perché interpretò nel giusto modo il senso preciso della frase che Dio disse a Mosè: “Ego sum qui sum” (io sono colui che sono), con il preciso verbo “essere”. Ambrogio cerca di allegorizzare il simbolismo morale degli animali e non solo. Ad esempio egli pensa che il serpente sia l’immagine del piacere, la donna un’immagine della sensualità, mentre l’uomo rappresenta la figura dell’intelletto che però si lascia ingannare sai sensi; mentre il fuoco dell’inferno rappresenta la tristezza che il peccato genera nell’anima del peccatore. 2) Il platonismo latino del IV secolo. Durante il IV secolo nacquero due scritti di Macrobio con il Somnium Scipionis e quello di Calcidio con il Timeo. Macrobio: egli fu un pagano il quale prese in esempio il libro di Cicerone il De republica per presentare la sua idea. In realtà Cicerone nella sua opera parla di Scipione Emiliano che ebbe un sogno, nel quale gli apparve suo padre Scipione l’Africano che gli mostrò Cartagine, gli predice la vittoria e gli dice che coloro i quali serviranno la patria saranno ricompensati da un Dio supremo. Su questo tema scrisse Macrobio, sostenendo che il Bene si trovi all’apice della scala degli esseri; poi vi è l’Intelligenza, nata da Dio, che contiene dentro di essa tutti gli esemplari ed essa è unità. Egli è unità perché è fonte di tutti i numeri. Allo stesso modo che la specie e i numeri sono contenuti nell’Intelligenza, le anime lo sono nell’Anima. Alcune di esse non se ne distaccano mai, mentre altre, spinte dal loro desiderio dei corpi, si distaccano e cadono lasciandosi imprigionare dai corpi. Una brezza fa dimenticare a queste anime la loro origine, ma possono liberarsi dal corpo, come sostenne Platone, con la reminiscenza. Successivamente alla sua caduta, questa si trova lontano dal suo luogo d’origine, ma grazie alla sua parte superiore, ovvero l’Intelligenza e il ragionamento, conserva una conoscenza innata del divino ed il mezzo per unirsi nuovamente a lui per mezzo della virtù. Calcidio: egli tradusse il Timeo di Platone. Calcidio distinse 3 primi principi: Dio, Materia ed l’Idea. Il Dio supremo è il Bene sovrano; poi vi è la provvidenza che da essa dipende il Destino, che sarebbe la legge divina dalla quale tutti gli esseri sono retti. Vi sono altre potenze che sono subordinate alla provvidenza, come la Natura, la Fortuna e gli Angeli i quali hanno il compito di visionare gli uomini nelle loro azioni in modo tal da misurarne i meriti. Gli angeli sono subordinati all’Anima del mondo che viene definita da Calcidio “Seconda Intelligenza” che penetra il corpo per scrutarlo. Sostenne inoltre che vi siano 2 tipi di esseri, i modelli e le copie. Il mondo dei modelli (exampla) è il mondo intelligibile; quello delle copie (simulacra) è il mondo sensibile. Il modello sarebbe l’Idea, che è una sostanza incorporea, senza forma e comprensibile solo con l’intelletto e la ragione. Calcidio sostenne che le idee siano le opere di Dio. Sant’Agostino: nacque a Tagaste e successivamente si recò a Madaura, poi a Cartagine per studiare lettere e retorica. Fu la madre Monica ad inculcare in Agostino l’amore per Cristo, ma non era stato battezzato e conosceva poco la dottrina cristiana. Il suo amore per il sapere fu scatenato dalla lettura di Cicerone e subito dopo l’essersi avvicinato a un gruppo di manichei che si vantavano di riuscire a dare una spiegazione razionale del mondo. Per qualche tempo si professò manicheo, ma ancora queste spiegazioni tardavano a venire e si rese conto che non sarebbero mai avvenute, difatti uscì dalla setta. Nel 383 si diresse a Roma per insegnare retorica, ma ottenne la cattedra a Milano dove conobbe il vescovo Ambrogio, di cui segui le sue spiegazioni delle sacre Scritture. Egli aderì al cristianesimo nel 386, a 33 anni, poiché lesse delle epistole di San Paolo nelle quali vi era scritto che l’uomo è in preda al peccato, come lo era lo stesso Agostino, e che non può liberarsene se non con la grazia di Gesù Cristo. Opere: Agostino iniziò a riporre piena fiducia nelle scritture poiché queste ci donano l’intelligenza. Sostenne che bisogna accettare per fede le verità che Dio ci rivela: comprendi per credere, credi La filosofia si divide in due specie: teorica o speculativa, attiva o pratica. Nella filosofia speculativa vi sono 3 tipi di esseri che sono oggetto di conoscenza vera:  Gli intellettibili: ovvero quegli esseri che esistono fuori dalla materia, come Dio, gli angeli e le anime separate dai corpi;  Gli intellegibili: ovvero quegli esseri concepibili dal puro pensiero, ma caduti dai corpi, come le anime nel loro stato presente;  Corpi naturali: questi sono composti da discipline che Boezio chiama Quadrivium: aritmetica, geometria, astronomia e musica. Nella filosofia pratica si divide secondo alcuni atti che si devono compiere. Anch’essa si divide in 3 parti:  Quella che insegna a comportarsi da soli mediante l’acquisizione delle virtù;  Quella che consiste nel far regnare nello stato queste stesse virtù;  Quella che presiede all’amministrazione della società domestica. A queste parti della filosofia si aggiungono altre 3 discipline, il Trivium: la grammatica, la retorica e la logica. Esse ci permettono di esprimere la nostra conoscenza. In realtà la logica è una vera e propria arte, poiché è capace di discernere il falso dal vero. Boezio sostiene che le idee generali non siano delle sostanze, perché un pensiero senza oggetto non è altro che un pensiero di niente; non è neppure un pensiero. Tra l’altro dice che i sensi ci danno le cose in stato di confusione; il nostro spirito è l’unico capace di ricomporre questi dati e distinguere nei corpi delle proprietà che erano mescolate tra esse. Tra questi dati vi sono i generi e le specie. L’errore sarebbe di pensare come congiunte delle cose che non lo sono in realtà. Questo è il problema degli universali, poiché questi sussistono in unione con le cose sensibili, ma solitamente li pensiamo separate dai corpi. Boezio ci dice che lo spirito, attraverso una misteriosa operazione, preleva l’intellegibile dal sensibile. Per lui, come per Agostino, la sensazione non è una passione subita dall’anima causata dall’azione di un corpo, ma l’atto attraverso quale l’anima giudica le passioni subite dal suo corpo. Per Boezio la scienza più alta non è quella dell’intellegibile, bensì quello dell’intellettibile, e questo è Dio, essere perfetto. Noi di lui abbiamo una conoscenza innata, egli è il Bene e la beatitudine. La beatitudine per Boezio è lo stato di perfezione che consiste nel possedere tutti i beni. Inoltre sostiene che il Padre è Dio: il Figlio è Dio; lo Spirito Santo è Dio. Essi sono uniti perché non sono differenti. Considerando il fatto che Dio è quindi l’intellettibile, l’anima è l’intellegibile. Boezio inoltre sostiene che Dio sia anche “provvidenza”. Alla provvidenza pensa sia subordinato il destino. Si tratta di due realtà distinte perché la provvidenza è eterna nella sua immobilità, mentre il destino è la legge delle cose che accadono nel tempo. Cassiodoro: scrisse De anima, nel quale espone le sue idee, affermando la spiritualità dell’anima. La concepisce come una sostanza finita, perché è stata creata e vive dentro il corpo, ma immateriale perché riesce a conoscere e immortale perché è spirituale. Gregorio Magno: fu considerato come l’ultimo rappresentante della cultura romana. Egli fu eletto Papa con il nome di Gregorio I, ma fu soprannominato Magno per il suo genio d’organizzatore. Lo ricordiamo per essere stato il fautore del “canto gregoriano” e per aver scritto “Liber regulae pastoralis”, sui doveri d’un pastore cristiano. Il suo vero pensiero però lo espresse all’interno del suo commento al “I libro dei Re”: bisogna studiare le arti liberali per comprendere le Scritture e sono indispensabili. 4) Chiesa e società. Il cristianesimo è nato nel popolo ebraico, in un periodo in cui questo faceva parte dell’impero romano. I progressi del cristianesimo generarono delle complesse dottrine. Il popolo ebraico: esso era un organismo complesso che si riconosceva in una razza, i cui membri sono tenuti insieme da un legame di sangue e dalla circoncisione, importante per mantenere uno stretto legame con i figli d’Israele. Questo rito, sostengono, che fu prescritto da Jahvè per suggellare un’alleanza tra Lui e il suo popolo e come simbolo di fecondità. In realtà questo rito si sostituisce al legame di sangue. Come si è costituita questa società? È il risultato di un patto con Dio, riconosciuto come creatore del cielo, della Terra e delle nazioni. In realtà già in passato Jahvè li aveva riuniti, per mezzo di Mosè, con la promessa di liberarli dalla schiavitù d’Egitto. Un patto tra Dio e il popolo ch’egli ha scelto. Infatti potremmo definire questa società come teocratica, che Dio governa come un Re. Per quanto riguarda le nazioni nemiche ad Israele, Jahvè promise ad Israele di sottometterglieli. Questa fu promessa che Israele concepì come una sorta di conquista degli altri popoli, più che altro annientarli e non farli accedere alla loro comunità. Altro aspetto caratterizzante del popolo ebraico è la sua forte opposizione ad ogni sincretismo, perché il vero Dio non si accorda con gli altri, ma nega direttamente la loro esistenza; difatti il germe fecondo degli ebrei è il monoteismo giudaico. In tal modo Jahvè era l’unico Dio di tutti gli uomini e non solo degli Ebrei. Proprio da qui nacque il dramma dei Profeti d’Israele, poiché essa non era più la prescelta di Dio. Lo stesso Isaia scrisse le parole di Dio le quali incitavano a chiamare e far avvicinare le altre popolazioni in modo tale che adorino l’unico Dio, perché all’infuori di lui nessun’altro dio esiste. Però molti Salmi avvalorano l’idea che Israele, ancora una volta, si pose come popolo eletto poiché solo per mezzo di lui si opererà la salvezza del mondo. Questo lo potremmo definire un nazionalismo religioso dell’antica Israele. Fu proprio Isaia l’unico profeta che riuscì a esprimere il duplice carattere di questa società. La missione di Israele è quella di estendere all’intero universo la salvezza che Dio le ha promesso, ma essa presenta delle vere e proprie difficoltà nel separare l’idea d’una società universale da quella di una razza, il cui trionfo avrebbe assicurato l’ordine e la pace nel mondo intero. La visione suprema dei Profeti è quella di un mondo in cui regna la pace, ma la pace in questione resta legata al trionfo di una città sulle altre città. Successivamente il popolo d’Israele si trovò di fronte ad un dilemma: o integrarsi o ostinarsi nei confronti della nuova società universale che Cristo stava per formare nel mondo, ovvero il Cristianesimo. Esso stava per diventare concepibile come veramente universale per mezzo della Chiesa. Grazie a San Paolo la nozione cristiana trionfò definitivamente ed il popolo ebraico ottenne solo il riconoscimento di essere stato scelto da Dio come semplice testimone (Lettera ai Romani), mentre la salvezza divenne uguale per tutti: la fede era offerta a tutti. Dal momento della conversione di Costantino la posizione dei cristiani nell’impero fu diversa. Agostino: ci dice che fu proprio l’arrivo dei Goti di Alarico, che nel 410 invasero l’Italia, che lo spinsero a scrivere l’opera Città di Dio, poiché fu un momento in cui, a Roma, i pagani diedero la colpa al cristianesimo. Il fine della Città di Dio è quella di condurre gli uomini a quella felicità che tutti cercano e che la città terrestre è incapace di dar loro, come dicono anche i filosofi. La Città di Dio invece è capace di far questo poiché si appoggia all’autorità di Dio. Nonostante tutto ciò che Roma sta subendo, Agostino dice che la città di Dio è pronta a ridiscendere dal cielo verso la terra per instaurare, per mezzo della Chiesa, la direzione dell’impero e del mondo, ma per il momento la caduta di Roma l’ha incitata piuttosto a risalire. Importante è sapere che l’universalità della fede si ebbe durante il Medioevo, nel momento in cui papa Gelasio I fa osservare che l’imperatore è il figlio della chiesa, non suo capo, costituendo quella divisione, che si avrà per i successivi secoli, tra potere temporale e spirituale. Così, il re è sottomesso al vescovo nella sfera spirituale, come il vescovo lo è al re nell’ordine temporale. Questo equilibrio sancì l’universalizzazione cristiana. 5)La cultura patristica latina. Cicerone: egli considera l’uomo come colui che si distingue dagli animali soltanto col linguaggio: è un animale parlante. Difatti l’eloquenza è un’arte suprema, una virtù. Difatti Cicerone critica chi pensa d’insegnare o acquisire eloquenza per mezzo della retorica. Quindi importante è reinsegnare ai filosofi a parlare, oppure reinsegnare agli oratori a pensare. Ma in cosa deve essere istruito un oratore? Cicerone sostiene che debba studiare le 7 arti liberali del Medioevo: i due gradi dell'insegnamento, l'uno letterario, l'altro scientifico, comprendevano la grammatica, la retorica e la dialettica (il Trivio); l'aritmetica, la geometria, la musica, l'astronomia (il Quadrivio). Tali arti caratterizzeranno la civiltà latina per molti anni. Il suo fine era quello di fornire dei capi capaci di governare bene la città. Importante è il fatto che tutti i Padri della chiesa latina abbiano sùbito la formazione intellettuale preconfezionata da Cicerone. (come lo stesso Agostino). 