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La follia nella letteratura, Tesine di Maturità di Italiano

Tesina di maturità sulla follia

Tipologia: Tesine di Maturità

2017/2018
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Caricato il 10/01/2018

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Scarica La follia nella letteratura e più Tesine di Maturità in PDF di Italiano solo su Docsity! La follia Introduzione Dire che cosa sia realmente la follia è un'impresa abbastanza ardua, eppure in tenti hanno provato a dare un valido significato e questo termine. Nel passato come nel presente, la follia si è manifestato in tanti suoi piccoli aspetti: attraverso il genio degli scienziati, i versi dei poeti, le melodie dei musicisti, i colori vivaci sulle tele degli artisti, le gesta inconsulte dei potenti. Ma oggi il termine "follia" ha un significato più comune per indicare semplicemente chi si ribella all'ordine della vita sociale per dar sfogo alle passioni, ai sentimenti, all'istinto, alla pura irrazionalità. Questo termine è entrato dunque a far parte dei linguaggio corrente e non può più essere tenuto al di fuori dei mondo reale come manifestazione della diversità, come un nemico che minaccia l'identità di ognuno. Dalla realtà dei giorni nostri si può evincere come l'uomo sia nato dall'incontro tra la verità e la follia e di come il mondo corra instancabilmente verso qualcosa che non c'è, mosso dallo sfrenato desiderio di potere, di conquista e di vittoria. La follia non allontana l'individuo da se stesso, ma lo rende partecipe di una realtà che sta al di fuori delle regole e dei canoni dei vivere civile; è la realtà che si nasconde nel profondo dell'anima, è l'essenza dello spirito. I governi dittatoriali: il trionfo della follia nella storia L'Italia fascista, l'Unione Sovietica di Stalin, la Germania Nazista, la Jugoslavia di Tito sono stati i luoghi dove la follia ha preso il sopravvento sulla democrazie e ha determinato il completo abbandono della razionalità e dei buon senso trascinando popoli interi verso la più totale perdizione, e verso l'eccitazione della violenza e della crudeltà in un modo barbaro ed eclatante, come non era mai successo prima nella storia dell'umanità. Eppure la follia non è da ricercare solo nei grondi uomini, quali Stalin, Hitler e Mussolini, ma soprattutto nel popolo russo, tedesco ed italiano che avrebbe potuto lasciare quelle parole volare al vento, anziché mostrare quell'entusiasmo e quello smisurato fanatismo che condussero inconsapevolmente verso lo sgretolamento della giustizia e della libertà. ∙ Lo spazio vitale: i Tedeschi avevano il diritto di espandersi e di conquistare ]egemonia in Europa, fino ad estendersi verso est in Polonia, Cecoslovacchia e Russia. Questi territori dovevano essere occupati e i "sottouomini" slavi dovevano servire il 'popolo dominatore". Benché non esistessero fondamenti scientifici, Hitler affermava con grande sicurezza la superiorità della Germania e la purezza della suo popolazione, ricavando tali concetti dalla "Germania" di Tacito, libro scritto durante il primo secolo dell'Impero Romano. The strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde "The strange cose of dr Jekyll and Mr Hyde" is Stevenson's masterpiece. It wcts published in 1886 and had an immediate success. In this novel Stevenson presents the dramatic conflict between good and evil, two forces that may be separated and left to fight one against the other, but the only possible solution is the destruction of the personality. Dr Jekyll is a scientist who leads a quiet and sober life. He is obsessed with the idea that his evil tendencies con be separated from his good side. One day he discovers a drug that make this possible and gives birth to two beings: one is dr Jekyll, good and honest, and the other is an horrible creature that he calls Mr Hyde, a short, crooked and malignant man who commits all sort of crimes. Every time dr Jekyii wants to return to his usual self, all he has to do is to toke the drug again. Fearing that for some reason he might remain trapped in Hyde's body, he gives instructions for his house and servents to be at Hyde's disposal, opens a bank account in Hyde's nome and even makes him his sole heir in his will. Mr Utterson, br