3. capitolo L’essere viene definito, da Eriugena, come tutto ciò che può essere percepito con i sensi e compreso con l’intelletto. Mentre il non-essere è tutto il contrario, quindi ciò che non può essere percepito o compreso. Ne individua cinque tipi: 1)ciò che sfugge al nostro intelletto e ai nostri sensi, quindi Dio; 2)ciò che un essere è, implica il non essere di ciò che egli non è; 3) tutto ciò che non è ancora in potenza, è il non essere di ciò che egli sarà; 4)gli essere soggetti a corruzione e a generazione non sono; 5) l’uomo è in quanto somigliante a Dio, ma allo stesso tempo non è perché tramite il suo errore ha perso la somiglianza. Egli rintraccia diverse divisioni della natura: 1) nella prima Dio è tutto e tutto è Dio, ponendo in questo modo il rapporto tra Dio e le cose. Non è una divisione del genere informe, perché egli non è il genere della creatura né la creatura la specie del genere Dio. La divisione della natura equivale alla produzione della molteplicità da parte dell’Uno. Dio viene posto al di là di tutte le categorie come causa di tutte le cose, superiore ad ogni affermazione o negazione. 2)nella seconda divisione egli parla di quegli esseri creati che a loro volta creano. In quanto esseri creati, si esce dalla natura divina, ma in quanto creatori sono le più nobili di tutte le creature. Le si sono chiamate idee, predestinazioni, prototipi e Scoto utilizza diversi termini per esprimere il modo in cui Dio le ha create. Le idee, create da Dio nel Verbo sussistono, quindi sono coeterne con Dio, cioè sono in lui senza aver mai avuto inizio nel tempo, ma non interamente perché ricevono da Dio la loro esistenza. Inoltre, le idee sussistono nel Verbo, quindi Dio, bisogna che le idee siano all’interno senza alcuna molteplicità. Il Verbo di Dio è la ragione e la causa creatrice semplice e molteplice dell’universo creato. Dio, in quanto causa del mondo tramite il Verbo, è il Bene; quindi al vertice troveremo l’idea del Bene, poi seguono l’essenza, la vita, la ragione, l’intelligenza, la virtù, la beatitudine, la verità e l’eternità. Le idee sono lo stesso Verbo,dato che egli è increato, anche le idee lo sono. La loro generazione nel Verbo, è paragonata alla generazione del Verbo da parte del Padre; ma poiché sussistono nel Verbo, le idee sono identiche a lui ma bisogna che il padre le produca perché esse sussistano nel Verbo. Il Verbo è Dio come il Padre. Dio, per Eriugena, è un principio incomprensibile che agisce fuori di sé per manifestarsi, ovvero una teofania: apparizione divina, che comprendono gli intelligenti. Egli definisce la teofania di Dio, la creazione degli essere viventi, creare per Dio è rivelarsi. Le idee divine sono la prima auto creazione di Dio, poiché qui la natura divina crea e viene creata: è creata da se stessa e crea nelle teofanie. Quindi la natura divina si crea nelle idee. La creazione è l’opera del padre, e consiste nel produrre le idee nel Verbo. La molteplicità delle idee nella molteplicità degli individui si compie secondo un ordine gerarchico che va dall’universale al particolare tramite lo Spirito Santo. La Trinità è analoga: Padre = Essenza; Figlio = Virtù; Operazione = Spirito Santo. Il concetto della creazione come teofania introduce il tema dell’illuminazione. Tutti gli essere creati sono dei lumi, ed ogni cosa è un lumicino in cui brilla il lume divino. Se Dio dovesse smettere di esistere, l’universo, in quanto teofania di Dio, smetterebbe di esistere a sua volta. Le teofanie che costituiscono l’universo si dividono in tre mondi: la sostanze immateriali (gli angeli); le sostanze corporee e visibili, l’universo dell’uomo che partecipa sia al primo sia al secondo e li unisce. Gli angeli sono intelligenze immateriali che posseggono massima perfezione delle creature, hanno corpi spirituali ed hanno una conoscenza immediata e sperimentale delle cose divine. Questo non implica che conoscano Dio, poiché nessuno lo ha mai visto faccia a faccia, ma conoscono le prime manifestazioni del Verbo fuori di sé. Se sono gli angeli a non vedere Dio, allora gli uomini non lo vedranno mai. Le teofanie vengono ricevute solo dagli angeli più perfetti e li trasmetteranno in ordine gerarchico arrivando al clero che le trasmetterà ai fedeli. Gli esseri umani, divisi in sessi, si moltiplicano come animali; Scoto Eriugena sostiene che non poteva esservi altro modo dato il peccato originale, infatti tutto fu preventivato da Dio. La divisione fu fatta in funzione del peccato. Separandosi da Dio, l’uomo portava con se il mondo dei corpi. Tutti ciò che viene creato dopo l’uomo è già contenuto in lui come esseri intellegibili. L’uomo fa parte di Dio, come le sostanze di ogni creatura sono la sua essenza intellegibile. L’essenza si predica di ciò che ogni creatura non può cambiare. Questa essenza prende il nome di natura in quanto è generata. Dopo il peccato l’uomo è caduto nel mondo dei corpi, e qui può comunque organizzare un ritorno al mondo di Dio tramite l’anima. L’anima è capace di tre operazioni: -il pensiero puro,ove l’anima si rivolge verso Dio; -l’anima come ragione, ove si volge verso se stessa e lega con le nozioni intellegibili; -il terzo processo consiste nella sensazione che viene prodotta dall’anima tramite i nostri sensi nel momento in cui entriamo a contatto con gli oggetti corporei. L’anima imita Dio nella sua trinità. La molteplicità delle operazioni del pensiero esce dall’intelletto, sussiste nell’intelletto e ritorna nell’intelletto; poiché questo movimento avvenga bisogna tornare all’unità. Ciò si manifesta tramite la mancanza di qualcosa o di un bisogno. Questo ritorno è la morte; qui l’anima si divede dal corpo. La seconda tappa è la resurrezione dei corpi, dove i sessi saranno aboliti e l’uomo sarà tale a Dio. Nella terza tappa il corpo si reintegrerà all’anima e diventerà vita. Nella quarta tappa ci si reintegrerà alla Causa prima. Tutto sarà penetrato da Dio, e ciò tramite la resurrezione di Cristo. Tutti saranno beatificati o dannati nella coscienza. Eirico d’Auxerre Eirico d’Auxerre, fu monaco dell’abazia benedettina di Saint German. Egli adottò la nozione di natura da Scoto, connota tutto ciò che è ciò non è. Egli definisce come essere come ogni essenza creata da Dio. Egli interpreta gli universali come nomi che permettono al pensiero di riassumere la moltitudine degli individui sotto termini cui la comprensione è ristretta: ad es.cavallo (specie) animale (genere). 4 capitolo La filosofia nel secolo XI 1) Dialetti e teologi. Con il diffondersi delle arti del trivium e del quadrivium i laici che iniziarono questi studi ebbero impieghi pubblici e poterono esercitare il diritto. Berengario di Tours, considera la dialettica il mezzo per scoprire la verità. Appellarsi alla dialettica, significa appellarsi alla ragione, e per la ragione l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio. Non appellarsi a questa, significherebbe rinunciare alla sua somiglianza con Dio. Durante questo periodo si diffonde un tipo di riforma che tende a fare del modello monastico un modello della vita umana e ciò per andare a sfavore delle scienze profane. Gerardo di Czanad, afferma che ogni sapienza deriva da Dio, ma non per questo combatte la scienza ma solo coloro che credono di diventare sapienti ma che alla fine non risolvono nulla. Pier Damiani, si scontra profondamente contro la scienza salvaguardando la teologia. L’unico modo per salvarsi, egli sostiene, è di farsi monaco. Questo non deve conoscere la filosofia, bensì le Scritture perché solo tramite questa avverrà la salvezza. Se la filosofia fosse stata necessaria, Dio avrebbe mandato a convertire dei filosofi, invece Egli ha mandato delle persone comuni. Da ciò egli deduce che la filosofia è un’invenzione del diavolo. Dio vive in un eterno presente, si sottrae al passato e al futuro. A differenza di Pier Damiani, Lanfranco di Canterbury è più conciliante con la filosofia poiché la dialettica può confermare i misteri divini. 2) Roscellino e il nominalismo. La questione degli universali nell’XI secolo permette di approdare al nominalismo, con a capo Roscellino, contrapposto al realismo. Per quest’ultimo l’umanità è una , mentre per il nominalismo di reale sono solo gli individui umani. Per Roscellino il termine uomo non descrive la realtà della specie umana. Quest’universale corrisponde a due realtà concrete, ma nessuna è della specie. Da un lato vi è un la parola uomo come emissione vocale, mentre dall’altro questa parola deve significare gli individui umani. Secondo Roscellino, gli individui sono reali in Dio. La Trinità è formata da tre sostanze diverse, in quanto ognuno designa una singola cosa, nonostante abbia una sola volontà. Anselmo di Canterbury. Tra i più importanti scritti di Anselmo, ritroviamo il Monologion, il Prosologion, il De Veritate. Il primo è stato scritto per la richiesta di quei monaci che cercavano un modello di meditazione sull’esistenza e sull’essenza di Dio, nella quale tutto doveva essere provato con la ragione e non con le Scritture. Egli afferma che le fonti della conoscenza umana sono due: la fede e la ragione. Anselmo rifiuta di sottomettere le Sacre Scritture alla dialettica, in quanto la fede è il primo dato da cui partire. E’ l’intelligenza a presupporre la fede. Egli non è contrario alla dialettica, anzi, la si usa per comprendere razionalmente ciò a cui si crede. Capire la propria fede, significa avvicinarsi alla vista Di Dio, e ciò avviene tramite l’intelligenza della fede: credere nella fede, prima di discutere con la ragione, e poi comprendere ciò in cui si crede. Egli dimostra l’esistenza di Dio tramite tre prove: le cose sono ineguali in perfezione; tutto quello che ha perfezione, l’ha nella partecipazione a questa perfezione presa nella sua forma assoluta. LA FILOSOFIA NEL XII SECOLO. 1)La scuola di Chartres. Nella seconda metà del XII secolo il centro culturale più importante si trova nelle Scuole di Chartres. Il nome più importante è quello di Bernardo di Chartres, il quale è presentato da Giovanni di Salisbury come grammatico. In logica egli afferma che niente è un genere o una specie al di fuori delle idee, mentre in grammatica la sua riflessione partiva dalla teoria secondo cui gli individui mancano di stabilità delle idee quindi non possono essere designati con dei sostantivi. Egli partiva dai nomi derivati, sostenendo che significano ciò che significa la loro radice ma sotto diversi aspetti: ad esempio, bianco e imbianca derivano da bianchezza, ciò significa che il loro significato principale designa la sostanza di bianchezza di cui partecipano però modificato dalla qualità che fa della parola bianco un aggettivo mentre imbianca un verbo. Se isoliamo la sostanza che i derivati significano, si trova la qualità (o l’accidente) di bianchezza. Bernardo, rifiuta di considerare le idee coeterne a Dio; egli affermava che Dio ha creato la materia, mentre le idee sono eterne ma non coeterne, poiché quest’ultima caratteristica è attribuita alle tre persone divine che hanno una sola natura. L’idea non è coeterna poiché non è eguale a Dio, ma è eterna poiché da Dio dipende ed è identificata col pensiero divino. Discepolo di Bernardo fu Gilberto de la Porrèe il quale scrisse De Sex Principiis, un’interpretazione del trattato aristotelico Le categorie. Aristotele designava tutte le predicazioni di un oggetto e ne distingueva dieci: sostanza, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, stato, habitus, azione, passione. Gilberto, divide le categorie in due gruppi: da un lato sostanza, quantità, qualità e relazione; dall’altra luogo, tempo, stato, habitus, azione e passione. Il primo gruppo viene considerato come quello delle forme inerenti, ossia quelle forme che hanno la stessa sostanza e sono inerenti alla sostanza poiché questa è considerata come indipendente dai rapporti con altre; il secondo gruppo è definito delle forme accessorie. La categoria di stato è quella che si avvicina più di tutti alla sostanza, mentre l’ultimo è l’habitus poiché è il più lontano in quanto l’oggetto posseduto è sempre diverso dal soggetto che possiede. Egli distingue la sostanza dalla sussistenza: un sostante è un individuo esistente, di cui si dice che è sostanza, poichè possiede determinati accidenti (qualità); mentre con sussistenza si intende la proprietà di ciò che per essere ciò che è non necessita di altri accidenti. Così genere e specie sono sussistenze poiché non necessitano di accidenti, ma d’altra parte non sono neanche sostanze in quanto non sono supporto reale di qualcos’altro. Poiché tutte le sostanze non necessitano di accidenti per sussistere, queste sono anche sussistenze; ma non tutte le sussistenze non sono sostanze poiché non sopportano alcun accidente. All’origine delle sostanze sensibili, Gilberto, sostiene che vi si trovano le forme o idee. Queste idee non sono altro che sostanze pure, cioè che non si mescolano mai con la materia e stanno al di fuori di essa. Le sostanze pure sono aria, acqua, terra e fuoco, che prese in se stesse sono semplici. La produzione delle cose viene spiegata attraverso tre termini, quali: la materia prima, le due forme primitive ovvero l’essenza dell’artefice e le idee delle cose sensibili. Le forme unite alla materia dei corpi sono la copia che viene dal loro modello, quindi sono immagini delle sostanze pure o idee. Per formare gli universali è necessario partire da queste forme, che unite alla materia costituiscono le sostanze individuali dei sussistenti e dei sostanti. Le forme prese in se stesse sono dei sussistenti in virtù delle quali ci sono delle sostanze. Gilberto, prende da Boezio, la distinzione tra quo est, ossia ciò per cui un essere è ciò che è, e id quod est, ossia la cosa stessa che si è. Queste due in Dio coincidono, poiché sta alla sommità ed è ciò da cui ogni cosa prende la propria essenza. L’essenza divina è l’essenza di tutte le creature, ma non tutto ciò che Dio crea è puro poiché è un certo genere di essere, quindi ogni essere è creato e composto. Dio è la realtà assoluta. Teodorico di Chartres, scrisse opere sui sei giorni della creazione. Egli pone come cause dell’universo: l’efficiente, cioè Dio; la formale, cioè la sapienza di Dio; la finale, cioè la benevolenza di Dio; la materiale, cioè i quattro elementi. La creazione si basa su questi quattro elementi che Dio ha creato per bontà. Giovanni di Salisbury, sostiene che dubitare di tutto sarebbe un’assurdità, in quanto gli animali danno prova dell’intelligenza e l’uomo è più intelligente dell’animale quindi è falso sostenere che noi non conosciamo niente. E’ possibile attingere ad una conoscenza tramite tre fonti: la ragione, i sensi e la fede. Coloro che non hanno fiducia nei sensi, sono inferiori agli animali; coloro che non credono alla ragione e dubitano di tutto, inizieranno anche a dubitare del fatto di dubitare; colui che rinuncia alla fede, rinuncia anche alla sapienza. Gli uomini migliori sono gli accademici che riconoscono la loro ignoranza e dubitano di ciò che ignorano; bisogna dubitare solo di ciò che i sensi, la ragione e la fede non danno sicurezza. Inoltre sostiene che se è il vero Dio, è la vera sapienza degli uomini, allora l’amore di Dio è una filosofia. Il vero filosofo non è colui che s’accontenta di una conoscenza teorica, ma colui che impara e insegna contemporaneamente. Pietro Abelardo. Abelardo, è una delle personalità più illustri del XII secolo. La sua opera è sia teologica che filosofica; tra le sue opere più importanti citiamo il Sic et non che descrive tutte le contraddizioni delle Sacre Scritture e dei Padri della Chiesa. Il metodo utilizzato in questo libro è quello di porre in contrasto autorità a favore e contro, sciogliendo questa opposizione nel momento in cui determina e prova la soluzione. Ne la Theologia Christiana, egli cita diversi libri quali “Glosse a Porfirio, Glosse alle Categorie e Glosse al de Interpretazione”. Egli discute il problema degli universali, partendo da Porfirio che tentava di sapere se gli universali esistessero nella realtà o solo nel pensiero; se sono corporei o meno; se sono separati dalle cose sensibili o vincolati ad essi. Abelardo, inoltre aggiunge un’altra questione: se i generi e le specie avrebbero ancora un significato nel pensiero se gli individui cessassero di esistere (la parola rosa avrebbe ancora un significato se le rose cessassero di esistere?). La prima soluzione sarebbe ammette che l’universale sia una cosa, ma qui potremmo intenderli in due modi: seguendo Boezio, tutti gli individui possiedono l’essenza di uomo, ma differiscono l’uno dall’altro per gli accidenti o qualità. Ora l’universale uomo sarebbe un’essenza comune a tutti gli individui. Considerando le diverse specie, ad esempi cane, cavallo, uomo questi hanno in comune l’essenza del genere animale. L’uomo è un’animale come gli altri, ma la sua differenza sta nel possedere la ragione e ciò lo classificata nella specie uomo. Come la specie, anche il genere è un’essenza. A questo punto, presi in se stessi gli universali sono oggetti di pensiero, ma questi sussistono negli uomini resi corporei dagli accidenti. Abelardo, sostiene che questa relazione è impossibile perché la fisica le è contraria. Con il termine “fisica”, Abelardo intende la natura dei corpi fisici: se l’universale “animale” esiste nella specie uomo e nella specie cavallo, lo stesso animale che è razionale nella specie uomo, non è razionale nella specie cavallo; ma è impossibile che una cosa sia se stessa e il suo contrario contemporaneamente. La seconda soluzione, si avvicina al vero. Questa sostiene che gli individui non si distinguono l’uno dagli altri per le loro qualità bensì per le loro essenze, quindi ciò significa che nessun individuo ha in comune forma e materia. Però questi vogliono conservare l’universalità dell’essenza e sostengono che le cose distinte sono le stesse, se non per la loro essenza, ma per la loro in- differenza (cioè assenza di differenza). Quindi basta ammettere che gli individui non sono differenti, per che spiegare che sono simili nonostante non abbiano niente in comune. Abelardo, sostiene che l’universale è ciò che si può predicare di molte cose; ma non ci sono cose che si possano predicare di altre: ognuna è ciò che essa stessa è. L’universalità non è possibile attribuirla alle cose, quindi non rimane che attribuirla alle parole. I grammatici distinguono tra termini particolari e termini universali: i primi non sono predicabili che di un solo individuo (ad esempio Socrate); i secondi, invece, sono quei termini che predicano una pluralità di individui ed assumono una funzione logica. Secondo Abelardo, le cose si prestano per sé alla predicazione degli universali: un’idea non può essere tratta dal nulla, e poiché gli universali non esistono fuori dalle cose bisogna validare o meno la funzione logica della predicazione. Il fondamento dell’universale nelle cose è chiamato da Abelardo con il termine “stato”, cioè il modo di essere di ogni cosa: ad esempio ogni uomo si trova nello stato d’uomo, si tratta quindi di sottolineare come determinati individui si trovino ad essere nello stesso stato degli altri individui. Il contenuto degli universali si carpisce nel momento in cui tramite gli organi sensoriali percepiamo un oggetto, qui si forma un’immagine che si instaura all’interno. Però un termine generale o universale(uomo) differisce da un termine particolare (Paolo). Un’universale quindi non è altro che un nome che significa un’immagine. L’universale si distingue dall’idea, poiché quest’ultima è l’atto tramite cui l’intelletto rappresenta la pluralità degli individui contenuti nel genere o nella specie. Questa è la conoscenza che Dio ha delle cose, e si parla delle idee di Dio. L’uomo crea degli oggetti artificiali proponendo in anticipo l’oggetto della loro creazione; a differenza dell’uomo, Dio però crea esseri naturali di cui ha le idee perché egli li causa. regnato con i suoi giudici, poi gli uomini chiesero l’istituzione di un re e Dio acconsentì a condizione che i sacerdoti avrebbero dato la legge divina che gli uomini dovevano seguire. Il re rappresenta l’immagine di Dio in terra, ma egli stesso deve seguire le leggi, la giustizia e l’equità. In base al principio dell’equità però i re debbono stare subordinati ai sacerdoti poiché per governare secondo la legge di Dio, il re deve conoscerla. I sacerdoti e i re, collaborano e regnando, rendendo giustizia. L’integrazione temporale nella chiesa fu completata. Il sacerdote è un re, il re è un sacerdote: entrambi sono unti del Signore. 6 capitolo LE FILOSOFIE ORIENTALI Le filosofie orientali del XII secolo influenzarono di gran lunga che grandi dottrine occidentali. 1) La filosofia araba. Nel 529 d.C. l’Imperatore Giustiniano decretò la chiusura delle scuole di Atene; questo era un forte segnale del rifiuto della speculazione ellenica che volle fare l’Occidente. Difatti la speculazione ellenica beneficiò della diffusione della religione cristiana in Mesopotamia e in Siria. Fu fondata una scuola nella città di Edessa da san Efrem di Nisibis, il quale insegnava Aristotele, Ippocrate e Galeno. Ciò indusse i Siriani a dovere imparare il greco per leggere l’Antico, il Nuovo Testamento e i Padri della Chiesa, anche se molte opere furono tradotte dal greco in siriaco. Tale scuola fu chiusa nel 489 e molti professori andarono in Persia. Siamo nel momento in cui il l’Islamismo prese il posto del Cristianesimo, difatti la dinastia Abasside fece appello ai servigi dei Siriani in modo tale che potessero continuare ad impartire le loro dottrine ed insegnamenti. Vennero difatti tradotti in arabo e siriaco Tolomeo, Ippocrate, Aristotele e Archimede; questo dimostra come le scuole siriache siano state dei veri e propri intermediari tra il mondo greco e quello arabo. Importanti soprattutto furono le opere di Aristotele che influenzarono il pensiero orientale, generando una speculazione filosofica-religiosa mussulmana che diede alla luce una prima setta, quella dei Mutaziliti. Essi sostenevano che la rivelazione e la ragione non dovevano contraddirsi, e tutto ciò che viene rivelato deve poter essere conosciuto dalla ragione; in poche parole il loro credo rappresenterebbe una sorta di teologia razionale. I filosofi arabi continuarono la loro speculazione greca costruendo dottrine di cui l’Occidente cristiano dovette subirne l’influenza. al-Kindi: egli fu un enciclopedista, i cui scritti coprono quasi tutti i campi del sapere greco. Importante fu l’opera il De intellectu: essa ebbe lo scopo di chiarire il senso della destinazione di Aristotele tra intelletto possibile ed intelletto agente. Secondo egli, attraverso la comprensione delle operazioni dell’intelletto, si poteva comprendere l’origine degli universali. Egli distinse:  l’intelletto che è sempre in atto, come un’intelligenza e sostanza spirituale, diversa dall’anima, che è superiore ad essa, e che su essa agisce per renderla da intelligente in potenza intelligente in atto. Al Farabi: egli è il secondo grande nome della filosofia araba, difatti studiò ed insegnò a Bagdad. Oltre a scrivere delle traduzioni su Porfirio ed Aristotele, scrisse un’opera dal titolo De intellectu et intellecto ed Concordanza di Platone e Aristotele. Gli arabi difatti erano convinti che questi ultimi avessero un pensiero comune, e per affermare ciò fecero degli immani sforzi. Dobbiamo tenere a mente che Arabi, come gli Occidentali, avevano una religione che dichiarava il Dio del Corano come Uno, eterno e creatore di tutte le cose. La dottrina di Al Farabi fu ispirata dalla distinzione di essenza ed esistenza negli esseri creati. Per lui essenza ed esistenza sono distinte, poiché gli esseri possono possedere o possono essere privati o perdere la propria esistenza. Però nel momento in cui ammettiamo che gli esseri sono dotati di una esistenza, ci deve essere per forza qualcuno che l’ha creata per far si che noi la ricevessimo, e questo è Dio. Tale dottrina presenta 3 momenti principali:  Un’analisi dialettica della nozione di essenza, che mostra che la nozione di esistenza non è inclusa in essa;  L’affermazione che l’essenza non include l’esistenza attuale;  L’affermazione che l’esistenza è un accidente dell’essenza. Così l’esistenza non è un carattere costitutivo, bensì è un accidente accessorio. Il mondo: esso esiste per mezzo di un movimento, poiché lo anima e si gli esseri di cui esso si compone hanno delle essenze. Divide le funzioni dell’intelletto:  L’intelletto in atto rispetto alla conoscenza finché acquisisce;  L’intelletto acquisito in quanto l’ha già acquisita;  L’intelligenza agente che conferisce alle materie le loro forme e agli intellettuali le conoscenze di queste forme. Tale intelligenza è sempre in atto. Il fine dell’uomo è quello di unirsi con l’intelletto e l’amore per l’intelligenza agente separata, che è il motore immobile e l’origine di ogni conoscenza intellegibile per il mondo in cui viviamo. Una peculiarità della filosofia mussulmana è l’apparizione di una specie di massoneria che sorse nel IV secolo dell’Egira, conosciuta anche come “fratelli della purezza”, i quali vollero interpretare e confermare la rivelazione religiosa per mezzo della filosofia; quindi cercando di porre la legge religiosa sotto una luce razionale. Avicenna: egli nacque nel 980, ci lasciò una sua autobiografia nella quale racconta di aver incontrato degli ostacoli nel momento in cui lesse la Metafisica di Aristotele. Dice di averla letta più di 40 volte, arrivò ad impararla a memoria, ma non la capì mai, fino a quando comperò il trattato di Al Farabi sul significato della Metafisica