Jekyll's friend and lawyer, is very worried about this situation and tries to discover more about Hyde and the reason why Jekyii supports him so much. One night Jekyll wakes in his bed with a strange feeling, he looks around the room, everything is in its place, but he has the sensation he is in the little room in Soho Square where he sleeps when he is Mr Hyde. Suddenly his eye falls on his own hand: it is the hand of Hyde. Quickly he goes to the mirror and finds out he has became Mr Hyde without taking any drug. Hyde's evil nature had grown, he even has become taller and stronger and has definitely taken control over his creator. Evil is triumphing over good and Jekyll is frightened by all this, so he decides to close himself in his laboratory and commits suicide leaving a long note in which he explains his strange case. The note is found by Mr Utterson by whom we ore told the story through out his movements. Mr Hyde is a scientific experiment that proved that human mind is populated not only with goodness and honesty, but also with evil and madness. In Stevenson's novel science plays a dramatic role because it made possible the creation of a monster that emphasize the dark side of mankind. In this novel we have a freudian influence. Actually: HYDE symbolizes the ID (the dark and inaccesible part of the personality, devoid of ethical or moral values) that is the centre of the primitive instinctual passions, energy, love of life and vitality. JEKYLL represents the whole man: ID, EGO, and SUPER-EGO. The ego is the consciousness, the will, while the super-ego is the moral precepts of the mind. Together they sublimate the forces of id into civilization controlling the agents of the satisfaction of needs. Lo studio della follia in Freud I problemi riguardanti la psiche dell'uomo non furono mai visti da un punto di vista scientifico sino alla seconda metà dell'Ottocento, quando in Germania, e successivamente in America, nasce un fervido interesse per la psicologici. Ma la vera svolta fu data dall'introduzione di una nuova scienza: la psicoanalisi, che ha influenzato fortemente non solo la psicologici, ma anche la letteratura, la sociologia, l'antropologia culturale, le scienze dell' educazione e la filosofia. Il fondatore di questa scienza fu Sigmund Freud (Freigberg 1856 - Inghilterra 1939), che sin da giovane s'interessò all'anatomia cerebrale e alle malattie nervose. Freud dichiarò di essere pervenuto alla scoperta dell'inconscio e alla teoria psicoanalitica che diventarono la base di ogni considerazione sulla follia. La vera rivoluzione riguardò l'elaborazione di una prima topica della psiche umana, che fu superato da una seconda topica poiché non rispondeva appieno alla complessità dei fenomeni. Attraverso la psicoanalisi Freud si propone di studiare quella parte oscura della struttura umana che si agito al nostro interno, un calderone di impulsi ribollenti che egli chiama inconscio. l'apparato psichico dunque risulta composto da: ES: l'insieme di impulsi inconsci, quella parte inconscia della mente nella quale vengono relegate le pulsioni e i traumi che non possono emergere per censura drastica dell'io I personaggi folli di Luigi Pirandello Pirandello è sicuramente uno degli interpreti più acuti della "crisi dell'io", poiché la considera una serie di stati incoerenti, che suscita nei suoi personaggi angoscia ed orrore nel vedersi vivere, nell'esaminarsi dall'esterno come sdoppiato. Questa tendenza risulta essere un insieme di ossessioni, angosce, impulsi inconfessabili perché violenti o crudeli, che giacciono nel profondo della psiche, nell'inconscio. L'unica via di fuga da tale realtà risulta essere la pazzia, ovvero la condizione di colui che si esclude e guarda gli altri vivere. Il romanzo "Uno, nessuno, centomila" è il testo narrativo che meglio esprime la concezione pirandelliana di pazzia, vista come il voler essere ad ogni costo come gli altri ci vedono; la normalità è quindi l'accettazione dei cambiamento, l'inverosimile. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, viene messo in crisi della moglie che nota che il suo naso pende verso destra, mentre egli lo credeva "almeno molto decente". L'uomo non so più se è quello che crede di essere o quello che credono gli altri e scopre cosi di non essere nessuno. Questa disgregazione di personalità di Moscarda travolge tutta la sua vita, dalle amicizie alla suo posizione sociale. Egli, infatti, ritenendo che solo attraverso la "lucida follia" può distruggere l'immagine che gli altri hanno di lui ed essere finalmente se stesso, si comporta in modo irrazionale, compiendo azioni liberatorie, ma in netto contrasto con le sue convenzioni sociali. Al termine dei romanzo però, il protagonista costretto ad accettare l'ennesima "forma" attribuitagli dalla comunità, quella dell'adultero, riesce finalmente e liberarsi dalle angosce che lo ossessionavano, dalla solitudine provocata della sua consapevolezza di non essere li nessuno": ora, infatti, accetto di buon grado di alienarsi totalmente della sua personalità, rifiuta addirittura qualsiasi nome o identità personale abbandonandosi gioiosamente al mutevole fluire della vita, morendo ogni attimo e rinascendo sempre nuovo senza fissarsi in alcuna forma. La fonte dell’autore fu lo psichiatra Alfred Binet, che gli offrì le formulazioni scientifiche di alcune sue intuizioni sulla variabilità degli stati psicologici e sulla scomposizione della personalità. E' il suo punto di partenza per esplorare quella crisi d'identità che qualsiasi evento può scatenare e che è uno dei terni fondamentali della sua produzione. Naturalmente al termine pazzia non sì dà il significato corrente di patologia grave della psiche ma quello pirandelliano più congruo di spazio vuoto, squarcio improvviso nella coscienza, istantaneo ed insperato coincidere di essere ed esistere. Pazzo è infatti chi, allo specchio, si scopra ad esistere in maniera diversa da quella in cui credeva;e comunque chi, con la reduplicazione speculare dell'immagine, come Vitangelo M.,avvia un generale processo dì scomposizione dell’ “io”, della propria personalità. Già, perché la storia narrata in "Uno nessuno e centomila" è proprio quella di una progressiva "scomposizione dell'io”, una certa demistificazione della falsa unitarietà della coscienza, per cui il protagonista si accorge, di fronte allo specchio, di non essere quell'uno -uguale ed inseparabile- che credeva di essere per sé e per la moglie. L'impossibilità di conoscersi appieno -se non a patto di osservarsi quasi dall'esterno, e, dunque, uscendo da sé per cui diventa impossibile vivere e vedersi contemporaneamente-, ingabbia subito V.M.. Tutto il primo cap. è infatti giocato sulla variazione dell'unico, ossessivo tema dello sdoppiamento davanti allo specchio. Il confronto con lo specchio, dunque, non è affatto un veicolo per il riconoscimento dì sé; Tutt’altro! Lo specchio “deforma" l'immagine, ne scopre l'assoluta relatività e spinge al folle gioco della scomposizione: in ogni specchio si rifrange una delle tante possibili immagini di un io che, frantumato nelle sue varie sfaccettature, impedisce la ricomposizione di un'unica identità. Il dramma a questo punto si complica: Moscarda non solo scopre di essere uno, ma centomila, e dunque nessuno. Quindi, l'esperienza allo specchio gli conferma la sua ipotesi (cioè di non credere di essere ciò che un tempo pensava di essere); anzi,gli rivela come non possa vedersi vivere, e come sia condannato a restare estraneo a se stesso, conoscibile solo dagli altri. Si vede dì fronte un corpo vuoto perché chiunque avrebbe potuto appropriarsene e dargli una realtà a modo suo, una delle centomila possibili realtà. L’idea gli risulta quasi inaccettabile. Così si propone di mettere a nudo le sue tante identità, che i conoscenti gli attribuivano, nella speranza dì distruggerle. Nelle sue scoperte,rilevante è la presa di coscienza della falsità di un mondo costruito dall'esterno, illusorio, in cui la conoscenza viene ripudiata perché condannata come relativa. Vitangelo impara per sua esperienza come il giudizio altrui risulti influenzato dalla condizione familiare, dal nome di una persona. Così era capitato a lui, figlio di un banchiere, considerato da conoscenti un usuraio. E' un'idea inaccettabile e per cancellarla fa di tutto: decide infatti di donare a un tale, Marco dì Dio la sua casa .... Poi decide di sfrattarlo, e poco dopo, tra gli insulti della folla, decide di donargli una casa più accogliente ed una cospicua somma dì denaro. Però la folla, invece di