aristotelica. Scrisse più di 100 opere; in realtà egli fu riconosciuto durante il Medioevo come un grande medico, ma la sua autorità filosofica fu considerevole nel XII secolo. Egli compose Filosofia orientale, ma l’opera influente che viene considerata come una Summa o enciclopedia filosofica è La Guarigione; essa contiene la sua interpretazione su Aristotele. Il pensiero di Avicenna poggia sulla distinzione del primo oggetto dell’intelletto, che è l’individuo concreto ed il suo oggetto secondo, che rimanderebbe alla conoscenza del reale. L’universale è una seconda intenzione. Per Avicenna la nozione universale sarebbe l’essenza¸ ciascuna essenza si distingue dalle altre per le loro proprietà. Quindi la realtà sarebbe fatta da idee generali. Egli per spiegare al meglio questa sua tesi pone un esempio: se un’anima è unita ad un corpo, ma non riceve nessuna sensazione esterna né interna, sarebbe ancora capace di conoscere sé stessa. Un’anima può concepirsi anche senza rifermento ad un corpo, poiché l’anima è realmente distinta dal corpo. riesce a concepire l’universale per mezzo della forma, che viene espressa mediante la definizione. Composta di forma e materia, ogni sostanza è composta di atto e potenza. Per l’atto essa è; per la Potenza essa può divenire. Cambiare di qualità, di quantità o di luogo, è passare dalla potenza all’atto, è essere in movimento. L’atto puro è quell’atto che si muove senza essere mosso. Esso si muove continuamente. Quanti ne esistono? Secondo Averroè ne esistono 38:  5 per i pianeti superiori: Saturno, Giove e Marte;  5 per la Luna;  8 per Mercurio;  7 per Venere;  1 per il Sole,  1 per il firmamento. Se ci sono 38 movimenti, questo implica che vi siano 38 motori. Questi motori vengono mossi dagli atti e ne ricevono la loro essenza. Questi motori sono le cause dei corpi celesti. Le sfere che essi muovono si pongono in gerarchia, dalla Luna al firmamento. Tutti loro sono separati e devono arrivare ad un principio primo, che è il primo motore separato. Esiste quindi un principio assolutamente primo che è sarebbe la causa agente di tutte le forme e dei movimenti, che è Dio. Da Dio emanerebbero il motore del cielo delle stelle fisse e il motore della sfera di Saturno; da Saturno emanerebbero l’anima di questo pianeta a Giove… e così via fino alla Luna, il cui motore fa sorgere l’intelletto agente, causa della conoscenza per tutto il genere umano. La descrizione che Averroè ci dà è sufficiente a mostrare che l’intelletto agente è una sostanza intellegibile separata, la stessa per tutti gli uomini che produce conoscenza nelle anime. Quindi l’uomo è dotato di questa sostanza intellegibile capace di sopravvivere alla morte del corpo. Infatti tutto ciò che è di eterno negli individui appartiene all’intelletto agente. 2) La filosofia ebraica. i filosofi arabi sono stati i maestri dei filosofi ebrei, poiché ebbero un contatto prolungato nel tempo e per la loro affinità di razza e la somiglianza del loro genio. Ishaq al-Israili: egli fu un grande medico ed il primo a dare l’impulso agli studi filosofici ebraici. Egli cercò di mettere d’accordo la sua dottrina con l’insegnamento della Bibbia, con la filosofia e teologia. Sa‘adyah ben Yosef: propose di costituire una filosofia del tutto ebraica sulla base dei dati scientifici e religiosi tradizionali. Per provare l’esistenza di Dio, egli ritenne necessario provare che il mondo non è eterno, ma ha avuto inizio nel tempo. Difatti accetta la creazione ex nihilo. Secondo lui, Dio è incorporeo ed è dotato di 3 attributi: la Vita, la Potenza e la Sapienza. L’anima la considera come creata da Dio insieme al corpo, quindi sono unite per loro natura: l’anima dopo la morte si addormenta, ma risusciterà l’ultimo giorno per riunirsi al corpo in modo tale da essere giudicata, premiata o punita. Gebirol: egli sostenne che, eccetto Dio, tutte le sostanze, anche quelle semplici, sono composte da materia e forma. Anche le sostanze spirituali, definite anche semplici poiché non hanno copro, sono composte da materia, però spirituale e di una forma. I corpi si distinguono tra essi per le loro diverse forme: quindi in ogni essere vi è una pluralità di forme che si incastrano tra loro per mezzo di diversi gradi. I gradi sono 9, che permetto agli esseri di sussistere gli uni negli altri. 1. Tutti sussistono e risiedono nella scienza di Dio; 2. La forma universale nella materia universale; 3. Le sostanze semplici le une nelle altre; 4. Gli accidenti semplici nelle sostanze semplici; 5. La quantità nella sostanza; 6. La superficie nei solidi; 7. I colori e le figure nelle superfici; 8. Le parti dei corpi omogenei le une nelle altre; 9. Tutti i corpi gli uni negli altri, che creano il luogo. Il mondo, secondo Gebirol, è l’opera di un principio supremo che chiama Volontà. Infatti è grazie a lei che le forme sono disposte nella realtà. Il mondo è dunque sospeso da questa Volontà, analoga a quella di Dio. L’uomo qui occupa una posizione di mezzo da dove, grazie al suo intelletto, può risalire di forma in forma fino alla Volontà creatrice. Maimonide: nacque nel 1135 a Cordova e fu conosciuto dagli Occidentali per mezzo della sua opera Guida dei perplessi, che su rivolge agli spiriti più istruiti nella filosofia. Questa può essere considerata come una summa di teologia scolastica ebraica. Egli decide di scagliarsi contro Gebirol, sostenendo che le intelligenze pure sono assenti da materia, e che ve ne siano 10. Inoltre sostenne che l’uomo è dotato di 5 facoltà: nutritiva, sensitiva, immaginativa, appetitiva e intellettiva. Tutto questo rappresenterebbe una sorta di capitale intellettuale per l’uomo, che può variare secondo i suoi meriti, che si riunisce all’intelletto agente dopo la morte. Maimonide prova l’esistenza di Dio perché esiste un primo motore che genera movimento. Di Dio noi sappiamo che è, e non che cosa egli è. L’unica cosa che ci resta da fare è accumulare gli attributi negativi che, negando ogni imperfezione di Dio, ci faranno almeno conoscere ciò che egli non è. Maimonide influenzo in maniera considerevole il culto cristiano, e con questo condivideva la fede nell’Antico Testamento. 7. capitolo. L’INFLUENZA GRECO-ARABA NEL XIII SECOLO E LA FONDAZIONE DELLE UNIVERSITA’. 1) L’influenza greco-araba. La filosofia e la teologia Occidentale del XIII fu invasa dalle filosofie arabe ed ebraiche e delle opere scientifiche, metafisiche e morali di Aristotele. Fin dalla metà già del XII secolo l’arcivescovo di Toledo incoraggia a tradurre in latino le opere di Aristotele, di al-Farebi, Avicenna e al-Ghazzali. In realtà quando si trattava di tradurre Aristotele, gli scritti arabi in realtà erano stati a loro volta tradotti in siriaco dal greco; quindi per tradurre in latino bisognava trovare un ebreo o un arabo che traducesse prima in lingua volgare, e ritradurre poi in latino. Di profonda influenza immediata furono le traduzioni delle opere originali dei filosofi arabi, come Avicenna, tradotto da Giovanni ispano e la Metafisica, tradotta da Gundissalino; ad essi si deve anche la traduzione di al-Ghazzali e di Gebirol. Gerardo da Cremona invece tradusse al-Kindi. Importante è dire che attraverso queste traduzioni il mondo occidentale raggiunse l’Aristotele platonizzato degli arabi, ma anche Proclo e Plotino. Proclo: Il Liber de causis, ovvero "Il libro della spiegazione di Aristotele del puro dio" è un elenco di proposizioni a carattere filosofico e teologico, realizzato nel circolo filosofico di al-Kindi intorno alla metà del IX secolo. Noto all'Occidente latino con questo titolo, grazie alla traduzione fattane da Gerardo da Cremona nel 1180, fu a lungo erroneamente attribuito ad Aristotele, fino a che Tommaso d'Aquino ne contestò l'attribuzione. Citato per la prima volta da Alano di Lilla, fu considerato opera di Aristotele fino al 1268, quando Guglielmo di Moerbeke tradusse l'Elementatio Theologica di Proclo, e si scoprì esserne questa la fonte immediata (Plotino ne era invece la fonte remota). Tratta dell'ordine gerarchico delle cause, a partire dalla prima, anteriore all'eternità, all'essere stesso e, di conseguenza, all'intelligibile. La causa prima risulta dunque indefinibile, ma la si può chiamare Bene, o Uno. Tutto ciò che non è Bene/Uno è molteplice: la prima di queste cose create è l'essere, seguito da un'Intelligenza pura, che è piena di forme intelligibili. Ogni anima che ne discende possiede dunque naturalmente in sé i sensibili, poiché è piena delle loro forme. È certo che la metafisica platonica è servita ai teologi cristiani per pensare il loro cristianesimo. Difatti proprio i Latini d’Occidente presero in considerazione la cosmogonia e il platonismo trova quasi una consistenza scientifica. Ebbero successo Avicenna e Al-Farabi con l’esistenza di un intelletto agente separato, per tutti gli uomini, principio e fine della conoscenza degli umani; i cristiani però avevano l’obiettivo di andare oltre questa intelligenza per arrivare fino a Dio. Assistiamo dunque ad un processo che collega il platonismo alla psicologia di Avicenna per arrivare all’estasi mistica del cristianesimo. È difficile sapere in quale misura queste dottrine influenzarono la dottrina cristiana, poiché di questi grandi pensatori arabi e non solo abbiamo solo dei frammenti oppure li conosciamo per mezzo delle condanne fatte. È impossibile vederle sotto il loro aspetto originale. Ad esempio: Almarico di Béne fu accusato d’insegnare tesi pericolose e le sue dottrine furono censurate. Avrebbe insegnato che Dio era tutto. In realtà neppure sappiamo come la intendesse Almarico, ma fu accusato di intenderlo come Eriugena. È certo che le sue dottrine furono superare 3 baccalaureati, poi la licenza. L’insegnamento era formato dalla lezione, con la lettura e spiegazione di un testo, e dalla disputa, una specie di giostra dialettica che si svolgeva con uno o più maestri, i quali presentavano una problematica e gli studenti evidenziare i pro e i contro. I maestri avevano il compito di raccogliere le loro soluzioni e solo dopo pochi giorni il maestro mostrava loro la soluzione. 3) L’esilio delle belle lettere. Nel XII, ancora, la tradizione romana dell’eloquenza sembra ancora essere presente. A tal proposito fu Giovanni di Salisbury con il suo Metalogicon a sostenere l’importanza dell’ideale ciceroniano nelle scuole e che questo dono deve essere coltivato con lo studio, e soprattutto nutrito di sapienza. Senza la sapienza non vi può esse l’eloquenza, in quanto questa nasce dal matrimonio della ragione e della parola. La situazione fu destinata a cambiare nel XIII secolo, a seguito della traduzione delle opere di Aristotele in latino, i maestri di logica le introdussero nel loro insegnamento. Si vide comparire una cultura di nuovo tipo, costituita dallo studio della logica e della filosofia di Aristotele. Le Lettere non scomparvero del tutto, ma esse furono soffocate dalla filosofia e dalla teologia scolastica. Bacone: egli protesto al riguardo. Esigette che non si trascurasse il trivium e il quadrivium, insistendo sulla necessità della grammatica e lo studio delle lingue. Rivolse queste critiche soprattutto all’ambiente universitario parigino, sostenendo i diritti delle 7 arti liberali, unendo a queste l’idea di una rivelazione universale del Verbo. Disse che se egli vuole che si leggano degli autori pagani, è perché Dio stesso li ha ispirati. Difatti lo stesso Apuleio e Socrate parlano di angeli, dell’immortalità dell’anima e del giudizio finale; Platone e Aristotele hanno confusamente conosciuto la Trinità. Tra questi, Bacone, elogiò Seneca. Da lui venne ispirato per comporre la sua morale. Nonostante tutto però vi fu il mantenimento del genere enciclopedico, ansi raggiunse la sua acme con l’opera del francese domenicano Vincenzo di Beauvais. È importante ricordare questo poiché si tratta di un genere legato alla necessità dell’esegesi biblica e della predicazione religiosa, ma rimanevano sempre al di fuori dei corsi universitari. Quanto alle Belle Lettere, queste scomparvero del tutto dall’Università di Parigi, poiché una volta imparata la grammatica latina, bisognava leggere alcuni testi come la Bibbia, ma al loro posto furono utilizzate delle opere pseudo classiche (es: le gesta di Alessandro Magno). Lo studio della logica modifico l’insegnamento, in quanto si trattò di una meccanizzazione dell’insegnamento letterario. Questo cambiamento era accompagnato da un altro ancora più forte che colpiva lo spirito degli studi classici, poiché per spiegare un punto dubbio, invece di rimandare ad esempi presi dei migliori autori latini, i grammatici preferivano ormai risolvere tali problemi con le regole della logica. Si trattava di una rivoluzione. Non era più grammatica, bensì un’esposizione di una scienza del linguaggio dedotto razionalmente e costruito a priori, ovvero una grammatica speculativa. I grammatici si accorsero che ogni grammatica presentava 2 tipi di problemi:  I problemi propri della lingua in questione;  I problemi comuni a tutte le lingue, in quanto tutte le lingue hanno la stessa funzione, ovvero quella di esprimere un concetto attraverso le parole. Difatti la grammatica speculativa ha proprio per oggetto lo studio di regole universali che reggano l’espressione verbale di tutto il pensiero umano; quindi stiamo parlando di una grammatica universale. La cosa sorprendente è che tutto ciò non impedì alla teologia di raggiungere uno sviluppo prodigioso, poiché essa pensò bene di mettersi alla testa dei filosofi. Questo apportò ad un cambiamento: si vide succedere alla teologia patristica, che si nutriva dell’eloquenza classica, la teologia scolastica, che si nutriva della dialettica. Quindi la teologia cristiana seppe approfittare del successo della filosofia per perfezionare i suoi metodi di esposizione. 8. capitolo LA FILOSOFIA NEL XIII SECOLO. Il XIII secolo è l’età della teologia scolastica, nel quale si parla di aristotelismo cristianizzato e di metodo dialettico. Adesso i maestri commenteranno e leggeranno i trattati di Aristotele. 1) Da Guglielmo d’Auvergne a Enrico di Gand. Il divieto sancito da Gregorio IX riguardo l’insegnamento filosofico aristotelico, a molti parve esatto, ma ciò non fu possibile in quanto l’incontro tra la filosofia e il cristianesimo era già avviato, poiché erano già presenti delle opere come quella di Pietro di Poitiers e di Filippo il Cancelliere. Filippo il Cancelliere: egli scrisse la Summa de Bono che funge da anello all’immensa opera collettiva delle Summe ed i Commenti alle Sentenze del XIII, che si completarono a vicenda culminando con la Summa di S.T.d’Aquino. Gugliemo d’Auvergne: egli fu professore di teologia e vescovo di Parigi. Tra i suoi scritti più importanti citiamo il De primo principio, il De anima e il De universo. La line filosofica che egli segue è di tipo platonica e agostiniana con quella araba appena scoperta. Non scrive in vista dell’insegnamento bensì come un conversatore, vivace, spiritoso e sarcastico. Egli prese in considerazione la distinzione avicenniana di essenza e di esistenza. Il termine essere (esse) ha un duplice significato:  Essenza o sostanza senza i suoi accidenti: quindi ciò che essa è;  Il verbo essere designa quando predica una cosa qualunque; esse in questo caso ha un’eccezione, ovvero Dio. Questo principio è la base dell’esistenza di Dio. Il Dio di Guglielmo è semplice in quanto essere ed essenza non sono separabili, né nella realtà né nel pensiero, motivo per cui Dio è indefinibile. L’unico termine che possiamo attribuirgli è quello che assume nell’Esodo, ovvero Qui est “Essere”. Conseguenza vuole che il Dio di Guglielmo è un Dio creatore. Dio è l’essere per cui tutte le cose sono, e non ciò che esse sono. L’esistenza quindi dipende dall’Esse divino, che la presta piuttosto che darla. Per quanto concerne la creazione, Guglielmo, sostenne che Dio ha voluto che il mondo cominciasse nel e col tempo (Avicenna), poiché è stato creato dal nulla. L’atto creatore di Dio è profondamente volontario. Difatti gli individui che lo abitano dipendono direttamente dalla Volontà di Dio. L’anima per egli è una sostanza spirituale semplice, una e indivisa, con funzione conoscitiva per mezzo di Dio. Considerando l’anima indivisibile, ad essa non è possibile attribuire 2 intelletti: Intelletto possibile e Intelletto agente. Questo perché è solo attraverso Dio che l’anima acquisisce conoscenza. Come si acquisisce tale conoscenza? Dobbiamo considerare un oggetto, che per Guglielmo corrisponderebbe all’idea universale. Per conoscere tale oggetto dobbiamo necessariamente attuare un’astrazione capace di trarre dall’universale il particolare, per mezzo di tale azione questo oggetto viene percepito dai sensi che lasciano un’immagine meno precisa (es: statua Ercole) e astratta. Bonaventura ci mostra come il mondo possa condurci a Dio, ed è proprio la somiglianza tra le creature e il creatore che ci permetterà di sollevarci fino ad esso. Tre tappe fondamentali segneranno i momenti di questa ascesa:  La prima consiste nel ritrovare la vestigia di Dio nel mondo sensibile  La seconda consiste nel ricercare la sua immagine nella nostra anima  La terza supera le cose create e ci introduce nelle gioie mistiche della conoscenza e nell’adorazione di Dio. Tuttavia non è che il primo grado dell’ascesa poiché queste prove, per Bonaventura sono degli esercizi mentali, poiché la prova più decisiva che Dio ci offre è l’immagine della nostra anima. Per condurci ad esso dovremmo semplicemente cercare nella nostra anima, invece noi ci volgiamo verso Dio stesso, il che fa sì che troviamo in essa non più un’ombra o un vestigio, ma l’immagine stessa di Dio. Noi troviamo il creatore ogni qual volta che scendiamo profondamente in noi stessi. L’anima è una, ma le sue facoltà, o potenze, si diversificano secondo gli oggetti ai quali essa si applica. L’anima agisce sul corpo attraverso gli organi dei sensi, ovvero la conoscenza sensibile. Le immagini sensibili sono i dati da cui l’intelletto astrae la conoscenza intellegibile, tale astrazione però è l’opera dell’intelletto possibile. Lo si chiama ‘possibile’ perché da solo non sarebbe sufficiente per questo compito; di fatti ogni anima possiede, oltre al suo intelletto possibile, un intelletto agente, la cui funzione è quella di illuminare l’intelletto possibile, e renderlo capace di effettuare l’astrazione. E come raggiungere una conoscenza certa? (certitudinalis cognitio). Una conoscenza certa ha 2 caratteri: è immutabile e infallibile, se l ‘intelletto umano possiede delle conoscenze sicure è perché le idee divine stesse, che sono intellegibili e immutabili, illuminano l’intelletto umano, nella sua conoscenza degli oggetti corrispondenti. Però tale conoscenza chiara e certa, non è completa; le manca sempre il suo fondamento ultimo, che l’uomo cerca a tutti i costi di raggiungere. Questo fondamento ultimo sono le idee eterne, che per loro natura però sfuggono alla nostra vista. Ciò accade perché l’uomo si trova in una situazione intermedia: è più vicino alle cose che ha Dio, ma tuttavia tra Dio e le cose. È l’anima, centro posto tra i due estremi che si volge verso Dio con la sua parte superiore, mentre con la sua parte inferiore si volge verso le cose. Il mondo concepito da Bonaventura ha avuto inizio nel tempo, in quanto concepisce come impossibile l’idea di porre il mondo creato come coeterno a Dio. Bonaventura fa riferimento alla dottrina dell’anima di Aristotele, ossia l’Ilomorfismo. Secondo tale concezione ogni ente materiale è costituito da materia e forma. Tutti gli esseri creati secondo B. sono composti di materia e forma, ossia semplicemente di possibile e di atto; la materia non è né corporea né materiale piuttosto essa diventa questo o quello a secondo della forma che riceve. Sostiene questo partendo dal presupposto che: se solo Dio è Atto puro, è necessario che in ogni essere ci debba essere materia. Così anche gli angeli e le anime sono composti di una materia spirituale e una forma che la determina. L’anima proprio perché ha una sua forma e una materia indipendentemente dal corpo, essa dal momento in cui si impadronisce di un corpo, anche esso già costituito, gli conferirà la sua ultima perfezione. Pietro Olivi: anch’egli concepì la pluralità delle forme e la composizione ilomorfica dell’anima; quest’ultima è composta da anima vegetativa e anima sensitiva, che informano il corpo. Come S. Agostino, egli nega che la il corporeo possa agire sullo spirituale. Egli spiega come la sensazione formi il concetto, facendo appello alle facoltà dell’anima. L’anima è composta da una gerarchia legata alla materia spirituale; la materia è una delle facoltà dell’anima, e l’azione di questa, comunica alle altre facoltà, che percepiscono l’immagine. Pietro di Trabes: nega il fatto che Dio sia la luce dell’intelletto in ogni conoscenza, perché significherebbe che ogni essere intelligente sia in grado di vedere l’essenza di Dio. Accetta la dottrina dell’unione dell’anima e del corpo, mantenendo quindi la composizione ilomorfica dell’anima, ma nega che l’anima di forma del corpo. Inoltre egli negò la teoria secondo cui esisterebbe un intelletto possibile ed intelletto agente separati, piuttosto sono contemporaneamente uniti. Vitale di Four: la sua dottrina parte dall’assunto che l’essenza degli esseri è identica alla loro esistenza; lui non ammette che l’esistenza non è di pieno diritto, ma è voluta da Dio. Difatti l’esistenza è proprio l’essenza di questo rapporto con il divino. L’intelletto conosce attraverso la sensazione, dove l’anima conosce il singolare tramite questo atto. L’uomo partendo da questo singolare, potrà elevarsi fino alla conoscenza suprema. Ogni conoscenza però prevede l’illuminazione divina, ossia la penetrazione di Dio all’interno dell’anima. Raimondo Lullo: la sua vita si incentra su preoccupazioni apostoliche, in particola su mussulmani ed averroisti. Egli sostiene di riceve la dottrina dalla rivelazione divina, applicandolo ad un metodo di apologetica. Egli scrisse su delle tavole dei concetti fondamentali volti a convincere gli infedeli, presentati sopra. I mussulmani negano la rivelazione, mentre gli averroisti non la prendono in considerazione. Filosofia e religione sono separate, in quanto la prima parte dalla ragione, la seconda dai dati rivelati; la teologia è madre e maestra della filosofia, e per rendere possibile questa concordanza bisogno partire da principi ed accettarli. Questi principi sono combinati con delle regole: vengono fuori delle domande che possono applicarsi a tutto (Ars Magna). L’Ars Magna si avrà quando tutte le creature, imitazioni di Dio, con le loro facoltà collaboreranno per far conoscere il divino. Sebond: egli scrisse il Liber creaturarum, nel qual propone l’esistenza di un libro delle creature donatoci direttamente da Dio, che ogni cristiano deve difendere. I libri che il divino ci ha dato sono 2:  Il libro della natura, dato al momento della creazione, quindi l’uomo;  Il libro della scrittura, che può essere falsificato o falsamente interpretato. 3) Da Roberto Grossatesta a Giovanni Peckam. Siamo negli anni in cui Oxford rimase fedele all’ideale di Chartres, del platonismo agostiniano, alla scoperta della lingua araba, e la matematica, la quale era stata trascurata dai teologi di Parigi. I maestri di Oxfor. Roberto Grossatesta: è uno dei rari filosofi che conosceva il greco. Egli il De luce, in quanto fu influenzato dai trattati di ottica arabi. Secondo la sua concezione, Dio crea la materia e la forma. La prima che crea è la luce: una sostanza corporea sottile, capace di generare se stessa e di diffondersi in modo istantaneo sfericamente intorno ad un punto. La luce può essere ostacolata per 2 ragioni: o per mezzo di un ostacolo opaco che la ferma, oppure raggiunge il massimo della sua propagazione e per questo finisce. Questa sostanza è il principio attivo di tutte le cose. Quindi la formazione del mondo avviene per mezzo di questa propagazione, in quando essa espandendosi porta con sé la materia, da cui è inseparabile, che si moltiplica espandendosi a sua volta in tutte le direzioni, creando la massa dell’universo. In questo modo possiamo dire che Grossatesta pensa un universo finito. La luce arrivando all’esterno della sfera, crea il firmamento che riflette a sua volta il centro del mondo, che rimanderebbero alle sfere celesti. La sfera celeste più bassa è quella della Luna, ma al di sotto di questa vi sono altra 4 sfere: fuoco, aria, acqua e terra. La terra quindi trattiene e riceve le azioni delle sfere superiori. Tale propagazione, per Grossatesta, avviene tramite una linea retta. Motivo per quale pensa che sia di fondamentale importanza conoscere 2 figure: la sfera, perché la luce si propaga sfericamente; e la piramide, perché l’azione più potente che un corpo esercita su un altro è quella che parte da una superficie per concentrarsi su un solo punto. È quindi il trionfo dell’ottica e della geometria, e l’applicazione di un metodo positivo allo studio delle scienze della natura. Egli seguì le orme di Agostino, sostenendo che l’anima agisce sul corpo, in quando è più nobile, e non viceversa. Ma il problema adesso è comprende come quest’anima possa agire sul corpo: secondo Grossatesta lo fa mediante la luce, che funge da intermediario tra l’anima e il corpo. Per Grossatesta vi è una luce che appartiene alle cose intellegibili, e una luce corporea che appartiene alle cose sensibili. Per conoscere bisogna attuare un’astrazione compiuta dall’intelligenza. Però vi sono delle eccezioni, in quanto i beati e qualche eletto, dispongono di intelligenze capaci di cogliere l’intellegibile in modo diretto; invece tutte le altre intelligenze devono gradualmente sforzarsi, per mezzo delle sensazioni e lo sforzo dell’anima che deve distaccarsi necessariamente dal suo corpo e lasciarsi influenzare dalle idee divine. Ruggero Bacone: fu discepolo di Roberto Grossatesta (suo maestro). Redasse il suo Opus maius, composto