cambiare idea sul suo conto gli dà del pazzo. Venuto a conoscenza dell'inganno che stavano progettando i suoi due soci (Firbo e Quantorzo volevano infatti denunciarlo come malato di mente) decide quindi di recarsi da un vescovo di Richieri e finge di voler cedere la banca per motivi di coscienza: ne riceve invece il consiglio di rivolgersi a don Antonio Sclepis, direttore dei collegio degli abati. Alla fine M. si ritira nell'ospizio che lui stesso aveva fatto costruire. Tutto sommato non mostra rimpianti: ha raggiunto il suo obiettivo, ha saputo annullare la realtà che gli altri gli avevano dato e vivere una nuova vita. Ma il prezzo della battaglia che ha combattuto contro gli altri è altissimo: la totale decostruzione della propria immagine viene pagata con una totale solitudine interiore con l'interdizione e l'emarginazione. Spogliato di tutto, dei beni, del nome, dello statuto anagrafico, di un ruolo sociale. Vitangelo resta solo, solo con la pazzia, che è il marchio con cui gli altri continuano a difendersi da chi li minaccia nelle loro certezze,nella loro ottusa ostinazione a credersi "veri" (non è vero che i pazzi sono quelli che lo sembrano,ma lo sono di più quelli che sembrano normali). Il furor di Seneca Al centro dì tutte le tragedie di Seneca troviamo la rappresentazione dello scatenarsi rovinoso di sfrenate passioni, non dominate dalla ragione, e delle conseguenze catastrofiche che ne derivano. Il significato pedagogico e morale s'individua dunque nell'intenzione di proporre esempi paradigmatici dello scontro nell'animo umano di impulsi contrastanti, positivi e negativi. Da un lato vi è la ragione, di cui si fanno spesso portavoce personaggi secondari che cercano di dissuadere i protagonisti dai loro insani propositi; dall’altra vi è il furor, cioè l'impulso irrazionale, la passione (amore, odio, gelosia, ambizione e sete di potere, ira, rancore), presentata, in accordo con la dottrina morale stoica, come manifestazione di pazzia in quanto sconvolge l'animo umano e lo 2)Fedra gli si offre come schiava evocando implicitamente il tema del servitium amoris 3)accenna alla probabile morte di Teséo, suo marito (morte che le permetterebbe di aspirare legittimamente ad un nuovo amore). Quando il giovane afferma di essere disposto a prendere il posto dei padre,questa affermazione (dettata dalla pìetas)suona ambigua alle orecchie di Fedra e induce finalmente la regina a rivelare che la sua sofferenza è causata dall'amore. La confessione è poi ancora ritardata dalla rievocazione della bellezza dì Teseo giovane, nella cui immagine Fedra proietta e contempla quella dei figlio. Una volta comprese le intenzioni di Fedra, Ippolito esprime il suo orrore e la sua violenta indignazione. Come già accennato in precedenza Fedra è ripresa dall'Ippolitodi Euripide. Ciò ci offre l'opportunità dì attuare paragoni tra le due tragedie. Innanzitutto nella Fedra di Seneca le divinità non compaiono. Inoltre la struttura compositiva, molto diversa da quella euripidea, conferisce uno spazio di gran lunga maggiore al personaggio della regina (mentre prima usciva a metà dei dramma). Qui è lppolito ad uscire definitivamente di scena a metà dei dramma, mentre Fedra domina la scena dall'inizio alla fine. Infine nella tragedia latina è Fedra, non lppolito a morire sulla scena,presentando il suicidio come giusta punizione della sua colpa e offerta sacrificale al morto lppolito, ma anche come unico sollevo all'invincibile malattia d'amore ed estrema occasione per recuperare l'onore perduto. I disturbi della personalità I disturbi della personalità in ambito clinico sono una diagnosi frequentissima. E molto frequentemente compaiono nelle aule giudiziarie: per il 90 per cento delle persone che sono sottoposte a giudizio per un reato penale grave si formula questa diagnosi. Bisogna, a questo proposito, fare un richiamo storico: la psichiatria è nata con due comparti che sembravano, inizialmente, non comunicanti: quello delle nevrosi e quello delle psicosi. Il nevrotico aveva un «io» ben definito, carente, fragile, su cui però si poteva lavorare. Nello psicotico, invece, l’ ”io” era in qualche modo frammentato, alterato. Con il passare degli anni si è sentito il bisogno di trovare uno spazio che mettesse in comunicazione questi due