su richiesta di papa Clemente IV, componendo le sue idee relative all’astrologia. Tali idee però gli valsero l’accusa da parte di un vescovo per condannarlo alla prigione nel 1278. Fu scarcerato nel 1292, data in cui compose il suo ultimo scritto, Compendium studii theologiae. La seconda parte dell’Opus maius è dedicata alla definizione dei rapporti tra filosofia e teologia: per egli vi è una sola sapienza perfetta che domina tutte le scienze, ed è la teologia, e solo due  Essere universalmente in potenza rispetto ad ogni forma;  Essere in relazione con la forma per quell’inclinazione a riceverla che si chiama privazione. La sostanza a sua volta è formata da quelle contrapposizioni interne che avvengo all’interno della materia prima. Fu proprio Platone, il primo greco che raggiunse il concetto di materia prima: egli disse che ogni ordine di sostanze hanno una loro materia, per esempio il cielo e gli elementi, hanno una materia in comune che, in quanto potenza pura, è comune a tutti gli esseri composti, corpi celesti- terresti, sostanze corporee e spirituali. Tutto ciò per dire che l’autore della Summa ammette dunque la composizione universale di materia e di forma. La forma che costituisce la sostanza determinando la materia si chiama forma sostanziale. Quindi solo Dio è causa creatrice dell’esistenza, perché è forza prima, eterna, increata e creatrice. Egli è anche forma prima, intelligenza e volontà. Per tale autore, la moltiplicazione dell’Idea è quindi opera della volontà. Qui arriviamo ad una sistemazione tripartita dell’Idea:  Vi è l’idea propriamente detta;  Poi vi sono le specie che nascono in Dio dalla sua contemplazione dell’idea;  Poi vi sono infine le theoriae, ovvero delle visioni di cose da fare, che sono nell’intelletto divino, ma dipendono sempre dalla volontà. Al di sotto di queste teorie vi sono le teofanie, che sono delle impressioni intellegibili prodotte dal Bene supremo, che riceviamo per mezzo delle creature dotate di intelletto. Queste creature dotate di intelligenza, sono a loro volta unite a dei corpi che si chiamano anima. Per il metafisico, l’anima umana la definisce come una sostanza individuale completa; mentre il filosofo la vede in quello che essa ha in comune con tutte le anime razionali o no, per questo la definisce come l’atto del corpo umano che ha la vita in potenza. In realtà essa è tra le due: è una sostanza incorporea intelligente unibile al suo corpo ed ha anche la capacità di staccarsi da esso. Dunque la Summa non lega l’anima al corpo e chiarisce il fatto che essa sia il risultato di un adattamento perfetto tra la materia e la forma di cui essa si compone. 4) Alberto Magno. Peripatetico: appartenente alla scuola di Aristotele, che usava tenere lezioni e discussioni filosofiche passeggiando con i suoi discepoli nel porticato interno del liceo di Atene; seguace di Aristotele. A partire dal XIII secolo vi fu una vera e propria adesione al peripatetismo da parte dei teologi e apportò ad una rivoluzione nella storia del pensiero occidentale. Alberto Magno: la realizzazione dell’opera di Alberto magno, fu completata da S. Tommaso d’Aquino, difatti è possibile ritrovare molto materiale nell’opera di S.T. Il merito da riconoscere ad Alberto Magno fu quello di aver individuato l’importanza della filosofia greco-araba, che analizzò ed interpretò in maniera sistematica. Difatti dai suoi scritti emerge il fatto che egli assimilò logica, fisica, matematica, metafisica e morale. In suo obiettivo era quello di restituire Aristotele al mondo Occidentale contestualizzandolo ed adattarlo nel XIII secolo. Egli distinse la filosofia dalla teologia. La grandezza di Alberto Magno fu quella di introdurre ed adattare la filosofia all’interno del cristianesimo, trovando il giusto mezzo: ovvero attuando una speculazione filosofica su un terreno più solido di quanto non avessero fatto i suoi predecessori. Con l’aiuto di Aristotele, egli poté affermare che l’anima umana acquisisce ciò che essa è, difatti esaminando sé stessa, si scopre essenza e vuota del mistero della Trinità. Difatti la Trinità, come la Resurrezione, l’Incarnazione e tutti gli altri misteri, la conosciamo solo mediato l’atto di rivelazione. I suoi scritti formano 4 blocchi:  La Summa de creaturis;  In IV libros Sententiarum;  Insieme di trattati sulla filosofia;  Summa theologica. La cosmogonia di Alberto Magno è possibile ricondurla al pensiero di Tolomeo, in quanto egli che esistano le 10 sfere e il loro movimento, però quando si vuole spiegare la creazione del mondo, egli sostiene che l’universo sia stato creato da Dio mediante il suo atto di volontà libero. Per quanto riguarda l’uomo, Alberto, accetta che questo sia composto da anima e corpo, ed è proprio l’anima razionale a elevare l’uomo e dotarlo di ragione. Così l’anima umana è capace di conoscenza intellettuale, ammettendo così che l’anima è una sostanza intellettuale e che l’essere forma del corpo sia una delle sue funzioni. Nel momento della creazione del mondo, Dio dà alla materia delle forme, che sarebbero gli universali divini. Dio rappresenterebbe l’Intelligenza agente, capace di genere le sostanze con la sua emanazione. Alberto non perde qui occasione di confutale la teoria dell’intelletto agente di Avicenna: per egli ogni anima possiede un intelletto possibile e un intelletto agente. Infatti poiché l’anima umana è una sostanza spirituale completa in sé stessa, deve avere dei poteri, o facoltà, necessarie all’adempimento delle sue operazioni. In quanto immagine di Dio, l’anima possiede un intelletto agente, come una luce che è causa prima della conoscenza, quindi causa l’intellegibile. Per ricevere questo intellegibile bisogna aggiungere all’intelletto agente, un intelletto possibile. In questo modo l’intelletto agente rende intellegibili in atto le forme dei corpi sensibili: e attraverso esse passa da potenza in atto l’intelletto possibile. Questo è il processo dell’intelletto umano, che dà la possibilità di elevarsi alla conoscenza più alta. Potremmo concludere dicendo che considerata l’anima come immagine di Dio, l’uomo conosce solo tramite la volontà di Dio e la sua grazia: tesi più cristiana di questa non poteva esistere. Quindi il nostro intelletto ha bisogno ogni volta di un dono gratuito dello Spirito Santo. SAN TOMMASO D’AQUINO. Sant Tommaso nacque a Roccasecca, vicino Aquino, tra il 1224-25. Egli andò all’Università di Napoli, città in cui studiò e divenne domenicano. Si spostò a Parigi insieme al suo maestro Giovanni il Teutonico, e studiò teologia. Nel 1248 lascia Parigi per dirigersi a Colonia, dove fondò uno studium generale. Nel 1252 tornò a Parigi e divenne maestro di teologia. Morì nel 1274 a Fossanova. I primi scritti di Tommaso sono: De ente et essetia e Commento alle sentenze. Egli cercò di spiegare Aristotele nei suoi Commenti ad Aristotele, le Summe e le Questiones disputatae. Il Commento alle sentenze permette di farci conoscere le sue teorie influenzate da Avicenna, ma che rifiuterà. La filosofia tomista è esplicata nella prima e seconda parte della Summa theologiae. La Summa contra gentes contiene le stesse teorie, ma cerca una dimostrazione razionale, cercando di risolvere le problematiche esposte nella Summa. Alla base della filosofia tomista troviamo la distinzione tra ragione e fede e la necessità del loro accordo. La filosofia dipende dalla ragione; mentre la teologia dipende dall’autorità di Dio e quindi sulla rivelazione. Un filosofo cerca di argomentare i principi che espone ricercandoli nella ragione, a differenza del teologo che li ricerca nella rivelazione. Questo vuol dire che, quando la filosofia contraddice il dogma, è segno che il suo ragionamento è falso, quindi la ragione dovrà analizzare il suo errore. La ragione deve cercare in tutti i modi di risalire verso la rivelazione, pero ridiscendere dalla rivelazione alla ragione. Perciò, o dimostriamo che le filosofie si sbagliano, oppure che la prova razionale è impossibile, e quindi la decisione deve essere attribuita alla teologia, quindi alla fede. L’opera della scienza sacra è quello di mostrare alla nostra ragione il dogma. San Tommaso distingue 2 tipi di teologia: la teologia rivelata, che parte dal dogma, e la teologia naturale, utilizzata dalla ragione. Dio e la sua esistenza: Dio rivela la sua esistenza, e possiamo contemplarla tramite la teologia naturale. Come possiamo dimostra l’esistenza di Dio? San Tommaso utilizza le 5 vie: 1: dato che nell’Universo c’è il movimento, questo deve avere necessariamente una causa, che deve essere esterna al movimento stesso; infatti, non può essere sia principio motore, sia la cosa mossa. Quindi bisogna ammettere che sia mosso da altro, ovvero Dio. 2: prima del movimento, ogni cosa deve esistere, quindi ogni cosa che esiste deve avere una causa, e questa prima causa è Dio. 3: dato che le cose si generano, potevano esistere; altre si corrompono, quindi potevano non esistere. Ora, esistere o non esistere, significa non avere un’esistenza necessaria. Il necessario non ha bisogno di una causa per esistere, quindi se esiste, esiste per sé stesso. Poiché una cosa sia, questa necessita di qualcosa che la faccia essere. Ciò significa che, se c’è qualcosa, è perché c’è il necessario. Questo necessario ha bisogno di una causa, e questa causa è Dio. Scritture, e la ragione, è la fede a dover decidere. Filosofare significa cercare ciò che hanno pensato i filosofi, e non la verità. Sigeri affermò che Dio è la causa efficiente delle cose, è causa finale. Il mondo è eterno, ed anche le sue specie terrestri; i fatti si riproducono infinitamente, si precede così la teoria dell’eterno ritorno. Sigeri riprende la teoria dell’unità dell’Intelletto agente di Avicenna, a cui dovette rinunciare. Ma la scoperta di alcuni frammenti mostrarono che per Sigeri l’Intelletto agente sarebbe Dio, e che la beatitudine, accessibile all’uomo sulla terra, consisterebbe con l’unione con l’intelletto agente, quindi è probabile che non abbia mai rinunciato a tale teoria. Boezio di Dacia: ignora la fede, poiché sostiene che il sommo bene è accessibile all’uomo tramite la ragione e ciò si può trovare nell’Intelletto, facoltà veramente divina nell’uomo, se c’è qualcosa di divino su cui credere. 7) Sapienza e società Nel XIII secolo, vi furono molteplici soluzioni proposte alla teologia scolastica, senza che nessuna sia riuscita a imporsi. Furono due le principali concezioni alla base della sapienza cristiana:  quella di Ruggero Bacone, il quale sostenne che la sapienza è l’insieme delle scienze che ricevono la rivelazione. Dio ha in primo luogo rivelato la Sapienza ai profeti. Tale sapienza è contenuta nelle Sacre Scritture che devono essere espletate con il Diritto Canonica e la Filosofia. Quest’unità della Sapienza si traduce in quella dei fedeli, uniti sotto l’autorità del Papa, riconosciuto da questi come custode della rivelazione. Il Papa detiene la scrittura, quindi l’intera sapienza. È questo il dono che Dio gli ha affidato, e con questo può dirigere il mondo intero. Con ciò potremmo dire che la Sapienza esercita due funzioni: essa ordina, promuove, dirige la Chiesa verso tutti i beni spirituali in maniera tale che tutti i fedeli possano ricevere un giorno la ricompensa della beatitudine; inoltre, ha il compito di reggere tutta la respublica fideli, provvedendo ai bisogni all’educazione e assicurare un’esistenza nella pace e nella giustizia. L’opera di questa conversione ha il fine di estendere questa repubblica dei fedeli ai limiti dell’universo, questa è la funzione sociale della Sapienza cristiana. Il disordine nel corpo sociale, compare quando invece di essere governato dall’intelligenza, esso obbedisce alla cupidigia e alla forza fisica. Ciò infatti ha portato Tommaso d’Aquino, a designare i teologi come consiglieri dei principi. Esistono due ordini sociali: il potere temporale e il potere spirituale, entrambi si vincolano l’un l’altro. In realtà il potere temporale è subordinato al papa che ha il compito di condurre, con il suo potere spirituale, il principe e il popolo. I principi dovranno istruirsi con i preti, presso la legge divina. Il potere spirituale e quello secolare provengono entrambi dal potere divino, e vi è una sottomissione del potere secolare a quello spirituale. In realtà la teocrazia pontificia, non consiste nel sopprime il potere temporale dei principi, ma nel subordinarlo alla regalità di Cristo Re. Gli ultimi anni del XIII secolo e l’inizio del XIV secolo, videro comparire molti scritti concernenti il problema tra il potere sacerdotale e gli Stati. Il temporale esiste per lo spirituale; chi domina lo spirituale domina anche i corpi. Dante, a tal proposito pretese di pensare che i due poteri dipendessero direttamente da Dio, ma non è vero. Se i corpi fossero da una parte e le anime dall’altra, si potrebbero lasciare i corpi al re e le anime al papa; ma i corpi e le anime sono uniti, conseguenza vuole che il papa non ha solo autorità sulle anime ma anche sugli uomini. Dante, nel trattato De Monarchia, sulla necessità di un unico capo la cui autorità provenga da Dio, egli trae delle conclusioni completamente opposte, perché egli distingue due fini ultimi dell’uomo: l’uomo partecipa all’incorruttibilità e alla corruttibilità. Proprio perché l’uomo è corruttibile, il suo fine ultimo è la felicità. La felicità di questa vita la possiamo raggiungere per mezzo della ragione naturale, che ci è rivelata dai filosofi, mentre dall’altra parte la felicità della vita futura la possiamo ottenere, seguendo gli insegnamenti di Gesù Cristo. Egli, in questo modo, fissava due punti distinti: che il mondo deve essere posto politicamente ad un solo imperatore, e che questo imperatore debba essere politicamente indipendente dal papa. 8) Il bilancio del XIII secolo. Il XIII secolo ebbe il privilegio di ereditare il meglio del pensiero filosofico greco: Platone, Aristotele e Plotino.  PLATONE: il problema fondamentale fu quello di risolvere e spiegare cosa fosse l’essere. Egli si basò su due concezioni che prevalevano nella sua epoca: quella di Eraclio, il quale aveva identificato l’essere come un flusso mutevole del divenire; infatti niente rimane quello che sembrava essere. Quella di Parmenide, che aveva ridotto il problema al suo dato intelligibile: l’essere è, esso è ciò che è, e non potrebbe senza cessare di essere, diventare altro da ciò che è. Di fronte a tale dilemma Platone si sforzò di trovare all’interno del mondo in divenire e nel cambiamento, un ordine intelligibile. Per arrivarvi, cominciò con l’applicare all’ordine sensibile il metodo dialettico di Socrate, per astrarre dal mondo delle essenze intellegibili, alle quale diede il nome di idee. Gli esseri “sensibili”, sottoposti al cambiamento, non sono che delle immagini fuggite dall’essere reale, ma questi sono solamente transitori quindi non esistono realmente. Se l’essere è, ed è ciò che è, come può essere molteplice? Per risolvere questo enigma, egli ricorre all’Intelletto per raggiungere le idee, ovvero raggiungere la loro essenza. Con questo vuole dirci che al di là del piano dell’essere, vi è un altro piano più profondo, sede di un principio unico dal quale tutte le cose derivano: questo è il Bene, la fonte di ogni essere da cui deriva. Il Bene, lo definì come l’Uno, origine dell’essere e dell’intelligibilità. Per raggiungere l’Uno, si deve necessariamente applicare un metodo, la dialettica, che consiste nell’ascendere dell’intelletto che risale alla molteplicità degli individui, all’immutabile molteplicità delle idee e superando infine queste, con uno sforzo di eleva fino all’Uno. Come spiegare la generazione del molteplice dall’Uno? Egli lo spiega nel suo Timeo, attraverso l’atto della nascita. Immagina, infatti, un Demiurgo, artefice del mondo, incaricato di impartire ordine e bellezza nel cosmo. Egli l’ha formato come un corpo nel quale si trova un’anima, e all’interno di essa un Intelletto. I suoi prodotti iniziali sono dei viventi divini, e quelli che noi categorizziamo come viventi mortali (animali, piante) sono le opere di questi viventi divini. ARISTOTELE: L’essere di cui ci parla è sostanza prima, che noi raggiungiamo empiricamente nei corpi per mezzo della sensazione. Per lui le essenze sono inserite all’interno degli individui difatti, ciò che di reale c’è, negli esseri, è proprio l’essenza. Poiché gli esseri hanno il titolo di sostanze, si deve spiegare la causa in virtù della quale essi sono. Questa volta non basta ricorrere al mito platonico, perché non è in grado di spiegare ciò. Si necessita adesso di una scienza, quell’aristotelica, capace di proporre una genetica della sostanza: ossia la METAFISICA. Gli esseri trans naturali sono le cause degli esseri fisici percettibili ai sensi. Proprio perché la loro natura non prevede che siano fatti di materia, essi sono sostanze pure, quindi intelligibili. Questi sono gli dei, posti in una vera e propria gerarchia, subordinati ad un Atto Puro di un pensiero che pensa se stesso ed è anche la causa finale degli atti che essi sono. Solamente S. Tommaso riuscì a superare Aristotele collegando in maniera indissolubile l’essere reale e l’atto d’esistere.  PLOTINO: Egli fu il fautore della combinazione di queste due soluzioni del problema dell’essere creando il neoplatonismo. Il risultato fu quello di rimettere il Bene e l’Uno di Platone in primo piano, ma attribuendogli il ruolo di Causa dell’essere che Aristotele aveva attribuito al pensiero puro. Il problema che dovette affrontare fu quello di spiegare come il molteplice possa procedere dall’Uno. Ciò che procede da Esso, è necessario e possibile soltanto per lui. Così l’uno che procede dall’Uno, non è più l’Uno bensì è duplice, e proprio in questa dualità che si crea la molteplicità. Dunque la generazione dell’essere parte dall’Uno. 9 capitolo. Giovanni di Rodington: egli afferma che, se ogni conoscenza esige l’illuminazione dell’intelletto da parte delle idee divine, allora senza tale illuminazione nessuna conoscenza sarebbe possibile. Ugolino di Malabranca: egli sostiene che la filosofia si serve di mezzi di prova falsi e inadatti. I fedeli sono muniti di fede e gli basta. Parla di Dio come intelletto agente che illumina il nostro intelletto. 2) Da Giacomo di Metz a Guido Terrena. La scolastica iniziò ad essere influenzata da S. Tommaso, molti seguirono la dottrina domenicana, e molti altri però non persero l’occasione di criticarla. Vi furono molti autori posteriori a S. Tommaso che animarono il XIV secolo. Giacomo di Metz: egli commentò ben due volte Le Sentenze. Cerca di risolvere il problema dell’individuazione, sostenendo che sia la forma a dare unità alla materia: come potrebbe allora la materia individuare la forma? Per egli l’individualità coincide con la sostanza. L’intelletto agente deve conferire l’impressione materiale (phantasma) partendo dalle specie sensibili. Questo è l’atto che produce conoscenza e genera la parola mentale. Durando di San Porziano: egli con il suo Commento alle Sentenze, ebbe difficoltà all’interno del suo ordine domenicano. Il suo torto fu quello di non essere un tomista e d’averlo detto in un epoca in cui Tommaso ne era il dottore ufficiale. Fece tre redazioni del suo Commento, e proprio nella prima che egli espose il suo pensiero, nella seconda invece vi fu una censura ma ancora circolava la precedente. Uno dei problemi filosofici che affrontò fu quello della natura della relazione e del suo rapporto con l’essere relativo. Il problema teologico delle relazioni tra le persone divine in seno alla Trinità: egli sostenne che tale relazione fosse il risultato di una specie di tendenza interna di un essere rapportarsi ad un altro. Tale relazione comprendeva la sostanza, la quantità o la qualità prese nelle loro diverse tendenze verso altro (in questo modo giustifica le 10 categorie di Aristotele). Il problema della Trinità, egli cerca di risolverlo attraverso la distinzione dei tre modi di essere, costatando che siano distinti. C’è dunque distinzione reale tra il soggetto e la sua relazione; la maggior parte delle relazioni, sono soltanto nel pensiero; una sola è reale, cioè l’esigenza di un altro in un essere, ed è la Casualità. Egli concepisce l’uomo come unione del corpo e dell’anima che ne è la forma, ma questa nozione rende difficile concepire l’immortalità dell’anima. L’anima conosce se stessa mediante la sua essenza, e all’intelletto per conoscere gli basta che la cosa intellegibile gli sia presentata davanti attraverso un qualcosa che la rappresenti. Durando vuole dirci che la vera causa della conoscenza è l’intelletto, e quindi esso è la causa della conoscenza. La causa di tale conoscenza la definisce come Atto primo (senso, intelligenza) e non come atto secondo ( la loro operazione). Questo è un segno evidente di opposizione verso coloro che negavano l’intellezione non come atto, bensì come oggetto. Il fatto che l’intelletto conosca o meno, dipende dalla presenza o assenza di un intellegibile, è qui che l’intelletto diventa una conoscenza in atto, e ciò che è vero dell’intellezione lo è anche della sensazione. Per spiegare questa presenza degli oggetti all’anima, basta che l’immagine sensibile che l’anima se ne forma dia all’atto dell’intelletto il contenuto di cui quest’ultimo necessita per conoscere. Il lavoro dell’intelletto consiste nel dare una nozione universale a quello che c’è di comune nelle essenze. Pietro Aureolo: fu un frate minore e maestro di teologia a Parigi. Scrisse il Tractatus de Principiis e un Commento alle Sentenze, attaccando Scoto, S. Tommaso e Bonaventura. Egli critica Scoto sostenendo che la forma non può esistere ed essere concepita separatamente dalla materia. Il concilio di Vienna del 1311-1312, aveva appena decretato, d’altronde, che la sostanza dell’anima razionale o intellettiva è veramente e per sé forma del corpo umano. Aureolo interpreta alla lettera questa forma che renderebbe inconcepibile l’immortalità dell’anima, che non è evidente ma anche la conoscenza intellettuale che tutti possono costatare. L’anima così intesa è la formazione del corpo stesso, quindi non bisogna più ricercare la causa che lega l’anima al corpo. Se le cose stanno così allora c’è una seconda tesi che si deve credere senza capirla, l’immortalità dell’anima. Se l’anima è forma del corpo, essa nasce e perisce con esso, però vi è qui Dio che agisce mediante la sua volontà, difatti egli può decidere di conservare l’anima senza il corpo; ma questo sarebbe un miracolo. La conoscenza intellettuale è possibile ottenerla solo se l’anima umana si separi dal corpo; e successivamente bisogna che il corpo e l’anima arrivino a congiungersi rispetto alla conoscenza che si ha avuto attraverso la parte sensibile. C’è dunque nell’anima una collegatio dovuta al fatto che l’intelletto è incapace di cogliere l’intellegibile, senza l’aiuto dell’immaginazione; quindi l’anima ha bisogno di questi due modi di conoscere che definiamo ATTO D’INTELLEZIONE. In realtà durante quest’atto, è l’anima a voler conoscere e a volgersi, come intelletto, verso le impressioni sensibili (phantasmata). Le cose hanno una forma e queste forme possiedono una qualità che si chiama somiglianza ed è il fondamento che si trova negli universali. Questi universali esistono all’interno dell’intelletto. Per produrli esso assimila tale somiglianza, in quanto intelletto agente, e assimila se stesso ad essa in quanto intelletto possibile. Questa operazione si chiama conceptio ed il suo risultato è il conceptus. Quindi la diversità dei concetti deriva dalle impressioni prodotte dalle cose sull’intelletto. Il tutto dipende dal soggetto, fissare o no sull’intelletto un oggetto, per questo la conoscenza sensibile è esposta a parecchi errori. Guido Terrena: scrisse Commenti ad Aristotele e un Commento alle Sentenze. Egli rifiuta ogni realtà alla natura comune. Una somiglia tra le sostanze esiste, però tuttavia sono distinte le une dalle altre. Questa somiglianza è relazione reale che si fonda sulla natura delle cose. Questa sua posizione la potremmo definire come, semi-nominalista in quanto la scienza del generale si fonda finalmente sul singolare. 3)Guglielmo d’Ockham. Verso la fine del XIII abbiamo assistito ad una sorta di unione tra la teologia naturale e la teologia rivelata; molti si sforzarono di determinare un punto di vista da cui tutte le conoscenze razionali e tutti i dati di fede possano comparire come gli elementi di un unico sistema intellettuale. Motivo per il quale si tende definire il XIV secolo come un secolo di critica della filosofia da parte della teologia, o anche della stessa teologia sulle istanze della teologia; inoltre lo ricordiamo anche come il secolo nel quale si annunciano le prime scoperte della scienza moderna. Guglielmo d’Ockham: egli nacque prima del 1300, apparteneva all’ordine dei francescani e studiò ad Oxford. Accentò la separazione tra filosofia e teologia. Inoltre fu richiamato ad Avignone per rispondere di un’accusa di eresia per alcune sue dichiarazioni. Si inimicò papa Giovanni XXII, fuggì e si rifugiò a Pisa, presso l’imperatore Luigi di Baviera. Morì intorno al 1349-50. Egli scrisse: concezioni filosofiche su Aristotele, ma anche trattati teologici come Commento alle Sentenze¸ Quodlibeta septem e il Centiloquium theologicum, nel quale è evidente il suo pensiero. Il suo genio consistette nell’unire, senza una loro origine comune, religione e filosofia. Egli riconobbe come valido, un solo genere di dimostrazione: provare una proposizione consiste nel dimostrare che essa è immediatamente evidente, sia che essa si deduce da una proposizione evidente. L’evidenza è un attributo della conoscenza completamente diverso dalla scienza o sapienza. Infatti una conoscenza può essere o astratta o intuitiva: se essa è così, purtroppo, non ci garantisce che le cose reali combacino con l’ordine delle idee. Se vogliamo ricercare una proposizione che ci possa garantire la verità e la sua realtà, ci occorre un’evidenzia immediata, intuitiva, non astratta, in modo tale da poter raggiungere i fatti. La conoscenza astratta non ci permette di capire se una cosa esiste; solo l’intuizione ci fa comprendere se una cosa è, e quando non è. Da ciò potremmo dire che la conoscenza sensibile è la sola sicura quando si tratta di raggiungere le esistenze. La conoscenza intuitiva è il punto di partenza della scienza sperimentale. Se vogliamo affermare con sicurezza la causa di un fenomeno, è necessario fare esperienza, perché è solo mediante questa che potremmo attribuire la sua causa fenomenica. Siamo stati abituati finora a considerare, con il tomismo, la scienza come qualcosa di generale. L’originalità di Ockham sta proprio qui: non è la scienza del generale, bensì è l’evidenza del particolare che si vuole raggiungere. Per distogliere la ragione dal sapere astratto, che ci induce nell’errore, si devono attribuire all’intelletto umano delle facoltà necessarie che gli possano garantire di apprendere il particolare. Ockham parte da presupposto che le cose individuali e le loro proprietà sono le sostanze, e quindi l’universale esiste nell’anima del soggetto conoscente. Egli sostiene che le proposizioni siano il tessuto stesso di cui è fatto il sapere: nulla vi è al di fuori di esse che possa essere conosciuto, in quanto si compongono di termini pensati, parlati e scritti, che sono gli universali. Secondo Ockham il termine che sta all’interno di una proposizione è l’oggetto di cui esso “tiene luogo”. Questo termine si chiama suppositio. Ci sono 3 casi di suppositio:  1° caso: il termine significa la parola stessa che lo costituisce; esempio: “uomo è una parola”, uomo tiene luogo alla parola “uomo” presa nella sua materialità, difatti questa supposizione si chiama suppositio materialis.  