campi, nevrosi e psicosi, poiché sempre più nella pratica clinica si osservavano situazioni patologiche che mutavano: pazienti considerati nevrotici che, nel tempo, sviluppavano una patologia di tipo psicotico; condizioni che non solo si aggravavano, ma assumevano caratteristiche cliniche particolari. Si formulò, allora, la definizione di “disturbi di personalità”: qualche cosa che si pone “in mezzo”, per il bisogno della psichiatrica di coprire forme che non sono nevrosi, ma nemmeno psicosi. Per molti, delle anticipazioni possibili delle psicosi. Dieci sono i disturbi della personalità classificati. Un esempio, il “disturbo schizotipico di personalità”. Schizotipico: la parola richiama subito schizofrenia, cioè un “io” che in qualche modo è diviso, è scisso. Ma si tratta di un disturbo che non ha ancora una forma definitiva, non ha ancora le caratteristiche acute della schizofrenia. In qualche modo, si tratta di prodromi che potrebbero anche avere un esito nella schizofrenia. Un altro esempio, il “disturbo ossessivo compulsivo di personalità”, in una zona intermedia rispetto alla patologia ossessiva compulsiva. Il “campo intermedio” dei disturbi della personalità è ancora una sfida difficile per la psichiatria: è qualcosa di sicuramente necessario, ma nello stesso tempo l?attuale classificazione ha bisogno di essere perfezionata. I quadri clinici delle psicosi erano precisi, quadri gravi, di cui conoscevamo – per la schizofrenia, come per la depressione – lo sviluppo, l?inizio, l?esito; quadri eclatanti in età adulta. Invece, il “disturbo anti-sociale”, per esempio, o il “disturbo narcisistico di personalità”, per ricordarne altri dalla classificazione prima citata, sono in fondo definizioni “deboli” e sono molto frequenti negli adolescenti e nei giovani. Ed è anche per questo, cioè per l?età di comparsa, che si dice potrebbero essere anticipazioni di psicosi che clinicamente si esprimono in modo compiuto in età adulta. Ora, tenendo presente questa premessa, veniamo alla questione dei disturbi di personalità nella giurisprudenza e quindi in relazione a comportamenti anti-sociali (notando, che, come dicevo, c?è un disturbo anti-sociale di personalità). C’è una constatazione evidente e, se vogliamo, drammatica. Come si è detto, quando uno psichiatra entra in Tribunale, il giudice si trova frequentemente di fronte alla diagnosi di disturbo di personalità. Ma qual è il peso che il disturbo di personalità ha nella capacità di intendere e di volere e, di conseguenza, nella responsabilità nell?aver commesso un delitto? Il Codice penale fa riferimento alla categorie psichiatriche gravi e quindi alle psicosi per escludere la capacità di intendere e di volere, e la punibilità, parzialmente o totalmente. Così, fino ad ora i giudici hanno ritenuto che i disturbi di personalità, da soli, non sono in grado di configurare nè un limite parziale, nè mancanza totale della capacità di intendere e di volere. Quindi, chi riceveva una diagnosi di disturbo di personalità non godeva di quelle che, appunto, sono le previsioni di limitazione nella responsabilità. La recente sentenza della Cassazione è, perciò, importantissima: ora, persone affette da disturbi della personalità hanno diritto ad essere considerate limitate nella capacità di intendere e di volere, o addirittura totalmente mancanti. Purché – si precisa nella sentenza – il disturbo sia di intensità e gravità rilevanti. In pratica, d’ora in poi i disturbi di personalità, sia pure gravi, dovranno assumere per i Tribunali un peso analogo a quello delle psicosi. Personalmente ho sempre ritenuto che i disturbi di personalità possono essere molto gravi e che si dovesse in qualche modo tenerne conto in ambito giudiziario. In effetti, la valutazione del comportamento omicida e della capacità di intendere e volere va fatta sempre in relazione al momento del fatto. Se, ad esempio, in un soggetto che ha compiuto un omicidio è presente un disturbo di personalità, è probabile che tale alterazione strutturale della persona (sia pure non grave come una schizofrenia, o come una forma paranaoidea) abbia inciso nel momento in cui il delitto è stato commesso. Qualche caso giudiziario che potrebbe rientrare in questo quadro patologico?
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