2° caso: il termine indica gli individui reali; esempio: “l’uomo corre”, questa indica una persona, difatti questa supposizione di chiama suppositio personalis.  3° caso: quando sta ad indicare un qualcosa di comune; esempio: “l’uomo è una specie”, qui sta ad indicare una comunità, difatti questa proposizione di chiama suppositio simplex. Per tale motivo Ockham dice che ogni cosa reale è individuale, e sottolinea come sia difficile spiegare, partendo da questi blocchi individuali, senza nulla in comune, come il pensiero possa Nicola d’Autrecourt: fu un membro della Sorbona. Il punto di partenza della sua dottrina fu la teoria della conoscenza di Ockham. Egli nega il concetto di Ockham, riguardo al fatto che possano esistere delle conoscenze certe ed immediatamente evidenti. Per lui l’evidenza ha due fonti: -la costatazione sperimentale -l’affermazione dell’identità di una cosa con sé stessa. Egli si pose un quesito: Qual è il principio primo al quale devono riportarsi tutte le conoscenze certe? È il principio di contraddizione, poiché due contraddittori non possono essere veri allo stesso tempo. Ne derivano così 6 corollari (Verità conseguente da un'altra precedentemente dimostrata): 1. la certezza che ogni conoscenza che si fonda su questo principio è vera. 2. non ci sono gradi dell’evidenza, poiché tutto quello che è evidente lo è per tutti. 3. a parte la fede, solo il primo principio è certo e ciò che ad esso conduce. 4. ogni conclusione sillogistica è vera se questa deriva dal primo principio. 5. Ogni conseguenza che si riconduce al primo principio deve essere identica a tutto o a parte del precedente 6. Se ogni conseguenza si riconduce al primo principio, l’antecedente è identico al conseguente, qualunque sia il numero degli intermediari. Con Questo Nicola ci vuol spiegare che il primo principio ci garantisce semplicemente che una cosa stessa non può essere contemporaneamente sè stessa e il suo contrario. È evidente che il suo pensiero si ricollega a quello di Guglielmo d’Ockham poiché sostiene che sia la sola esperienza che ci autorizza a fare delle affermazioni. Ponendo queste tesi, ovvero nel momento in cui afferma che il principio primo è il principio di contraddizione, egli non pretende che noi possiamo derivarne tutte le altre nostre conoscenze; questo principio non è l’origine delle nostre conoscenze, ma il criterio della verità. L’origine delle nostre conoscenze è nell’esperienza, e attraverso il principio di contraddizione che tale verità viene messa in evidenza immediata. Però il principio di contraddizione non è capace di garantirci che un fenomeno possa accadere con certezza, e che quindi esista. Per Nicola le sole sostanze di cui possiamo affermare l’esistenza sono le nostre anime e ciò che constatiamo per mezzo dei sensi. Al di fuori di questa conoscenza sensoriale noi non possiamo affermare l’esistenza di nessun’altra sostanza, poiché se ce ne fossero altre, noi le conosceremmo sia per esperienza immediata e senza il ragionamento. Ma semmai ne avessimo l’intuizione diretta, tutti conoscerebbero queste sostanze e gli stessi contadini saprebbero quali esse siano. Da ciò risulta che nessuno abbia potuto dedurre l’esistenza di altre sostanze. Rifiutando quindi l’affermazione Aristotelica della sostanza, Nicola aderisce all’ atomismo epicureo. In natura esiste solo una specie di movimento, ovvero, il movimento locale. La generazione e la distruzione dei corpi non sono il susseguirsi di forme in uno stesso soggetto, ma semplicemente degli atomi che si aggregano quando i corpi si formano, e si disgregano quando i corpi si disgregano. Quanto all’anima essa consiste in un certo spirito che si chiama l’intelletto, ed in un altro che siamo il senso. Quando gli atomi del corpo si disgregano, l’intelletto e il senso continuano ad esistere. C’è quindi un’immortalità sicura. Infatti il corpo si ricostituirà e si disgregherà un un’infinità di volte. Giovanni Buridano: egli fu rettore dell’università di Parigi, e un logico. Fece parte di quel gruppo di maestri che proibì l’insegnamento delle tesi di Ockham. Egli sostiene come Aristotele, che ogni scienza ha un soggetto, e questo soggetto è un termine. Il termine che fa da soggetto alla logica è l’universale. Buridano nega quindi le suppotitiones logiche di Ockham, in quanto la divisione tra nomi comuni propri e comuni, in realtà, ricondurrebbero al medesimo soggetto. Nomi comuni e nomi proprio indicano quindi la stessa realtà sotto 2 diversi aspetti. Quindi il nostro pensiero non più dal particolare, bensì dall’universale, ovvero da una specie o da un genere. Buriano inoltre ebbe interessi per le problematiche di filosofia naturale. Aristotele sostenne che ogni mobile sia mosso per mezzo di un motore separato da esso; per spiegare come tale mobile si possa muovere nonostante la separazione dal suo motore, introdusse l’aria. Per Buridano pretendere che l’aria possa conservare e garantire il movimento, è un’assurdità, e propone una nuova tesi: nel momento in cui il motore muove il mobile, imprime uno slancio, tale slancio è proporzionale alla velocità con cui il motore muove il mobile, e da un'altra parte alla quantità di materia del corpo che lo riceve, questo è lo slancio che conserva il movimento finchè la resistenza dell’aria e la pesantezza, che contrastano il movimento , finiscono con l’averne vinta sul movimento, facendolo arrestare. Lo slancio che inizialmente si dà al mobile, diminuisce e cede alla gravità, facendo cadere il mobile. Allora egli si chiede, come possano le sfere celesti continuino il loro movimento da sole; pensa che Dio inizialmente abbia dato uno slancio a queste sfere al momento della creazione, e che conservò questo slancio negli esseri che animano le sfere, ed inoltre sono aiutate dal fatto che non incontrano nessuna resistenza. Alberto di Sassonia: egli fu discepolo di Buridano, difatti nei suoi scritti ritroviamo la Teoria dello slancio e la sua applicazione al problema del movimento delle sfere celesti, nel quale bisogna porre al primo posto la Teoria della gravità. Buridano però non diede una definizione precisa di gravità, poiché i corpi cadono perché vanno a raggiungere il loro luogo naturale, ossia la terra. Ma qual è il luogo naturale della terra stessa? Alberto trova 2 risposte: una risalente ad Aristotele, che riteneva che il luogo di un corpo sia la superficie interna del corpo stesso che lo circonda, e afferma che il luogo naturale della terra è la superficie interna del mare e dell’aria che la ricoprono. L’altra risposta, si ritiene che il luogo naturale della terra sia il centro del mondo. Alberto al tal proposito sostiene che la terra non abbia una gravità uniforme, e che tutte le parti della terra ed ogni corpo, tendano a far sì che il loro centro di gravità diventi il centro del mondo. Così arriviamo ad una definizione della gravità: essa è la tendenza che un corpo ha, di unire il suo centro, al centro del mondo. 5) L’averroismo filosofico e politico. Nonostante fosse stato condannato nel XIII secolo, l’averroismo nel XIV secolo continuò a svilupparsi sia in Inghilterra, ma particolarmente a Parigi dove cercarono di diminuire il distacco fra rivelazione e filosofia. Fitz Ralph: egli sostiene che l’intelletto agente fosse la forma prima, quindi Dio, che si unisce al pensiero dell’uomo in modo tale da essere pronto alle intellezioni che si trovano all’interno delle facoltà corporee dell’uomo. L’agostinismo di Ralph, proviene da Enrico di Gand secondo cui l’illuminazione divina è capace di conferire all’uomo una conoscenza attuale.; mentre per Ralph è una conoscenza abituale: man mano che il corpo perturba l’anima la luce divina aumenta nel pensiero con l’esercizio della speculazione. Giovanni di Jandun: egli pone la verità alla ragione, andando contro la fede. Egli difende Averroè contro Tommaso. Inoltre, sostiene che la sostanza dell’anima abbia delle facoltà che hanno il fondamento nell’essenza dell’anima: l’intelletto agente, l’intelletto possibile e la volontà. Marsilio da Padova: egli distingue due modi di vita: la vita temporale, regolata da principi filosofici; la vita eterna, cui si raggiunge tramite l’aiuto dei preti con la rivelazione. I bisogni della vita temporale sono soddisfatti da lavoratori manuali. Le sette all’interno di una società sono utili perché incitano i cittadini a rispettare la morale, a seguito delle loro dottrine quali premi e castighi dopo la morte. I preti insegnano il Vangelo per la salvezza eterna, ma egli non deve mischiarsi con il potere temporale. L’unico giudice è Dio, quindi lo spirituale non deve interferire nel temporale. 6) Maestro Eckhart e il Misticismo Speculativo. Echkart nacque in Germania nel 1260, si laureò in teologia e morì nel 1327. Nelle Questioni, egli si domanda se in Dio essere e conoscere siano identici; egli rispose che Dio è perché conosce. Dio è puro d’ogni essere e che, riguardo all’essere può essere la causa, in quanto egli è superiore all’essere poiché possiede tutto in anticipo e perché causa tutto. Eckhart identifica Dio con l’intellezione, il Figlio con il Vivere e lo S. Santo con l’Esse. Dio è Uno. Eckhart sviluppa la tesi secondo cui l’uno e l’unità sono proprietà dell’intelletto. Gli esseri materiali non sono unitari poiché sono formati da materie e forme; gli esseri immateriali e intelligenti non sono nemmeno unitari poiché l’esse non è intellezione. L’intellezione pura che è unità pura è Dio. Egli distingue in Dio l’essenza una e le tre divinità, ma la radice del divino è la sua purezza più che l’essenza. La deità risiede al di là delle persone divine. La purezza dell’essenza, che è l’unità, è l’intelletto poiché solo l’intelletto è uno. Porre l’essenza pura significa porre l’intelletto, quindi il Padre, da cui scaturisce il passaggio dall’Uno alla creazione. Se Dio è uno, e niente al di fuori di lui è uno, tutto il resto allora è nulla poiché non è. In principio era il Verbo, il Verbo è la verità, quindi è la sapienza. L’anima, per M. Eckhart, è una sostanza spirituale. Distingue tre facoltà, come Agostino, dell’anima: la memoria, l’intelletto e la volontà. Designa una favilla (fiamma) dell’anima, un elemento segreto, una favilla dell’intelletto divino, una e semplice come lui. Egli sottolineava come nell’anima vi sia qualcosa di increato e increabile, e ciò portava all’idea dell’unione dell’anima con Dio in quella cittadella (favilla), ove l’uomo non si distingue da Dio, poiché orma egli è unità con Dio. L’anima dipende da Dio e non può mai non essere sotto il controllo di Dio. Questa può o allontanarsi o attaccarsi. Per arrivare a ciò, l’uomo deve ritrovare Dio al di là delle creature, in quanto queste sono puro nulla. La sola creatura che può condurci verso Dio è l’anima che p nobile. Una volta che si libera di tutti i limiti e intralci, volontariamente, essa percepisce la sua continuità con l’Essere da cui deriva. Raggiunta la povertà spirituale l’anima ritorna a Dio, e ciò tramite la preghiera, la fede, la grazia e i sacramenti. L’uomo può rinunciare a tutto, anche a Dio, perché non può desiderare ciò che già possiede e così può confondersi con lui.
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